Il 7 novembre 1943, sulla montagna di Lentiai, nacque la prima formazione partigiana regolare del Bellunese

La lapide posta nel sessantesimo della costituzione del primo nucleo di Resistenza nel Bellunese, sul muro della Casera “La Spàsema” sulla montagna di Lentiai. Fonte: Giuseppe Sittoni, op. cit. infra

Esercitazione tedesca nei pressi di Belluno nell’autunno del 1943. Archivio di Giuseppe Sittoni. Fonte: Giuseppe Sittoni, op. cit. infra

Il 25 luglio 1943 trovò nel Bellunese una situazione matura per una immediata risposta alla crisi: il Partito d’Azione, il Partito Comunista ed ex confinati cominciarono a organizzarsi. Decimo Granzotto “Rudy” prese contatto con don Giacomo Viezzer, parroco di Ponte nelle Alpi e con Giuseppe Deon a Longarone e fece opera di propaganda a Bolzano (Belluno) e a Lentiai [frazione del comune di Borgo Valbelluna (BL)], facilitato da una forte resistenza civile da parte della popolazione.
Si costituì ben presto un Comitato ufficiale con il compito di cooperare al riassetto politico e di orientare l’opinione pubblica. Ne facevano parte Giovanni Serragiotto per il Partito Socialista, monsignor Emilio Palatini per la Democrazia Cristiana, autorizzato dalla Curia, Giorgio Bettiol per il Partito Comunista Italiano ed Ernesto Tattoni per il Partito d’Azione. Nacque in seguito il CLN con funzione politica e un Comitato esecutivo militare. Del primo facevano parte i rappresentanti dei cinque partiti antifascisti: DC, PCI, PSI, PLI e P.d’A. Assistevano l’esecutivo esperti militari quali il colonnello Angelo Zancanaro, il cap. Francesco Pesce “Milo” e altri ex ufficiali quali Aldo Praloran, Aldo Sirena, Guido ed Egidio Forcellini, Gianni Lazzaroni, Gino Bortolon, Luigi Dall’Armi, Pasquale De Toffol, Gianni De Roni e altri.
Il 7 novembre 1943, sulla montagna di Lentiai, nacque la prima formazione partigiana regolare del Bellunese. Comprendeva anche un gruppo proveniente da Cesiomaggiore e fu intitolata a Luigi Boscarin, caduto in Spagna nel 1936. Fra i reduci della guerra di Spagna e i militanti comunisti si stabilirono contatti per tener vivo il comune ideale.
Si trovarono in ventidue alla casera “La Spàsema” e fu il nucleo che diede origine alla divisione “Nino Nannetti”: Eliseo Dal Pont “Bianchi”, Ernesto Endrighetti, Ernesto Ferrazza, Cesare Funes, Giuseppe Gaddi “Sandrinelli”, Enrico Longobardi “Rega”, Sante Mussio “Coledi”, che fu poi questore di Belluno, Rizzieri Raveane “Nicolotto”, Beniamino Rossetto “Mostacetti”, Manlio Silvestri “Monteforte”, Pietro Tagliapietra “Vigilio”, Cocco, alcuni ex prigionieri inglesi, tre russi, Orlov, Bortnikov e Kusnetzov, due slavi, Mirko e Misa, due montenegrini, Bozdar Martinovic “Bose” e uno di cui non si conosce il nome. Manlio Silvestri, già combattente in difesa della Repubblica Spagnola nel 1936, ebbe l’incarico di commissario politico. All’incontro partecipò Amerigo Clocchiatti, “Ugo”, in rappresentanza del comando veneto delle brigate “Garibaldi”.
Nevicava fitto ma presenziarono in molti; numerose anche le donne, fra le quali Rina e Grazia Tagliapietra, la veneziana Ina, la “romana” e altre. Da quel primo piccolo nucleo nacque la guerriglia più organizzata del nord Italia.
Nel mese di novembre iniziarono azioni di sabotaggio che misero subito in allarme gli occupanti. Erwin Rommel, allora nei pressi di Belluno, trattenne due divisioni corazzate sul finire del 1943 per dar la caccia ai partigiani. Albert Kesselring scrisse nelle sue memorie che, se avesse avuto a disposizione quelle forze, sarebbe riuscito a cacciare in mare gli anglo-americani, già sbarcati a Salerno il 9 settembre. <3
Nella loro avanzata “gli Alleati erano inoltre avvantaggiati dall’attività di circa sessantamila partigiani, che producevano molta confusione alle spalle dei tedeschi, costringendoli a distogliere truppe dal fronte per contrastarne l’azione”. <4
Belluno fu una provincia che pagò duramente la sua lotta al nazifascismo: 86 impiccati, 227 fucilati, 7 arsi vivi, 11 morti per sevizie, 564 caduti in combattimento con 301 feriti, 1.667 deportati e 7.000 internati. La città fu decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Il “Boscarin” affrontò vari spostamenti, dalla “Spàsema” a Val del Mis, Val Cellina e Val Mesazzo, agli ordini di Paride Brunetti “Bruno”, inviato dal comando di Padova. “Bruno”, ufficiale di carriera e reduce dalla campagna di Russia, era ricco di esperienza militare e ottimo organizzatore. Manlio Silvestri “Monteforte” mantenne l’incarico di commissario politico. Dal gennaio 1944 il reparto, che si era notevolmente ampliato, si trasformò nel distaccamento
d’assalto “Tino Ferdiani” e si impegnò in una vasta azione di sabotaggi. “Fu così che per settimane e settimane il ‘Ferdiani’ parve moltiplicarsi e fu presente con le sue azioni in tutti i punti del Veneto. La linea ferroviaria Udine-Venezia, quella Venezia-Trieste, la Venezia-Milano, la Verona-Bolzano furono interrotte decine di volte. Si spingevano, i nostri, fino a Vittorio Veneto, fino a Mestre, fino a Vicenza, fin sotto Trento”. <5
In seguito altri gruppi misero fuori uso la centrale delle Moline (Lamon), interrompendo la corrente elettrica al Petrolchimico di Porto Marghera. A questo sabotaggio partecipò anche Ulrico Giulio Boldo, poi aggregatosi al “Gherlenda” col nome di battaglia di “Tom”. “Bruno”, con altri compagni, fece saltare la galleria del Tombion (Cismon del Grappa) rendendo inservibile sia la statale che la ferrovia della Valsugana per cinque giorni, in quello che fu considerato uno dei più grossi sabotaggi della Resistenza europea. Anche la “Metallurgica” di Feltre fu messa temporaneamente fuori uso.
[NOTE]
3 A. PETACCO, I generali di Hitler, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1973, p. 122.
4 B. H. LIDDEL HART, Storia della seconda guerra mondiale, vol. II, Milano, Mondadori, 1970, supplemento al “Giornale”, 2003, p. 937. Un giudizio sull’importanza determinante della Resistenza italiana lo diede lo stesso Winston Churchill, il quale dichiarò che “il movimento partigiano italiano è il più forte movimento d’Europa, più forte dello stesso movimento jugoslavo. L’Italia dovrà la sua libertà ai suoi cinquantamila caduti partigiani, perché è solo combattendo che si conquista la libertà. Se non vi fossero stati i partigiani italiani, noi avremmo avuto il doppio delle perdite e impegnato il doppio del tempo per raggiungere i nostri obiettivi”. In: La nostra vittoria (a cura dell’ANPI di Venezia), numero unico 28 aprile 1946, p. 3. Da non dimenticare che l’appoggio dato dalla Resistenza italiana agli Alleati fu l’unica carta che Alcide De Gasperi poté giocare alla Conferenza della pace di Parigi nel 1946 per
avere un trattamento meno duro da parte delle potenze vincitrici.
5 G. GADDI, La Spàsema, Imola, Nuovi Sentieri, 1981, p. 16 e sgg.
Giuseppe Sittoni, Uomini e fatti del “Gherlenda”. La Resistenza nella Valsugana orientale e nel Bellunese, Croxarie – Mosaico, 2005