Stonewall e Sanremo: la centralità della sessualità

“Erano ragazzi bellissimi. Avevano perso quello sguardo ferito che tutti i froci avevano dieci anni fa”. <28
Nella notte del 27 giugno 1969 la polizia irrompe nel Stonewall Inn di New York, un bar gay. Non è una novità: le irruzioni nei luoghi di ritrovo degli omosessuali sono all’ordine del giorno, e si risolvono solitamente con l’identificazione e l’arresto degli uomini vestiti in abiti femminili. I capi d’accusa sono spesso i più disparati, dal momento che le leggi variano da stato a stato e nei codici si trovano norme antiche e desuete, utilizzate strumentalmente per perseguire il “buon costume” <29. Quella notte, il Stonewall Inn è particolarmente affollato, e la rabbia contro le ripetute retate esplode: fuori dal locale si raduna una folla, le drag queen colpiscono i poliziotti con i tacchi, sono lanciate bottiglie contro le camionette. È solo il primo dei cinque giorni della rivolta di Stonewall, destinata a cambiare il volto della presa di coscienza omosessuale. Se infatti fino a quel momento le associazioni omofile avevano cercato di integrare gli omosessuali nella società, procedendo per vie perlopiù istituzionali o di blanda disobbedienza civile, i moti di Stonewall rappresentano l’apice della presa di coscienza del “gay power”: come per il femminismo, il pensiero della differenza afroamericano colpisce la comunità gay e ne trasforma il volto. I giovani omosessuali, già politicizzati dalle proteste contro la guerra in Vietnam e dalle manifestazioni per i diritti civili dei neri, si scagliano contro la via riformista della Mattachine Society – che, dal canto suo, si affretta a invitare alla “pace sociale” affiggendo sulla vetrina del Stonewall Inn un cartello che dice “Noi omosessuali chiediamo alla nostra gente di aiutare a mantenere una condotta pacifica e tranquilla nelle strade del Village” <30.
L’anno prima, durante il Maggio francese, un Comité d’Action Pédérastique aveva affisso ai muri della Sorbona alcuni comunicati in cui gli omosessuali si dichiaravano forza politicamente eversiva. Gli stessi manifesti erano poi stati distribuiti simbolicamente vicino agli orinatoi pubblici – luoghi per antonomasia di incontri furtivi – e provocatoriamente fuori dall’Odeon, tempio della cultura borghese. Il Comitato d’azione della Sorbona non aveva però visto di buon occhio la provocazione, e l’esperienza si era esaurita in breve tempo <31; bisognerà aspettare il 1971 per l’organizzazione del Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire (FHAR), sorto a seguito di una trasmissione radio che, con intenti liberali, si intitolava “Il doloroso problema dell’omosessualità”. Stufi di essere visti come sofferenti, gay e lesbiche si uniscono in un Fronte Rivoluzionario – uno dei pochi guidati da una donna, Francoise d’Eaubonne, che dichiara: “Dite che la società dovrebbe integrare gli omosessuali. Io dico che gli omosessuali dovrebbero disintegrare la società” <32.
Nel 1971-72 nuovi gruppi gay che si dichiarano “rivoluzionari” fioriscono in tutto il mondo occidentale (oltre al FHAR francese, il Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano – FUORI! in Italia, il Gay Liberation Front – GLF in Gran Bretagna, il Movement Homosexuel d’Action Révolutionnaire – MHAR in Belgio, solo per citarne alcuni), segnando il passo di una presa di coscienza inedita, ben lontana dall’associazionismo omofilo del decennio precedente. Si tratta non solo di rivendicare la propria esistenza, ma anche di trovare le proprie modalità di vita, fuori dallo stereotipo del “controtipo” che, in contrapposizione con l’idea dominante di virilità, si era andato creando nel corso del Novecento <33.
“È il peso di 2000 anni di pregiudizi che ha costretto gli omofili a ritrovare nel proprio seno le stesse “differenze” che esistono presso gli esseri detti normali. È il peso di 2000 anni di disprezzo per la donna, che li ha gettati in una falsa femminilità, perché la società ha per culto la virilità in quanto potenza militare, e perché il fallo venerato è sempre assimilato al manganello”. <34
In Italia nel 1972 i militanti omosessuali – futuri fondatori del FUORI! – decidono di partecipare al Congresso internazionale sulle devianze sessuali, organizzato a Sanremo dal Centro italiano di sessuologia. L’idea iniziale è quella di portare una testimonianza di vita vissuta, in contrasto con la teoria dell’omosessuale “infelice” e da curare <35 proposta dai medici e docenti presenti. I contestatori sono una quarantina: i pochi militanti omosessuali italiani, sostenuti da compagni arrivati da Francia, Belgio e Gran Bretagna. Accolti da cartelli (“Psichiatri, siamo qui per curarvi”, “Omosessualità è immaginazione”, “Gli omosessuali escono fuori e con orgoglio”) e slogan (“Normali, normali!”) i relatori del congresso decidono di far intervenire la polizia, che ferma e identifica dieci manifestanti. Il giorno successivo Angelo Pezzana prende la parola al congresso con un incipit destinato a fare storia: “Sono un omosessuale e sono felice di esserlo”. L’episodio ha rilevanza nazionale, il congresso si chiude con un giorno di anticipo e porta la “questione omosessuale” sulle pagine dei principali quotidiani nazionali. Solo le associazioni omofile criticano l’azione politica <36, in una distanza generazionale che segna una forte cesura tra i giovani omosessuali del “movimento” e una vecchia guardia (ma talvolta la differenza d’età è davvero irrisoria <37) ancora legata a logiche associazionistiche e riformistiche.
Il congresso di Sanremo dimostra come ancora una volta la censura contro l’omosessualità si muova soprattutto a partire dalle abitudini sessuali, prima ancora che relazionali: solo il caso Braibanti <38 si discosta da questo paradigma, ma molto più scalpore suscita il pruriginoso scandalo dei “balletti verdi”, in cui personalità di spicco come Dario Fo, Franca Rame, Gino Bramieri e Mike Bongiorno sono accusate di partecipare a “festini omosessuali” <39.
Senza liberi luoghi di incontro, con l’ansia della trappola poliziesca, l’impossibilità di dichiarare le proprie relazioni, lo spauracchio dell’accusa di pedofilia per le relazioni con (ma anche tra!) minori di 21 anni, gli omosessuali italiani vivono sotto lo scacco costante di una società che tollera la loro esistenza solo entro i binari dell’anonimato e del conformismo comportamentale, e in cui le abitudini sessuali devono essere nascoste e taciute. Si agita, su tutto, la minaccia del ricovero manicomiale, delle cure forzate – picchi estremi di una società repressiva che è molto più tangibile nella quotidianità degli incontri necessariamente clandestini o del silenzio imbarazzato che ammanta le relazioni lesbiche.
[NOTE]
28 A. Ginsberg, in L. Truscott IV, “Gay Power Comes to Sheridan Square”, su https://www.villagevoice.com/2009/06/24/stonewall-at-40-the-voice-articles-that-sparked-a-finalnight-of-rioting/, (21/02/2019).
29 Una mappatura delle retate e dei capi di imputazione si ha in G. Rubin, The Leather Menace: Comments on Politics and S/M, in SAMOIS, Coming to power. Writings and graphics on lesbian S/M, Up Press, Palo Alto 1981. Le norme più utilizzate erano quelle pensate contro la prostituzione; nel 1976 saranno addirittura arrestati gli organizzatori di una “asta di schiavi”, organizzata per beneficienza, con l’imputazione di – appunto – schiavismo.
30 Sull’argomento, D. Carter, Stonewall: The Riots that Sparked the Gay Revolution, Saint Martin’s Griffin, New York 2011. Suggestivamente, le rivolte di Stonewall presero il via la notte dei funerali di Judy Garland, che era stata un’icona dell’omosessualità velata degli anni Cinquanta e Sessanta (“Sei amico di Judy?” era una delle frasi in codice usate dagli omosessuali per riconoscersi in occasioni pubbliche, e l’intero film Il mago di Oz era visto come una metafora del coming out). Non ci sono prove storiche che i due fatti siano collegati, e i partecipanti ai moti hanno sempre negato questo legame: si trattava, in effetti, di una generazione molto più giovane e politicizzata degli “amici di Judy”.
31 Una breve panoramica del movimento omosessuale francese si ha in M. Spolato (a cura di), I movimenti omosessuali di liberazione, Samonà & Savelli, Roma 1972.
32 In D. Herzog, Sexuality in Europe, cit., p. 168.
33 Cfr. G. L. Mosse, L’immagine dell’uomo. Lo stereotipo maschile nell’epoca moderna, Einaudi Editore, Torino 1996.
34 “L’amore senza costrizione”, in in F.H.A.R., Rapporto contro la normalità, cit., p. 155.
35 Tra le cure proposte in quella sede, l’ipnosi, l’elettrochoc e la lesione chirurgica del “nucleo ventricolare mediale” del cervello.
36 Maurizio Bellotti commenta su Arcadie del giugno 1972: “Naturalmente i fasti rivoluzionari si sono conclusi con delle fiale puzzolenti lanciate nella sala dove si tenevano le riunioni, prova che le velleità rivoluzionarie non si distinguono poi molto da prodezze studentesche che hanno fatto il loro tempo” (In G. Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, cit.).
37 Cfr., sulle varie anime “generazionali” che compongono il Sessantotto e i movimenti seguenti, F. Socrate, Sessantotto, cit.
38 Nel 1964 Aldo Braibanti, intellettuale comunista, ex partigiano, è accusato di plagio per la sua relazione con Giovanni Sanfratello. Sanfratello sarà fatto rinchiudere in manicomio dal padre; Braibanti sarà condannato a sei anni di carcere. È l’unica condanna basata sul reato di plagio che si ha nel dopoguerra. Sul tema, A. Moravia, U. Eco, A. Gatti, M. Gozzano, C. Musatti, G. Bompiani, Sotto il nome di plagio: studi e interventi sul caso Braibanti, Bompiani, Milano 1969; G. Ferluga, Il processo Braibanti, Silvio Zamorani editore, Torino 2003.
39 Il tutto si rivelerà poi essere una montatura giornalistica, ma contribuirà a rafforzare l’idea popolare dell’omosessualità come qualcosa di sordido e pervasivo. Sul tema, S. Bolognini, Balletti verdi. Uno scandalo omosessuale, Liberedizioni, Brescia 2000.
Virginia Niri, “Con questo nemico ci facevamo l’amore”. L’autocoscienza come metodo politico di costruzione di nuove identità nel lungo Sessantotto italiano, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Genova, 2020