Kosiński partecipa al vasto movimento che offrirà alcuni dei più importanti racconti letterari mai scritti sulla Shoah

Più che attraverso la storia, la trasmissione della memoria della Shoah è avvenuta attraverso la pubblicazione di un gran numero di testimonianze dirette e, dagli anni Sessanta, grazie a opere letterarie. <242 Ne è una prova L’uccello dipinto di Jerzy Kosiński che, pubblicato nel 1965 da un giovane ebreo polacco immigrato negli Stati Uniti dopo la guerra, fu sostenuto dal mondo accademico e dai circuiti editoriali al punto da essere inserito, negli Stati Uniti, nella lista delle opere raccomandate dall’associazione nazionale degli insegnanti. <243
Il libro racconta la storia di un bambino di sei anni che, nell’autunno del 1939, i genitori cercano di salvare dalla macchina infernale dello sterminio trovandogli un rifugio nella campagna polacca. Il paesaggio velocemente assume toni cupi, colori pesanti e il bambino si trova abbandonato a se stesso in un mondo di crudeltà e brutalità senza limiti, condannato dal colore scuro dei suoi capelli e dal linguaggio impeccabile della borghesia colta a non passare inosservato tra i contadini di un’Europa centrale impietosamente ritratti dall’autore come una comunità superstiziosa e barbara, resa ancora più selvaggia dall’occupazione nazista. Nei quattro anni che il piccolo trascorre vagando di villaggio in villaggio, la sua esistenza assomiglia a quella dell’uccello dipinto di una feroce pratica paesana che consisteva nel dipingere le piume di un uccello affinché poi, liberato in volo, fosse ucciso dai suoi simili che, non riuscendo a riconoscerlo a causa dei colori vivaci, lo ritenevano un nemico.
L’uccello dipinto fu un vero successo letterario, un best seller pluripremiato, tradotto in numerose lingue e rapidamente integrato nella biblioteca della Shoah pur nella sua quasi totale assenza di elementi necessari quali date, nomi o spiegazioni del meccanismo di distruzione, che solo una lettura autobiografica dell’opera poteva compensare.
Elie Wiesel scrisse che il libro di Kosiński costituiva il miglior atto d’accusa dell’era nazista, scritto con profonda sincerità e sensibilità, <244 mentre Cynthia Ozick, ricorda Norman Finkelstein, riconobbe immediatamente l’autenticità del testimone della Shoah. <245
La sua fortuna però non durò a lungo, perché nel 1982 Kosiński fu accusato dalla rivista americana «Village Voice» di aver ricevuto l’aiuto della CIA per realizzare le sue opere e di servirsi di assistenti per definire la trama su cui poi lavorare. L’articolo presentava inoltre una storia diversa della vita di Kosiński durante la guerra, supportata, nel 1994, dal lavoro della giornalista polacca Joanna Siedlecka. «Village Voice» rivelava che L’uccello dipinto, accolto come opera autobiografica, era in realtà un’opera di finzione perché Kosiński, invece di vagare nelle campagne polacche, trascorse gli anni della guerra nascosto da una famiglia cattolica. <246 Joanna Siedlecka confermò che Kosiński non fu mai separato dalla famiglia, la cui incolumità fu assicurata da alcuni contadini polacchi. <247
È interessante notare come, al di là delle accuse che mettevano in discussione il contenuto del libro, ci fossero in gioco anche interessi ideologici. Kosiński fu difeso dal «New York Times» che sostenne che l’autore era vittima di un complotto comunista, <248 mentre, parallelamente, per la stampa comunista il libro era in realtà uno strumento di propaganda, quindi si trattava di un documento sovversivo scritto per creare odio verso i polacchi. <249
Le accuse non caddero nel vuoto, ma misero seriamente in questione l’origine autobiografica della narrazione, rivendicata dall’autore nella premessa scritta nel 1976 e in cui Kosiński sosteneva che l’idea dell’opera gli fosse venuta in occasione di un viaggio in Svizzera, nella primavera del 1963, per assistere la moglie malata. A quell’epoca la Shoah era poco o mal conosciuta; le persone con cui ne parlava pensavano che i racconti dei sopravvissuti fossero esagerati; di qui la scelta di abbandonare gli studi in scienze sociali per dedicarsi alla finzione letteraria, che meglio gli pareva prestarsi alle finalità pedagogiche che assegnava al suo lavoro, permettendogli di trattare fatti e personaggi reali senza incorrere nelle restrizioni del racconto storico. <250
Questa nuova presentazione contraddiceva però un altro testo dell’autore, The Note of the Author on the Painted Bird, contemporaneo alla pubblicazione americana del 1965 e distribuito ai giornalisti per orientare la ricezione del libro negli Stati Uniti, in cui Kosiński parlava del suo lavoro come di un’opera esclusivamente romanzesca senza alcuna funzione sociale o politica. L’autore spiegava che il suo obiettivo era quello di riflettere sull’infanzia, la sofferenza e il modo in cui l’arte del linguaggio permetteva di trasmettere un’esperienza traumatica. <251
Allo stesso modo, in un’intervista del 1972, Kosiński sosteneva di aver cercato molte volte di correggere l’opinione errata di aver scritto un’opera autobiografica. Secondo l’autore, sostenere che un romanzo era autobiografico poteva essere molto comodo per la classificazione, ma non sarebbe mai stato giustificabile. Ciò che si ricorda infatti è sempre imperfetto rispetto ai fatti e colui che scrive deve aiutarsi con l’arte letteraria per dare forma al vissuto. L’evento ricordato diventa così un incidente che mescola memoria ed emozioni. L’autore non vedeva sostanziale differenza tra la guerra e qualsiasi altra esperienza traumatica e non comprendeva le critiche di aver banalizzato la Shoah. L’esperienza umana, per lui, non poteva costituire una scala in cui il trauma poteva essere considerato più o meno brutale, perché l’intensità dipendeva solo dal modo in cui qualsiasi evento era vissuto. Tra le genti dell’Est Europa non considerava se stesso come una vittima, ma come uno dei tanti che avevano sofferto a causa della guerra. Non era pertanto l’esperienza soggettiva a essere arbitraria, ma il giudizio che ognuno dava della propria esperienza e che dipendeva dal modo in cui era stata percepita ed elaborata. <252
Benché i testi proposti, quello del 1965, del 1972 e del 1976, testimonino di un’evidente continuità nella vita letteraria di Kosiński, le differenze rimangono sostanziali: nel 1965 e nel 1972, la riflessione è strettamente letteraria; nel 1976, il discorso si sposta sulle condizioni socio-politiche in cui l’opera fu creata, sulla sua ricezione e sulla coscienza della Shoah in un mondo segnato dal conflitto ideologico tra Est e Ovest. Il passaggio riflette l’evoluzione della visione che l’autore ha della propria opera e quella della società occidentale nella quale questa è inscritta. Il processo Eichmann, nel 1961, è un evento che segna l’emergere della memoria del genocidio e la cui influenza è forte nel momento in cui Kosiński concepisce l’idea di scrivere un romanzo. Più che in un contesto di assenza di memoria come quello rivendicato dall’autore, che su questo punto è contraddetto dai dati storici, l’opera va situata nel solco di un’epoca segnata dall’apparizione di un nuovo protagonista sociale, il testimone.
Lontano dunque dall’essere un precursore rivoluzionario la cui voce si eleva nel mezzo di un deserto morale, Kosiński partecipa al vasto movimento che offrirà alcuni dei più importanti racconti letterari mai scritti sulla Shoah. <253
Riflettere su L’uccello dipinto, cercando di andare oltre le polemiche sull’autenticità, rende indispensabile affrontare il problema dei meccanismi di ricezione che sono all’origine della sua lettura distorta come testimonianza, per separare ciò che contiene letteralmente il testo da quanto il lettore crede di trovarvi. Coloro che condannarono il libro come propaganda antipolacca lo fecero perché consideravano il libro come un documentario diffamante in cui folclore e tradizioni indigene erano impudentemente dettagliati. <254 Altri, secondo lo stesso autore, vollero attribuirgli il ruolo di portavoce della propria generazione cercando nel libro le prove a sostegno delle loro affermazioni in base alle quali si sarebbe trattato di un’autobiografia. <255 A complicare la già difficile ricezione fu il sostegno che Kosiński ottenne dalla madre che ancora viveva in Polonia e che confermava, in una lettera, che il figlio era stato separato dalla famiglia durante la guerra. <256
L’evoluzione tra i diversi testi in cui l’autore riflette sulla propria creazione è allora estremamente illuminante perché rappresenta la prima ed emblematica apparizione della trasformazione testimoniale dei racconti di finzione realizzata da un pubblico sempre più interessato all’autobiografia e alla testimonianza autentica.
[NOTE]
242 Secondo Rosenfeld non è in primo luogo dal lavoro degli storici che la maggior parte delle persone ottiene le sue conoscenze intorno al Terzo Reich e ai crimini nazisti contro gli ebrei, ma piuttosto da quello dei romanzieri, dei registi, dei drammaturghi, dei poeti, degli autori e produttori televisivi, delle esibizioni museali, dei giornali e delle riviste popolari, dei siti internet, dei discorsi e delle commemorazioni rituali di figure politiche e altre personalità pubbliche. Cfr. Alvin H. Rosenfeld, The End of the Holocaust, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis, 2011, p.14.
243 Alexandre Prstojevic, Faux en miroir: fiction du témoignage et sa réception, in Dossier faux témoins, «Témoigner entre histoire et mémoire», n°106, janvier-mars 2010, pp.23-38, p.27.
244 Elie Wiesel, Everybody’s Victim, «New York Times Book Review», 31 October 1965.
245 Norman G. Finkelstein, The Holocaust Industry. Reflections on the Exploitation of Jewish Suffering, Verso, London-New York, 2003, p. 56.
246 Geoffrey Stokes, Eliot Fremont-Smith, Jerzy Kosiński’s Tained Words, «Village Voice», 22 June 1982, pp.41-43.
247 Joanna Siedlecka, Czarny Ptasior, Gdansk, Marabut, CIS, 1994.
248 John Corry, A Case History: 17 Years of Ideological Attack on a Cultural Target, «New York Times», 7 November 1982. Kosiński affermò che la stampa dell’Europa dell’Est propose una lettura distorta del suo libro provando a dimostrare che se un polacco emigra, scrive in inglese ed è pubblicato da numerosi editori allora è un collaboratore della Casa Bianca. Cfr. George Plimpton, Rocco Landesman, The Art of Fiction, «The Paris Review», n° 46, 1972, intervista a Jerzy Kosiński.
249 Daniel J. Cahill, Kosiński and His Critics, «The North American Review», vol.265 n°1, Spring, 1980, pp. 66-68, p.66.
250 Jerzy Kosiński, L’oiseau bariolé, Flammarion, Paris, 1976, p.5-10.
251 A. Prstojevic, Faux en miroir: fiction du témoignage et sa réception, op.cit., p.28.
252 G. Plimpton, R. Landesman, The Art of Fiction, op. cit.
253 A. Prstojevic, Faux en miroir: fiction du témoignage et sa réception, op.cit., p.29.
254 J. Kosiński, L’oiseau bariolé, op. cit., p.13.
255 Ibidem, p.11.
256 Louis Begley, True Lies, «New York Times», 21 April 1996.
Frida Bertolini, Il ruolo e la funzione del falso nella storia della Shoah. Storici, affaires e opinione pubblica, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, in cotutela con l’Università Parigi X Nanterre, 2012