La nascita del Battaglione Garibaldi Mazzini

Arcangelo Bortolotti e le bande dei militari
Il Tenente Colonnello Arcangelo Bortolotti, originario di Miane, fin dal settembre 1943 incominciò ad organizzare un gruppo di resistenti nelle zona prealpina circostante, beneficiando del continuo afflusso di militari, che tentavano di fuggire ai rastrellamenti tedeschi. Nel giro di breve tempo, Bortolotti e il Capitano Arturo Mazzei raccolsero attorno a loro centinaia di sbandati ed instaurarono rapporti proficui con i fondatori di simili formazioni della zona: il Tenente Colonnello Zancanaro di Feltre, il Tenente Professor Toni Adami di Valdobbiadene, il notaio Besignani di Pieve di Soligo, il Tenente Ermenegildo Pedron (Libero) di Vittorio Veneto.
Le cosiddette “Bande armate alpine”, in base a quanto hanno scritto negli anni ’70 e ’80 Fausto Schiavetto e fonti politicamente schierate a “sinistra”, erano delle formazioni militari che, per principi e filosofia, si distinguevano dalla Resistenza partigiana in ragione di una più rigida disciplina, di una dichiarata apoliticità e, soprattutto, di un palese “attesismo”, in previsione dell’arrivo in tempi brevi degli Alleati. Ne conseguivano il rifiuto della lotta armata così com’era concepita dalle bande partigiane, una certa chiusura verso la popolazione (e quindi i renitenti), uno stretto legame economico con i borghesi ed i proprietari terrieri, infine, il rifiuto di ogni collaborazione con le nascenti formazioni partigiane, al fine di evitare la guerra di popolo e i suoi lutti. Per tutte queste ragioni, non è un caso se l’incontro di Bavaria (frazione di Nervesa della Battaglia) del 7 ottobre 1943, proposto dal repubblicano Teodolfo Tessari di Treviso per cercare di trovare un compromesso tra i partiti della nascente Resistenza (il Pci con Pietro Dal Pozzo, in primis) ed i leader delle principali formazioni di militari, si sia concluso con un nulla di fatto. Il successivo tentativo di Feltre (attorno alla metà di novembre del 1943), tra il Tenente Colonnello Zancanaro ed i rappresentanti del distaccamento Garibaldino Buscarin e dei partiti antifascisti, recise definitivamente i rapporti, in seguito al rifiuto dell’ufficiale di concedere aiuti economici alle prime bande resistenti.
Questa politica di chiusura, insieme all’arresto di Bortolotti, con i figli, e di Mazzei (27 novembre 1943) ˗ il primo liberato, il secondo deceduto nelle carceri di Padova in seguito alle torture subite ˗ determinò l’esaurimento dell’esperienza delle bande “attesiste” già nel dicembre dello stesso anno e, per conseguenza, l’inizio della lotta armata, diretta dal Partito Comunista <9.
Il Professor Antonio Giuseppe Adami (Toni)
Il gruppo del Tenente Antonio Giuseppe Adami (Toni) era invece molto eterogeneo e tutt’altro che settario: si componeva infatti di ex prigionieri (inglesi, francesi, indiani e slavi), di militari sbandati e di un numero in continua crescita di giovani renitenti di Miane e di Valdobbiadene, che si rifugiarono dalle parti di Pian de Farnè e di Mariech. Il suo fondatore, nato a Mel (BL) il 17 gennaio 1905 e residente a Santo Stefano di Valdobbiadene, non era uno sprovveduto qualunque, ma un uomo all’avanguardia per i suoi tempi e per il mondo contadino in cui viveva: laureato in Legge a Padova e in Lettere e Filosofia alla Cattolica di Milano, antifascista di lunga data, impossibilitato a svolgere la sua professione per aver rifiutato la tessera del partito fascista, era un intellettuale straordinariamente dotato, che, ciononostante, non mirava ad esaltare sé stesso. Insomma, senza volerlo, era diventato un trascinatore, proprio perché persona fuori dal comune che viveva con semplicità in mezzo alla gente e che la sua gente ammirava e rispettava, pur con le sue stranezze. Per tutte queste ragioni, il mito di Toni Adami è ancor oggi vivo nella memoria popolare, tanto che il mistero sulla sua morte continua a suscitare dubbi, incertezze e molti sospetti <10.
La nascita del Battaglione Garibaldi Mazzini
Marino Zanella (Amedeo) capì fin dal principio che il distaccamento Mazzini, seppur militarmente e politicamente ineccepibile, non aveva speranze di rafforzarsi perché numericamente ridotto e, soprattutto, poiché non godeva del fondamentale sostegno della popolazione. I partigiani comunisti che lo costituivano non erano conosciuti a Valdobbiadene e dintorni e, aspetto fondamentale, il loro modo di procurarsi viveri, denaro, vestiario, era considerato troppo aggressivo e poco rispettoso, viste le difficoltà con le quali gli stessi civili dovevano fare quotidianamente i conti.
Per queste ragioni, la soluzione ai problemi di “Amedeo” poteva essere unicamente il trascinatore Toni Adami. Seppur gli ideali dell’uno e dell’altro non convergessero in molti aspetti, per perseguire l’obiettivo comune della lotta contro i nazifascisti, nella tarda primavera del 1944 fu siglato un pacifico compromesso: il gruppo di Adami sarebbe confluito integralmente nel distaccamento Mazzini, che, il 15 maggio 1944, divenne Battaglione; le sedi comuni furono individuate nelle malghe di Forconetta (TV) e di Salvedella (BL); Toni Adami fu nominato Intendente (addetto ai vettovagliamenti). Tuttavia, i quadri di Comando rimasero in mano ai fondatori garibaldini: “Amedeo” comandante, “Cirillo” (Francesco Sabatucci) vice comandante, “Tamagnin” commissario politico, “Marco” (Marcello Serrantoni, bolognese inviato dal Ferdiani) capo di stato maggiore <11.
La questione non di poco conto del “settarismo politico” interno ai quadri di Comando sarà una costante del Battaglione, poi Brigata, Mazzini. Le azioni militari, spesso azzardate, avevano inevitabili ripercussioni sui civili, nei quali, con il passere del tempo, cominciò a svilupparsi un sentimento di diffidenza e, poi, di timore verso il movimento partigiano; l’eliminazione costante di spie o presunte tali; i contrasti con Toni Adami ed il suo gruppo moderato; la “resa dei conti” di fine guerra, sono tutti aspetti intrecciati dallo stesso filo conduttore: l’odio accumulato verso il fascismo dai reduci di Spagna e, al di sopra di esso, il disegno politico della federazione veneta del Pci (con sede a Padova) e delle altre federazioni comuniste, che erano confluite nell’originario distaccamento Buscarin a partire dal dicembre 1943. A tal proposito, risulta essere molto interessante la relazione sul Mazzini, scritta da Giuseppe Landi (De Luca), ispettore regionale del Pci, tra la fine di aprile e il 1° maggio 1944:
Al “Mazzini” la funzioni di comando e tutte le altre venivano svolte da pochi responsabili (Tamagnin, Mostacetti, Amedeo, Thomas), senza che vi fosse partecipazione attiva degli altri, anche alle cose di conoscenza comune. Questo sistema di lavoro, vera negazione dei princìpi garibaldini, si rifletté col tempo sulla vita della formazione, minacciandone la disgregazione e favorendo certamente una grave impopolarità, che si manifestò più tardi e che invece non si manifestò mai là dove i reparti avevano mantenuto la tradizionale vita interna caratteristica dei primi periodi del distaccamento “Ferdiani” <12.
Durante il maggio 1944 il Battaglione Mazzini, sviluppatosi sensibilmente, era una delle formazioni più dinamiche della zona, principalmente, per merito del sostegno della popolazione e dell’opera instancabile di Toni Adami e dei suoi fedelissimi: Ferruccio Nicoletti (Brich) di Crocetta del Montello, Giacomo Cesco (Piero Strèlo), Sante Guizzo (Saetta), Virgilio Guizzo (Generale) di Guia di Valdobbiadene, Disma Gentili (Fuìn) di Miane e Gelindo De Bortoli (Biondo) di Combai di Miane, Spartaco Colletto (Fumo), Angelo Rebuli (Toro), Luigi Rebuli (Bari) di San Pietro di Barbozza, Alberto Bortolin (Feroce) e Tullio Rebuli di Santo Stefano.
In quel periodo il Battaglione Mazzini venne suddiviso in quattro compagnie: la prima, il futuro Battaglione Bose, di “Mostacetti” e “Micio” (Tullio Piccin) con sede a Salvedella; la seconda, il futuro Battaglione Toni Adami, di “Danton” e “Furioso” (Gino Merotto) a Mariech; la terza, il futuro Battaglione Fulmine, di “Orso” (Severino Bianchet) ed “Alfredo” (Giovanni Melanco) nella zona tra Mel, Trichiana e Valmorel, in provincia di Belluno; la quarta, il futuro Battaglione Danton, del bolognese “Cirillo” (Francesco Sabatucci) e del trevigiano “Athos” (Gino Del Prà) a Miane.
[NOTE]
9 Ernesto BRUNETTA, Geografia e consistenza delle formazioni partigiane del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, in Angelo VENTURA (a cura di), La società veneta dalla Resistenza alla Repubblica, IVSR e CLEUP, Padova 1997, pp. 217-218; DALLA COSTA, Pietro Dal Pozzo, cit., pp. 69-70; SCHIAVETTO, Le origini e lo sviluppo della Divisione “Nino Nannetti”, cit., pp. 42-50.
10 Archivio dell’Istituto per la storia della Resistenza di Vittorio Veneto (d’ora in avanti AISRVV), II sez., b. 64, f. 1, sf. 3 Partigiani caduti e dispersi contiene una biografia, senza data (sicuramente successiva al 1974), di Toni Adami, scritta dal fratello Riccardo; DALLA COSTA, Pietro Dal Pozzo, cit., p. 121; Nicola DE CILIA, Antonio Adami, il partigiano nonviolento, in rivista trimestrale Lo Straniero. Arte, cultura e società, anno II, n. 4, autunno 1998, pp. 126-135; Miro GRAZIOTIN, Toni Adami. Considerazioni su un eretico in Endimione Nuovo, n. 2, anno XVI, maggio 2005; testimonianza del partigiano Sante Guizzo (Saetta) in Ives BIZZI, La Resistenza nel Trevigiano, vol. II, Giacobino editore, Susegana (Treviso) 2001, p. 55 e pp. 60-62; testimonianze di Gabriela e Giuseppa Maria Adami, figlie di Riccardo Adami, 16 febbraio e 14 agosto 2015.
11 Archivio del Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea (d’ora in avanti ACASREC), b. 57, Archivio CRV, f. Documenti vari schedati, sf. Relazione sull’attività militare svolta dalle brigate della Divisione “N. Nannetti” dal mese di dicembre 1943 al mese di maggio 1945; BIZZI, Il cammino di un popolo, vol. II, cit., pp. 54-57; DALLA COSTA, Pietro Dal Pozzo, cit., p. 72; MASIN, La lotta di liberazione nel Quartier del Piave, cit., pp. 63-64.
12 LANDI, Rapporto sulla Resistenza nella Zona Piave, cit., p. 43.
Luca Nardi, Storie di guerra: Valdobbiadene e dintorni dal gennaio 1944 all’eccidio del maggio 1945, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, 2016