L’Italia non ha subito alcun giudizio per i propri crimini di guerra

Grazie all’attività diplomatica, fondata sulla pretesa (in contrasto con il Trattato di Pace) di giudicare i propri connazionali, nel 1948 l’Italia ottiene la rinuncia ad avvalersi dell’art. 45 del Trattato da parte della Grecia, del Regno Unito <176 e degli Stati Uniti. Il “problema” principale per il governo italiano era dunque dato dalle richieste jugoslave. Anche in questo caso, a vantaggio dell’Italia sulla scena diplomatica intervengono diversi fattori:

  • la mancata partecipazione della Russia ai lavori della Commissione, a causa della questione diplomatica circa il mancato riconoscimento delle Repubbliche Sovietiche del Baltico (nella fase iniziale, la Russia era il principale alleato della Jugoslavia di Tito);
  • la reazione degli Alleati a fronte della repressione anti-italiana e degli eventi del 1945, che colmarono nell’occupazione jugoslava di Trieste e di parte della Venezia Giulia (1 maggio – 12 giugno 1945) <177; ciò rese attuale la prospettiva di un’estensione a ovest dell’area di influenza sovietica;
  • la rottura delle relazioni diplomatiche fra Jugoslavia e Russia il 28 giugno 1948; ciò fece venir meno l’unico alleato della Jugoslavia (e dell’Albania), così come il (pur limitato) appoggio di cui le richieste jugoslave godevano nel PCI filosovietico;
  • il confronto con i crimini commessi dall’ex alleato tedesco, obiettivamente di una gravità maggiore.
    Nel frattempo, su richiesta del governo italiano, il Servizio informazioni militari dello Stato maggiore generale si impegna in un’intensa attività per contrastare le richieste jugoslave. E’ un’operazione al tempo stesso di delegittimazione della Jugoslavia e di autolegittimazione presso le potenze alleate. Tale attività, in cui sono impegnati sia il Ministero degli Esteri che quello della Guerra, è diretta a raccogliere documentazione su diversi settori:
  • sui crimini commessi dagli jugoslavi ai danni della popolazione italiana;
  • sui crimini commessi dagli jugoslavi ai danni della popolazione jugoslava;
  • sull’attività svolta dai militari italiani a sostegno della popolazione jugoslava (in particolare mostrando le differenze rispetto ai nazisti e mettendo in luce alcuni eventi positivi);
  • sulle accuse mosse dalla Jugoslavia ai singoli italiani <178.
    Nell’ambito di quella che si è qui voluta denominare attività di autolegittimazione, si segnala in particolare quella diretta ad «accattivarsi le simpatie degli ambienti ebraici americani e britannici»179. Essa viene realizzata essenzialmente attraverso la costruzione del “mito” degli italiani come “salvatori degli ebrei” <180.
    Sia i partiti italiani, trasversalmente, che gli organi di stampa (con l’eccezione iniziale della stampa filocomunista <181) rivendicano il diritto a giudicare in patria i presunti criminali italiani. Al fine di mostrare all’estero l’esistenza di un intenzione seria ed effettiva ad avviare procedimenti nei loro confronti, il 6 maggio 1946 viene istituita presso il Ministero della Guerra la Commissione d’inchiesta sui criminali di guerra italiani secondo alcuni Stati. Essa è presieduta dall’ex Ministro della Guerra, il liberale Alessandro Casati, cui segue Luigi Gasparotto, già Ministro dell’Aeronautica. Nel corso del 1946, il governo rende noto un elenco, stilato dalla Commissione, contenente ventisei nomi <182 di italiani da deferire alla Procura Militare di Roma, territorialmente competente. La Commissione riceve anche memoriali difensivi degli indagati. Vengono emessi alcuni mandati di cattura <183, ma gli interessati erano stati avvisati anticipatamente, in modo da riuscire a scappare all’estero. Lo scopo reale della Commissione si rivela tuttavia essere principalmente di tipo dilatorio. Nonostante i suddetti elenchi siano resi pubblici già nel 1946, la Commissione conclude i lavori solo nel 1955, quando la Jugoslavia titoista è ormai isolata sulla scena internazionale.
    Nel 1950 il presidente della Commissione e il Vice-procuratore generale presso il Tribunale Supremo Militare <184, che sta procedendo con le istruttorie su indicazione della Commissione, si ritrovano in un’apposita riunione per esaminare l’interpretazione proposta dai difensori degli indagati. Tale interpretazione ha già ricevuto l’avvallo dell’Ufficio del contenzioso diplomatico di Palazzo Chigi. Essa consiste nel ritenere che l’art. 45 del Trattato di Parigi non possa dirsi prevalente rispetto all’art. 165 c.p.m.g. allora vigente <185. Tale articolo condizionava la procedibilità alla reciprocità, ossia alla garanzia che lo Stato estero (ai danni della cui popolazione i crimini erano stati commessi) potesse garantire “parità di tutela allo Stato italiano ed ai suoi cittadini per atti compiuti dai propri”. Secondo Palazzo Chigi e i difensori degli indagati, non si deve quindi procedere, laddove vi sia la prova della mancanza di reciprocità da parte jugoslava. Tale interpretazione viene ribadita in una riunione interministeriale del 1951 e contemporaneamente il Ministero degli Esteri presenta alla Difesa formale richiesta di archiviazione dei procedimenti aperti, «risultando l’azione della Commissione stessa superata dalle circostanze» <186. In seguito, parallelamente, da un lato la Commissione d’inchiesta sui criminali di guerra italiani secondo alcuni Stati chiude i propri lavori con una «assoluzione complessiva» <187, dall’altro il Tribunale Supremo Militare chiude tutti i procedimenti sulla base dell’eccezione di improcedibilità di cui all’art. 165 c.p.m.g. Con D.P.R. 5 aprile 1965, n. 5 viene concessa la grazia a 63 cittadini jugoslavi condannati (presumibilmente in contumacia) <188 per crimini di guerra contro italiani.
    4.2.3 Le iniziative più recenti: breve excursus
    Nelle parole dalla relazione di minoranza della Commissione parlamentare di Inchiesta sulle cause di occultamento dei crimini nazifascisti <189, «in conclusione, delle centinaia di civili e militari italiani posti sotto accusa per crimini di guerra, i soli a venire condannati e puniti furono quei pochi catturati e giudicati direttamente nei paesi vittime dell’aggressione fascista e coloro che furono processati dagli Alleati in Italia per delitti commessi contro i prigionieri di guerra […] L’Italia non ha subito alcun giudizio per i propri crimini di guerra, come invece hanno subito i suoi alleati del Patto tripartito, la Germania e il Giappone. […] La mancanza di una “Norimberga italiana” ha notevolmente contribuito a fissare una rappresentazione parziale e distorta della guerra» <190. I processi celebrati in Italia a criminali di guerra richiesti da Paesi stranieri, come Rodolfo Graziani e Mario Roatta, non hanno incluso nessun riferimento a crimini commessi all’estero, ma hanno tutti avuto ad oggetto altri fatti <191. Uno storico militare <192 spiega tale risultato con il concorso di tre fattori:
    1) il fatto che i crimini sono stati commessi quasi esclusivamente in Russia, nei Balcani e in Africa: «ossia, secondo la resiliente deformazione occidentalista, in corpore vili» <193;
    2) il fatto che «i crimini italiani in Africa non erano certo peggiori di quelli commessi dalle altre potenze coloniali» <194;
    3) il fatto che «le più qualificanti richieste di estradizione riguardavano protagonisti militari e politici della cobelligeranza e della guerra di liberazione o personaggi in seguito valorizzati dalla propaganda anticomunista e atlantista, anche allo scopo di recuperare consensi nell’elettorato di destra» <195.
    Nel 1993 viene istituita una Commissione mista italo-slovena composta da quattordici storici, la quale ha presentato il proprio rapporto nel 2000 <196. Nel 2007 il governo croato protesta in seguito all’iniziativa del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di conferire ai familiari di Vincenzo Serrentino la medaglia conferita ai familiari dei c.d. infoibati nell’ambito della “Giornata del Ricordo” <197. Serrentino è infatti un militare italiano condannato e giustiziato dagli jugoslavi per repressione dei partigiani <198.
    Nel 2008 alcuni fonti giornalistiche <199 riportano la notizia di una nuova apertura delle indagini relative ai crimini di guerra italiani nei Balcani, da parte dell’allora procuratore militare di Roma, Antonio Intelisano. La notizia induce il giornalista “scopritore” del c.d. Armadio della vergogna a parlare di un possibile “secondo Armadio della vergogna”. <200 In realtà, al di là dell’enfasi giornalistica, quella che lì veniva denominata come indagine era solo un generico studio conoscitivo sui vecchi fascicoli, non seguito da nessun procedimento giudiziario <201. Al contrario nel 2011, il nuovo procuratore di Roma, Marco De Paolis, apre una vera e propria indagine con riferimento all’eccidio di Domenikon, noto anche come “la Marzabotto della Tessaglia” <202. In tale atto di rappresaglia sul modello nazista, la 24° Divisione Fanteria Pinerolo uccise, nella notte fra il 16 e il 17 febbraio 1943, 150 civili maschi disarmati, poi ammassati in fosse comuni. Si tratta del più grave, ma non unico, episodio di rappresaglia sui civili greci ad opera dell’esercito italiano. In riferimento a tale eccidio, nel 2009 si sono avute delle scuse ufficiali a nome dell’Italia da parte dell’ambasciatore italiano in Grecia. Aperta in seguito ad istanze da parte dei famigliari delle vittime <203, l’indagine della procura militare di Roma viene tuttavia archiviata nel 2016, in seguito al verificato decesso di tutti gli indagati.
    [NOTE]
    176 Con riferimento al Regno Unito, prima di tale rinuncia l’Italia nega, nel 1947, l’estradizione del milite della Guardia Nazionale Repubblicana Costantino Forti, responsabile di crimini ai danni del sergente britannico Patridge. In seguito alla rinuncia britannica del 1948, l’Italia viene meno all’impegno diplomatico assunto in cambio della rinuncia: quello di processare sette italiani colpevoli di crimini contro cittadini britannici, sulla base di elementi istruttori forniti dai tribunali militari britannici. Si trattava, oltre al suddetto Costantino Forti, del capitano Tamianti/Tamienti/Taminiti, Pasquale Torregrossa, Nicola Furlotti, il capitano Vincenzo Ruisi, Settimo Ricci e il maresciallo Mario Marzucchi. Il materiale viene trasmesso alla Commissione d’inchiesta sui criminali di guerra italiani secondo alcuni Stati, la quale nel 1950 decide di “rinviare a tempo indeterminato” la prosecuzione degli atti dei processi. Ivi, 134.
    177 E.G.H. PEDALIU, op. cit., 511.
    178 Si veda F. FOCARDI, I mancati processi ai criminali di guerra italiani, in L. BALDISSARA – P. PEZZINO (a cura di), Giudicare e punire, cit., 185 – 214, 188, nonché M. FRANZINELLI, “Salvate quei generali Ad ogni costo e La memoria censurata”, in Millenovecento, n. 3, 2003, 112 -120; C. DI SANTE (a cura di), Italiani senza onore. I crimini in Iugoslavia e i processi negati (1941 – 1951), Verona, Ombre Corte 2005. Tale documentazione, raccolta dal c.d. Gruppo di Ricerche, formato per i motivi anzidetti, è contenuta nel Fondo H8 dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano (AUSSME). Il fondo H8 denominato Crimini di guerra composto da 105 buste (inizialmente 104) e attualmente conservato presso l’archivio dell’Ufficio Storico S.M.E. corrisponde all’archivio non ordinato della III sezione Zuretti – Gruppo Ricerche dell’Ufficio Informazioni. Complementari a questo archivio sono pure 22 buste del fondo Diari storici della 2° guerra mondiale, relative all’attività della Commissione d’inchiesta sui criminali di guerra italiana secondo alcuni Stati. Dopo essere stati esaminati dalla Commissione parlamentare d’inchiesta, tali documenti sono stati di recente aperti alla consultazione di un pool di storici e archivisti dell’Associazione Coordinamento Adriatico. Per una primissima analisi (ed indicizzazione) degli stessi, V. ILARI – E. LODOLINI – D. ROSSI – G. F. SIBONI, Fondo H8, crimini di guerra. Studi storici e consistenza archivistica, Milano, Leone 2014. Per un’analisi dei crimini commessi a danno degli italiani, sia in Jugoslavia che in Italia da parte delle potenze alleate, E. LODOLINI, Crimini di guerra: da che parte è la verità? Il caso della ex Jugoslavia, 1941-1943, ivi, 75-121.
    179 Espressione di Guri SCHWARZ, cfr. F. FOCARDI, Il cattivo tedesco e il buon italiano, cit., 113.
    180 Sul tema cfr. infra, Cap. I, § 4.2.4.
    181 Così F. FOCARDI, Il cattivo tedesco e il buon italiano, cit., 113, nonché Commissione parlamentare di Inchiesta sulle cause di occultamento dei crimini nazifascisti, Relazione di Minoranza, cit. 101 e ss.
    182 Nella fattispecie ventisette, ma solo ventisei ancora in vita: Mario Roatta (all’epoca latitante), Mario Robotti (all’epoca latitante), Giuseppe Bastianini (rifugiato in Svizzera), Vincenzo Serrentino (in seguito arrestato e giustiziato dagli jugoslavi), Gherardo Magalli, Pietro Caruso (già giustiziato per crimini commessi in Italia), Francesco Giunta, Giuseppe Alacevich, Armando Rocchi, Alessandro Pirzio Biroli, Emilio Grazioli, Gastone Gambara, Francesco Zani, Renato Coturri, Luigi Dal Negro, Gualtiero Sestilli, Roberto Brunelli, Salvatore Spitalieri, Giovanni Pais, Giuseppe Viscardi, Giuseppe Delogu, Giuseppe Sartori, Gaspero Barbera, Temistocle Testa, Umberto Fabbri, Giuseppe Gaetano, Alfredo Roncoroni.
    183 Commissione parlamentare di Inchiesta sulle cause di occultamento dei crimini nazifascisti, Relazione di Minoranza, cit. 131.
    184 Soppresso nel 1981, le sue funzioni sono oggi esercitate dalla Corte di Cassazione.
    185 Anche se, come già detto, tale norma era limitata solo ad alcuni reati, in particolare quelli consistenti in atti illegittimi o arbitrari di ostilità, o in abuso dei mezzi per nuocere al nemico.
    186 Commissione parlamentare di Inchiesta sulle cause di occultamento dei crimini nazifascisti, Relazione di Minoranza, cit. 135.
    187 Cfr., ibidem.
    188 Sic., ibidem.
    189 Sul tema Commissione parlamentare di Inchiesta sulle cause di occultamento dei crimini nazifascisti, Relazione di Minoranza, Cap. I, § 6.2.4.
    190 Cfr. Commissione parlamentare di Inchiesta sulle cause di occultamento dei crimini nazifascisti, Relazione di Minoranza, cit., 136.
    191 Al contrario si può leggere come una beffa il fatto che, nel processo italiano a Rodolfo Graziani, imputato di collaborazionismo, è stata applicata dal Tribunale militare di Roma (con sentenza confermata dal Tribunale Supremo Militare) l’attenuante ex art. 26 c.p.m.g., che prevede una diminuzione della pena per atti di valore militare, proprio con riferimento alle campagne estere. L’attenuante in parola è stata concessa «a riconoscimento che non consente discussioni del valore militare e del tributo di sangue dedicati alla patria nelle molte campagne alle quali Rodolfo Graziani ha partecipato». Cfr. F. COLAO, I processi a Rodolfo Graziani. Un modello italiano di giustizia di transizione dalla Liberazione all’anno Santo, in G. FOCARDI – C. NUBOLA (a cura di), Nei tribunali, cit., 169 – 220, 211. In occasione della sua morte nel 1955, il Corriere della Sera scrive che «il giudizio della storia non potrà disconoscere i servizi resi alla patria da Graziani nel periodo più luminoso e, purtroppo, effimero, della sua carriera di soldato» (cfr. ivi 218). In anni recenti ha suscitato indignazione (soprattutto all’estero) il monumento realizzato in onore del generale Graziani, a spese della Regione Lazio, sotto la presidenza di Renata Polverini. I finanziamenti pubblici stanziati per la realizzazione parallela di un museo e di un parco in onore di Graziani sono stati tuttavia revocati sotto la presidenza di Nicola Zingaretti. Il monumento è stato inoltre imbrattato di scritte di natura differente; da ciò sono scaturite indagini, sia per apologia di fascismo, sia per danneggiamento. Si veda G.A. STELLA, “Quel mausoleo alla crudeltà che non fa indignare l’Italia”, in Corriere della sera, 30 settembre 2012, disponibile al seguente link:
    http://www.corriere.it/politica/12_settembre_30/mausoleo-crudelta-non-fa-indignare-italia-gian-antonio-stella_310bba88-0ac9-11e2-a8fc-5291cd90e2f2.shtml;
    L. MARSHALL, “678 giorni di vergogna”, in Internazionale, 20 giugno 2014, disponibile al seguente link: http://www.internazionale.it/opinione/lee-marshall/2014/06/20/678-giorni-di-vergogna;
    “Affile: Regione revoca finanziamento per mausoleo a Rodolfo Graziani” in Corriere della sera, 23 aprile 2015, disponibile al seguente link: http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_aprile_23/affile-regione-revoca-finanziamento-mausoleo-rodolfo-graziani-7af0a1b8-e9b0-11e4-8a77-30fcce419003.shtml.
    Per la reazione nei media etiopi, “Ethiopians outradged by monument to notorious Italian war criminal”, in Ecadforum. Ethiopian News & Opionions, 22 settembre 2012, disponibile al link: http://ecadforum.com/blog1/ethiopians-outraged-by-monument/; si veda inoltre G. PIANIGIANI, “Village’s Tribute Reignites a Debate About Italy’s Fascist Past”, in The New York Times, 28 Agosto 2012, disponibile al seguente link: http://www.nytimes.com/2012/08/29/world/europe/village-reignites-debate-over-italys-fascist-past.html?_r=0.
    192 V. ILARI, I crimini di guerra nell’immagine internazionale dell’Italia, in V. ILARI – E. LODOLINI – D. ROSSI – G. F. SIBONI, Fondo H8, crimini di guerra, cit., 36 – 74; ivi anche per ulteriori rimandi bibliografici.
    193 Cfr. ivi, 48.
    194 Cfr. ibidem.
    195 Cfr. ibidem. Aggiunge l’Autore: «la notizia non è che c’era una guerra civile congelata da una Guerra Fredda, ma che la conflittualità politica interna non bastava a mettere spontaneamente in questione la buona coscienza e l’autostima nazionale. Lo stesso Partito comunista […] vi ha profondamente radicato la memoria dei crimini nazifascisti commessi a danno di italiani, non quelli commessi durante le guerra coloniali e le occupazioni italiane. Anzi, proprio l’egemonia a lungo esercitata dal Partito comunista sulla critica etico-politica della storia nazionale ha fattivamente contribuito alla rimozione delle responsabilità italiane. Il legame internazionalista con l’Unione sovietica, che relegava il Pci all’opposizione in un paese schierato con l’Occidente, è servito all’Ostpolitik italiana, consentendo di fatto un gioco delle parti consociativo tra maggioranza atlantista e opposizione pro-sovietica in nome del comune e superiore interesse nazionale» (ivi, 49).
    196 Cfr. supra, Cap. I, § 1.
    197 Si veda F. FOCARDI, Rielaborare il passato. Usi pubblici della storia e della memoria in Italia dopo la Prima Repubblica, in G. RESTA – V. ZENO-ZENCOVICH (a cura di), Riparare, risarcire, ricordare, cit., 241 – 271, 260. Non si tratta dell’unico caso. Fra i destinatari di tale onorificenza, conferita annualmente il 10 febbraio, si registrano circa 300 militi della RSI e cinque criminali di guerra presenti sulle liste jugoslave. Oltre a Serrentino, unico nome citato anche nella relazione della Commissione italiana, si tratta del carabiniere Giacomo Bergognini (che l’8 agosto 1942 partecipò a un raid nell’abitato di Ustje, in Slovenia, dove vennero incendiate case, famiglie radunate nel cimitero e picchiate ed otto uomini presi, torturati di fronte a tutti e uccisi con il coltello o con il fucile), del finanziere Luigi Cucè, dell’agente di polizia Bruno Luciani e dei militi Romeo Stefanutti e Iginio Privileggi (responsabili di deportazioni, fucilazioni di partigiani e torture); quest’ultimo non fu nemmeno infoibato, bensì giudicato da un tribunale jugoslavo, condannato a morte e fucilato. Cfr. A. FULLONI, “Foibe, 300 fascisti di Salò ricevono la medaglia per il giorno del ricordo”, in Corriere della Sera, 23 marzo 2015.
    198 Cfr. supra, Cap. I, § 1.
    199 Cfr. D. MESSINA, “Crimini di guerra italiani, il giudice indaga”, in Corriere della sera, 07 agosto 2008.
    200 Articolo di Franco GIUSTOLISI comparso sul Manifesto il 28 giugno, citato ibidem.
    201 L’indagine traeva origine da un esposto del 16 marzo 2008 presentato presso il Consiglio della magistratura militare dal Procuratore militare di Padova, Sergio Dini, il quale chiede di verificare «a. se nel corso del dopoguerra siano stati celebrati processi o comunque intraprese indagini sulle vicende in discorso; b. nel caso che ciò non risulti (come in effetti consta allo scrivente), per quali ragioni ciò non sia mai avvenuto nonostante la inequivoca esistenza di vere e proprie notizie di reato al riguardo risalenti già alla seconda metà degli anni quaranta; c. per quali ragioni non abbiano avuto esiti processuali le risultanze della commissione di inchiesta nominata con D.M. 6 maggio 1946 (cosiddetta Commissione Gasparotto) che pure aveva individuato una serie di elementi e nominativi sui quali si sarebbe ben potuta instaurare proficua attività processuale. Ciò anche al fine di individuare profili di responsabilità in capo ad appartenenti all’ordine giudiziario militare, o di chiarire l’esistenza di eventuali ragioni (estranee alla responsabilità della Magistratura Militare) in ordine a questo macroscopico caso di denegata giustizia».
    202 Il paese, nel 1998, è stato dichiarato dal governo greco “città martire”. Sulla strage, E. AROSIO, “Grecia 1943: quei fascisti stile SS”, in L’Espresso, 28 febbraio 2008, nonché il documentario La guerra sporca di Mussolini, di Giovanni DONFRANCESCO, Italia 2008.
    203 L’ambasciatore d’Italia ad Atene, Gianpaolo Scarante, ha assistito nel 2009 a Domenikon alla commemorazione dell’eccidio commesso dalle truppe italiane di occupazione il 16 febbraio del 1943. “Sono venuto con dolore e commozione per esprimere il mio profondo cordoglio a tutte le vittime di Domenikon”, ha affermato l’ambasciatore in un discorso davanti ad autorità civili e militari e a un certo numero di parenti delle vittime dell’eccidio. Sull’evento si veda la notizia ANSA al seguente link: http://www.storiainrete.com/1262/ultime-notizie/litalia-chiede-perdono-per-rappresaglia-in-grecia-nel-1943/
    Paolo Caroli, La giustizia di transizione in Italia. L’esperienza dopo la seconda guerra mondiale, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Trento, Anno Accademico 2015-2016