Adenauer si lasciava convincere a seguire con maggiore determinazione il percorso della Conferenza di Parigi

Questa seconda parte del capitolo, con i due paragrafi finali, è dedicata allo studio delle trattative diplomatiche che portarono alla firma del trattato del 27 maggio 1952 a Parigi che istituiva la Comunità europea di Difesa, principalmente attraverso l’analisi dei documenti d’archivio francesi e americani relativi al periodo successivo alla presentazione del Rapport Intérimaire, la cui analisi incrociata permette oggi di fare maggiore luce su quanto l’azione dei vertici politici dei dicasteri nazionali abbia determinato la forma istituzionale e le soluzioni tecnico-militari disegnate nel trattato CED: in questo senso si può già introdurre il tema della possibile lettura della vicenda CED come risultante finale delle diverse e contrastanti aspirazioni degli Stati coinvolti. La narrazione, in questo caso necessariamente più tematica che cronologica, muove quindi dal luglio 1951 alla fine del maggio 1952 con la firma del trattato, seguendo i lavori della Conferenza per l’organizzazione di una Comunità europea di Difesa, gli incontri dei vertici ministeriali coinvolti, durante i consessi atlantici o nei vertici più ristretti, le vicende della politica nazionale che finivano per influenzare anche le decisioni di politica estera. Durante la trattazione si analizza contemporaneamente anche l’eco che queste complesse vicende avevano sugli organi di stampa, che con sempre maggiore attenzione parlavano dell’esercito europeo, contribuendo a formare quella divisione netta tra favorevoli e contrari alla soluzione CED nell’opinione pubblica e nella sua rappresentanza politica.
Tra gli Stati che partecipavano a pieno titolo alla Conferenza di Parigi, sicuramente era la Germania la più interessata a proseguire lungo il cammino disegnato dai contemporanei colloqui di Petersberg: l’interruzione di queste trattative senza arrivare a un vero rapporto condiviso coglievano di sorpresa Adenauer, che provvedeva a nominare a capo della delegazione parigina Theodor Blanck <99, il consigliere di questioni militari del Cancelliere che aveva gestito per i tedeschi i colloqui con gli Alti Commissari. La reazione piuttosto scettica alla pubblicazione del Rapport Intérimaire e la volontà del governo tedesco di mantenere una continuità con le rivendicazioni manifestate a Petersberg possono essere viste anche nell’invio agli Alti Commissari di un memorandum “Preliminary solutions of a European Defense Community” <100: per richiamandosi nel titolo alla CED, in realtà Adenauer metteva in campo una proposta sulla falsariga di quanto già sostenuto, per accelerare le misure di riarmo con la creazione di autorità militari nazionali in Germania, pur se sotto il controllo dei paesi CED e degli USA, come misura intermedia e provvisoria in attesa della chiusura delle trattative francesi. Il tentativo era subito respinto da McCloy <101, che ricordava al Cancelliere che non sarebbe stata possibile la creazione di contingenti tedeschi prima dell’entrata in vigore della CED e per questo lo invitava a concentrare ogni sforzo sulle trattative in corso a Parigi <102: il diplomatico americano era infatti ben consapevole della delicatissima situazione internazionale e dei pericoli legati alla realtà locale della Germania. Due esempi di quanto preoccupante e mutevole fosse il contesto possono essere rinvenuti negli Archivi:

  • un primo telegramma <103 menzionava come i pericoli maggiori fossero in realtà il neutralismo e il nazionalismo, con Adenauer che riteneva più pericoloso il primo, perché avrebbe finito per consegnare il paese alla Russia <104: questi pericoli imponevano a tutte le delegazioni, con maggiore pressione e responsabilità di quella francese <105, di arrivare presto a una soluzione condivisa;
  • il pericolo causato dal nazionalismo risorgente in Germania occidentale suscitava le attenzioni dell’Ufficio Informazioni di sicurezza dell’Alto Commissariato, che studiava in un lungo rapporto <106 la principale associazione di
    ex-militari tedeschi, con particolare riguardo alla composizione, alla dirigenza, alle tendenze e aspirazioni politiche: il cuore dell’analisi suggeriva che fosse più semplice controllare tali tendenze, più vive nei reduci, attraverso queste organizzazioni e i loro vertici, di provata lealtà repubblicana.
    Adenauer si lasciava convincere a seguire con maggiore determinazione il percorso della Conferenza di Parigi, sia perché le pressioni di McCloy e le dichiarazioni pubbliche di Eisenower a favore della CED rendevano ancora più manifesta la svolta nella politica estera americana, ma anche perché riconosceva nel percorso d’integrazione europeo il mezzo per riconquistare una piena sovranità e un modo duraturo di allontanare la minaccia dell’espansionismo sovietico <107. L’espressione di questo spirito, pur nel mezzo delle trattative difficili con le altre delegazioni e con quella francese in particolare per far valere il principio della completa parità giuridica, può essere letto nel progetto curato dalla delegazione tedesca, che suggeriva le condizioni per la messa in opera del primo scaglione delle forze di difesa europee, per quanto concerneva i Raggruppamenti di nazionalità tedesca <108.
    Più semplice la rappresentazione delle reazioni del Belgio e del Lussemburgo alla pubblicazione del Rapporto: in linea generale cercavano di preservare la loro “tipicità”, evitando ogni possibile cessione di sovranità e senza farsi schiacciare nelle trattative che vedevano coinvolti anche i paesi più grandi, vale a dire la Germania, la Francia e l’Italia sia per quanto riguardava la rappresentanza nelle istituzioni comunitarie sia nelle più difficili questioni legate al bilancio comune per l’esercito europeo.
    In una posizione ancora più conservativa si collocavano i Paesi Bassi, che continuavano a seguire i lavori con una delegazione di semplici osservatori, auspicando una soluzione nel solco delle più tradizionali coalizioni militari, quindi senza reale cessione di sovranità, e nel pieno rispetto del vincolo atlantico, che prometteva di essere un sicuro riparo dal pericolo sovietico e dalla possibile rinascita della potenza militare tedesca. Proprio per privilegiare la cornice atlantica, con la motivazione di non creare inutili duplicati o sovrapposizioni operative e ottimizzare le risorse militari ed economiche disponibili, l’Olanda presentava il 2 settembre 1951 un Memorandum fortemente critico verso le soluzioni prospettate nel Rapporto e nel corso delle riunioni della Conferenza a Parigi: si trattava di un estremo tentativo di condizionare le trattative e convogliarle verso una dimensione di un’alleanza continentale all’interno della NATO, senza la corretta percezione che la svolta sugli obiettivi di fondo della politica estera statunitense era ormai irreversibile. Quando questa comprensione si realizzava tra gli elementi di spicco del governo olandese, i Paesi Bassi entravano a pieno titolo nei lavori della Conferenza e quindi non più come semplici osservatori <109, anche per non rischiare di rimanere al di fuori dei futuri scenari di cooperazione economica, legati all’industria pesante e ai settori del commercio e dei trasporti, che si sarebbero creati tra gli Stati effettivamente aderenti alla CED.
    L’Italia procedeva ancora, al momento della diramazione del Rapporto provvisorio, senza precise direttive governative, se non quelle di evitare di mettere a repentaglio la cornice atlantica per la difesa europea <110, con dubbi sugli obiettivi da raggiungere e sulle modalità per perseguirli presenti sia nei membri della delegazione come tra gli esponenti dell’esecutivo <111. La situazione si complicava prima con la presentazione del citato Memorandum olandese, che amplificava maggiormente le divisioni tra le varie anime nell’esecutivo De Gasperi e nella stessa Democrazia cristiana <112, e in seguito con la necessità di definire perfino la composizione della delegazione italiana alla Conferenza, vista la partenza di Taviani per il ministero degli Esteri a Roma. Le difficoltà prospettate e più in generale l’approccio del governo De Gasperi e della sua rappresentanza ai lavori della Conferenza erano oggetto di una fitta serie di messaggi tra l’ambasciata americana a Parigi e Washington, che sollecitava un atteggiamento più costruttivo da parte italiana nella speranza di poter arrivare a un buon compromesso in tempi rapidi <113.
    [NOTE]
    99 Cfr. J. Moch, Histoire du réarmement allemand, cit., p. 278 : secondo l’autore Blanck iniziava a guidare la delegazione tedesca dal 7 luglio ; Preda, invece citava il 17 luglio come suo primo giorno a Parigi e interpretava la nomina come diretta conseguenza del nuovo sostegno americano alla conferenza: cfr. D. Preda, Storia di una speranza, cit., p. 79; Fursdon dava conto del cambiamento senza citare una data precisa e lo motivava con la rinnovata volontà di Adenauer, in un senso di continuità con quanto a lungo ricercato nelle trattative a Petersberg, di perseguire uno status di uguaglianza con gli altri Stati europei: cfr. E. Fursdon, The European Defence Community, cit., 116, 122.
    100 FRUS, 1951, vol. III, cit., pp. 869-870. La proposta di Adenauer era trasmessa a Parigi il 28 agosto 1951 con il telegramma 50385-50392 dell’alto commissario Poncet, in AMAE PAAP 217/70, pp. 189-193.
    101 Ivi, pp. 874-877, memorandum di McCloy dell’1 settembre 1951.
    102 Cfr. anche al riguardo T. A. Schwartz, America’s Germany, p. 233.
    103 Telegramma di McCloy alla Segreteria di Stato del 3 settembre 1951, in NA RG84/PC51-52/3.
    104 Affermava McCloy: “Neutralism, which Chancellor inclined to consider even greater danger than Nationalism, would gain favor and pave way for what Chancellor termed practical surrender to the Russians”, ivi, p. 1.
    105 In un memorandum del 4 settembre, McCloy rammentava che gli USA avevano dato un sostegno decisivo al Piano Schuman, alla soluzione per le industrie della Ruhr, un appoggio rinnovato alla Conferenza di Parigi e per questo si aspettavano un’accelerazione nelle trattative per il riarmo tedesco: cfr. T. A. Schwartz, America’s Germany, p. 234.
    106 Rapporto denominato “The League of German Soldiers (Verband Deutscher Soldaten), R&A Report N°. 56, September 25, 1951”, a cura dell’Office of the US High Commissioner for Germany, Office of Intelligence – Reports and Analysis Division, in NA RG84/PC51-52/3. Questo un primo dato sintetico al riguardo del possibile legame tra nazionalismo e movimenti di reduci: “although some nationalistic tendencies have been exhibited in the smaller groups and among their leaders, the leadership of the VDS appears to be moderate and supports a German contribution to the Western defense. Under its present leadership the VDS may well constitute a safeguard against potentially dangerous trends among veterans. The existing veterans’ organizations that openly follow the Communist line are insignificant. Nearly all the veterans’ groups joined in the VDS have expressed their loyalty to the Federal Republic”, ibidem.
    107 Una fonte d’archivio citata da McAllister riportava l’opinione di Adenauer: “The United States would not forever keep troops in Europe and Europe itself must therefore take lasting and effective measures against Soviet expansionism (with such assistance as the United States might offer). This was only possible if Europe was genuinely united. The Pleven Plan was, to his mind, the only possible method of protecting Europe permanently. The North Atlantic Treaty Organization aimed rather at the present threat and at maintaining peace in the coming years; it would not meet the long-term need”, in J. McAllister, No exit, cit., p. 215.
    108 Memorandum del 6 novembre 1951, in AN 363 AP/28.
    109 Cfr. E. Fursdon, The European Defence Community, cit., p. 126: Fursdon attribuiva a Dirk Stikker la decisione prima di inviare dei semplici osservatori e poi, dal 9 ottobre 1951, una delegazione a pieno titolo. L’atteggiamento critico di Stikker verso la CED è descritto anche in R. McGeehan, The German rearmament question: pp. 152-153. Un resoconto più complessivo viene dalle fonti americane, che analizzavano questa decisione olandese. L’ambasciatore Bruce da Parigi informava la Segreteria di Stato che dal 9 ottobre i Paesi Bassi avevano preso parte ai lavori della Conferenza a pieno titolo, non più come osservatori: cfr. telegramma 2098 del 9 ottobre 1951. In un cablo da Washington per Parigi immediatamente precedente, il n. 2025 del 6 ottobre 1951, Webb della Segreteria di Stato giudicava tale volontà dettata da ragioni economiche: “Our view is that shift in Dutch attitude toward EDF primarily due economic consideration”. Tale affermazione trovava un’autorevole conferma nel precedente telegramma 246 del 22 agosto 1951 da Londra per Washington a firma di Spofford, il quale a seguito del colloquio con il rappresentante permanente olandese al Consiglio Nato Tjarda van Starkenborgh-Stachouwer affermava: “Basis of present shift in policy was primarily economic. Establishment of EDF would inevitably involve development of close economic ties between participants. Dutch dependence on trade with Germany and transit trade through Amsterdam and Rotterdam would make it extremely difficult for Netherlands to stay out of any economic integration in which Germany, Belgium and France participated”. Tutti i telegrammi citati sono consultabili in NA RG84/PC51-52/1.
    110 L’attitudine italiana fino all’estate del 1951 era ben descritta da Preda: “quanto all’Italia, essa si era barcamenata come meglio aveva potuto: aveva aderito prontamente alla Conferenza di Parigi, pur mettendo in chiaro di non voler con ciò in alcun modo intralciare il programma di riarmo NATO; aveva creduto nella proposta di Pleven quanto bastava per non farla naufragare; aveva assunto nel corso dei lavori una posizione, talvolta incerta, ma in generale assimilabile a quella belga”, in D. Preda, Storia di una speranza, cit., p. 98. Nello stesso testo, a p. 104, si analizza anche il resoconto completo sull’andamento della Conferenza a cura della delegazione italiana, indirizzato a De Gasperi, del 10 agosto 1951.
    111 Ivi, p. 107.
    112 Oltre a quanto descritto diffusamente nei testi di Preda e Risso sulla CED, il travaglio interno al partico cattolico italiano è analizzato anche in G. Malgeri, La Democrazia cristiana di fronte alla Comunità Europea di Difesa, in P. L. Ballini (a cura di), La Comunità Europea di Difesa (CED), pp. 58-98.
    113 Sull’ambivalenza della condotta italiana alla Conferenza, così sintetizzava Preda: “All’inizio di settembre, la delegazione italiana a Parigi oscillava ancora tra le due opposte opzioni: federazione parziale, come da proposta francese, o integrazione nel quadro NATO, secondo il recente piano olandese”, ivi, p. 108.
    Stefano Filippi, Alleati contro. Le trattative per la nascita della Comunità Europea di Difesa, Tesi di dottorato, Università degli studi della Tuscia – Viterbo, 2015