L’opposizione al fascismo fu fatta anche di atti minimali e quotidiani

[…] L’importanza di questi materiali per la conoscenza del periodo storico che va dalla costruzione della dittatura fascista alla liberazione nazionale è evidente: all’inizio la parola fu la sola arma disponibile per attivare una resistenza che era innanzitutto politica e propagandistica, resistenza che si espresse tramite la scrittura di fogli e veri e propri giornali clandestini. Questi ultimi avevano dunque il doppio obiettivo di informare e di controbattere alla propaganda ufficiale, di tenere viva “la fiamma della resistenza”, quindi erano prima di tutto uno strumento indispensabile per affermare la possibilità stessa di un’opposizione. L’iniziativa di stendere e produrre giornali clandestini o volantini era legata a decisioni di piccoli gruppi, a volte ma non sempre in contatto con reti di opposizione diffuse sul territorio nazionale e internazionale, nonostante la penuria dei mezzi a disposizione e a dispetto dei terribili pericoli che si correvano nell’affrontare una simile impresa. Furono proprio questi periodici il nucleo attorno al quale si coagularono e costruirono, attraverso un difficile e rischioso processo di sedimentazione, i movimenti resistenti che più tardi avrebbero ingaggiato la lotta armata di Liberazione.
La Toscana e in particolare Firenze, come vedremo, non costituiscono un’eccezione a questo quadro. Del resto proprio Firenze, già dal 1925, è la sede anche di una delle prime e più importanti pubblicazioni clandestine: il «Non Mollare!» animato da Ernesto Rossi e dal gruppo intorno a Gaetano Salvemini e ai fratelli Rosselli (Franzinelli, 2005).
Il presente lavoro intende soffermarsi particolarmente sui mesi precedenti la Liberazione di Firenze, e dunque dal giugno all’agosto 1944, a comprendere cioè quella cosiddetta “stampa d’emergenza” che si trovò ad uscire nelle condizioni estreme della battaglia per la liberazione della città (Cavarocchi-Galimi, 2014). Una città provata da quasi un anno di occupazione nazista sostenuta dal regime della Rsi e colpita da bombardamenti alleati, rimasta dal 3 agosto 1944 per 15 giorni bloccata senza acqua, gas, luce e in cui malgrado ciò le forze antifasciste riuscirono con mezzi di fortuna e stratagemmi fantasiosi a produrre proprio in quel drammatico periodo una rilevante quantità di stampa piena di parole di lotta ma anche di speranza.
Quali compiti svolse?
Chi ha studiato il fenomeno ha sottolineato come dare una definizione di che cosa si intenda per “stampa clandestina” non sia comunque un’impresa facile per vari motivi, a partire dal fatto che dopo il pieno dispiegarsi della dittatura fascista e la fine anche formale del pluralismo politico tra il 1924 e il ‘25 questa si trovò ad assolvere a “compiti smisurati” (Perona, 2000: p. 291).
Se pensiamo che proprio attraverso l’esile voce dei fogli e giornali antifascisti legati a partiti e associazioni democratiche ormai illegali, con sedi chiuse e militanti incarcerati o costretti all’esilio o alla clandestinità veniva comunque diffusa una possibile alternativa al regime possiamo avere un’idea dell’importanza che questo tipo di stampa ricoprirà, pur con tutti i limiti, per l’intero ventennio della dittatura.
Tra le cosiddette “leggi fascistissime” che abolirono le principali libertà democratiche vigenti uno spazio centrale fu quello appunto che riguardò la soppressione della libertà di stampa. Il 20 gennaio 1926 entrò in vigore la legge sulla stampa (legge 31 dicembre 1925 n. 2307), la quale disponeva che i giornali potevano essere diretti, scritti e stampati solo se avevano un direttore responsabile riconosciuto dal Procuratore generale presso la Corte di appello della giurisdizione dove era stampato il periodico. Il regolamento attuativo dell’11 marzo 1926 precisò che il Procuratore era tenuto a sentire il prefetto, quindi il direttore di qualunque giornale doveva essere persona non sgradita al governo, pena l’impossibilità a pubblicare. È di fatto la pietra tombale sulla libertà di stampa e uno dei cardini della dittatura fascista.
Con la dispersione dei partiti d’opposizione, i gruppi che animarono la stampa non omologata al regime, a questo punto pienamente clandestina, si trovarono nella condizione di dover in primo luogo segnare la propria presenza: far uscire anche un modesto foglio diventa un’ affermazione di identità. “Non ci è concessa la libertà di parola: ce la prendiamo” è il significativo titolo del fiorentino «Non mollare!» che per questo solo atto compie un’azione politica di fondamentale importanza, tenendo conto che a volte intorno ad una anche minima struttura organizzativa poteva radicarsi ed estendersi una presenza significativa. Infatti proprio attraverso la riproduzione e diffusione della stampa le stesse organizzazioni clandestine antifasciste potevano ramificarsi e allargare la propria influenza.
Nell’ambito delle pubblicazioni divenute illegali dopo il 1926 una possibile distinzione da fare è quella tra i giornali nati sull’onda della lotta clandestina come le pubblicazioni di «Giustizia e Libertà», organizzazione antifascista di impostazione socialista e liberale sorta in radicale polemica con il vecchio antifascismo, nel corso degli anni ‘20 e ‘30 e altre testate storiche precedenti, in primo luogo «L’Avanti!» del Partito Socialista Italiano (Psi), fondato nel lontano 1896, o «L’Unità» del giovane Partito Comunista d’Italia (Pcd’I), nato nel 1921 che aveva quindi vissuto solo pochi anni nella legalità liberale o ancora prodotti come fogli che dovevano essere di supporto a campagne di raccolta fondi per i prigionieri politici antifascisti quindi successivi al pieno stabilirsi della dittatura mussoliniana. È il caso del «Soccorso rosso» del Pcd’I nato per raccogliere fondi a favore dei detenuti politici o dei bollettini che si fecero portavoce delle campagne sostenute dai gruppi antifascisti all’estero (soprattutto in Francia) da organizzazioni legate all’area socialista, al variegato mondo anarchico e libertario o di «Giustizia e Libertà» (GL). In tutti questi gruppi, ma con particolare insistenza proprio da comunisti e GL, al primo posto veniva posta una sorta di “pedagogia democratica attiva”: si insisteva ossessivamente soprattutto affinché ogni più piccola struttura si attrezzasse a produrre e riprodurre materiali informativi con ogni mezzo costruendo attorno a questa attività nuclei di militanti. Con tutti i limiti pratici legati sia alla produzione che alla diffusione del materiale, la stampa clandestina aveva o almeno pretendeva di avere una diffusione che oggi definiremmo “virale” che ricorda l’uso dei social network nelle rivolte degli ultimi anni.
Larga parte della stampa di opposizione giungeva infatti in Italia dall’estero e si legava strettamente alla dimensione internazionale dell’antifascismo fino all’inedita dimensione che lo scoppio della Seconda guerra e il “nuovo ordine europeo” nazifascista impose: gli studi di sintesi sulla resistenza europea hanno da sempre confermato il ruolo decisivo della stampa (Michel, 1973; Faraldo, 2011).
Claudio Pavone ha largamente utilizzato questo tipo di fonte nella sua principale opera notando come» la grande fioritura fece della stampa clandestina uno strumento di aggregazione, di uomini e di idee, non solo nell’ambito dei partiti, favorendo l’allargamento e l’arricchimento del significato della politica nell’intero processo resistenziale» (Pavone, 1991: p.168).
Proprio la stampa resistenziale può essere considerata infatti uno strumento importante per conoscere anche il clima di aspettative che le varie correnti antifasciste pur nella loro varietà e nelle differenti ideologie (marxiste, liberali, cattoliche ecc.) alimentavano per il dopoguerra, quale immagine di Italia e di Europa veniva prefigurata. Tutto in un processo di alfabetizzazione politico-democratica dopo il ventennio della dittatura fascista in cui culto del capo, autoritarismo e retorica guerresca nell’ambito di un sistema scolastico sotto il totale controllo del regime avevano costituito l’inevitabile background dei giovani poi protagonisti della lotta di Liberazione.
Chi scrive? I produttori di testi
La fine della libertà di stampa (1925) e il monopolio informativo che il regime fascista aveva imposto al Paese, obbligarono gli avversari della dittatura a inventare nuove forme espressive, attraverso cui far circolare tra la gente le proprie opinioni e parole d’ordine. Oltre alla stampa propriamente intesa la fantasia popolare ebbe così modo di sperimentare una singolare creatività. L’opposizione al fascismo fu fatta anche di atti minimali e quotidiani non sempre o non solo inquadrabili nelle organizzazioni clandestine. È il caso di un “antifascismo popolare” che si espresse già nel corso del ventennio con il proliferare di scritte dal tono sarcastico e spesso anche volgare contro Mussolini e Hitler etichettato come “baffo buco” (Santomassimo, 2004: pp. 50-56).
Scritte murali vergate con vernice o matita su muri o pareti, foglietti anonimi affissi o incollati per le vie, volantini fatti scivolare notte tempo dentro le buche delle lettere o sotto le saracinesche dei negozi segnalavano, a loro modo, una drastica presa di distanza dall’autorità civile o militare che controllava quotidianamente lo “stato dello spirito pubblico”.
In tale modo, veniva resa evidente una vera e propria “resistenza morale” di cui certo non è affatto facile misurare l’entità e l’influenza reale presso la popolazione ma che in ogni caso rendeva evidente l’intenzione di occupare spazi che il regime fascista aveva monopolizzato ai fini della sua esaltazione e propaganda. Veniva così a manifestarsi l’esistenza di una voce “altra”, nettamente antagonista al regime mussoliniano sia che sia appellasse alla Casa reale che alla rivoluzione russa, e quindi di una possibilità di reazione all’oppressione subita (Dal Pont-Leonetti-Massara, 1964).
La produzione e diffusione di un giornale clandestino, per quanto modesto e saltuario (“esce come può e quando può” la tipica scritta), presuppone però come si vedrà un livello non indifferente di organizzazione e di conseguenti rischi rispetto alle scritte o a forme più saltuarie di protesta.
Già l’atto dello scrivere sia per militanti di lunga esperienza che per giovani significava misurarsi con le esigenze generali legate alla lotta antifascista e al tempo stesso, quando non ci si limitava a riprodurre testi provenienti dall’estero, uno sforzo di chiarimento politico e ideale da misurare in rapporto con le esigenze e le aspettative della popolazione locale.
I “giornalisti” della Resistenza, compresa almeno in parte quella fiorentina, furono generalmente persone mediamente acculturate ma spesso anche contadini e operai, soprattutto in ambito comunista, forniti spesso dalla scarsa cultura ricevuta dalla scuola fascista tenendo conto che il giornalismo professionista si schierò, tranne alcune eccezioni, in larga parte per la Repubblica Sociale Italiana (Rsi), la denominazione presa dal regime mussoliniano sostenuto dalla Germania nazista dopo l’armistizio reso pubblico l’8 settembre 1943.
A volte il lavoro legato alla redazione di un giornale clandestino diventava anche l’occasione per una non facile collaborazione tra generazioni diverse di resistenti, tra militanti eterogenei per formazione ed estrazione sociale. Per l’ambiente comunista è il caso per citare solo un esmpio, del giovane chimico universitario Luigi Sacconi tra i principali redattori di bollettini e volantini dallo stile secco e perentorio e l’austero Giuseppe Rossi, operaio con anni di clandestinità e formazione sovietica alle spalle. Secondo la testimonianza di Sacconi il compagno “Giovanni” (Rossi), descritto con affetto come “una pasta d’uomo”, semplice e bonario e a cui prima delle riunioni cucinava un riso tristemente scondito vista la condizione di penuria alimentare, era al tempo stesso capace di durezze staliniste nei confronti degli “intellettuali”. Lo aveva infatti invitato a cessare l’attività clandestina per prepararsi ad assumere un ruolo solo nel dopoguerra magari in un quotidiano di larga diffusione. Un’osservazione che aveva colpito Sacconi anche se non lo frenerà nella sua attività resistenziale: “Scoprii allora, con molta amarezza che noi laureati o giù di lì, che fino ad allora ci eravamo creduti uguali agli altri compagni dotati di un titolo di studio inferiore e come veri compagni eravamo stati trattati, eravamo invece dei compagni di serie B, indegni della pericolosa attività clandestina intrapresa prima e dopo l’8 settembre [1943]”. (Sacconi, 1984: pp. 380-81).
Eugenia CorbinoPaolo Mencarelli, Fogli ribelli. Firenze 1944: la stampa clandestina tra guerra e Resistenza (giugno – settembre 1944), I.S.R.T. Istituto Storico della Resistenza in Toscana, 2017