Nei Balcani furono perpetrati dai tedeschi i maggiori eccidi di soldati italiani

Nei Balcani <102 e nel Mar Egeo <103 i Tedeschi disarmarono e catturarono 393.000 del mezzo milione di uomini che costituiva le trentuno divisioni italiane ivi dislocate; altri 29.000 scelsero di unirsi ai Tedeschi; circa 20.000 si erano probabilmente uniti ai partigiani, ma dei 57.000 mancanti all’appello le fonti tedesche non sono in grado di dare molte informazioni. <104 In realtà molti caddero combattendo contro i Tedeschi, ma la maggior parte furono assassinati dopo essersi arresi, secondo precisi ordini della Wehrmacht del 15 settembre <105 reiterando nei giorni successivi ordini dello stesso tenore. A Cefalonia i Tedeschi fucilarono per rappresaglia 155 ufficiali e 4750 tra sottufficiali e militari di truppa in ottemperanza all’ordine della Wehrmacht del 18 settembre di non fare prigionieri tra gli Italiani traditori. <106 Altrove, come a Corfù <107, a Coo <108, Spalato <109, i Tedeschi si accanirono particolarmente contro gli ufficiali italiani, rei di non aver accettato la resa, risparmiando “dallo sterminio i fascisti, gli ufficiali di origine tedesca, i medici e i cappellani militari” <110 e destinando per lo più i militari di truppa alla deportazione.
In Albania, analoga sorte tocca a tutti gli ufficiali della Divisione “Perugia”, che furono fucilati tra il 4 e il 7 ottobre, dopo aver combattuto “per quasi un mese contro le truppe da montagna del generale Lanz e i partigiani albanesi” <111 che volevano impadronirsi dell’artiglieria della Divisione. <112 La testa del generale Ernesto Chiminiello, comandante della Divisione, venne messa sul cofano della macchina del comandante tedesco per mostrare ai militari italiani che il Comando di divisione non esisteva più. <113
Molti internati italiani perirono durante i tragici trasferimenti via mare nell’Egeo. Qui il predominio dei cieli da parte dell’aviazione inglese contribuì grandemente all’alto numero di vittime tra i prigionieri italiani, assieme alle criminali disposizioni di Hitler sul loro trasporto via mare; fu infatti ordinato di non considerare le norme di sicurezza e di sfruttare al massimo lo spazio per imbarcare i prigionieri, senza curarsi di eventuali perdite. <114
La situazione per gli internati italiani peggiorò ulteriormente dal gennaio 1944, quando Hitler ordinò di utilizzare anche navi non idonee al trasporto truppe. <115 Il numero di internati militari italiani morti durante i trasferimenti marittimi nel Mediterraneo orientale tra il settembre 1943 e il marzo del 1944 ammonterebbe a 13.298 secondo i dati della Wehrmacht e arriverebbe a 25.000 secondo altre fonti. <116 L’alto numero di morti tra gli internati italiani con percentuali spaventosamente alte rispetto ai morti degli equipaggi tedeschi fu causato dalle disumane disposizioni impartite dal Comando germanico che non tenevano in alcuna considerazione la vita dei prigionieri italiani.
[NOTE]
102 Per un approfondimento sulla situazione dei militari italiani nei Balcani vedi: Cordova, Gavagna, Themelly, Le scelte di allora…, cit., Il libro ricostruisce le vicende del battaglione Aosta, composto da alpini piemontesi, fino alla resa ai tedeschi e all’internamento nei campi di Germania e Polonia.
103 Per alcune interessanti testimonianze sulla situazione in Grecia e nell’Egeo dopo l’8 settembre cfr. Carmine Lops, Documenti e testimonianze sugli Italiani catturati dai Tedeschi in Grecia e nell’Egeo, in “Quaderni del Centro Studi sulla deportazione e l’internamento”, n. 5, 1968.
104 Cfr. Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia, cit., p. 38 ss.
105 Cfr. ivi, p. 38.
106 Cfr. Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento, cit., p. 206.
107 Cfr. Ugo Dragoni, La scelta degli I.M.I. cit., p. 52.
108 Qui tra il 4 e il 7 ottobre vennero fucilati 114 ufficiali. Cfr. Carmine Lops, Albori della nuova Europa, I, cit., p. 88 s.
109 Cfr. Dragoni, La scelta degli I.M.I.,.cit., p. 53 s.
110 Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento, cit., p. 211.
111 Mayda, Storia della deportazione dall’Italia 1943-1945, cit., p.304
112 Ibidem.
113 Cfr. Dragoni, La scelta degli I.M.I., cit., p. 54.
114 Schreiber, I militari italiani internati nei campi di concentramento, cit., p. 343.
115 Ivi, p. 347.
116 Ivi, p. 365 dove c’è una tabella riportante i nomi delle navi, la data di affondamento, il numero di prigionieri morti secondo la Wehrmacht e secondo altre fonti. Nelle pagine precedenti sono illustrate in dettaglio le circostanze degli affondamenti. La stessa tabella è riportata in Dragoni, La scelta degli I.M.I., cit., p. 335.
Marcello De Caro, L’internamento dei militari italiani nei campi tedeschi dopo l’8 settembre 1943, Tesi di laurea, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Anno accademico 2002-2003

I rivolgimenti delle alleanze avvenute in Italia, ebbero anche effetto all’estero: in Grecia, Albania e Jugoslavia soprattutto. Al momento dell’armistizio le truppe italiane erano affaticate stanche della guerra a causa delle numerose offensive dei partigiani e della diffidenza da parte dei tedeschi. Le truppe italiane tentarono di mettersi in contatto con gli alleati, ma non fu possibile per l’applicazione della resa incondizionata. I soldati accolsero con entusiasmo la notizia dell’armistizio, mentre gli ufficiali erano preoccupati perché i tedeschi occupavano i punti strategici, bloccandoli e promettendo il rimpatrio in cambio del disarmo. La maggior parte delle unità si arresero, per evitare ulteriori conflitti, mentre altri preferirono combattere contro i tedeschi; ad esempio a Cefalonia e Corfù. Nel primo caso ci furono 1.300 morti italiani per mano dei tedeschi, che avevano ricevuto la direttiva di Hitler <43, di “non fare prigionieri tra gli italiani” <44. A Corfù perirono 600-700 uomini. Nei Balcani furono perpetrati i maggiori eccidi e solo pochi riuscirono a raggiungere l’Italia. Molti cercarono di seguire le direttive americane e raggiungere i porti, ma furono ostacolati dai tedeschi e dai partigiani locali, che li consideravano ancora nemici. Altri invece preferirono raggiungere le montagne per unirsi ai partigiani, i quali però diffidarono di loro e molto spesso ne approfittarono per depredarli e ucciderli. I tedeschi provenienti dalla Grecia, Montenegro e Kossovo disarmarono reparti italiani e minacciarono che se non si fossero arresi, tutto lo Stato Maggiore sarebbe stato eliminato. Allora i comandanti si arresero e si consegnarono ai tedeschi, rendendosi spesso anche complici <45 di eccidi contro i partigiani o resistenti al Terzo Reich.
La situazione si complicò in seguito alla liberazione di Mussolini dal Gran Sasso, avvenuta il 12 settembre 1944, per volere di Hitler che lo pose a capo della Repubblica Sociale italiana <46, uno stato fantoccio nelle mani dei tedeschi con sede a Salò <47. Questa repubblica sarebbe durata fino al 29 aprile 1945, crollò in seguito alla cattura e uccisione di Mussolini. In Germania il suicidio di Hitler, l’arrivo delle truppe russe a Berlino portò alla conclusione della guerra in Europa. Fu proprio tra il 1943 e il 1945, che si verificarono le maggiori deportazioni in Germania, di italiani civili, politici, militari nei lager del Terzo Reich.
[NOTE]
43 U. Dragoni, La scelta degli I.M.I, Firenze, Le Lettere, 1997, p.49.
44 Rossi, Una Nazione allo Sbando, p. 154.
45 Rossi, Una Nazione allo Sbando, pp.159-160.
46 La Repubblica Sociale Italiana era uno stato fondato da Benito Mussolini, in seguito alla sua liberazione dalla prigione del Gran Sasso. Venne considerata come stato fantoccio nelle mani naziste, aveva come territori tutta l’Italia settentrionale. La sede era rimasta a Roma, durò dal 1944 fino al 29 aprile 1945, data di morte di Benito Mussolini. Continuò una politica aggressiva e di guerra contro gli Alleati.
47 Una località in provincia di Brescia, sulla parte lombarda del Lago di Garda.
Edoardo Camatini, Prigionieri italiani dei nazisti dopo l’8 settembre 1943, Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, 2015

Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, l’isola di Cefalonia e la divisione Acqui furono le protagoniste del più importante scontro armato tra le truppe italiane e quelle tedesche.
Nel 2001 l’allora presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi definì l’azione della divisione italiana Acqui a Cefalonia “un importante esempio della resistenza militare antitedesca dopo l’armistizio” in quanto “la scelta dei soldati della Acqui di non cedere le armi, combattere e morire per la patria, fu il primo atto della resistenza di un’Italia libera dal fascismo”. <1
Alla domanda sul perché e come l’azione della divisione Acqui sia divenuta il “solitario” esempio italiano di resistenza antitedesca dopo l’8 settembre, diversi storici hanno cercato di dare una risposta.
Le risposte sono spesso contrastanti in quanto tale è la ricostruzione dei passaggi che portarono allo scontro.
Cercheremo in questo capitolo di ricostruire la storia della divisione Acqui.
Farlo ha un duplice valore: in primo luogo ci permette di vedere cos’era e come viveva una divisione. In secondo luogo ci farà comprendere che gli uomini della divisione Acqui non erano eroi senza dubbi, come spesso sono stati descritti, ma erano soldati stanchi di una guerra che non capivano, obbedienti malgrado malumori e risentimenti, come vedremo, non privi di fondamento.
Ciò nonostante nel settembre 1943, rifiutarono la resa dando uno straordinari esempio di dignità. Chi ha visto le colline di Kardakata, prive di qualsiasi riparo contro il fuoco dell’artiglieria nemica e le bombe degli Stukas, non può non provare profonda ammirazione per i soldati della Acqui, che condussero ripetuti assalti con un coraggio e una determinazione degne, secondo Rochat, di maggior rispetto da parte del nemico e di maggiori riconoscimenti da parte degli italiani. <2
1 Carlo Azeglio Ciampi, Qui cominciò la resistenza, in Presidenza della Repubblica, Segretariato Generale. I discorsi del presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi: Commemorazione dei caduti italiani della divisione Acqui a Cefalonia, 1 marzo 2001.
2 Giorgio Rochat e Marcello Venturi, La divisione Acqui a Cefalonia, Mursia, Milano, 1993, p. 55.

Roberta Papotti, Gli Internati Militari Italiani e la Divisione Acqui a Cefalonia. Storia e rappresentazioni. 1943-1945, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno accademico 2015-2016