La Divisione Nembo dall’impiego contro i partigiani titini al CIL

Dopo che la Divisione “Nembo” fu divisa in tre “tronconi”, il primo a partire per l’impiego bellico fu il 3° battaglione del 185° reggimento. La destinazione assegnata fu la regione Venezia Giulia per rinforzare la lotta anti-guerriglia, che sul finire del 1942 si era intensificata. In particolare si cominciarono a vedere i primi fenomeni di ribellismo sostenuto soprattutto dal movimento titino che forniva armi e munizioni ai giovani alloglotti nel territorio italiano. Soprattutto dopo la dissoluzione del Regno Jugoslavo, le popolazioni divise per motivi etnici, religiosi e politici e riorganizzate dall’intervento italiano e tedesco, insorsero nell’estate del 1941 e confluirono in due movimenti, quello monarchico e fedele al sovrano jugoslavo, comandato dal Gen. Draza Mihalovich e quello di stampo comunista comandato dal capo partigiano Josip Broz, soprannominato comunemente Tito. Nonostante i due movimenti fossero in lotta fra di loro, non mancò occasione che si alleassero per combattere contro gli occupanti italo-tedeschi. Verso la fine del 1942 il conflitto si espanse anche sul territorio italiano, goriziano, carsico e istriano. A tutto ciò si aggiunse il clero locale che fomentava i giovani, inquadrati nelle fila italiane, a disertare e ad unirsi ai vari movimenti partigiani che si espandevano rapidamente ed in maniera uniforme. L’intervento immediato dello Stato Maggiore, che comportò l’ulteriore aggregazione ed integrazione di questi individui nei vari reggimenti, non portò ad un miglioramento della situazione. Vista la situazione sempre più negativa si decise di impiegare le divisioni presidiarie “Novara”, “Julia”, “Torino” e “Veneto”. Tuttavia, tutte queste divisioni, non erano addestrate a compiti del genere e adottavano strategie ormai superate e quindi non efficienti. Dunque si vide necessario l’impiego di reparti speciali e proprio per questo si promosse l’invio in Venezia Giulia dei reparti paracadutisti della “Nembo”. Il 3° Btg., considerato reparto d’élite, venne scelto per questo compito. Il reparto era costituito da 4 compagnie operative, più una compagnia Servizi e una compagnia comando, poste tutte sotto il comando della Divisione “Veneto” con a capo il Gen. Kral. Per via della situazione critica, il 3° dovette adottare nuove tattiche mai sperimentate prima, coordinate per la prima volta da radio ricetrasmittenti spalleggiabili che permettevano il rapido scambio di informazioni tra i reparti impiegati. Gli stessi paracadutisti cominciarono ad usare le tattiche di sabotaggio dei partigiani, facendo imboscate rapide e precise e bloccando i sentieri usati dai ribelli per il rifornimento. A rinforzo del 3° Btg., arrivò dalla Toscana l’11° Btg. “Cap. Della Valle”. Lo stesso Mussolini, preoccupato dalla situazione generale e dall’elevato numero di soldati impiegati, chiese giustificazioni al Capo di S.M.G Maresciallo Cavallero, tanto che, preso il suo trimotore personale, decise di recarsi di persona a controllare le operazioni. Preso atto dell’ostilità delle popolazioni non esitò a ordinare la continuazione delle operazioni con misure addirittura più severe. Dopo pochi mesi di operatività, i due battaglioni riuscirono a ristabilire una relativa tranquillità, tanto da essere svincolati da ulteriori impieghi nel giugno del ’43 e da rientrare nella base di Rovezzano. A fine Giugno si completò anche la formazione organica del 185° con l’ingresso dell’8° bis battaglione. Successivamente il 185° Rgt verrà inviato in Salento per poi essere impiegato attivamente in Sicilia contro l’invasione alleata.

  1. Lo sbarco in Sicilia ed i primi contatti con gli Alleati
    Dopo che il 3° battaglione rientrò alla base di Rovezzano, il reggimento ricevette l’ordine di trasferimento in Puglia, a sud nella penisola Salentina. Particolarità del 185° reggimento fu il fatto di non essere mai stato assorbito nella struttura divisionale per tutta la durata del conflitto, a differenza degli altri reggimenti. Il 10 Luglio del ’43, venne messo in stato di allarme per via dello sbarco alleato verificatosi in Sicilia e inviato a marce forzate lungo il nuovo fronte. Giunto sul posto, il Col. Giannetto Parodi assistette ad una scena di totale desolazione causata dal discioglimento di moltissimi reparti che si stavano rifiutando di combattere. Numerosi soldati, in ordine sparso e senza una precisa logica, decisero di ritirarsi arbitrariamente o addirittura di abbandonare le armi disertando.
    Il morale dei paracadutisti precipitò immediatamente, i diversi bombardamenti, che affliggevano le colonne, non aiutarono gli spostamenti. Gli stessi tedeschi cominciarono ad assumere un atteggiamento duro e decisamente più rigido nei confronti delle truppe italiane, in alcuni casi li costrinsero ad abbandonare gli equipaggiamenti di cui poi si impadronirono. Addirittura, lo stesso Comando Militare della Sicilia, presieduto dal Gen. Alfredo Guzzoni, concordò la cessione del comando operativo dell’isola alle autorità tedesche, dando inizio ad un atteggiamento discriminatorio nei confronti dei fanti italiani. Nonostante tutto, grazie alla forte decisione dei paracadutisti della Nembo e al loro atteggiamento contrario rispetto ai colleghi in ritirata, riuscirono ad imbarcarsi per il successivo trasbordo in Calabria, dove recuperarono il loro equipaggiamento precedentemente sequestrato dai tedeschi. Il trasbordo tuttavia non si verificò senza incidenti in quanto inspiegabili esplosioni portarono alla morte di diversi paracadutisti e contemporaneamente al ferimento di altri, tra i quali lo stesso Col. Parodi che successivamente verrà sostituito dal Magg. Angelo Massimino.
    Giunti in Calabria il 185° si suddivise in diverse località presso Reggio, in attesa dello sbarco alleato. Infatti, il 3 Settembre 1943, un violento bombardamento inaugurò l’inizio delle operazioni alleate sulla penisola italiana, nonostante l’armistizio fosse stato firmato a Cassibile lo stesso giorno. Le truppe britanniche dell’VIII Armata sbarcarono, superando la modesta difesa costiera. Qui le truppe si divisero, la 1a Div. Canadese cominciò la sua avanzata sulla costa orientale mentre la 5a Div. Inglese procedeva su quella occidentale. L’unica via di fuga praticabile per le forze italo-tedesche risultò la dorsale centrale, punto dove vennero convogliate tutte le truppe. I primi contatti con le truppe canadesi si ebbero grazie alla tenace resistenza dell’11° Btg., che accorse in aiuto del Gruppo tattico “Carbone”. Poche ore dopo, per via degli insistenti ed intensi bombardamenti navali, i paracadutisti furono costretti a ritirarsi. Stessa sorte subì l’8° bis Btg., il quale, rimasto bloccato in attesa di impiego, rischiò l’annientamento. Nella giornata del 4 Settembre, anche l’8 bis Btg. ebbe il suo primo contatto con i reparti esploranti canadesi del Rgt. Charleton e York i quali, meravigliatisi della presenza di paracadutisti italiani, decisero di ritirarsi e trincerarsi. Tuttavia, il battaglione del Cap. Conati, ricevette l’ordine di ripiegamento dal comando del 185°. L’occupazione delle vie principali da parte alleata creò non pochi disagi e rallentamenti alle truppe, che dovettero buttarsi nell’entroterra lungo i ripidi pendii dell’Aspromonte. Raggiunta la strada provinciale che avrebbe permesso di continuare la ritirata verso nord, l’8 bis si rese conto che anche essa era ormai trafficata dai mezzi alleati, dunque era rimasto completamente isolato. Si decise dunque di effettuare una perlustrazione notturna in modo da trovare un passaggio attraverso le linee nemiche. Di questo incarico si occuparono i due capitani, Conati e Piccoli, i quali dopo poco tempo vennero individuati e accerchiati. Mentre il Cap. Piccoli riuscì a dimenarsi e a fuggire, il cap. Conati dopo una strenua lotta fu costretto ad arrendersi e a cadere prigioniero nelle mani del nemico. Il battaglione, ormai individuato, decise di tentare il colpo di mano per liberare il comandante. L’8 Settembre, verso le prime luci dell’alba, l’attacco ebbe inizio su più direttive e presto si trasformò in un corpo a corpo furioso. Tuttavia l’attacco venne immediatamente bloccato dall’arrivo di un reparto di rinforzo canadese che riuscì a sopprimere le resistenze. In questo attacco lo stesso Cap. Piccoli cadeva ferito a morte assieme ad altri paracadutisti, mentre altri vennero fatti prigionieri. Il resto del battaglione riuscì a divincolarsi e a sganciarsi dal combattimento proseguendo la propria ritirata verso Cosenza, assieme ai resti della divisione costiera.
  2. Le vicissitudini della Divisione in Sardegna
    Nell’estate del 1943 venne dislocata nell’isola sarda l’intera Divisione Paracadutisti, sotto il comando del Gen. Ercole Ronco, tranne il 185° Rgt. che condusse la guerra in modo autonomo e distaccato. “L’invio del grosso della “Nembo” in Sardegna fu considerato da tutti come una punizione, un confino, a cui i paracadutisti furono condannati per aver chiesto insistentemente di essere impiegati nella propria specialità”.20 In effetti la scelta della Sardegna non era logica per un possibile sbarco alleato, che come si è visto, si verificò in Sicilia. Tuttavia, nel Giugno del ’43 la Divisione, imbarcata a La Spezia, venne destinata alla difesa della Sardegna. Una volta giunta sull’isola, dopo un viaggio in condizioni drammatiche, per via dello scarso naviglio a disposizione e per via dei continui mitragliamenti alleati, la Divisione venne ripartita in vari raggruppamenti, sparsi nella zona centro-meridionale.
    […] In Sardegna, invece, le conseguenze dell’armistizio furono drammatiche. L’annuncio si propagò molto velocemente tra i vari paracadutisti suscitando reazioni contrastanti. Dopo anni di alleanza con i tedeschi, all’improvviso si verificava il “tradimento”. Le diverse interpretazioni della proclamazione favorirono la nascita di discussioni e di equivoci spesso sfociati nel sangue dando inoltre nascita a numerosi episodi di ribellione e sbandamento. Immediatamente il comandante delle unità tedesche in Sardegna, il Gen. Lungerhausen, si recò a colloquio con il Gen. Basso per organizzare il trasferimento del suo contingente in Corsica. Venne deciso che l’abbandono dell’isola si sarebbe svolto in non più di 10 giorni attraverso i porti del nord. L’abbandono della Sardegna da parte tedesca, lasciò l’isola in balia degli attacchi alleati e di un possibile sbarco, cosa che si stava verificando nel sud Italia in maniera abbastanza frequente. Nel momento in cui i reparti della 90a Panzer Grenedieren avviarono la propria ritirata, attraverso i punti prestabiliti, alcuni reparti decisero di continuare a combattere al fianco dei tedeschi. Anche altri reparti della Nembo non rimasero indifferenti e decisero assieme ad alcuni raggruppamenti tattici di avviarsi verso la Corsica. Per risolvere la crisi e cercare di bloccare questa emorragia che avrebbe portato allo sfaldamento della divisione, il comando della Nembo ordinò di bloccare alcuni punti di transito e addirittura vennero disposti alcuni rastrellamenti in cerca di sbandati e disertori. Da annotare è il grave episodio che vide la morte del Ten. Col. Bechi Luserna che, nel tentativo di far recedere i paracadutisti del 12° dal loro intento dissociativo, cadde ferito a morte. L’uccisione dello stesso Tenente Colonnello portò a gravissime ripercussioni ed ebbe contrastanti sviluppi, tanto da causare la morte di altri paracadutisti per ritorsione e vendetta. Lo stesso Gentlement’s Agreement Basso – Lungerhausen può essere considerato un fallimento visto che andava contro le decisioni prese dallo SMG. Lo stesso accordo non venne considerato legale ed il Gen. Basso venne arrestato e condannato per disobbedienza. Al Generale veniva attribuita la colpa di non aver combattuto e ostacolato la ritirata dei 30.000 soldati tedeschi, contravvenendo dunque agli ordini dei Generali Ambrosio e Roatta che consideravano i germanici nemici in base alle clausole dell’armistizio. Lo stesso SM non era a conoscenza della situazione di dissolvimento delle truppe italiane in Sardegna, e probabilmente la decisione del Gen. Basso portò alla salvezza di migliaia di soldati italiani, viste le conseguenze delle reazioni del R.E. contro i tedeschi in altri teatri operativi. La Divisione quindi non poté essere usata in funzione antitedesca, visti i segni di sofferenza interni che la portarono ad essere messa sotto il controllo di altri reparti. Diversi ufficiali vennero arrestati come ad esempio il Col. Pietro Tantillo, e il Ten. Col Ademaro Invrea, 1600 soldati vennero ceduti ad altre Grandi Unità, altri allontanati ed altri ancora radiati definitivamente o degradati.
    Passarono oltre 8 mesi prima che la Commissione militare alleata deliberasse il trasferimento della Divisione in Italia per essere aggregata nel CIL <22. In questi 8 mesi le conseguenze dell’armistizio furono disastrose e portarono alla disgregazione della “Nembo” assieme ad altri tanti reparti di punta. “Venne sostituito il Gen. Ercole Ronco con il Gen. Giorgio Morigi; venne ristrutturato quello che restava della “Nembo”, contraendo su due Rgt. i quattro battaglioni rimasti indenni dopo lo scioglimento dei reparti divisionali, fra cui il 184° Rgt. Artiglieria.” <23 Identica storia subirono i distaccamenti in Calabria e Puglia dove il 185° Rgt. venne ridotto al solo 11° Btg, ora comandato dal Magg. Angelo Massimino. Venne inoltre a costituirsi il Rgt. Arditi paracadutisti “Nembo”, posto sotto il comando del Magg. Mario Rizzati e formato dall’unione dei resti dei Btg Sala e Rizzati, più ulteriori reparti minori.
    Nonostante in Sardegna non si siano verificati episodi di “franchi tiratori”, sul continente vi furono episodi di scontri tra i paracadutisti in qualità del 19° Btg.“Ciclone” ed i soldati tedeschi. Infatti in Toscana ricevettero l’ordine di presidiare e nel caso difendere, da possibili attacchi, i tre passi appenninici della Futa, di Casaglia e del Giogo. Al comando del settore appenninico venne designato il Gen. Di Brigata Giorgio Morigi. I primi contatti con le truppe tedesche si verificarono nella tarda giornata del 9 settembre in cui alcuni soldati nemici tentarono di forzare i blocchi, ma vennero respinti. Il giorno successivo i tedeschi contrattaccarono con preponderanti forze costituite da truppe di fanteria e mezzi corazzati giunti in supporto. Questa volta i paracadutisti dovettero ritirarsi per poi contrattaccare qualche ora dopo riconquistando le posizioni perdute. Nel pomeriggio tuttavia la compagnia ricevette l’ordine di abbandonare i passi e di non ostacolare ulteriormente i tedeschi. Pochi giorni dopo il quartier generale del 185° Rgt. “Nembo” sito a Rovezzano venne catturato dalle truppe germaniche.
    [NOTE]
    22 Il Corpo Italiano di Liberazione, nato dopo l’8 settembre 1943, fu un’unità militare operativa incaricata di collaborare con le forze alleate nella lotta contro i nazi-fascisti. Fu impiegato fino al settembre del 1944 per poi essere sostituito dalle Unità di combattimento.
    23 Nino Arena, Nembo! pag. 53
    Francesco Braneschi, Come Nembo di tempesta: storia ed analisi della divisione paracadutisti Nembo, Tesi di laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2015-2016