Come ovunque, il ruolo politico era svolto dal CLN di Parma

Fonte: Costanza Guidetti, Op. cit. infra

I primi mesi della Resistenza parmense fino alla primavera del ’44 sono segnati dal sorgere di gruppi autonomi sparsi nella Provincia che spontaneamente si unirono sotto la guida di un capo e diedero via alle prime azioni contro i nazifascisti. Si tratta di una fase preliminare e spontaneistica del movimento che presto cedette il passo ad un graduale coordinamento e organizzazione interna ed esterna delle bande, che si strutturarono in vere e proprie Brigate, dotate di un Comando organizzato, in cui ogni membro svolgeva una mansione ben precisa, e di una suddivisione interna per Battaglioni e Divisioni.
Per quanto transitoria, questa prima fase del movimento costituisce un snodo molto importante per la storia partigiana, dal momento che segna la nascita delle due principali forze della Lotta parmense: le Brigate Garibaldi e le Brigate Julia.
La loro principale differenza è dovuta alla loro genesi: mentre le prime sono sorte grazie all’azione del Partito Comunista, la costituzione delle Brigate Julia non è dovuta all’influenza di un partito, ma all’azione di alcune personalità locali, prima fra tutte il Comandante Giuseppe Del Nevo. Ed è proprio su questo aspetto che emerge la prima rivelante peculiarità parmense, da una parte la presenza delle Garibaldi sotto l’egida Comunista, sorvegliate costantemente dal Partito tramite i suoi Ispettori, dall’altra la presenza delle Brigate Julia che seppur poste sotto la dipendenza del CLN, preservavano quei caratteri di indipendenza e di legame con il proprio territorio d’origine, ereditati dalle prime bande parmensi. Entrambe le formazioni forniranno il maggiore contributo per la lotta ed è da queste Brigate che provengono i Comandanti analizzati nella ricerca.
Insieme a queste, altre formazioni opereranno sul territorio parmense come: le Giustizia e Libertà, guidate dal Partito d’Azione che poi si scioglieranno; le Brigate Beretta sotto le dipendenze del CLN; i gruppi Afro e Cato (Luigi Malerba) che continuarono ad operare autonomamente per quasi tutto il corso della guerra.
La svolta organizzativa del movimento avvenne nell’agosto del 1944, quando, secondo l’usanza partigiana, i Comandanti delle Brigate scelsero di porsi alle dipendenze di un unico Comando Provinciale ai fini di migliorare il coordinamento delle azioni e di indirizzare il movimento verso l’unità nella lotta. Il tentativo di preservare l’unità avvenne attraverso il mantenimento di un equilibrio tra i principali partiti antifascisti in campo. Tale unione si esplicò nella scelta stessa degli elementi del Comando Unico Provinciale parmense, per cui ad un Comandante comunista si affiancava un Commissario democristiano e viceversa. Questa modalità rappresenta un’altra fondamentale caratteristica del movimento parmense.
Una simile struttura del Comando, sia di Brigata che Provinciale, non è tipico dell’esperienze parmense, ma corrisponde alla medesima organizzazione del Comando Regionale e Nazionale da cui essa dipendeva.
I rapporti politici
L’analisi delle vicende in cui è coinvolto il Comando Unico ha permesso di mettere in luce i rapporti politici che intercorrevano sia all’interno che all’esterno del movimento provinciale. All’interno, come ovunque, il ruolo politico era svolto dal CLN di Parma, costituito dagli esponenti dei principali partiti antifascisti, la cui azione però era influenzata dai partiti che predominavano sul territorio, primo fra tutti quello Comunista. Tuttavia l’equilibrio politico del Comitato non corrispose alle forze partigiane in campo. Mente le Brigate Garibaldi, erano guidate dall’egida comunista, le Brigate Giustizia e Libertà, dipendenti dal Partito d’Azione si sciolsero nel giro di pochi mesi, mentre delle Fiamme Verdi, le Brigate del Partito Democristiano, non si ha quasi nessuna traccia se non agli inizi della lotta.
L’altra grande forza, come detto, era quella delle Julia, formazioni dipendenti dal CLN più per necessità di ottenere un supporto materiale che per un particolare legame partitico. Tuttavia nel corso della lotta si avvicinarono al Partito Democristiano. La confluenza nel partito non era dovuta solo da un’affinità politica ma anche probabilmente era un mezzo per contrastare la presenza Comunista nelle formazioni.
Tuttavia l’appartenenza politica non fu l’unico fattore a determinare l’andamento della guerra resistenziale che era piuttosto complessa e definita dall’intrecciarsi di questioni non solo politiche, ma anche militari e personali. Ne è una dimostrazione il crearsi di alcune situazioni che apparentemente sembrerebbero paradossali, come l’appoggio comunista alla nomina di un comandante democristiano o la difesa di alcuni democristiani del loro comandante comunista, ma che nella guerra di Resistenza parmense non lo sono, perché sebbene le influenze e le differenze politiche siano forti, al di là delle appartenenze politiche, valeva il prestigio e la stima di chi era al Comando, e sopra tutte le questioni interne che potevano nascere nel movimento prevaleva quella più importante e da tutti compresa: la sconfitta dei nazifascisti.
Se al suo interno il movimento è caratterizzato dalla strenua difesa dell’equilibrio politico tra le formazioni, all’esterno deve fare i conti con gli organi locali e i Comandi superiori, con i quali sorge una sotterranea contesa di potere. Il movimento deve fronteggiare la pretesa e le ingerenze del Comitato di Liberazione e del Comando della Delegazioni Nord Emilia nelle decisioni del movimento parmense.
Insieme a queste forze, si aggiunge un quarto potere politico, quello dell’esercito partigiano. Nel corso della lotta il Comando Unico si fa portavoce della difesa di quel diritto ormai insito nell’essenza stessa di essere ribelli, cioè quello di poter scegliere in piena libertà e democrazia il proprio capo. Il movimento, per quanto profondamente diversificato al suo interno, nei mesi di lotta si è riconosciuto e unito sotto la guida di un Comando legittimamente scelto da loro, prendendo coscienza della propria forza e di alcuni valori ritenuti fondamentali, quello della libertà e della democrazia; valori vissuti in primis nelle file patriottiche.
Comandanti e commissari
Dall’analisi dei componenti e delle principali fasi del Comando Unico è emerso che la caratteristica principale del Comando parmense è quella di essere composto da uomini segnati da un passato di intensa attività antifascista, definiti gli “anziani della politica cospirativa”, con un’impostazione più politica che militare. Si tratta di persone non solo di una certa esperienza, ma anche di una certa età, dal momento che avevano superato i cinquant’anni quando assunsero il Comando dell’intero movimento.
Nonostante l’età, la scarsa competenza militare essi seppero condurre con fermezza e paternalismo un movimento composto principalmente da giovani allo sbando e indisciplinati. Sebbene diversi per sentimenti politici e religiosi, i Comandanti e i Commissari Unici condividevano i medesimi ideali e seppero collaborare tra di loro, instaurando un legame di sincera stima e fiducia reciproca.
Essi non furono solo dei Capi, ma anche degli educatori per l’esercito partigiano; con le loro direttive e il loro esempio trasmisero ai giovani patrioti i capisaldi del loro “credo”, come il senso della disciplina, del rispetto, del dovere e soprattutto della coesione ed unità tra tutte le forze del movimento, di qualsiasi livello e appartenenza. In questo modo per i partigiani parmensi, la loro non fu solo una guida da seguire nei difficili momenti della battaglia, ma anche un esempio a cui ispirarsi come cittadini di una epoca che, grazie al sacrificio di tutti, stava iniziando.
L’unicità del Comando risalta se paragonata alla giovane età dei Comandanti, alcuni dei quali senza esperienza militare e senso della disciplina. Per questi Capi, fondamentale fu la guida di persone più mature in cui immedesimarsi.
Rispetto allo studio sui Comandanti, il primo tratto che emerge è l’eterogeneità; a differenza di un esercito regolare dove i Capi delle unità condividono le medesime competenze e lo stesso iter formativo, nel movimento patriottico i Comandanti, così come i gregari, sono accumunati da una fondamentale caratteristica: la loro diversità. Grazie a questa diversificazione, l’analisi di ogni Capo ha permesso di aggiungere un tassello e dipingere un quadro più complesso e completo dell’esperienza resistenziale parmense.
La differenza più grande e significativa è quella della diversa impostazione data al Comando da parte di questi partigiani. Mentre alcuni, come Giuseppe Del Nevo e Luigi Marchini, hanno vissuto delle crisi interne alla propria Brigata a causa della loro persona, altri, come Ettore Cosenza e Leonardo Tarantini, hanno ricoperto cariche sempre più importanti e di responsabilità all’interno del movimento, come attestazione della fiducia e della stima di cui godevano, non solo nella loro formazione, ma anche dai Comandi superiori.
Questo conferma l’unicità dell’esercito partigiano rispetto a quello regolare. Se in quest’ultimo l’autorità del Comandante è dovuta al grado che egli ricopre, nel movimento di liberazione questo non conta. Come per il Comando Unico, anche per i Comandanti ciò che importava più della competenza militare era la capacità di saper sempre guadagnarsi la fiducia dei propri patrioti e di dimostrarsi all’altezza del proprio incarico, dando prova di responsabilità, audacia e coerenza, vedendo riconfermata la sua autorità e la fiducia dei suoi uomini.
È questa la più grande sfida che i Comandanti devono affrontare. Tale prova si fa ancora più onerosa dal momento che la maggior parte di questi uomini erano poco più ragazzi quando furono chiamati al Comando. Per essi, l’aver sacrificato la loro giovinezza per la causa patriottica della democrazia, ha fornito quell’occasione di riscatto e libertà che il fascismo aveva annullato.
Tuttavia la Resistenza non può essere studiata solo come lotta militare, ma anche come lotta politica. Politica non nel senso di appartenenza partitica, ma nel suo più profondo significato, quello di polis, di amore per la propria città, il proprio paese e la propria patria. È questo lo scopo dell’azione dei Commissari, quello di educare alla politica le masse di giovani patrioti giunti per diverse vicissitudini sui monti parmensi.
L’azione principale di chi condivideva la responsabilità dei gregari con i Comandanti, i Commissari, era proprio quella di infondere e trasmettere la consapevolezza della coscienza di lotta. Di questo ne erano perfettamente consapevoli Achille Pellizzari, Primo Savani, Luigi Cortese e Luigi Leris. Per loro, il fondamento dell’attività stava nell’educazione dei gregari allo spirito critico, alla discussione e correzione reciproca, alla comprensione di quanto stava accadendo e del perché. Solo in questo modo si ponevano le basi per quella disciplina, dovere e obbedienza indispensabili per la lotta parmense.
Costanza Guidetti, La struttura del comando nel movimento resistenziale a Parma, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno Accademico 2017-2018