Donne della Resistenza ricordate nel settimanale femminile democristiano

Donne d’Italia, in «Azione femminile», 22 giugno 1945. Fonte: Elisabetta Salvini, op. cit. infra

Un esempio concreto di questa volontà di raccontarsi e di condividere le esperienze resistenziali è una rubrica, ancora poco conosciuta, intitolata «Donne d’Italia» e pubblicata per la prima volta su «Azione femminile», il 16 marzo 1945 <258.
«Azione femminile» era il giornale del movimento femminile della Democrazia Cristiana pubblicato settimanalmente, a partire dal Natale 1944, come inserto de «Il Popolo» e salutato dallo stesso De Gasperi come: «pegno che la donna italiana non verrà meno e non diserterà la battaglia della Democrazia Cristiana» <259. Direttore responsabile dell’inserto è Angela Cingolani Guidi, nominata anche responsabile dello stesso movimento femminile della Democrazia Cristiana.
La rubrica «Donne d’Italia», invece, nacque nel febbraio/marzo del 1945 come esigenza delle democristiane di proporre alle donne italiane nuovi modelli femminili che non fossero più quelli imposti dal fascismo. Si voleva superare cioè il prototipo della donna fascista, primo fra tutte quello della giovane amante di Mussolini Claretta Petacci:
“Prendiamo spunto da un articolo in data 22 febbraio [1945] pubblicato da «The Stars and Stripes» nel quale, per l’ennesima volta, viene esibita la seducente fotografia di Claretta Petacci: «Perché insistere in questa stupida ed esiziale mentalità di esporci nelle figure che più ci disonorano? Non vogliamo cominciare una collana di visi, non importa se non “fatali”, onestamente simpatici? Chiediamo perciò la collaborazione di tutti affinché ci vengano segnalate figure di “vere” donne italiane, che abbiano concorso o comunque concorrano a sollevare – anziché deprimere – il prestigio di questo nostro Paese che tende con tutte le sue forze in travaglio di rinnovamento, a riconquistare il suo posto d’onore tra i popoli»” 260.
[…] La prima storia pubblicata fu quella di Maria Assunta Lorenzoni “Tina” <274, medaglia d’oro al valore militare e staffetta della V Brigata Giustizia e Libertà di Firenze, a cui aderì dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943. Maria Assunta, il vero nome di battesimo della protagonista, nacque a Macerata nel 1918 e morì a Firenze il 21 agosto del 1944. Durante la seconda guerra mondiale, prestò servizio come crocerossina e successivamente, a Firenze, entrò in clandestinità con l’incarico di mantenere i collegamenti con il comando della Divisione “GL” e della distribuzione di armi e munizioni per i partigiani. Non paga si occupò pure dell’espatrio di oltre duecento cittadini d’origine ebraica e di alcuni perseguitati politici accompagnandoli da Firenze a Milano o ad altre località del Nord Italia. Fondamentale il suo ruolo durante la battaglia per la liberazione di Firenze, quando, per ben tre volte riuscì ad attraversare le linee di combattimento per portare ordini al Comando d’Oltrarno, prima di essere catturata e uccisa dai tedeschi.
Assai diversa è invece la storia di Olimpia Cimmino, nobile signora e moglie di un ufficiale dell’esercito italiano: «donna che dei patrioti fu aiuto vigile e discreto, che nella lotta clandestina rischia la vita con umiltà e semplicità, paga di servire la “buona causa”» <275. Olimpia durante la guerra mise a disposizione la sua casa romana, situata in via Sant’Agata dei Goti, come punto di ritrovo per riunioni segrete degli ufficiali del regio esercito. Consapevole dei gravi rischi che corre ospitando tali riunioni, decise di adottare ogni forma di precauzione possibile per non rischiare di essere scoperta o denunciata ai fascisti. Per non avere testimoni licenziò la domestica e fece murare carte e documenti affinché non potessero essere trovati da nessuno. Nella sua casa, tra gli ospiti fissi, figurarono il comandante Armellini (comandante militare del fronte clandestino e della Resistenza di Roma), il colonnello Cordero di Montezemolo (capo di stato maggiore del fronte clandestino e della Resistenza), i generali Crimi e Caruso, il colonnello Pacinotti e altri pezzi grossi dell’esercito italiano e della Resistenza. Ad Olimpia però venne riservato un ruolo di secondo piano, lei non partecipò mai alle riunioni ed evitò di guardare gli ospiti in casa per non avere nessuna informazione. Il suo compito fu quello di fare le faccende di casa e di condurre una vita normale per non insospettire nessuno, ma rischiando ugualmente la morte. Inoltre si prestò anche per servire come collegamento fra alcune persone nascoste e i dirigenti del fronte clandestino.
Significativa la storia di Lidia Di Marco <276, una ragazzina quindicenne che abbandonò i giochi fanciulleschi per dedicarsi all’attività clandestina a Tufo, una frazione di Carsoli in Abruzzo. Lidia, spontaneamente scelse di alloggiare e nutrire i prigionieri inglesi che fuggivano dai campi di prigionia tedeschi. Tale azione di assistenza non passò però inosservata, tanto che i tedeschi, una volta venuti a conoscenza del suo nome, l’arrestarono. Durante gli interrogatori i nazisti costrinsero Lidia ad assistere alle aberranti torture inflitte ai partigiani presenti nel carcere. Lidia, per evitare ai giovani lo strazio delle botte decide di confessare le sue colpe e per questo venne condannata a sei mesi da scontare nel carcere dell’Aquila. Sei mesi duri, durante i quali a sua volta subì interrogatori e pesanti umiliazioni, compresa la paura di dover soggiacere alle voglie di un maggiore tedesco. Lidia venne salvata da un soldato austriaco che, la notte prima del suo trasferimento – probabilmente sarebbe stata deportata in Germania – le aprì le porte del carcere consentendole di scappare.
Emozionante è pure la storia di Concetta Piazza <277 giovane siciliana, approdata a Roma durante la guerra per studiare come ostetrica. La sua esperienza iniziò con lo scoppio del conflitto quando la giovane si prestò per dare assistenza ai soldati detenuti nel campo di prigionia di Montemaggiore portando loro da mangiare e diventando presto un prezioso punto di riferimento per molti di loro. Tanto che, all’indomani dell’otto settembre 1943, la casa di Concetta venne invasa da ventisei prigionieri evasi dal campo. Senza troppe esitazioni Concetta mise in piedi un movimento spontaneo e coraggiosissimo di assistenza ai prigionieri fornendo loro alloggio, vitto e indumenti. Oltre a prestare assistenza la giovane aiutò i prigionieri, ancora detenuti, ad evadere e la sua attività desta parecchi sospetti. Il 28 gennaio 1944, infatti, Concetta venne catturata da due SS e condotta nel carcere di Via Tasso, dove venne picchiata dai tedeschi e più volte interrogata anche dal famigerato Koch, il quale la umiliò, ma senza picchiarla. Rimase in carcere fino al 24 maggio, quando il suo nome venne incluso nella liste degli ebrei che dovevano essere deportati in Germania. Concetta protestò duramente e ottenne di essere rilasciata il 29 maggio 1944. Dal carcere però uscì deturpata, con la testa piena di ematomi, i capelli bianchi per le torture subite e con sette denti in meno, cavati a forza di botte dalla sua bocca.
Di Lisetta Dal Cero, veronese, ex fucina colpisce invece il suo essere tra le pochissime donne nominate comandante di Brigata. Lisetta, laureata e professoressa di chimica, iniziò la sua militanza nella Resistenza insieme al fratello Luciano <278.
Come staffetta Lisetta ebbe il compito di mantenere i collegamenti tra Roma e Verona, in più si preoccupò di fornire ai prigionieri inglesi e alleati assistenza, vitto, indumenti, ricoveri sicuri, medicinali, e si occupò anche della raccolta dei fondi. Venne arrestata insieme al fratello Luciano, e tenuta in carcere per due mesi durante i quali subì minacce e interrogatori violenti. Allo scadere dei due mesi Lisetta venne rilasciata, mentre il fratello venne trattenuto nuovamente. Luciano riuscì ad evadere dal carcere, ma morì immediatamente in una rappresaglia contro i tedeschi. Alla sua morte i compagni chiesero a Lisetta di diventare capo della brigata e lei, consapevole delle difficoltà, accettò l’incarico divenendo comandante e accollandosi da donna la responsabilità di gestire una brigata composta da uomini, con tutte le difficoltà che ciò comportava.
[NOTE]
258 La sottoscritta e la dottoressa Stefania Boscato dell’Università La Sapienza di Roma stanno attualmente studiando questo giornale.
259 A. De Gasperi, Messaggio alle democratiche cristiane, in «Azione femminile», Anno I, n. 1, 25 dicembre 1944.
260 Alle lettrici e ai lettori, in «Azione femminile», Anno II, n° 2, 9 marzo 1945
274 Si veda anche l’opuscolo dell’ANPI di Firenze, Tina Lorenzoni: 21 agosto 1944, Firenze, 1984
275 E.P.G., Donne d’Italia, in «Azione femminile», 18 maggio 1945
276 E.P.G., Donne d’Italia, ibid., 31 agosto 1945
277 E.P.G., Donne d’Italia, ibid., 7-14 settembre 1945
278 E.P.G., Donne d’Italia, ibid, 9 novembre 1945
Elisabetta Salvini, Ada e le altre. Donne cattoliche tra fascismo e democrazia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Parma, Anno Accademico 2008-2009