E chi era Aristide Tabasso?

Copertina del libro di Marco Tabasso, cit. infra. Fonte: Fabrizio Mugnanini, art. cit. infra

Si vocifera dell’esistenza di un libro ed effettivamente esiste, ma tra i rari è forse il più raro, fu sequestrato prima della distribuzione e mai comparse in libreria, ne fu vietata qualsiasi successiva ristampa.
Dell’originale se ne sono salvate poche copie, cinque presenti in poche biblioteche, più un paio di copie digitalizzate. Pochissime altre copie (originali) sono apparse in commercio in questi anni, e spesso a delle cifre da capogiro per un libro del 1957.
Il libro riporta la testimonianza di Aristide Tabasso attraverso la penna del figlio Franco. Aristide fu un agente segreto che era al corrente dei rapporti riservati tra Italia e Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale. La guerra era ormai finita da tredici anni, ma le notizie segrete e scabrose contenute nel libro facevano tremare ancora molti personaggi del momento. La censura divenne tagliente come una ghigliottina e una volta sequestrato e distrutto del libro se ne persero le tracce, occhio che non vede cuore che non duole, scomparso lo scritto scottante il problema non si pone più. Tutti potevano respirare a pieni polmoni anche perché vigeva il divieto di una successiva ristampa.
In realtà una copia anastatica è in commercio, senza indicazione di luogo né di casa editrice né di anno, anche questa in poche copie ed anche questa a dei prezzi molto alti.
Una missione “impossibile”
Il nucleo principale dell’opera si riferisce alla missione di Aristide Tabasso, missione impossibile e difficilissima, incaricato dal SIS (Servizio Informazioni e Sicurezza) della Marina, nel 1942, di rubare in Eritrea, a Massaua, i piani segreti per l’attacco dell’Europa e dell’Italia. La missione, pur pericolosissima, fu portata a termine con successo, ma poi fu insabbiata a Roma dai vertici dello Stato Maggiore italiano. Non a caso tutti riconoscevano la grande abilità degli italiani come agenti di alto spionaggio di gran lunga superiori ad alleati e avversari.
La vita di Aristide Tabasso fu una vita piena di colpi di scena, densa di intrighi, colma di pericoli e di cambiamenti. Il suo volto appare come una maschera, una maschera malleabile pronta a cambiare forma trasformandosi all’occorrenza.
Una volta terminata la missione che gli era stata affidata, inizia un doppio gioco ai danni degli inglesi, gli viene consegnata una lettera da Churchill che porterà al Re. Conosce il carcere, finisce a Regina Coeli, prima aderisce alla Repubblica Sociale poi diventa partigiano. Infallibile segugio, riesce a recuperare il carteggio Mussolini-Churchill che consegnerà al Re Umberto II. Ma il Re, purtroppo, con sommo dispiacere, perderà i faldoni.
Fabrizio Mugnanini, Su onda 31 Roma non risponde di Franco Tabasso (1957): il libro più raro di tutti, Cacciatore di libri, 11 febbraio 2021

L’autore, ricercatore storico e autore di altri saggi su spie e operazioni segrete, in questo suo libro, circoscritto in un ben definito periodo di tempo, rende noti, grazie anche a documenti desecretati di recente, le imprese ed i nomi di personaggi che, pur rimasti anonimi per parecchio tempo hanno, in qualche modo, influenzato significativamente il corso della storia.
“Gli uomini ombra italiani, in gergo le barbe finte, attrezzati talvolta unicamente del loro ingegno, furono protagonisti di operazioni straordinarie per mezzo delle quali riuscirono anche a salvare migliaia di vite. Molti di loro, accontentandosi del solo encomio dei superiori e dei referenti, non poterono mai essere decorati da una medaglia al valore perché le identità rimasero segrete anche a guerra terminata.”
La difficoltà nel reperire notizie sulle operazioni di intelligence tra il 1935 e il 1943 è dovuta sia all’autodistruzione, dopo l’8 settembre, degli archivi degli apparati investigativi italiani, sia al fatto che molti agenti caddero sul campo, altri sparirono misteriosamente, altri ancora, finita la guerra, rientrarono nell’anonimato.
[…] Chi è Aristide Tabasso? Di lui non si sarebbe saputo niente se il figlio, Franco Tabasso, non avesse narrato la storia del padre in un libro dal titolo “Su onda 31 Roma non risponde”, libro del 1957 che fu sequestrato dalla polizia quando ancora pareva che le copie non fossero state messe in commercio. “Si tratta del libro censurato più raro d’Italia.” Si narra della vita e delle imprese di Aristide Tabasso, nato a Taranto nel 1900 e entrato a far parte del Controspionaggio dei servizi segreti della Regia Marina. In esso si racconta, inoltre, di eroi e traditori della seconda guerra mondiale, nonché del famoso carteggio Churchill-Mussolini, ancora introvabile e la cui movimentazione, secondo quanto narrato nel libro, ebbe nel Tabasso uno dei protagonisti. Egli morì nel 1951 dopo aver pranzato in un ristorante di Verona insieme a una persona rimasta ignota. Per il figlio si trattò di avvelenamento.
Questi sono solo alcuni dei protagonisti di questo libro la cui lettura, per il suo contenuto e per lo stile utilizzato dall’autore, risulta piacevole come quella di un romanzo di spionaggio.
Gianlorenzo Capano, Angelo Acampora: senza licenza di uccidere – operazioni segrete militari italiane 1935-1943, Difesa on line

Una pagina del libro di Marco Tabasso, cit. Fonte: Fabrizio Mugnanini, art. cit.

Si rivide quando ancor giovane, dal 1925 al 1931, saltare a piè pari sugli scalini untuosi dei cantieri Tosi di Taranto, fissato nel portare a termine monografie sui sommergibili secondo le sue particolari osservazioni tecniche.
Fra lo stridio delle grue ed il picchiettare dei martelli sulle lamiere degli scafi aveva il tempo anche di ammirare l’incanto delle rive del Galeso, il ribollire delle navi, alla fonda nel Mar Piccolo, e spingere lo sguardo sulla città adagiata sui due mari, con tante luci e tanto fervore di opere. Terre lontane d’Italia, che in quel momento si riaffacciavano al ricordo del moribondo in tutta la loro bellezza.
Spingeva lo sguardo al disotto della sagoma del Ponte Girevole per scrutare l’orizzonte, quell’orizzonte che lo affascinava ed a cui tendevano le navi, galleggianti inoperose sull’acqua. Vita avventurosa. Vita segreta, forse stupida, forse intensa.
[…] Ogni ora della vita d’un appartenente al S.I.S. viene bevuta a goccia a goccia. Ci sono momenti lieti e momenti tristi, col variare delle sensazioni che forgiano il carattere, acuiscono l’ingegno, affinano la personalità : pare di essere creatura prediletta della Patria, una creatura pronta anche ad essere sacrificata per il bene di tutti gli altri.
Franco Tabasso, Su onda 31 Roma non risponde, Sindico Montanari Editori, Taranto, 1957

[…] Una parte importante della documentazione che Mussolini portava con sé negli ultimi giorni sarebbe stata recuperata e consegnata al Quirinale, a Umberto II di Savoia, pochi mesi prima della fine della monarchia in Italia. Chi consegnò quelle carte al Re? Aristide Tabasso.
E chi era Aristide Tabasso? Fu un agente segreto che era al corrente dei rapporti riservati tra Italia e Gran Bretagna durante la Seconda guerra mondiale. Tra l’altro fu incaricato dal SIS (Servizio Informazioni e Sicurezza) della Marina, nel 1942, di rubare in Eritrea, a Massaua, i piani segreti per l’attacco dell’Europa e l’Italia. La missione pur pericolosissima fu portata a termine con successo, ma poi fu chissà perché, insabbiata a Roma dai vertici dello Stato Maggiore italiano.
La vita di Aristide Tabasso? Piena di colpi di scena, densa di intrighi, colma di pericoli e di cambiamenti. Il suo volto una maschera, una maschera malleabile pronta a cambiare forma trasformandosi bene ad ogni occasione. Una volta terminata la missione che gli era stata affidata, inizia un doppio gioco ai danni degli inglesi, gli viene consegnata una lettera da Churchill che porterà al Re.
Conosce il carcere, finisce a Regina Coeli, prima aderisce alla Repubblica Sociale poi diventa partigiano. Infallibile segugio riesce a recuperare il carteggio Mussolini-Churchill che consegnerà al Re Umberto II, il Re, purtroppo, con sommo dispiacere, perderà i faldoni. Anche questo intrigo si insabbia.
E’ certo, comunque, stando alle varie fonti che abbiamo consultato, che Aristide Tabasso, in possesso della famosa valigia, si recò, da Umberto II, al Quirinale, a porre al sicuro il carteggio, ed a scrivere la parola fine alla emozionante ricerca. “Re Umberto lo accolse. Alla consegna era presente l’ex partigiano dottor Gianni Marini”: questa dichiarazione la fece il figlio del Tabasso, Franco, nel 1957, spiegando che il padre gli fece promettere, prima di morire, di dire chi aveva il carteggio Mussolini – Churchill, e di dirlo quando lui, Aristide, fosse scomparso. Ciò che appunto Franco Tabasso fece.
In ogni caso Aristide Tabasso si sentì in obbligo di costruirsi una prova dell’avvenuta consegna. Eccola: il 30 gennaio 1951, spedì da Verona la raccomandata n. 1619 delle Poste Ferrovia, diretta al Conte di Sarre Umberto di Savoia 34, Avenida Don Carlos Premiers Cascais (Portogallo). Il testo: “Forse Vostra Maestà non potrà subito ravvisare e ricordare lo scrivente. Ebbi l’onore di essere ricevuto a Palazzo Reale, per consegnare, ed io volli che tanto avvenisse con le mie mani, un blocco di fascicoli formanti una raccolta di documenti che provenivano da Dongo.
Vostra Maestà si benignò di trattenermi circa un’ ora (c’era anche l’ex partigiano dottor Gianni Marini) e volle conferirmi la Commenda della Corona d’ Italia. Comandavo allora il Battaglione Mobile della Guardia di P.S., pur provenendo dai Servizi Speciali della Marina. Tanto per essere ravvisato. Scopo della presente è quello di pregarla vivamente, nell’ interesse della Casa di V.M., della Storia e di questo travagliato Popolo Italiano, di voler pubblicare quei documenti. E’ il momento che tutti sappiano la grande verità, e non è più generoso il grande sacrificio della rinunzia alla pubblicazione di questo materiale. In Italia siamo stanchi di certi andazzi politici, che stanno riducendo una grande Italia ad un feudo di dominio di un gruppo di incoscienti.
Questa è la preghiera di uno dei tanti italiani che hanno lavorato in silenzio per il bene della Patria e del Re. Ove possibile, gradirei avere una fotografia di V.M. con autografo, per sostituirla a quella che ho in ufficio e che è una riproduzione altra. Vostra Maestà vorrà benignarsi di accettare i sensi della mia profonda devozione e dedizione.
Capitano Aristide Tabasso
Via Leoncino 47 Verona”
Un commento del Tabasso, che ha tutta l’apparenza di riferirsi a questa sua lettera, dice: “Se vi sono personalità politiche desiderose di avere particolari, o per lo meno notizie sul carteggio, possono attendere con pazienza. L’ ex Sovrano Umberto II dovrà pure obbedire alla volontà paterna. Non è maturo il momento per rendere di dominio pubblico queste grandi verità . Così ha disposto il Sovrano scomparso”.
(a cura di) Cornelio Galas, Mussolini e il Garda – 12, Tele Vignole, 22 marzo 2016

Un’altra pagina del libro di Marco Tabasso, cit. Fonte: Fabrizio Mugnanini, art. cit.

Ma, in cuor suo, Tabasso era sorpreso nel costatare che in Italia albergasse una quinta colonna sovietica. Il fascismo dittatoriale aveva represso alla superficie. Ora, la quinta colonna comunista rivelava un’organizzazione che non poteva essere stata preparata nè a Regina Coeli nè in poco tempo. Un’organizzazione capillare che aveva richiesto anni di studi e di lavoro. Tutto questo mentre l’Italia era in guerra. Ripensò alla sua « missione » e la trovò ancora più inutile. Tabasso non credeva alle previsioni di Angiolillo. Una volta sistemate le cose, sarebbe stato molto difficile distruggere un’organizzazione del genere.
Gli altri avevano trovato comodo appoggiarsi a questa organizzazione attiva. Erano correnti che facevano capo ai partiti liberali, ai clericali, alle sette massoniche dei vari riti, ai repubblicani storici, ai democratici. Su tutto imperava il sistema comunista, la cui rete andava a finire nelle mani del Soviet Supremo. Gli americani distruggevano l’Italia in nome di Carlo Marx. Era il colmo! E tutti avevano trovato conveniente aggregarsi a quell’organizzazione.
Tabasso penetrò a fondo nel movimento clandestino. A Regina Coeli c’erano tanti gruppi. Gruppi che facevano capo all’avvocato Persico, al dottor Sorrentino, al giornalista Tomaso Smith del « Messaggero », a Trombetta del «Giornale d’Italia », al direttore di Cinecittà dottor Oliva, fratello dell’ammiraglio Oliva, e ad altri personaggi, accusati di spionaggio o di subdole attività: un certo dottor De Luca, medico, che aveva due figlioli nell’aeronautica americana, l’ingegnere Marcon di Fiume, Custis, Spotu, l’ingegnere Alessandro La Porta e l’ingegnere Olivetti, proprietario della nota industria di macchine per scrivere. Gente che indubbiamente non poteva soggiacere al sistema moscovita, ma che ad esso si era assoggettata per raggiungere i suoi scopi occulti.
Cosa volevano, in fondo, i « rossi »? Consegnare l’Italia vinta al Soviet Supremo? E perchè? Per ossequio alle concezioni comuniste del Manifesto di Marx ed ai principi di Lenin?
No. Perchè alcuni agenti moscoviti, pagati per questo, avevano avuto l’incarico di consegnare alla Russia Imperialista l’Italia vinta.
Sembrava assurdo a Tabasso che preti e massoni, personalità e uomini d’affari, potessero cadere così ingenuamente nella trappola tesa dagli agenti italiani al soldo di Mosca. Non era concepibile una ingenuità simile per uomini di larghe vedute. Ci doveva essere qualcosa d’altro.
Tabasso attribuiva la colpa sempre a quei misteriosi fili di Arianna, che egli ed Aloisi avrebbero dovuto sciogliere dai tempi dell’Africa, prima di accingersi a quella « missione » che, sotto certi aspetti, appariva ora infantile ed ingenua. Fin troppo.
Erano patriottismi proteiformi in cui entrava molto calcolo e poco sentimento.
Tabasso era certo che, prima o dopo, quella ragnatela si sarebbe dissolta. Avrebbe vinto il più forte od il più astuto. Ma sarebbe stata una vittoria di Pirro. L’Italia, giorno per giorno, veniva distrutta dai nemici di dentro e da quelli di fuori. Certe volte si era domandato cosa rappresentassero davvero quei personaggi.
Caduti dal piedistallo del divismo, creato dal popolo e sublimato dalla propaganda, si rivelavano piccoli uomini, senza carattere e senza volontà.
Piccoli uomini, legati ancora al mito da essi creato, al quale essi stessi avevano finito per credere. Grandi attori in costume, ormai fuori dalla scena e dall’alone dello spettacolo, quindi assurdi, grotteschi, che non potevano più far piangere nè ridere.
Ombre di se stessi, larve, tremanti fuori del guscio, che strisciavano al buio, sollecitando la pietà di chi li circondava e che non potevano curarsene, intenti ormai a creare un nuovo mito.
Tabasso visse le sue ore di prigionia accanto a Pareschi, Gottardi, Marinelli, Cianetti ed a tanti altri gerarchi che, ad un certo momento, avevano creduto davvero alla loro potenza ed al loro mito.
S’erano trovati a Regina Coeli senza sapere esattamente perchè. Avevano creduto ad un bluff. Eppure uomini che fino a ieri avevano ostentato dinanzi a loro ammirazione, rispetto reverenziale, ed anche servilismo, oggi si divertivano a trattarli come spie e traditori.
Non s’erano accorti che il loro piedistallo era di carta, che la ragnatela di Arianna lo aveva ammuffito, e che, al minimo movimento, sarebbe crollato. Oggi che si trovavano a Regina Coeli, apparivano ancora sorpresi e increduli.
Tabasso pensava che forse era meglio così.
Franco Tabasso, Op. cit.

Qualche mese dopo, in linea con il prevalere della tendenza ad una sostanziale continuità dello Stato, l’Allied Military Government, con deliberazione del 29 novembre, «considerato che i motivi per cui era stato istituito il Corpo di Polizia partigiana sono cessati», ordina che a partire dal 20 dicembre 1945 il Comando della Polizia partigiana, già dipendente dall’AMG, passi al questore Masiero <322. Il corpo viene rinominato Battaglione mobile guardie di P.S. della Questura di Verona e a comandarlo viene designato il capitano Aristide Tabasso, che appare comunque animato da ferme convinzioni antifasciste, come si desume da uno scambio di missive con Floriano Floriani, ex squadrista della “Disperata” di Furlotti, che il comandante invita, nel corso di un’indagine sui trascorsi del fascista e con un tono alieno dalle consuete formalità, a fidarsi della sua parola per tener fede alla quale aveva scontato undici mesi di prigionia sotto i tedeschi <323.
[NOTE]
322 Cfr. «Verona libera», 12 dicembre 1945.
323 Cfr. ASVr, Questura, A8 Radiati, b. Fi-Frac, fasc. “Floriani Floriano”.
Andrea Dilemmi, «Si inscriva, assicurando». Polizia e sorveglianza del dissenso politico (Verona, 1894-1963), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Verona, 2010

Aristide Tabasso, capo della polizia partigiana di Verona. La sua storia appare sui giornali e lui pubblicamente si rivolge ad Umberto II° di Savoia perché renda noto a tutti il contenuto del carteggio (pochi mesi dopo morirà in circostanze poco chiare). Successivamente abbiamo la testimonianza del figlio Franco che fu presente la sera in cui il padre aprì la valigia contenente quei scottanti documenti, e dove un giornalista tentò vanamente di convincerlo a lasciargli fotografare alcune carte, sotto compenso.
Dario Reinardi, Il carteggio Mussolini-Churchill, Basileus88, 1 novembre 2011

Circolano incerte notizie sulla morte di Biggini. Pare che sia difficile stabilire la verità giacché il povero Carlo Alberto, ultimo ministro dell’Educazione Nazionale della Repubblica, è stato costretto a morire in strettissimo incognito per evitare di essere sottoposto ad angherie magari durante l’agonia. […] Comunque, poiché quando morì Biggini era in incognito, da Padova fu condotto nel capoluogo lombardo il prof. Anti per effettuare il riconoscimento ufficiale della salma. Inoltre bisogna rilevare che, proprio prima di essere trasferito a Milano, il ministro Biggini, a quanto pare, si era premurato di affidare ai Padri francescani del Santo di Padova tutto il materiale che aveva trovato nelle casse da lui depositate presso il collegio Gonzaga di Milano [14]. Erano i documenti della Repubblica di Salò che egli voleva fossero conservati nella biblioteca del Santo. Tuttavia, come sottolinea anche Luciano Garibaldi, i bagagli di Biggini inviati al Gonzaga sempre per intercessione di padre Gemelli, poco dopo furono ampiamente saccheggiati da un esponente partigiano che si era installato in questura con il grado di vicequestore. Difatti, dopo la sua morte i padri del Santo di Padova trovarono le casse già manomesse e i documenti ivi contenuti erano spariti, né si sa ancora oggi che fine abbiano fatto, lasciando dietro di sé un inquietante alone di mistero [15].
[…] In effetti tutti gli indizi portano a concludere che, probabilmente, una copia del famigerato carteggio fu consegnata anche a Carlo Alberto Biggini, ma scomparve misteriosamente subito dopo insieme al personaggio in questione. In seguito furono avanzate due ipotesi suggestive secondo le quali questi preziosi documenti sarebbero finiti in Vaticano, oppure affidati al conte Vittorio Cini, che era un grande benefattore della basilica di Sant’Antonio di Padova [18]. Da allora in poi, comunque, vennero sguinzagliati numerosi agenti segreti ai quali fu affidato l’oneroso incarico di rinvenire questo carteggio segreto tra Churchill e Mussolini. Tra questi spiccano due figure interessanti, alludiamo all’agente segreto della Regia Marina italiana, Aristide Tabasso che, a partire dal 1945, in qualità di capo della Polizia partigiana di Verona, aveva iniziato a collaborare con il controspionaggio americano insieme all’agente speciale del Counter Intelligence Corps Sam Forman, con il quale provvide a setacciare in lungo e in largo il lago di Garda e l’intero Veneto. Alla fine, nel marzo del 1946, riuscì a rinvenire un’altra copia di questo epistolario che immediatamente fu portato presso la sede del C.I.C. di Verona in via Bezzecca 3, dove l’agente Forman procedette a fotografarlo e ad inviarlo negli Stati Uniti.
[NOTE]
[14] Tuttavia, dopo aver effettuato accurate ricerche nell’archivio della Provincia d’Italia dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fratel Gabriele Pomatto, ha riferito a chi scrive che, purtroppo, «non [è stato rinvenuto] alcuno scritto riguardante i documenti in oggetto [e] documentazione di tale passaggio» (Corrispondenza con l’autore dell’archivista della Provincia d’Italia dei Fratelli delle Scuole Cristiane, fratel Gabriele Pomatto, in data 4 ottobre 2005).
[15] Archivio della Curia Provinciale OFMConv Provincia Patavina – Sez. Vice postulazione, Testimonianza-intervista rilasciata nel 1964 dal Ministro Provinciale dell’Ordine dei Francescani Minori Conventuali della Provincia Patavina, P. Andrea Eccher al Prof. Giorgio Erminio Fantelli (1911-1975, a suo tempo partigiano nella brigata “Guido Negri”, nonché membro del direttivo della Federazione volontari della Libertà). Nel 1997 lo storico Giorgio Cavalleri ha svelato il nome del prete che, stando alle sue ricerche, avrebbe nascosto il carteggio Mussolini-Churchill, si tratterebbe dell’allora parroco di Gera Lario, un paesino alle porte di Como, don Carlo Gusmeroli (cfr. G. Cavalleri, Il custode del carteggio, Casale Monferrato, 1997). Secondo quanto riferì, infatti, nell’immediato dopoguerra la staffetta partigiana ‘Gianna’ (Giuseppina Tuissi), il suo compagno, il capitano ‘Neri’ (Luigi Canali), capo di stato maggiore della 52ª Brigata Garibaldi, subito dopo aver confiscato la borsa con i preziosi documenti a Mussolini, con la complicità del parroco don Carlo Gusmeroli, provvide ad occultarla sotto l’altare della chiesa di Gera Lario. Viceversa, stando alla testimonianza fornita dal partigiano ‘Bill’ (Urbano Lazzaro), la famigerata borsa di Mussolini contenente, tra le altre cose, anche il carteggio con il primo ministro britannico, fu affidata dal partigiano ‘Pedro’ (Pier Bellini delle Stelle), comandante della 52ª brigata partigiana, alla guardia di finanza Antonio Scappin – nome in codice ‘Carlo’ – con l’ordine perentorio di nascondere tutti quei documenti in luogo sicuro. Pertanto, il 3 o 4 maggio 1945, furono portati presso l’abitazione del parroco di Gera Lario, don Carlo Gusmeroli, dove Pedro, Bill e Scappin andarono ad esaminarli una decina di giorni dopo. La testimonianza rilasciata dal sacerdote risulta di un certo interesse, in quanto dichiarò che questi tre personaggi, appena si resero conto del contenuto di questi documenti, subito provvidero ad avvolgerli in un unico pacco portandolo via con loro. A quanto pare sembra che Pedro abbia affidato queste misteriose borse a Scappin con l’ordine di consegnarle al quartier generale del Comando generale del Corpo volontari della Libertà di Milano (cfr. L. Regolo, Il Re Signore: tutto il racconto della vita di Umberto di Savoia, terza e ultima parte, Simonelli Editore, Milano 1998). Tuttavia, mentre Scappin si stava accingendo ad eseguire l’incarico che gli era stato affidato, fu tempestivamente bloccato dal partigiano comunista Pietro Gatti (alias Michele Moretti) che, con un’arma spianata, gli ordinò l’immediata consegna di tutta la documentazione. Ad ogni modo è bene precisare che, almeno allo stato attuale delle ricerche, la vexata quaestio relativa a questo fantomatico carteggio tra il lider maximo del fascismo ed il primo ministro inglese Winston Churchill, si riducono soltanto a vaghi ‘si dice’, considerato che non c’è ancora un pronunciamento ufficiale da parte della comunità scientifica, in quanto non è stata prodotta ancora alcuna prova concreta a sostegno di questa tesi. Tuttavia, le allusioni di Mussolini nella sua ultima intervista che rilasciò a Cabella, farebbero propendere per questa ipotesi soprattutto allorché, indicando una grande borsa di cuoio, sostenne con una certa convinzione: «Ho qui delle tali prove di aver cercato con tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della Storia. […] Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno» (G.G. Cabella, L’ultima intervista a Benito Mussolini, in “Popolo di Alessandria”, 22 aprile 1945). Inoltre, per un maggior approfondimento in merito al contributo fornito dal clero patavino durante la resistenza, si rimanda ai seguenti saggi: G.E. Fantelli, La resistenza dei Cattolici nel Padovano, Federazione italiana volontari della liberta, Padova 1965; P. Gios, Resistenza, parrocchia e società nella diocesi di Padova (26 luglio 1943 – 2 maggio 1945), Venezia, 1981, pp. 232-285; Id., Un vescovo tra nazifascisti e partigiani. Mons. Carlo Agostini vescovo di Padova (25 luglio 1943-2 maggio 1945), Padova, 1986; Id., Il clero padovano durante la guerra e la lotta di liberazione, in “I cattolici e la resistenza nelle Venezie”, a cura di G. De Rosa, Bologna, 1997, pp. 17-123; S. Tramontin, La lotta partigiana nel Veneto e il contributo dei cattolici, Giunta regionale del Veneto, Venezia 1995, pp. 19-25 e V. Marangon, Il movimento cattolico padovano. Parte I (1875-1945), Centro Studi Ettore Luccini, Padova 1997, pp. 99-114; G. Lenci e G. Segato (a cura di), Padova nel 1943. Dalla crisi del regime fascista alla Resistenza, Il poligrafo, Padova 1996.
[18] P. Baima Bollone, Le ultime ore di Mussolini, Mondadori, cit.
Giovanni Preziosi, Carlo Alberto Biggini: il custode degli ultimi “segreti” di Mussolini. Dalla Basilica del Santo di Padova alla clinica milanese ‘San Camillo’ (26 luglio – 19 novembre 1945), Istituto Carlo Alberto Biggini, 1 giugno 2011