Gli sport motoristici rimarranno per tutto il Ventennio il fiore all’occhiello della politica sportiva fascista

Il movimento fascista palesò sin dai suoi esordi una particolare attenzione per la corporeità, intesa come rappresentazione di virilità e specchio delle virtù morali del cittadino-soldato, e per lo sport come strumento pedagogico per la formazione delle nuove generazioni. L’obiettivo di creare una nazione sportiva, ideologicamente intrisa dei valori fascisti e pronta a fornire valenti soldati alla Patria, spinse i vertici del movimento ad operare su differenti fronti: la definizione di un modello maschile dotato di requisiti fisici e morali ben definiti; la creazione di una rete di istituti pedagogici paralleli al sistema scolastico gestiti direttamente dal partito; il controllo capillare dell’associazionismo sportivo e delle federazioni; una campagna mediatica volta ad eccitare la passione delle masse verso lo sport e suoi campioni. Lando Ferretti [1895-1977], voce autorevole del giornalismo sportivo e futuro presidente del CONI, nel suo “Libro dello sport” (1928), tratteggia il manifesto programmatico della politica sportiva fascista e ne sintetizza il fine ultimo: “Lo sport è, per noi anzitutto e sopratutto, scuola di volontà che prepara al fascismo
i consapevoli cittadini della pace, gli eroici soldati della guerra. Se non avesse questo supremo valore etico di milizia e di religione al servizio della patria, lo sport sarebbe un volgare contorcimento di muscoli, o, al più uno svago di giovani in ozio. Ma l’educazione sportiva, con le sue gare, e specialmente, con le sue vigilie, non concede un attimo solo di sosta allo spirito che crea, esso stesso, la potenza dei muscoli e li tende vittoriosamente al traguardo [..] Prepararsi; affrontare la lotta; condurla cavallerescamente; morire per vincere, se è necessario, quando così comanda l’onore della bandiera: ecco tutto il ciclo dell’educazione sportiva e il fine supremo di essa”. <49
2.1 L’uomo fascista e la corporeità
Già dall’immediato dopoguerra il movimento dei Fasci aveva avviato una campagna celebrativa della virtus bellica degli ex combattenti; gli uomini che avevano affrontato la guerra con sprezzo della morte, usciti piagati e mutilati dalla battaglia, rappresentavano quel nobile insieme di integrità morale e capacità fisiche che tanto contribuì alla mitopoiesi dell’uomo nuovo fascista. Una delle figure centrali di questa costruzione identitaria furono sicuramente gli Arditi, i reduci dei Reparti d’Assalto, «laboratorio sperimentale di quella straordinaria trasformazione del corpo dei soldati, resa possibile da un’azione sinergica e combinata di tattica, psicologia e addestramento fisico»; <50 sulla scia di D’Annunzio, nei suoi discorsi apologetici Mussolini li paragonava alla giovinezza, altro mito fondante dell’ideologia fascista, proprio per il vitalismo che traspariva dal loro ruolo di assaltatori in costante slancio verso il fronte avversario. <51 Per il fiumanesimo e per il fascismo diciannovista la guerra rappresentò il momento fondante per la genesi di una sistema valoriale antitetico a quello proposto dal materialismo del mondo liberale; l’ardito temerario e pronto alla lotta era un vivo testimone da idolatrare, e allo stesso tempo il modello di uomo a cui tendere nella formazione dei corpi e delle coscienze delle future generazioni. Formazione che in assenza del cimento bellico doveva trovare compimento in attività surrogate, di tipo sportivo o paramilitare, ma anche nella partecipazione attiva (e spesso violenta) alla vita politica del paese; Mario Carli [1888-1935], una delle figure principali del gruppo dei futuristi milanesi insieme a F.T. Marinetti [1876-1944] e a Ferruccio Vecchi [1894-1957], dichiarò nel primo numero del settimanale L’Ardito che «la guerra è stata una (ahimè troppo rapida) scuola di coraggio» e proponeva ai giovani di continuarla con «sport, avventure, viaggi, intraprese». <52 Sarà poi proprio Vecchi a teorizzare l’idea di un arditismo civile, percorso ideale di formazione della gioventù incentrato sull’«ardito come super uomo sintesi della modernità, e perciò ideale guida spirituale nel rinnovare la società italiana». <53 Nel progetto del gruppo ardito-futurista milanese i giovani dovevano essere mantenuti in uno stato di costante attivazione fisica e intellettuale mediante esercitazioni di stampo paramilitare; essere dunque addestrati fisicamente e indottrinati ideologicamente, nel chiaro intento di creare una nazione in armi capace e ansiosa di raccogliere l’eredità della generazione delle trincee. Questa tendenza era del resto già presente in modelli pedagogici preesistenti, come quelli proposti dai fisiologi positivisti Angelo Mosso e Carlo Colombo, incentrati sullo sviluppo corporeo e caratteriale dei giovani mediante attività in ambiente naturale inquadrate in organizzazioni di stampo gerarchico. <54
Il fascismo diciannovista esasperò inoltre, proprio in virtù del suo legame con l’arditismo bellico, il culto del gesto estremo e spericolato, che si andò ben presto legando al mito della modernità tecnologica propugnato dal futurismo; automobilismo, motociclismo, e soprattutto i raid aeronautici sublimavano la costante sfida alla morte che caratterizzava l’esperienza bellica, celebrata nel motto ardito «A chi l’ignoto? A noi!». <55 Gli sport motoristici rimarranno per tutto il Ventennio il fiore all’occhiello della politica sportiva fascista; le parole con cui lo stesso Lando Ferretti, quasi dieci anni più tardi, ne elogerà la valenza pedagogica confermano il valore pubblicistico e formativo attribuito loro dal regime: “Ora, noi non conosciamo scuola della volontà e del coraggio più alta di quella costituita dall’esercizio degli sport meccanici. Motociclismo, motonautica, automobilismo, aviazione, abituano l’uomo al pericolo, alla lotta contro gli avversari e gli elementi, al dominio della materia, spesso sorda e ribelle ai richiami del pilota”. <56
Del resto anche l’immagine dell’uomo virile, audace e sportivo tratteggiata nei primi anni del dopoguerra intorno alla figura dell’Ardito non abbandonerà mai la propaganda del partito. Essa anzi troverà la sua massima espressione attraverso la studiata ostentazione della sportività e vigoria fisica del Duce; Mussolini sarà infatti la sintesi suprema dell’ideale di uomo nuovo fascista, capace di pilotare aeroplani, moto e macchine da corsa, nonché di tirare di scherma, nuotare, sciare e montare a cavallo.
“Il capo del fascismo [..] fu prontissimo a cogliere nello sport e nelle sue molteplici implicazioni e declinazioni di natura simbolica, propagandistica ed educativa [..]un efficacissimo stile di vita e di governo. Quella dello sport fu dunque una scoperta del Mussolini adulto, che vi si dedicò con impegno e studiata efficacia coreografica, così da diventare un esempio credibile per l’intera nazione, messa infatti nella condizione di poter apprezzare una diretta correlazione tra l’energia, il dinamismo e la vitalità dell’azione politica del nuovo governo e la prestanza fisica del suo attore principale”. <57
[NOTE]
49 L. Ferretti, Il libro dello sport, Libreria del Littorio, Roma-Milano, 1928, pp. 225-226
50 E. Landoni, Gli atleti del Duce. La politica sportiva del fascismo 1919-1939, Mimesi, Milano, 2016, p. 17
51 B. Mussolini, Agli arditi di Trieste, in «Il Popolo d’Italia», 25 dicembre 1918
52 M. Fincardi, Il futuro ardito. I progetti educativi del fascismo diciannovista, in «L’intellettuale militante. Scritti per Mario Isnenghi», Portogruaro, Nuova Dimensione, 2008, p. 115
53 Ivi, p. 117
54 B. Pisa, Crescere per la patria, Unicopoli, Milano, 2000
55 P. Nello, L’avanguardismo giovanile alle origini del fascismo, Laterza, Roma-Bari, 1978, pp. 17-20
56 L. Ferretti, Il libro dello sport, cit., p. 202-203
57 E. Landoni, Gli atleti del Duce, cit., p. 43
Matteo Formiconi, Gli atleti goliardi di Ca’ Foscari durante il ventennio fascista, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2019/2020