Gli studi si sono concentrati prevalentemente, in maniera separata, sulla storia del PCI o quella della sinistra extraparlamentare

Rispetto agli interrogativi posti dalla situazione nazionale, il caso padovano può fornire importanti contributi. Padova, infatti, è stata una tra le città più fortemente interessate del terrorismo, assistendo a quasi 1.500 atti di violenza (attentanti, aggressioni, rapine o devastazioni) nel periodo dal 1977 al 1982; circa il 10% degli atti violenti in tutta Italia <36. Questa straordinaria intensità del fenomeno è data da un’altra particolarità della città: in essa, la lotta armata è portata avanti da organizzazioni i cui militanti non sono clandestini, ma partecipano alla vita politica su due livelli, uno legale di dibattito politico e uno illegale di lotta armata. I militanti di PO [Potere Operaio], di Autonomia, dei CPV e del Fronte Combattente Comunista (Fcc) saranno presenti nella normale vita cittadina, soprattutto all’interno dell’università <37. Da questa decisione, politicamente motivata, derivava un contatto con “la massa”, e con altre organizzazioni politiche, che sarebbe stato impossibile per i gruppi terroristici clandestini come le Br o Pl <38. Il caso padovano, inoltre, si presenta come ricco di fonti. La città è infatti luogo di incontro di tre diverse esperienze: il Centro Studi Ettore Luccini (CSEL), che funge da archivio della sinistra tradizionale (PCI, PSI e CGIL); Radio Sherwood, con il suo archivio, Open Memory, che raccoglie le esperienze della sinistra extraparlamentare; e la “sorgente” di documenti che è stata il processo 7 aprile 1979. Quando in quell’anno il pubblico ministero Pietro Calogero spicca 22 mandati di arresto per «associazione sovversiva di banda armata» <39, iniziano una serie di processi che produrranno atti, testimonianze e ricostruzioni che difficilmente sarebbe stato possibile avere in altro modo <40.
Nonostante questa disponibilità di fonti, poca è la letteratura che affronta esplicitamente i problemi di cui sopra <41. Gli studi si sono concentrati prevalentemente, in maniera separata, sulla storia del PCI o quella della sinistra extraparlamentare, ma ciò non impedisce di trarre considerazioni utili per le domande di ricerca di questo lavoro.
Visti i suoi contributi per la storia di entrambe le organizzazioni, è necessario affrontare le posizioni di Alessandro Naccarato <42. Come visto sopra, egli tende a minimizzare i rapporti tra la sinistra tradizionale e quella extraparlamentare, mentre affronta la questione della violenza soprattutto in un’ottica criminalizzante <43. L’autore giustifica in maniera puntuale le sue argomentazioni, ma la sua metodologia può essere criticata per una serie di ragioni. In primo luogo, le fonti consultate sono esclusivamente di tipo processuale o documenti interni al PCI (soprattutto i verbali del comitato centrale e del comitato federale di Padova). Le fonti processuali, in particolare, non sono problematiche per la loro parzialità, quanto per il fatto che questa parzialità non è tenuta in considerazione da Naccarato. Senza nemmeno ricostruire il contesto di quelle sentenze, l’autore le usa come una verità storica intonsa <44. In secondo luogo, Naccarato tende a considerare le dichiarazioni politiche (comizi, bollettini, articoli sulle riviste di partito) come fatti storici che interessano tutti i membri del partito. Su questa linea, le dichiarazioni di Berlinguer per una «lotta attiva contro gli estremisti» vengono lette come una svolta per tutto il movimento. Al contrario, la debolezza di questi due punti sta proprio nella supposizione che le volontà della testa del partito coincidano con la sua base. Supposizione che è stata rifiutata dalla storiografia sul PCI <45. Infine, l’autore tende a valutare le posizioni dei gruppi eccessivamente ex-post. Il fatto che le relazioni tra sinistra tradizionale ed extraparlamentare si sviluppino sempre più come un contrasto aperto e combattuto non permette di trasportare questa relazione agli anni precedenti. Seguendo quanto sostiene Marco Scavino, i discorsi sulla lotta armata rischiano spesso di essere fuorvianti “nella misura in cui suggeriscono una periodizzazione del fenomeno tutta incentrata sulla nascita – già nel 1970 – delle prime formazioni armate (i Gruppi di azione partigiana, il Gruppo XXII ottobre, poco più tardi le prime Brigate rosse), enfatizzandone e dilatandone oltre misura il significato alla luce di scenari che in realtà si determinarono successivamente” <46.
Nonostante ciò, la rigorosa e approfondita esposizione di Naccarato permette al lettore – utilizzando la giusta distanza critica – di utilizzare i suoi studi come una solida base storiografica. Pratica che verrà spesso utilizzata in questo lavoro.
Si concentrano invece sull’estrema sinistra padovana Carlo Fumian, Michele Sartori <47 e Guglielmo Zaramella <48. I tre leggono l’esperienza della sinistra extraparlamentare secondo il concetto di «partito armato», sottolineando come PO, e i suoi eredi (AOO e i CPV), fossero, già a partire dal 1971, un punto nevralgico delle relazioni tra vari gruppi estremisti, da cui derivava un totale isolamento dalla sinistra tradizionale <49. L’utilizzo di fonti prevalentemente giudiziarie – anche se usate spesso in senso critico – porta gli autori a concentrarsi sui più alti gradi delle gerarchie, dedicando poco interesse ai militanti comuni che compivano atti di quotidiana violenza. Questo – unito all’idea, intrinseca nel concetto di «partito armato», che i suoi militanti appartenessero ad un universo di concetti politici diversi da quelli democratici – impedisce a queste ricerche di dare ragione dei vari tipi di militanza politica. Inoltre, se, come è stato visto, l’idea di «partito armato» può essere messa in crisi e la distanza tra sinistra tradizionale ed extraparlamentare può essere accorciata, sembra allora mancante uno studio che affronti le problematiche di questa ricerca sul caso padovano.
Vanno infine considerati i lavori, sulla sinistra extraparlamentare, prodotti dai suoi ex-membri o associazioni da essi derivate. Diversi sono i tentativi di ricostruzione storica da parte di ex-militanti sotto forma di libri che vogliono presentarsi come ibridi tra saggi storiografici e raccolte di memorie <50. Nonostante questi lavori possano raggiungere anche esiti importanti per la ricerca storiografica (come Archivio Autonomia), la scarsità di fonti con cui si confrontano e il non rispetto dei canoni scientifici storiografici impedisce di poterli considerare come letteratura critica sull’argomento. Perciò questi testi verranno considerati nel loro valore di fonti memoriali e/o biografiche.
In conclusione, questa analisi della letteratura ha mostrato come la ricerca storica abbia proposto diverse risposte alle domande di ricerca qui presenti. Nonostante ciò, la ricostruzione del dibattito tra storici ha evidenziato alcune lacune che richiedono maggiore ricerca. Nello specifico, appare necessario trattare in modo più organico i rapporti tra sinistra tradizionale ed extraparlamentare, sia nelle relazioni concrete tra i due gruppi, che nelle motivazioni individuali nello scegliere determinati percorsi. Concentrandosi sul caso locale di Padova – su cui, come s’è visto, queste domande devono ancora trovare risposta – questo lavoro si propone di realizzare in un ambiente circoscritto un progetto che, volendo essere esaustivo, andrebbe allargato a tutto il territorio nazionale, pur mantenendo la stessa profondità e seguendo la diversa composizione di organizzazioni che ne consegue.
[NOTE]
36 Naccarato, Violenze, eversione e terrorismo, p. 32.
37 Zaramella, Storia del Collettivi Politici Padovani, pp. 144-150.
38 Ventrone, Vogliamo tutto, p. 201.
39 Naccarato, Violenze, eversione e terrorismo, p. 15.
40 Sull’importanza delle fonti giudiziarie per studiare il terrorismo: Tamburino, Ricerca storica e fonti giudiziarie, p. 76.
41 L’unico caso è rappresentato dal lavoro di Naccarato Difendere la democrazia. Il Pci contro la lotta armata, dove, nonostante la scala di studio sia nazionale, sono diversi gli approfondimenti sul case study Padova.
42 Naccarato, Conquistare la libertà, organizzare la democrazia; Id., Violenze, eversione e terrorismo; Id., Difendere la democrazia; Id., Il Pci di fronte a magistratura e terrorismo.
43 Il suo unico lavoro sulla sinistra extraparlamentare è una raccolta delle sentenze contro Po, AOO e i CPV. Per quanto riguarda le possibili motivazioni, non sembra discostarsi da quella che era la linea ufficiale del PCI (di cui lui è stato un iscritto): i terroristi sono estremisti sovversivi che, a causa del loro isolamento dalle masse, hanno scelto la violenza come ultima disperata strada. Naccarato, Violenze, eversione e terrorismo, pp. 9-10.
44 Fumian nota come, nel confronto tra storici e magistrati su fonti comuni (proprio quelle riguardanti il terrorismo italiano), la differenza più significativa si trova nel modo in cui le due professioni ricostruiscono in maniera diversa il loro contesto circostante. Mentre gli storici si basano sulle fonti primarie e secondarie, i magistrati tendono ad appoggiarsi alla loro esperienza di vita. Fumian, Il problema dello Stato, p. 8. Ginzburg fa notare come sia proprio tutto ciò che precede il processo, ovvero le pre-comprensioni del giudice, a rendere la fonte giudiziaria significativa: «il processo, come si ricorderà, è stato definito da Luigi Ferrajoli “il solo caso di esperimento storiografico”. Il giudice che conduce l’interrogatorio degli imputati e dei testimoni si comporta come uno storico che mette a confronto, per analizzarli, documenti diversi. Ma i documenti (gli imputati, i testimoni) non parlano da soli. Come sottolineò più di mezzo secolo fa Lucien Febvre nella sua prolusione al College de France, per far parlare i documenti bisogna interrogarli, ponendo loro domande appropriate: “lo storico non si muove vagando a caso attraverso il passato, come uno straccivendolo a caccia di vecchiumi, ma parte con un disegno preciso in testa, con un problema da risolvere, un’ipotesi di lavoro da verificare”». (Ginzburg, Il giudice e lo storico, p. 32). È chiaro allora che, non criticando e nemmeno discutendo le posizioni preliminari dei giudici – ma anzi usando spesso solo le sentenze, senza gli atti – Naccarato le accetti implicitamente. Sullo stesso punto vd. Tamburini, Ricerca storica e fonti giudiziarie, p. 76.
45 Bacetti, Il Pci, una comunità di destino, p. 207-209; Lazar, Gli anni di piombo, p. 167. Palaia, La Cgil e il Pci, pp. 155-170.
46 Scavino, La piazza e la forza, p. 131, corsivo nostro.
47 Sartori, La cronaca, pp. 5-8; Fumian, La storia, pp. 187-198. Si è volutamente scelto di escludere La testimonianza di Calogero – nonostante essa sia contenuta nello stesso libro degli altri due lavori (Calogero – Fumian – Sartori, Terrore rosso) – poiché non rispetta i criteri di scientificità storiografica, trattandosi della trascrizione di un’intervista con Silvia Giralucci.
48 Zaramella, Storia dei Collettivi Politici Padovani.
49 Sartori, La cronaca, pp. 5-102; Fumian, La storia, pp. 167-198; Zaramella, Storia dei Collettivi Politici padovani, pp. 85-87; Ventura, Il problema storico del terrorismo italiano, pp. 3-30.
50 Despali – Despali, Storia dei collettivi politici veneti; Tagliapietra, L’autonomia operaia vicentina; Borio – Pozzi – Roggero, Gli operaisti; Falcioni – Zaghetto, Arcella n. 13.
Jacopo Valtulina, In nome del comunismo: le varie strade della sinistra giovanile a Padova negli anni ’60 e ’70, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Anno Accademico 2022-2023