Tentò anche di salvare dal capestro il patriota citato all’inizio del diario, Giovanni Girardini

Fra Benvenuto Grava, padre guardiano del Santuario di Motta di Livenza (TV) durante l’occupazione nazifascista. (AOFMMdL). Fonte: Davide Drusian, Op. cit. infra

Fra Benvenuto Grava, classe 1903, entrato a undici anni in collegio a Monselice e a sedici in noviziato a S. Pancrazio di Barbarano, nel 1920 emette la prima “professione” e nel 1925 professa solennemente a S. Bernardino in Verona. Il Cardinale La Fontaine lo ordina sacerdote il 21 luglio 1929 ai Tolentini di Venezia. Fatta eccezione per i sei anni trascorsi tra il convento di Lonigo e quello veneziano di San Francesco della Vigna, fra Benvenuto Grava spende la sua vita religiosa tra Gemona (dove morirà nel 1984) e Motta di Livenza, in qualità di insegnante e superiore <113. Durante il secondo conflitto mondiale è appunto guardiano della Basilica mottense e subisce, per mano tedesca, la triste sorte della prigionia.
Il ritrovamento inaspettato del suo diario, ricco di dettagli storici e aspetti umani finora ignorati, apre una pagina inedita sull’occupazione nazifascista a Motta di Livenza.
Un diario che parla di nazifascismo
La minuziosa descrizione dell’esercito tedesco che riga dopo riga viene fatta dal frate nel suo scritto racconta ancora una volta di che pasta fossero fatte le S.S. e quale metodologia applicassero nelle loro feroci rappresaglie e nei rastrellamenti continui su tutto il territorio, specie durante l’autunno e l’inverno
del ’44.
Dice con chiarezza di quei giorni Rino Favot ‘Sergio’, comandante della brigata unificata Garibaldi – Osoppo di pianura ‘Ippolito Nievo B’: “Certamente la funzione partigiana in pianura era difficile non solo perché si doveva aiutare le formazioni di montagna, ma perché si agiva in mezzo al nemico che si era rafforzato grandemente negli ultimi tempi. In effetti i reparti partigiani di pianura avevano continui scontri nelle varie località e dovevano inoltre subire dei ripetuti rastrellamenti che colpivano soprattutto le zone ritenute covi di gruppi partigiani.(…) Contemporaneamente i tedeschi irrobustivano le loro difese anche a vasto raggio. Nella destra del fiume Tagliamento, dal Ponte della Delizia fino a Motta di Livenza, i tedeschi avevano posto numerosi cartelli con la scritta ‘Achtung! Bandengebiet’ (Attenzione! Zona delle bande); le statali Pontebbana e Triestina erano percorse dalle macchine tedesche non più isolate ma in colonna con mitragliatrici appostate sulle prime; le linee ferroviarie Venezia-Udine, Casarsa-Motta di Livenza e Portogruaro, e Casarsa-Pinzano erano percorse da carrelli con pattuglie nemiche addette alla sorveglianza delle linee; intensa era la vigilanza delle linee telefoniche soprattutto dai pattuglioni del maresciallo Walter di Fiume Veneto <114.”
I nazifascisti si scatenano con azioni efferate contro i ribelli che ogni giorno intralciano le operazioni di guerra; la fastidiosa resistenza partigiana deve essere stroncata: questo è l’intento.
Nello scritto del frate vengono dipinti, di quell’esercito tedesco, sia gli ufficiali, satanici e cattivi, che i subalterni, giovani reclute che hanno ancora qualche sprazzo di bontà. Le loro divise, i loro armamenti, gli ordini e gli sguardi che li accompagnano, sono redatti con precisione. Un po’ meno corretti invece sono i nomi e cognomi degli invasori, riportati così come suonano all’orecchio.
Il francescano spiega anche in che modo i tedeschi dispongano le celle, riferisce delle improvvise adunate in cortile e non manca mai di specificare con che cosa i prigionieri vengano sfamati.
Inoltre i locali della caserma di Sacile intitolata allo scrittore triestino Scipio Slataper, patriota scrittore, granatiere morto durante la Prima guerra mondiale e insignito di medaglia d’argento al valor militare, trovano ampia descrizione <115. Degli interni e dei cortili dell’edificio, che ospita reparti di fanteria dell’esercito fino all’armistizio e un comando tedesco in seguito, vengono addirittura riportate le misure perimetrali.
Oltre a ciò nel diario emerge sovente l’arrovellarsi dei prigionieri sul loro destino e sul modo di ragionare dell’esercito invasore, tragicamente preciso e terribilmente matematico, che punta a ottenere ciò vuole. Se gli ingegneri sequestrati sono quattro, per avere un numero equo di prigionieri si deve moltiplicare per dieci. Se poi sono di più, meglio ancora. Ci saranno maggiori possibilità di scambio. E per imporre condizioni vantaggiose è bene che gli ostaggi siano altolocati, personaggi di spicco all’interno delle loro comunità, con ruoli di comando. Devono essere così in vista da convincere anche le brigate partigiane interventiste a non fare passi falsi, perché se muore un contadino non se ne accorge nessuno, lo piangeranno in venti, trenta, tra parenti e amici, poi la vita continua. Se invece vengono uccisi un sacerdote, un avvocato, un commendatore, la storia cambia.
Comunque di certo alcuni degli arrestati sono stati portati a Sacile su indicazioni precise, segnalati da chi, fascista o spia, conosceva bene il loro operato pro resistenza e anti regime. Il loro schierarsi non passa inosservato; queste scelte vengono memorizzate, e al momento opportuno riferite a chi di dovere, utilissime informazioni per sapere chi prelevare <116.
Alcuni dei preti arrestati sono noti nelle loro parrocchie proprio per questo. Si vocifera che monsignor Visintin, abate di Oderzo, non fosse diventato vescovo proprio per la sua opposizione alle idee del Duce. Risapute sono le sue riunioni in canonica coi capi partigiani opitergini <117. Il rettore del Collegio Brandolini, mentre il ‘suo’ istituto è divenuto accademia militare, spinge parecchi giovani allievi ufficiali a togliersi la divisa e darsi alla macchia. Il cappellano dell’ospedale di Motta nasconde e fa curare all’interno dei reparti i partigiani feriti <118. Don Gerardo Turrin, nella zona di Villotta, dà vita a un gruppo di patrioti osovani <119. Lo stesso padre Benvenuto si è recato al comando tedesco di Motta per offrirsi come prigioniero al posto di alcuni giovani, arrestati nei pressi della Basilica <120.
Anche la cattura dei civili non appare casuale. I loro nomi sono preceduti da vari titoli di studio. Avvocati, dottori, maestri: sono tutti individui noti in paese, che ricoprono cariche importanti. Ci sono pure esercenti, commercianti, professionisti, anche loro tutti conosciuti. I sentimenti e gli stati d’animo dei venti ostaggi benestanti e altolocati, nonostante il loro grado sociale, sono stesi sulla pagina senza tanti ripensamenti. Ciò che c’è da dire vien detto, e questo rende verace lo scritto. Certe sere l’ansia si tocca, alcune notti si sentono le lacrime, altri giorni la paura attanaglia. Quei signori, temuti e riveriti dal popolo, cedono allo sconforto, mettendo a nudo gli aspetti d’una fragilità umana che mai prima erano emersi, se non probabilmente alla presenza degli affetti più cari. Nel 1958 il maestro Angelo Buldrini, uno dei prigionieri, conferma le ansie e i timori avvertiti dal frate nel suo libro ‘Gli ostaggi’: “Eravamo come giocattoli in mano a ragazzi pericolosi, umiliati, svuotati, avviliti. Dov’erano le nostre vecchie glorie, le tante nostre vittorie? Eravamo il simbolo della miseria morale e materiale dell’Italia presente… Si dormiva sulla paglia, allineati e stretti, l’uno accanto all’altro, ma non tutti potevano dormire anche per il russare dei più fortunati <121.”
Anche i vescovi Vittorio D’Alessi e Giuseppe Zaffonato e la loro importante opera di mediazione hanno l’attenzione di padre Grava; e anche a don Giacobbe Nespolo <122 che coadiuva i vescovi nell’impresa e a cui tocca il lavoro più pericoloso, cioè far da tramite tra partigiani, alti prelati e S.S, viene dedicata qualche riga.
Sono pagine che spiegano bene il braccio di ferro tra un irremovibile comando tedesco e gli iperattivi esponenti del clero. Zaffonato è noto nella propria diocesi di Vittorio Veneto, e quindi anche al padre guardiano, per gestire scambi di prigionieri, intrattenere carteggi epistolari coi nazisti o addirittura presentarsi di persona nei vari Comandi per barattare vite sospese con altre vite dal futuro incerto. Tentò anche di salvare dal capestro il patriota citato all’inizio del diario, Giovanni Girardini, ma non fece in tempo a intervenire. Il giovane venne impiccato dai nazifascisti prima che si concludessero le trattative. Piero Sanchetti, patriota del battaglione Livenza, fratello d’anima di Girardini, suo compagno di studi universitari e di lotta, si presentò al castello vescovile per chiedere appunto al vescovo d’occuparsi della liberazione dell’amico detenuto nelle carceri di Oderzo. Nella cronaca ‘Il figliolo perduto’ descrive così il prelato: “Era il Vescovo di Vittorio Veneto un prete montanaro, don Giuseppe Zaffonato, appena consacrato e già in cattedra da sempre. Dall’alto della sua voce, che aveva timbri di caverna, e dei suoi scarponi, che portava ovunque, non era la prima volta che si imponeva ai tedeschi. Dalle asperità del suo aspetto, in armonia e insieme in contrasto con esso, tirava fuori certe unghiate d’intelligenza che trinciavano lontano. Uomo avvezzo a comandare, si imbatteva nell’istintivo rispetto di chiunque, e altrettanto abituato a parlare con tutti, sapeva perciò mutar di tono e d’abito mentale, a seconda. Il pensare di rivolgersi a lui era stata forse la cosa migliore. (…) Molto tempo dopo, venimmo a sapere che egli aveva organizzato e ben condotto molti di questi scambi, detti di vino, ed erano di uomini. Il vino non lo aveva naturalmente nelle sue cantine, ma sapeva dove andarlo a trovare <123.”
[NOTE]
113 AOFMMdL. Necrologio.
114 IFSML. Udine. Fondo diari e testimonianze. b. 4 test. 5. Anche in ACMdL. Cat. VI – busta 330.
115 A. Slataper Appunti per una storia di famiglia. Centro Studi Scipio Slataper, Trieste. 2019
116 G. Strasiotto, I quattro tedeschi scomparsi. Il Popolo (Pn) 12.8.2012: ‘Sicuramente a Villanova ma verosimilmente anche nelle altre località, alcune delle persone erano state indicate da collaboratori locali, come ci conferma oggi don Romualdo Baldissera, al tempo compagni di studi di don Matteo Visintin.’
117 G. Strasiotto ibidem.
118 G. Strasiotto ibidem.
119 G. Strasiotto ibidem.
120 G. Strasiotto ibidem.
121 A. Buldrini, Gli Ostaggi, 1958, riportato in: A. Floriani La Diocesi di Vittorio Veneto nella Resistenza (8 settembre 1943 – 30 aprile 1945), Editrice Tipse, 1977. Anche in O. Drusian, Il ‘Vescovo’ della Bassa Mons. Domenico Visintin abate di Oderzo, 2014.
122 Maria ‘Irma’ Rado (1936), Campobernardo (Tv), 30-7-2020
123 P. Sanchetti, Cronache, cit.
Davide Drusian, Il diario di fra Benvenuto Grava e altre testimonianze inedite sull’occupazione nazifascista a Motta di Livenza (TV), Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2021-2022