I partigiani dovettero sconfinare in Svizzera

Fonte: Associazione Banlieu cit. infra

La situazione richiede una iniziativa immediata e il Comando invia ‘AL’ [Vando Aldrovandi] e poi ’Ario’ [Mario Abbiezzi] per cercare di porre fine alla situazione. Quello che trovano è una situazione di sfiducia, snervata dall’attività bellica e dalle accuse infamanti, a causa del suo Comandante. L’11 novembre [1944] ‘Ario’ sottoscrive con Gastone un’accordo in cui il Comandante della [Brigata] Issel mostra di accettare il punto di vista del Comando e di rompere l’accordo coi tedeschi.
Il documento non cambia però la situazione nella zona, tanto che il 15 novembre interviene d’autorità la Delegazione per la Lombardia del Comando Generale delle Brigate Garibaldine, con una lettera inviata al Comando Raggruppamento in cui si chiede senza mezzi termini la condanna a morte dei responsabili, dovuta alla gravità del fatto. <193 Il Comandante Mina è delegato come esecutore dell’ordine, ma a causa del rastrellamento non può arrivare per il 20, data fissata per il disarmo e lo scioglimento della formazione. Si stabilisce allora di agire con le sole forze a disposizione nella zona. Dopo uno scontro rimangono nella zona Rossi e Renato, gli inviati del Comando. La notte stessa giunge Mina con gli altri uomini, ma ormai la Issel si è sciolta; egli resta allora in zona per tentare di riannodare i fili della lotta partigiana, mentre Gastone passa ad una aperta collaborazione con i Tedeschi.
Questa assoluta disgregazione delle forze partigiane durante il mese di ottobre e i primi di novembre non viene adeguatamente sottolineata dal Comando Regionale Lombardo, tende a sminuire l’importanza e la gravità della situazione creatasi in seguito al rastrellamento. Nella lettera del 18 ottobre si parla di “situazione in contrasto con le prime informazioni allarmistiche”, di qualche piccolo panico e di qualche sbandamento. <194
Dura è però la risposta della Delegazione stessa che da una posizione più lontana, formula una serie di critiche all’operato del Comando Raggruppamento, indicendo nella mancanza di appoggi e quindi di organizzazione, le cause della difficile situazione creatasi col rastrellamento: <195 “Non ci risulta dalle nostre informazioni che l’89^ abbia sviluppato quelle azioni di guerriglia, sabotaggio e disturbo che era in suo dovere fare per aiutare l’unità sorella in difficoltà; azione analoga doveva pure essere svolta dalla SAP. Ci risulta inoltre che i dati della 55^ che non hanno potuto seguire il grosso nel suo spostamento e son rimasti vicino a voi non sono stati sufficientemente aiutati anche materialmente”.
Tuttavia all’interno del Raggruppamento, si è già proceduto ad una autocritica sull’operato durante il rastrellamento. In una lettera del 16 ottobre al Comando della 1^ e 2^ Divisione si legge: <196
“L’intensificarsi delle nostre azioni, i numerosi colpi di mano effettuati, l’estendersi degli atti di sabotaggio contro ferrovie e vie di comunicazione, doveva indurre i Comandi a tenere presenti le immancabili reazioni che ne sarebbero derivati dall’avversario… La convinzione che il nemico non si sarebbe azzardato in simili azioni in zone aspre e montane, che si consideravano sotto il nostro unico controllo, ha fatto rinviare lo studio di questo problema. Se un piano difensivo fosse stato previsto molte manchevolezze non si sarebbero verificate, dannosi sbandamenti non avrebbero avuto luogo… Si ritiene doveroso rappresentare le gravi deficienze che si sono verificate:
1) Il servizio informazioni… non ha funzionato…
2) I collegamenti sono mancati in pieno… è venuta perciò a cessare in pieno la funzione coordinatrice del Comando…
3) anche l’avviamento e la segnalazione sono completamente mancati…
4) Assenza totale di posti di arresto sulle vie di più facile accesso…
5) Reparto mortai che venuto a mancare allo scopo…
6) Deposito viveri concentrato presso i rifugi, anziché convenientemente sparsi in tutta la zona in cui bisogna operare…
7) Non era stato previsto un piano difensivo, linee di ripiegamento, di raccolta…
8) Tranne che in alcuni reparti non ha certo brillato lo spirito combattivo…”.
Le critiche del Comando Raggruppamento sottolineano chiaramente le cause dello sbandamento conseguente al rastrellamento, ma sembrano critiche piuttosto esterne al suo operato, mentre in realtà molta parte di responsabilità ricadeva proprio sulle sue spalle. Infatti come si può parlare di scarso spirito combattivo in uomini rimasti completamente abbandonati a se stessi, poco o male armati e senza sostegno? In realtà la tanto decantata vigilia dell’insurrezione aveva provocato la mancanza di piani difensivi o il loro abbandono: si era passati all’attesa dell’attacco offensivo ed era scomparso l’aspetto di guerriglia.
La relazione continua con tutta una serie di disposizioni per la riorganizzazione di nuove forze: nuovi comandanti, nuovi commissari, elaborazione di tattiche difensive agili, riduzione del numero dei non armati, nuova considerazione dei piccoli nuclei, nuove unità e creazione di un Comando unico operativo con le Divisioni che fino ad allora erano rimaste al di fuori e cioè la Divisione Valtellina e la Divisione Giustizia e Libertà e delle Fiamme Verdi.
E nella lettera del 26 ottobre lo stesso Comando riprende questo punto: “Concetto operativo: si tratta in una guerra di pochi o male armati contro i molti muniti di mezzi e armi copiose. L’accettare un urto in queste condizioni significherebbe scomparire. Invece di una guerra bisogna usare la guerriglia.” <197
Contemporaneamente a queste autocritiche e alle nuove direttive in campo organizzativo, sono portate a termine dalle sostituzioni in vari Comandi, in particolare all’interno della 55^ Rosselli. La sostituzione è legata al caso Giumelli, un comandante di distaccamento della 1^ Divisione, il quale, entrato in contrasto con i capi della Divisione stessa, era stato mandato con i suoi uomini nella 2^ Divisione e si era messo in contatto con Mina, formando con lui una nuova Divisione. Da una relazione di fine ottobre/inizio novembre si apprende: “Arrivati alla sede del Comando della 1^ Divisione alle ore 12 del 30 ottobre, viene subito inviata una staffetta alla sede delle forze Mina Giumelli, con ordine di convocazione per i patrioti Bill (Com. della 90^) Mina, Giumelli, Spartaco, ( Com. della 55^), Gabri, Tom, Oreste, Piero (tutti della Rosselli) e Athos (uomo di fiducia di Giumelli). La riunione è fissata per la mattina dopo. Il pomeriggio viene passato interrogando il comandante Diego e il commissario Primo e gli altri ufficiali della 1^ Divisione. Viene redatto da un ordine di discussione, prospettando la soluzione di separare i due problemi e cioè:
1) il problema di Mina: che a Mina cioè venga riconosciuto un comando superiore, ma che la ‘Rosselli’ rientri nel quadro della 2^ Divisione. La sostituzione di Spa, dimostratosi troppe volte inetto, con Gabri.
2) il problema Giumelli: che il Giumelli possa entrare a far parte del Comando della 1^ Divisione come vice comandante, anche contro il parere di Diego e Primo.
Martedì 31 ottobre ci troviamo con tutti. Il primo problema viene subito risolto… L’interrogatorio del Giumelli ci fa capire che il dissidio con i Comandanti della 1^ divisione è insanabile; decidiamo allora di unire le forze del Giumelli alla Rosselli.” <198
La 2^ Divisione viene quindi rivoluzionata: fermo restando ‘Al’ come comandante di Divisione, Mina diventa Vice comandante di Divisione; al comando della 55^ passa Gabri, mentre Spartaco è la vittima dell’epurazione; Commissari di Divisione diventa Oreste, mentre Commissario di Brigata rimane Pietro.
In questa fluida situazione giunge il proclama di Alexander, indirizzato ai partigiani. È un invito a desistere, a smobilitare temporaneamente, in vista del duro inverno. La reazione a questo problema è immediata ed energica, per non dissolvere in pochi giorni tutti il faticoso ed intenso lavoro di mesi.
Il 3 dicembre il CLNAI prende posizione con un suo proclama condannando ogni posizione rinunciataria e di compromesso.
Anche per tutto il mese di novembre la lotta partigiana si svolge su una linea prevalentemente difensiva; Morandi, infatti, nella sua cronologia delle azioni effettuate, ne segnala solamente 27,condotte prevalentemente dalla 40^ Brigata Matteotti. Alla fine di novembre altri colpi vengono inferti alla già traballante struttura militare partigiana: il 27 novembre le forze nemiche passano all’attacco nelle valli a nord della Valtellina per disperdere i gruppi ivi rifugiatosi una seconda volta. Intorno a questi avvenimenti si può avere una chiara visione dal rapporto manoscritto del Comandante della Rosselli inviato in seguito al Comando Raggruppamento: <199
“La presenza di presidi nemici nelle nostre basi di rifornimento, la povertà dei paesi inverosimilmente sfruttati dai nazi-fascisti anche a scopo di rappresaglia, il freddo tanto più intenso in quanto eravamo accantonati sulle pendici nord del Legnone, le recenti abbondanti nevicate, il nostro equipaggiamento deficiente, il continuo afflusso di notevoli forze nemiche a Colico e a Morbegno determinano il Comando di Divisione a trasferire la formazione sulla destra idrografica della Valtellina. Nel frattempo il distaccamento Minonzio aveva ricevuto ed eseguito l’ordine di raggiungere la zona L; i dti. Fogagnolo e Casiraghi erano ancora in Bergamasca. La notte del 23/11 ci dislocammo nella zona montana compresa tra Dubino e Trona. Dal Comando Divisione fummo informati che il nemico avrebbe effettuato quanto prima un rastrellamento in forze contro di noi. Per continuare efficacemente la guerriglia ad alleggerire la eventuale pressione nemica, inviammo sulla sinistra dell’Adda quattro squadre d’assalto. La mattina del 27/11 il nemico bloccò i ponti e le passerelle dell’Adda con autoblinde, mitragliere mitragliatrici, aprendo subito il fuoco sugli accantonamenti nostri… Tutte le informazioni facendo prevedere un attacco generale al quale, date le condizioni del terreno e i mezzi a disposizione, non avremmo potuto opporci. I Comuni di Divisione e di Brigata decisero allora di trasferire le formazioni in Val Codera. Senza viveri, male equipaggiati, stanchi per le fatiche notevoli cui eravamo stati sottoposti fin dai primi di ottobre, gli uomini affrontarono una marcia forzata di molte ore in mezzo alla neve. Il pomeriggio del 28 la formazione giunse in Val Codera. Pattuglie inviate in esplorazione informarono che le forze nemiche stavano affluendo a Novate Mezzola bloccando la valle. Non sapevamo come risolvere il problema vettovagliamento, dato che il paese di Codera, poverissimo, non poteva sopperire alle nostre esigenze. Il giorno 30 una corveè inviata a Novate Mezzola fu sorpresa dal nemico, riuscendo tuttavia a tornare senza perdite ma anche senza viveri. La sera dello stesso giorno, elementi della 1^ Divisione ci informano che il nemico aveva attaccato in forze la loro unità, costringendola a ritirarsi in direzione Val Codera, attraverso la Val Masino. Era ormai evidente che i nazi-fascisti, provenendo dalla Valle S. Martino e dalla Val Chiavenna con forze e armamento preponderante, ci avrebbero attaccati il giorno seguente con esito indubbio. I Comandi, esaminata attentamente e freddamente la situazione, decisero allora di sconfinare in Svizzera al fine di evitare l’annientamento totale della formazione. Il passaggio del confine avvenne la notte del 30 attraverso il passo della Teggiola.”
Lo stesso Gabri dirà poi: <200 “Questi ragazzi, uno dietro l’altro in fila indiana, che passavano lenti, carichi delle loro armi e dei loro stracci, si avviavano verso il passo della Teggiola, verso la vita. Lasciammo una squadra comandata dal povero Lupo perché andasse ad avvisare i partigiani che erano rimasti sul Legnone con Mina (il quale era però in Val Taleggio) di quello che eravamo costretti a fare.”
Più avanti continua: “Le guardie ci disarmarono; ci piangeva il cuore a lasciare quelle armi che ci eravamo procurati con tante fatiche, e ci lasciarono nel bosco e sulla neve, senza darci un tetto e qualcosa di caldo da ristorarci. Alle ore 20 ci portarono a Bondo, dove, verso le 22 ci diedero un the… Il giorno dopo alle 8 partiamo a piedi per Samaden da dove incominciò la vita di internato. Qui disinfezione generale. Al mattino dopo si parte per Olten; altra disinfezione, poi in treno fino a Schonewerd. Qui la permanenza dura 52 giorni. Di qui gli ufficiali a Murren e i partigiani a Elgg in parte, in parte a Fischentall: comandanti dei due campi Al e Nicola.”
Nei campi di concentramento la vita viene rapidamente organizzata e, come testimonia Vitalino Villa, “i partigiani cercavano in ogni modo di uscire dalla Svizzera, diventavano trepidanti nel desiderio di tornare a unirsi ai pochissimi che erano rimasti in Valtellina. Si sorteggiavano quelli che dovevano partire a ogni mattino si scopriva che qualcuno mancava: partiti di notte.”
Tuttavia le trattative con le autorità elvetiche per stipulare un preciso accordo onde permettere il rientro scaglionato di battaglioni e reparti, vanno per le lunghe, e sarà così che solo tra marzo e aprile i comandanti partigiani potranno rientrare clandestinamente in Italia. Le responsabilità di questo ulteriore sbandamento, che rasenta il disfacimento, sono ancora da ascrivere non solo alla situazione oggettiva del rastrellamento, ma anche all’atteggiamento del Comando Raggruppamento: da un lato per la mancanza di direttive, che porta allo sconfinamento in Svizzera, dall’altro per la mancanza di collegamenti con le altre formazioni.
Il rastrellamento ha infatti bloccato completamente le normali vie di comunicazione partigiana e ancora il 4 dicembre il Comando Raggruppamento non è a conoscenza del passaggio di buona parte della 1^ e 2^ Divisione in Svizzera. Nella comunicazione a Mina si afferma infatti: “Siamo informati che nella Val Masino il nemico, dopo aver bruciato gli stabilimenti di Masino bagni, si è ritirato ed ora presidia i paesi a fondovalle… pensiamo di prendere contatto con la 2^ Divisione e la 55^ Rosselli”. <201
Solo il 13 dicembre si comunica: “Siamo perfettamente al corrente che patrioti della 1^ Divisione sono stati costretti ad entrare in Svizzera e stiamo prendendo contatto per il loro ritorno” <202.
Alla fine di novembre si chiude il periodo più funesto per la resistenza lecchese: le strutture delle formazioni sono crollate, molti partigiani sono caduti, morti in imboscate o fucilati, molti sono prigionieri.
Queste le cifre riportate da Francesco Magni nella sua cronistoria: 130 morti ( compresi i civili ), 700 abitazioni distrutte (alberghi, rifugi, case, baite ), 550 deportati (compresi i civili ). <203
[NOTE]
193 Lettera della Delegazione Lombarda al Comando Ragg., 15/11/44, Archivio Guzzi, 6^ vetrina, sotto, 3^ fila, 3° fascicolo, 15° foglio
194 Relazione del Comando Raggruppamento Divisionale alla Delegazione Lombarda, 18/10/44, Archivio Guzzi, 6^ vetrina, sotto, 2^ fila, 3° fascicolo, 13° foglio
195 Lettera della Delegazione al Comando Ragg., 24/10/44, Archivio Guzzi, 6^ vetrina, sotto, 3^fila, 3° fascicolo, 10° foglio
196 Lettera del Com. Ragg:, al Comando 1^ e 2^ Div., 16/!0/44, Archivio Guzzi, 5^ vetrina, sotto,1^ fila, 4° fascicolo, 11° foglio
197 Lettera del Comando Ragg. Alle formazioni dipendenti, 28/10/44, Archivio Guzzi, 5^vetrina,sotto, 1^ fila, 4° fasc., 13° foglio
198 Relazione di Odo, senza data, documenti della Resistenza Valtellinese.
199 Lettera di Gabri e Redi al Comando Ragg., senza data, Archivio Guzzi, 5^ vetrina, parte superiore
200 Francesco Magni, 55^ Brigata d’assalto garibaldina ‘Fratelli Rosselli’, appunti storici inediti, Archivio Guzzi, presso il Museo Storico di Lecco, pag.33-34
201 Comunicazione del Comando Raggruppamento a Mina, 4/12/44, Archivio Guzzi, 5^ vetrina,sotto, 4^ fila, 3° fascicolo, 70° foglio
202 Comunicazione del Comando Raggruppamento a Mina, 13/12/44, Archivio Guzzi, 5^ vetrina,sotto, 4^ fila, 3° fascicolo, 80° foglio
203 Francesco Magni, op. cit. pag.35
Marisa Castagna, La Resistenza politico-militare sulla sponda orientale del Lario e nella Brianza Lecchese, Tesi di Laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Anno Accademico 1974-1975, qui ripresa da Associazione Culturale Banlieu