Il nome di Sogno spesso legato a storie di trame e misteri

Milano: Via Francesco Melzi d’Eril

Per capire meglio l’impostazione politico-operativa data a quest’altro tentativo [I Comitati di Resistenza Democratica di Edgardo Sogno] di raggruppare l’inafferrabile maggioranza silenziosa in funzione anticomunista, e contro o al di là del sistema politico italiano degli anni ’70, va ripercorsa in breve la biografia del personaggio che ne fu l’artefice. Edgardo Sogno Rata del Vallino, torinese di discendenza nobile, nacque nel 1915. Divenne ufficiale di cavalleria e frequentatore degli ambienti liberali fedeli a Casa Savoia. Questa fedeltà monarchica, diceva, lo mantenne immune dall’influenza fascista, sostenendo che durante il regime il re rappresentava ancora lo Stato al di sopra della politica, così come facevano i corpi a lui direttamente collegati (i Carabinieri Reali, la Guardia di Finanza ecc.) <316. Tuttavia decise di arruolarsi come volontario per la Guerra di Spagna con il Corpo Truppe Volontarie a fianco dei nazionalisti, giustificando anni dopo la sua scelta come frutto dello spirito di avventura e come difesa della «Civiltà europea», minacciata da una probabile vittoria comunista nel campo repubblicano <317. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale partecipò a cospirazioni di corte per rovesciare Mussolini, ma nel frattempo per le ragioni di cui sopra, chiedeva di partire per il fronte russo <318. Ciò non accadde e dopo l’8 Settembre 1943 fu impegnato attivamente nella Resistenza compiendo missioni che gli conferirono grande prestigio. Lui si autodefiniva come uomo impulsivo e d’azione contrapponendosi all’attendismo di molti suoi amici liberali <319. Si mise a capo di una formazione partigiana, la “Franchi”, che fungeva da organizzazione di collegamento con i servizi segreti alleati. In essa militavano personaggi di diverso colore politico, anche di sinistra. Riceveva finanziamenti da diversi grandi industriali tra cui dirigenti della FIAT e della Pirelli. In seguito affermò che il suo più grande errore durante quel periodo era stato proprio la collaborazione con i comunisti che credeva cambiati dall’esperienza della Resistenza, divenuti democratici. Disse di essersi accorto dello sbaglio alla fine della guerra, comprendendo che il loro vero obiettivo era la rivoluzione <320. A sua detta l’assenza del suo nome, protagonista di primo piano e medaglia d’oro, dai libri è colpa della storiografia italiana che avrebbe imposto una visione dove «la resistenza o è comunista, o è filocomunista, o non è» <321.
Sogno si batté nel 1946 per la monarchia fra le file del PLI, ma era in urto con il partito per la caduta del governo Parri nel 1945 e per la linea politica che accusava di mascherare interessi di categoria di una élite di ricchi, perdendo la possibilità di egemonizzare lo schieramento moderato, operazione riuscita invece alla Democrazia Cristiana. Del resto lo stesso Benedetto Croce definì quello liberale come un partito d’élite con già troppa gente, in occasione della possibile alleanza richiesta dal Fronte dell’Uomo Qualunque di Giannini <322.
Nel dopoguerra ebbe anche un giornale “Il Corriere Lombardo”, che si chiamava originariamente “Il Giornale Lombardo”, ed era stato organizzato come altri dal “Psicological Warfare Bureau” alleato. Lui lo comprò grazie a diversi milioni dategli da Rizzoli, Edison, FIAT, Snia e Montecatini fra gli altri <323, dimostrando una grande capacità, anche grazie alle sue amicizie influenti, nel raccogliere finanziamenti. Il suo giornale, al quale collaboravano anche ex repubblichini, non attaccava i comunisti: “Eravamo ancora sotto ipnosi, vittime della malia. Mi sono svegliato più tardi, nel ’47, ’48, quando mi accorsi che Hitler era morto, e Stalin c’era ancora. […] Eravamo vittime di una follia; vivevamo nel regno dell’irrazionale: da una parte c’erano un partito rivoluzionario, la cospirazione internazionale, gli assassini di Mosca; dall’altra stavano avversari paradossalmente preoccupati di fare qualcosa che potesse essere interpretato come limitazione della loro libertà”. <324
Deluso dall’ambiente politico anticomunista Sogno iniziò la carriera diplomatica, lavorando dal 1949 all’ambasciata italiana a Parigi, dove ebbe modo di vedere, rare volte, De Gaulle che divenne il suo modello. Già da allora però cominciò delle attività più o meno coperte, che hanno fatto sì che il suo nome sia stato spesso legato a storie di trame e misteri. Nel suo libro-intervista affermava ad esempio di avere tentato, su incarico di Mario Scelba, di organizzare una struttura «che lui intendeva chiamare Difesa civile, in modo da farne il cervello dell’anticomunismo di stato». L’idea avrebbe portato al progetto degli “Atlantici d’Italia”, un gruppo di volontari che in caso di occupazione sovietica (o di insurrezione comunista) si sarebbero ritirati in Sardegna facendola diventare «la nostra Formosa». Dovevano essere anticomunisti «di totale affidabilità, e quindi non ex azionisti, ma neppure fascisti», reclutati dai contatti stabiliti, a detta di Sogno, dal Ministro degli Esteri Carlo Sforza «su ispirazione americana e con l’aiuto di collaboratori come Pirzio Biroli». Proprio Mario Scelba però, nel corso delle inchieste su “Gladio” ha negato tutto <325.
All’inizio l’ex partigiano si trovò soddisfatto dell’impegno dei funzionari statali contro il comunismo ma poi cominciò a maturare una ostilità personale per Scelba, e politica per la Democrazia Cristiana che riteneva più impegnata in un “anticomunismo di partito” che alla costruzione di un più ampio fronte per combattere i rossi. Così dopo aver seguito un corso sulla propaganda e la difesa psicologica al “NATO Defence College” di Parigi nel 1952, tornò in Italia per dare vita ad una massiccia campagna anticomunista. Con una associazione, “Pace e Libertà”, una rivista e molti manifesti; una campagna «seria, non come quella del “Candido”, che parlava ai borghesi già convinti». Affermava che riuscì prima a farsi dare molti milioni da Valletta e da un altro ristretto gruppo della Confindustria, che però “chiuse il rubinetto” nel 1956 a causa di pressioni politiche democristiane, secondo Sogno, perché lo scandalo Ingic sulla riscossione delle imposte che coinvolgeva il sindaco comunista di Perugia (ed era stato perciò pubblicizzato dal gruppo dell’ex partigiano) finì per coinvolgere anche ambienti governativi <326. Chiese, ed ottenne dopo qualche tempo, soldi direttamente alla CIA, ad Allen Dulles che durante la guerra gli era stato presentato da McCaffery, ufficiale dell’intelligence inglese con la quale aveva collaborato come ufficiale in servizio regolare su incarico del Comando supremo italiano di Brindisi. Arrivarono fino allo scioglimento di “Pace e libertà” nel 1958.
Dopo la repressione sovietica della rivolta ungherese Sogno fu sul confine austriaco con il paese socialista insieme ad altri agenti occidentali «nella prospettiva di alimentare dal territorio austriaco la resistenza nelle zone montuose», dicendo che francesi e americani avrebbero portato armi e viveri mentre lui delle ricetrasmittenti. Interrogato sull’inutilità e la strumentalità di una simile azione, Sogno rispondeva: «La distensione doveva essere minata e distrutta con ogni mezzo possibile, perché era lo strumento principale di anestesia e paralisi dell’Occidente e delle sue capacità di reazione» <327. Dal 1959 tornò alla carriera diplomatica e fino al 1967 fu in America, prima console generale a Filadelfia, poi consigliere d’ambasciata a Washington. Ricordava: «per le sinistra italiana l’America era la sentina di ogni male. Io vi trovai la più completa realizzazione di democrazia reale possibile allo stadio evolutivo della nostra epoca», e sulla guerra in Vietnam era «solidale al cento per cento con la posizione americana, in polemica costante con i nostri dirigenti democristiani» <328. Definiva Moro un sinistroide antiamericano, Fanfani per motivi simili avrebbe ostacolato la sua carriera diplomatica. Fu in seguito ambasciatore a Rangoon, ma volle poi rientrare in Italia. «Non si può essere buoni ambasciatori di un governo da cui si dissente in modo radicale, di una repubblica in cui non ci si riconosce più. Alla fine del ’69 chiesi l’aspettativa per tornare in Italia e fare politica.» <329.
Il frutto di questo ritorno fu nel 1971 il “Comitato di Resistenza Democratica” che doveva poi dare vita ad una rete di comitati locali. Era concepito principalmente come un gruppo di pressione, che si rivolgeva a quanti all’interno del PSI, del PRI, del PSDI, della DC e del PLI si opponevano ad accordi con i partiti «antidemocratici» PCI, PSIUP, PDIUM e MSI. Perciò gran parte delle azioni era prevista per le elezioni politiche del 1973 <330.
Si trattava anche di definire il proprio posizionamento fra le altre esperienze di organizzazione delle forze moderate. Presto il CRD milanese fece ad esempio sapere di non voler essere assimilato «alla cosiddetta maggioranza silenziosa alleata dei neofascisti», dichiarandosi pronto a ricorrere alle vie legali contro chi lo avesse accusato di un qualche coinvolgimento (in realtà come si è visto, una parte di quelle persone confluirono nel comitato). L’accoglienza presso i partiti non fu neanche facile, il PSI parlò di «chiara intonazione qualunquista e neo-gaullista». La DC ci tenne a ripetere a «questa nuova edizione della “maggioranza silenziosa”» che «mentre l’anticomunismo viscerale porta fatalmente al fascismo una posizione di antifascismo non è necessariamente identificabile con il filocomunismo». Apprezzamenti vennero invece dai giovani liberali e dai socialdemocratici <331, tuttavia ci sono da rilevare le parole di Valerio Zanone, futuro segretario del PLI, che diceva di aver sentito perplessità fra molti del suo partito: «in particolare, vi è un diffuso timore che il CRD segua il destino delle varie “maggioranze silenziose” che nei mesi scorsi hanno tentato di uscire dal silenzio, e il dubbio mi sembra alimentato anche dai riferimenti al modello gollista e dagli accenni a riforme istituzionali che occorre, a mio avviso, accuratamente precisare.» <332. Ma non per questo il progetto andava rifiutato a priori, sebbene avesse «un eccesso di buone intenzioni rispetto alle concrete possibilità d’intervento[…] non mi pare che le velleità del CRD siano le più condannabili fra le tante che oggi caratterizzano quello che nei documenti di “Rinnovamento” è definito il “tramonto della Prima Repubblica”» <333. Così come Zanone, che dopo un iniziale disaccordo partecipò in seguito ad alcune riunioni del comitato torinese, difese Sogno e la sua «sicura fede democratica» dagli attacchi della stampa, parlando di un anticomunismo che non bisognava lasciare ad altri: «La “maggioranza” reazionaria non è più silenziosa e i rapporti dei prefetti parlano chiaro sulle future prospettive elettorali del MSI» <334. L’organizzazione prese corpo in due riunioni nel 1970, una in casa di Sogno a Torino e l’altra a Biumo in provincia di Varese, alle quali parteciparono diversi ex partigiani della “Franchi” e altri comandanti partigiani, liberali e l’ex comunista Roberto Dotti, che ne diventò il primo segretario organizzativo. Le prime notizie pubbliche si ebbero fra l’estate e l’autunno 1971, come testimoniato da alcune lettere <335, e poi da una polemica scoppiata per un articolo su “L’Espresso firmato” da Franco Antonicelli, partigiano ex liberale e ora eletto con il PCI, «da lui viene il più forte attacco[…] contro l’ultima iniziativa di Sogno. Naturalmente nel nome della Resistenza, che secondo Antonicelli si identifica nella sua parte politica» <336. Alla base una idea di tipo degasperiano di riunire i partiti di centro contro gli opposti estremismi <337. Tuttavia pare, a detta di Sogno, che fin dall’inizio «la maggioranza [dei partecipanti alle riunioni] decise con me di considerare anche l’azione per abbattere il regime» <338. Ciò complica il modo di raccontare la storia dei comitati e soprattutto complica una valutazione corretta della loro natura.
[NOTE]
316 E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Milano, Mondadori, 2000, p.15
317 Ivi, p.20
318 Ivi, p.35
319 Ivi, pp.52-54
320 Ivi, pp.59-60 e 39-40
321 Ivi, p.64
322 Ivi, pp.70-71; S. Setta, L’Uomo Qualunque. 1944-1948, Roma-Bari, Laterza, 1975, p.93
323 Ivi, p.85
324 Ivi, pp.88-89
325 Ivi, pp.91-93
326 Ivi, pp.96-97
327 Ivi, pp.112-113
328 Ivi, pp.118-119
329 Ivi, p.123
330 Comunicazione prefettura Milano 14/6/1971, in f. G5/12/135, ACS, Min. Int., Dip. PS, associazioni 1944-1986
331 Comunicazione questura Milano 25/9/1971, in f. G5/12/135, cit.
332 Lettera di V. Zanone a E. Sogno 24 Settembre 1971, in f. UA29, Fondazione Luigi Einaudi per studi di politica ed economia, Fondo Valerio Zanone, subfondo Carte del Partito Liberale, serie 1 Gioventù Liberale, Rinnovamento, Consiglio regionale del Piemonte
333 Lettera di V. Zanone a Catterina Brunicardi Biressi 20 Ottobre 1971, in ivi
334 Lettera di V. Zanone al direttore de La Stampa Alberto Ronchey 8 Novembre 1971, in f. UA29, cit.
335 Lettera di V. Zanone a Catterina Brunicardi Biressi 20 Ottobre 1971, cit.
336 Il Triangolo del lavoro e delle idee, a.III n.9, Settembre 1971, p.24
337 Comunicazione questura Milano 25/9/1971, in f. G5/12/135, cit.; E. Sogno, A. Cazzullo, Testamento di un anticomunista, cit., pp.125-126
Alberto Libero Pirro, La “maggioranza silenziosa” nel decennio ’70 fra anticomunismo e antipolitica, Tesi di Laurea Magistrale, Università degli Studi di Roma – La Sapienza, Anno Accademico 2013-2014