Da gennaio 1944 la situazione in provincia di La Spezia si inasprì

La Spezia. Fonte: Mapio.net

Alla Spezia il Partito Fascista Repubblicano si costituì il 25 Settembre 1943, attorno a una guida “tripartitica” composta da Augusto Bertozzi <107, eletto commissario federale, Gioacchino Porra <108 e Domenico De Barbieri <109. Si trattava di fascisti che non avevano mai ricoperto ruoli di prestigio durante il ventennio, difatti verranno considerati i responsabili della lentezza dell’evoluzione politica, poiché non avevano ascendenza sulle masse. Questa mancanza di autorità e prestigio delle alte cariche statali e la mancanza di una chiarezza nei rapporti coi tedeschi favorirono in provincia il fenomeno dell’“attendismo”, cioè il rimanere a guardare senza prendere una decisione politica. Infatti alla data 23 novembre del 1943, l’adesione al Partito Fascista Repubblicano aveva raggiunto quota 2276 iscritti, proveniente da ogni ceto sociale, un numero piuttosto esiguo se si confronta con il numero della popolazione in Provincia <110.
Un problema che afflisse il capo della provincia, che da ottobre era diventato Francesco “Franz” Turchi <111, fu la renitenza alla leva e lo sbandamento. Al 13 dicembre 1943, gli iscritti alla leva nella città della Spezia erano 697, di cui si presentarono alle armi per chiamata solo 50 (di cui 36 si presentarono per chiamata e 15 furono fermati e accompagnati al distretto militare dai militari dell’arma dei carabinieri), gli arruolati in marina furono invece 168, gli arruolati nella MVSN 78. Chi non si presentò risultava sfollato negli altri comuni <112. La situazione però risultò più chiara il 18 dicembre. Quando il prefetto comunicò al distretto militare di Apuania i dati degli arruolamenti delle classi 23-24-25, dove è riportato che sui 1664 iscritti alle liste se ne presentarono 288, che in 15 sono arruolati in altre armi, che gli esonerati furono 90 e i non presentati furono il numero impietoso di 1249 <113. Il numero poi calerà a 948 visto gli arruolati volontari nella X° MAS nella Legione MVSN, e nella legione Milmart. La situazione è confusa, oltre alla renitenza e allo sbandamento, si ebbe anche una “poca chiarezza” e uno smembramento degli apparati statali: difatti le sedi adibite per la chiamata alla leva e gli uffici militari provinciali, per lo più inagibili, non riuscirono a comunicare. Da alcuni studi locali, possiamo comunque attestare che gli arruolamenti delle classi ’23-’24-’25 non superarono il 17% nel 1943 per poi migliorare nel ’44 arrivando a un 34% <114. Bisogna ricordare anche che molti ragazzi preferirono rimanere vicini ai propri famigliari, iscrivendosi al PFR e facendo parte delle organizzazioni fasciste.
Ci furono in questo primo periodo molte adesioni alla Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), che non fu, almeno in provincia, una formazione fanatica e “fascistissima”, la maggior parte dei suoi membri aveva la tessera del partito (requisito obbligatorio per fare parte della formazione) per eludere la chiamata alla leva. La debolezza della GNR però si materializzò una volta impiegata nella guerra contro le bande partigiane: qui si verificarono al suo interno molti cambi di schieramenti e sbandamenti.
Un altra importante questione a cuore del prefetto Turchi fu sicuramente la riorganizzazione del settore industriale. Il 9 settembre vennero aboliti dallo stato italiano gli ordini del Regio governo e l’industria pesante si ritrovò senza lavoro. Il comando tedesco dichiarò subito che gli operai dovevano tornare al proprio posto continuando a ricevere paghe e stipendi, adoperandosi per il mantenimento dell’ordine pubblico. Difatti il mantenimento dei posti di lavoro e il ripristino dei salari avrebbe evitato insurrezioni operaie e ulteriori sbandamenti.
[…] Da gennaio la situazione si inasprì: i fascisti iniziarono ad essere colpiti dai primi attentati gappisti, in data 13, il maggiore della GNR di Sarzana e il segretario di partito furono freddati davanti alla chiesa della città <117, il prefetto dovette prendere in mano la situazione, facendo scarcerare gli indiziati e evitando una rappresaglia. Anche il federale Bertozzi, sostenne che i fascisti, sconvolti dall’attentato allo squadrista Pietrapiana, avevano mantenuto la calma e si erano contenuti anche quando lo scoppio di una bomba su un tram diretto da Muggiano a Piazza Chiodo, aveva provocato la morte di operai e il ferimento di 20 marò <118.
Se prendiamo come esempio anche il resoconto della prefettura del mese di gennaio, dove si evince che la popolazione mantenne la calma e buoni rapporti con le autorità <119 e quello del mese di marzo dove venne dichiarato, sempre dal Prefetto e dalle autorità, che nonostante gli scioperi che colpirono tutta l’Italia e i tedeschi che di loro iniziativa provvidero allo smembramento del reparto H dell’Oto Melara, i rapporti tra il regime e gli operai erano ottimi e predisposti alle politiche socializzatrici.
Da queste dichiarazioni e da questi resoconti, possiamo evidenziare più costanti. La prima è che nelle loro comunicazioni le alte cariche cercavano di “coprire” e di nascondere gli episodi di violenza, elevandosi a mantenitori dell’ordine pubblico e a portatori della pace <120. La seconda è quella che le relazioni della prefettura sono spesso idealizzate e troppo ottimistiche, sopratutto quando si parla dei successi delle politiche socializzatrici che non furono mai accettate dagli operai. L’ultima, come si può evincere dallo smantellamento del Reparto H dell’Oto Melara, era che le decisioni venivano prese direttamente dai tedeschi.
Con l’avanzata alleata, che avrebbe portato alla rottura della linea Gustav a fine primavera, il 18 aprile fu emanato dal governo della RSI un documento di amnistia a favore degli sbandati che prevedeva che se si fossero consegnati entro le ore 24 del 25 di maggio, non sarebbero stati sottoposti a processo e sarebbero stati reintegrati nei reparti, viceversa chi non si presentava era considerato fuorilegge e passato per le armi mediante fucilazione alla schiena <121.
[…] La situazione politica in provincia era diventata incontrollabile <125, il movimento partigiano si irrobustiva sempre di più mentre le difese delle RSI vacillavano: tra il 9 e il 10 di giugno, il reparto della Guardia Nazionale Repubblicana di Sesta Godano smobilitò, portando con sé armi ed equipaggiamento, due giorni dopo furono attaccate i presidi di Bardi in provincia di Parma e Sesta Godano alla Spezia. Il 16 di giugno rimasero uccisi 2 militanti, feriti altri 6 presso Varese Ligure, e venne assaltata la caserma di Deiva Marina, portando alla fuga 4 militari <126. Le macchina difensiva del fascismo non funzionava. La GNR era mal armata, mal gestita e sopratutto poco motivata, non riusciva a difendere neanche le cariche provinciali più importanti. Infatti il giorno 29 giugno, un gruppo di partigiani si spinse fino a Sesta Godano e prelevo dalla sua abitazione e giustiziò, in tutta calma, il commissario prefettizio Tullio Bertoni.
Le cose, dal punto di vista dell’ordine pubblico, peggiorarono ulteriormente dopo la costituzione della Brigata Nera, per decreto di Pavolini del 29 di giugno che volle la militarizzazione del partito fascista repubblicano. La 33° Brigata Nera fu intitolata a Tullio Bertoni, il già citato commissario prefettizio di Sesta Godano, che davanti al plotone d’esecuzione, all’intimazione di rinnegare la fede fascista, rispose: “Uccidetemi, sono e resto fascista, e i muri di casa sono più fascisti di me”. Fu comandata da Luigi Bertozzi prima, e poi da Giovan Battista Barone, era divisa in due battaglioni che incorporavano 5 brigate che operavano nel territorio della provincia dalla Spezia a Levanto <127. Si trattava di una brigata mobile, con compiti tendenzialmente militari; era adibita alla protezione della strada statale Aurelia e della strada statale della Cisa, da La Spezia a Parma, protezione antiparacadutisti, antisbarco, antisabotaggio, operazioni antibanda e funzioni di polizia. Alcune azioni della brigata verranno curate nel capitolo 2 di questo lavoro <128.
Anche i tedeschi tentarono di risolvere il problema delle bande partigiane con l’operazione Wallenstein, nel quale furono impegnati 5-6000 militari per rastrellare la zona montuosa tra Parma e La Spezia <129, ma le incursioni e gli attacchi continuarono anche durante l’estate e la già citata Guardia Nazionale Repubblicana non aveva ormai più le forze per continuare a combattere.
Dalla relazione del tenente colonnello Vicelli al prefetto, si evince che il reparto non riusciva a svolgere i compiti per cui era stato adibito: le numerose perdite, le assenze volontarie e gli sbandamenti avevano contribuito a un’importante diminuzione di personale.
La città a fine estate era bloccata, le attività industriali erano paralizzate (a parte il cantiere di Muggiano),la distribuzione dei generi razionati non era regolata, e continuava l’onda di violenza tra le due fazioni (cosi chiamate da Turchi nel documento) <130. Dal 20 al 26 furono eseguiti ben 4 rastrellamenti nelle zone di S. Venerio, Chiappa, Stadomelli, Pegazzano; dopo questi rastrellamenti, ben ottanta agricoltori furono avviati in Germania. La popolazione davanti agli sforzi repressivi del regime si accorse di non poter rimanere immobile, molti scapparono con le famiglie, disertarono il lavoro, o andarono in montagna ad arricchire le file partigiane, spinti anche dalla consapevolezza che gli americani sarebbero risaliti velocemente.
A settembre cambiarono anche i vertici fascisti in città: Turchi fu sostituito da Appiani, Bertozzi da Cecchi in qualità di federale, venne nominato commissario federale Barone e D’Alessandro commissario prefettizio. La prima azione di Appiani fu quella, da ordine del comandante di piazza tedesco, di minare il porto per paura dell’avanzata alleata, ma il Proclama Alexander, diede il tempo per organizzare un offensiva per il limitare il movimento partigiano e poter cosi muoversi in ritirata.
[…] La violenza fascista dalla totale assenza del ’43, passò ai 9 casi del ’44, toccando il picco nel 1945, dopo la costituzione della Brigata Nera, dove si verificarono ben 11 casi, superando perfino le azioni tedesche. Le indagini del Ministero degli Interni sottolineano com’era complesso un compromesso tra la violenza insita nel fascismo radicale e una concezione più moderata di rappresentanti della Repubblica Sociale, intenti a ricreare una normalizzazione legalitaria della repressione. Non vi fu però una linea di condotta chiara, anzi vennero sostenute entrambe a seconda delle necessità. La tortura, sebbene priva di una giustificazione ufficiale, era un normale metodo di azione nei confronti dei prigionieri politici atto ad ottenere delle informazioni che venivano utilizzate in ogni reparto militare, paramilitare e poliziale delle varie istituzioni della RSI. In provincia, artefice di questo tipo di violenza fu il Servizio Investigativo Autonomo, comandato e coordinato dalla figura di Aurelio Gallo, <131 che ha sede in via XX Settembre presso la caserma della 628° GNR provinciale e in quella della 33 ^ Brigata Nera all’interno del XXI Reggimento Fanteria “Vittorio Morelli”.
[NOTE]
107 Augusto Bertozzi nacque alla Spezia nel 1898 da una famiglia di modeste condizioni economiche. Partecipò alla I^ guerra mondiale, dove venne decorato con medaglia di bronzo al valor militare. Alla fine della guerra tornò nel lunense e si iscrisse al locale partito Fascista. Nonostante gli fossero attribuiti titoli come la “Sciarpa Littorio” e il “Legionario fiumano” venne espulso dal partito e riammesso solo nel 1929. Fu assistente al prefetto e dopo il 25 luglio divenne Commissario Federale della locale Federazione Fascista repubblicana il 23 novembre del 1943. Nelle sue funzioni dimostrò una certa subordinazione nei confronti del nemico invasore. Morì il 26 luglio del 1944 in un incidente stradale.
108 Gioacchino Porra nacque a Piovene Rocchetta (Vicenza) e fu segretario dell’unione agricoltori. Venne ricordato come membro della guida tripartitica durante la formazione del fascismo repubblicano alla Spezia.
109 Domenico De Barbieri fu segretario del gruppo universitario fascista e ricoprì alcune cariche, in incarichi inerenti a questioni sul lavoro e sulla disoccupazione, in seno al PNF.
110 Archivio di Stato di La Spezia, Gabinetto Prefettura, lettera del questore al capo Provincia del 23 novembre 1943, busta 165, occupazione germanica.
111 Francesco Turchi, “Franz”, nacque a Napoli ma il suo nome apparse nello spezzino in sostituzione del capo della provincia Binna il 25 ottobre e si mobilitò per condurre la provincia sotto un comando militare tedesco ma con uno spazio amministrativo italiano. Svolse un ruolo di primo piano durante gli scioperi di gennaio e marzo 1944 attuando politiche repressive e acconsentendo a deportazioni di alcuni scioperanti in Germania, sotto pressione del comando tedesco. Rimase alla Spezia sino al 23 settembre quando fu sostituito dal ruolo di Capo della provincia dal giornalista Giovanni Appiani. Nelle carte della prefettura spezzina questo nome è molto ricorrente ma è difficile reperire prove sul ruolo di responsabilità delle stragi in provincia.
112 Archivio di Stato della Spezia, gabinetto prefettura, relazione dei carabinieri sulla situazione reale, Busta 51, fascicolo 1-4.
113 Archivio di Stato della Spezia, gabinetto prefettura, lettera di Turchi in data 18 dicembre 1943, busta 51, fascicolo 1-4.
114 Archivio di Stato della Spezia, gabinetto prefettura, lettera di Turchi in data 18 dicembre 1943, busta 51, fascicolo 1-4.
117 Riccardo Borrini, Il Tricolore insanguinato. Documenti sulla guerra civile in provincia della Spezia negli anni 1920-22/1943-45, Grafica Ma.Ro, Roma, 2005, op.cit.
118 Ibidem.
119 Archivio di Stato di La Spezia, Gabinetto Prefettura, lettera di Bertozzi al Capo provincia del 22 gennaio 1944, Busta 441, fasc. 12.
120 Arrigo Petacco, La Spezia in guerra 1940-1945, cinque anni della nostra vita, La Nazione, Cassa di Risparmio della Spezia, 1984, op.cit.
121 Riccardo Borrini, op.cit.
125 Riccardo Borrini, op.cit.
126 Ibidem
127 Giorgio Pisanò, Gli ultimi in Grigioverde – Storia delle Forze armate della Repubblica Sociale Italiana, 1943-1945, Edizione FPE, Milano, 1967.
128 Giorgio Pisanò, op. cit.
129 Lutz Klinkhammer, L’occupazione tedesca in Italia 1943- 1945, Bollati Bordighieri, Torino, 1993.
130 Archivio di Stato della Spezia, Gabinetto Prefettura, Relazione della prefettura per il mese di marzo, Busta 168 – fascicolo 4.
131 Aurelio Gallo nacque ad Udine. Entrò nel PNF dove ricoprì un ruolo subordinato come autista del commendatore Amedeo Cerretti, imprenditore marittimo spezzino. Successivamente passò al servizio del vescovo Costantini della diocesi di Luni. Fu licenziato perchè accusato di pedofilia. Nel 1937 lo ritroviamo nella MVSN spezzina dove proseguì la sua carriera diventando autista del fascio spezzino e in particolare del federale della Spezia. Riuscì dopo l’8 settembre offrendosi come braccio armato dei tedeschi ad ottenere il comando e il coordinamento di un servizio investigativo autonomo con sede presso il Comando provinciale della 628 GNR e delle BN situato presso la caserma del XXI Reggimento Fanteria adibito a carcere e sua dimora. Collaborò con il personale tedesco della Polizia di Sicurezza la SD Posten Sicherheitdienst, Servizio di informazione segreto delle SS di Himmler e in particolare con i tenenti Kremes e Nef della 135 Festung Brigade.
Marco Bardi, La Repubblica Sociale Italiana alla Spezia tra pratiche repressive e punizione dei crimini, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, 2019

Nardi Silvio: nato a Castelnuovo Magra il 22 dicembre 1905, squadrista della Brigata nera “Bertoni”.
Interrogatorio del 2.6.1945:
Ero iscritto al PNF dall’8 ottobre 1922, ero quindi ante marcia e squadrista. Creato il fascio repubblicano mi iscrissi nuovamente nella sezione di Castelnuovo Magra. Istituita la brigata nera non pensai minimamente di aderire ma invece poi fui chiamato a La Spezia e posto di fronte all’alternativa di aderire o andare in Germania, fui costretto quindi ad accettare l’arruolamento e così fui vestito. Non ho mai preso parte a rastrellamenti o ad azioni armate, né ho mai commesso azioni di violenza. Soltanto nel mese di novembre 1944, fui comandato assieme ad altri, di recarmi ad Ortonovo per ritirare delle divise della GIL; in tale occasione mentre eravamo sulla strada del ritorno fummo attaccati dai partigiani ed io personalmente fui subito colpito alla gola da un colpo d’arma da fuoco rimanendo gravemente ferito. Non posso dare quindi particolari su quella azione in quanto persi subito conoscenza. Seppi dopo che il plotone, di cui facevo parte, si arrese consegnando le armi ai partigiani e lasciato in libertà. Io fui condotto prima a Sarzana e poi a La Spezia dove rimasi infermo per un paio di mesi. In quell’azione io ero armato di moschetto ma non feci in tempo a sparare nemmeno un colpo. Il plotone era comandato dal Tenente Corsi Vittorio di Ortonovo ma ora ignoro che fine abbia fatto. Rimasi nella brigata fino al giorno 14 aprile 1945, giorno in cui disertai tornandomene a casa. Non ho avuto occasione di assistere ad interrogatori, torture o fucilazioni in caserma in quanto l’ufficio politico della brigata si trovava in locali diversi e lontani dalla caserma. Io ero in forza alla 1^ Compagnia, comandata da certo Capitano Furlotti.
[…] Favaretto Pietro: nato a La Spezia il 29 giugno 1907, Sergente nella Brigata Nera “Bertoni”.
Interrogatorio del 26.2.1946:
Entrai a far parte della brigata nera nell’agosto del 1944 in forza alla caserma “Tullio Bertoni” in Via XX Settembre e dopo circa 15 giorni venni assegnato al posto di blocco di Buonviaggio dove rimanevo per circa tre mesi e mezzo al comando del Capitano Giuseppetti. In tale periodo partecipai a numerosi rastrellamenti fra cui alcuni assieme alle truppe tedesche.
[…] Denuncia di Bellati Antonia:
Il 7 dicembre 1944, in Vezzano Ligure in seguito a rastrellamento, venne arrestato Bucchioni Enrico, figlio di Bellati Antonia. Il giorno stesso della cattura, dopo vari interrogatori, venne passato alle famose carceri del 21° Fanteria di La Spezia ove veniva costantemente bastonato dagli sgherri fascisti. Per ben 58 giorni rimase chiuso in quelle celle malfamate e sottoposto ad un vero calvario di atrocità, quando il 3 febbraio 1945, per decisione del tribunale degli sgherri nazifascisti, insieme al compagno Andreani Pietro vennero condannati a morte e, per mezzo di un autocarro, trasportati a Vezzano e barbaramente fucilati in piazza del Popolo. Fino a Fornola gli fecero da scorta il famigerato Aurelio Gallo e poscia il Maggiore Orlandini e il Ferrari della brigata nera. Del plotone d’esecuzione faceva parte il famigerato delinquente Marcobello, che fu proprio lui ha sparare contro il paesano, e non contento, si portò presso il povero Bucchioni, disteso a terra sotto la pioggia ormai agonizzante, colpendolo ripetutamente col calcio dell’arma che impugnava dando così esempio di crimine e ferocia senza precedenti.
[…] Rapporto della Questura di La Spezia:
Il 21 ottobre 1945 è stato associato alle locali carceri il nominato in oggetto [n.d.r.: Alberto Vicelli, nato a La Spezia il 16 gennaio 1898, Colonnello della GNR, a capo del Comando Provinciale della GNR di La Spezia] perché proveniente da Coltano perché imputato di collaborazionismo con il tedesco invasore in qualità di comandante della 35^ Legione della GNR, comando che mantenne fino all’insurrezione. La GNR, costituitasi per servizio di polizia fu poscia incorporata nelle armi combattenti. Consta a questo ufficio che reparti della GNR fossero presenti alle operazioni svolte contro le formazioni partigiane e contro i civili. E’ risaputo che molti plotoni di esecuzione erano composti e comandati da ufficiali della GNR. Risulta che la GNR prese parte a rastrellamenti in località di Varese Ligure, Sesta Godano, Borghetto Vara, Cepparana, Sarzana, Piana di Bettolla, Calice al Cornoviglio, Follo, Centro Croci, Arcola ed in quasi tutti i rastrellamenti inviò reparti di rinforza, poscia costitutì un reparto denominato OP. La GNR, per ordine di Vicelli, ha fornito i seguenti plotoni di esecuzione accertati: Bocca di Pignone, Ten. Biglino (5 partigiani) – Migliarina – Graveglia (2 partigiani e tre ostaggi) – Sesta Godano (tre partigiani) – Cento Croci – Fornaci di Migliarina – Flag – Negrao Basso alla Chiappa (16 ostaggi).
Interrogatorio di Vicelli Alberto del 6.11.1945:
Mi trovavo in Albania l’8 settembre, quale comandante del 35° Battaglione CC.NN. Venni fatto prigioniero dai tedeschi ed inviato poi a Trieste. […] Ai primi di dicembre ricevetti un telegramma in cui mi si ordinava di trasferirmi a La Spezia e di assumere il comando della 35^ Legione, con sede presso la caserma del 21° fanteria dove rimasi fino al 22 aprile. Tutte le caserme erano sotto il controllo e a disposizione del comando tedesco e così pure quella del 21° Fanteria. In una data che credo sia nel settembre del 1944, il Tenente Krems prese parte degli uffici del 2° piano tenendoli quindi a disposizione della SS, compresa l’ala sinistra con le prigioni. Unitamente al Tenente Krems prese fissa dimora al 21° Fanteria anche Aurelio Gallo che mi fu presentato dallo stesso tenente. Feci le mie rimostranze ai sopracitati, sia per l’occupazione dei locali, sia perché non avevo coperte e viveri e tutto quello che poteva servire per i miei locali. A questo il Comando delle SS rispose che avrebbero provveduto loro, compreso il servizio di guardia mandando 15 soldati tedeschi. In seguito, dietro mie insistenze presso la Brigata Almers, in accordo con la SS tedesca, decisero di prendere la caserma in piazza Ramiro Ginocchio dove in segreto furono iniziati i lavori per la trasformazione in celle delle camerette d’alloggio. Una mattina del febbraio 1945, visti inutili i miei tentativi di far cessare i terribili sistemi usati ai prigionieri da una SS tedesca, mandai il Maggiore Medico Allegri Luigi dal capo della provincia per fare le sue rimostranze da medico. Visto che la cosa non aveva avuto l’esito desiderato, un giorno che incontrai davanti al portone della prefettura il Federale Barone, ci recammo insieme dal capo della provincia denunciando la situazione delle prigioni ed il trattamento fatto ai prigionieri, in particolare da parte dell’Aurelio Gallo. Faccio presente che contro il Gallo era già stata presentata una denuncia nel mese di ottobre e che avevo sentito dire che il capo della provincia aveva deciso il suo trasferimento a Genova, cosa poi mai avvenuta. Non avendo ottenuto risposta inviai una lettera alla brigata nera invitandoli a venir a riprendersi i loro prigionieri altrimenti li avrei lasciati liberi. La brigata nera venne a ritirare i propri prigionieri però venne anche un reclamo da parte del capo della provincia perché io avevo dato un ordine ad un reparto alle dirette dipendenze del prefetto stesso. Per quanto riguarda la situazione creata dal Gallo e dal sottufficiale tedesco al 21° Fanteria, io ero al corrente di tutto e dopo aver avuto in visione copia della deposizione di Don Stretti denunciai tutto al capo della provincia. Era evidente, infatti, che Don Stretti aveva dovuto confessare sotto crudeli sistemi di tortura. Mi interessai anche presso il Colonnello Almers e con lo stesso Tenente Crems, che seccato mi rispose di non intromettermi in questioni che non erano di mia competenza. Il mio interessamento è stato grande, tanto è vero che il Gallo ed il sottufficiale tedesco mi chiamavano “cuor di signorina”. In seguito agli ordini di distaccare più o meno uomini della GNR per i rastrellamenti, ordini che venivano impartiti dal comando tedesco o dal prefetto, a fronte di una forza che ha raggiunto fino a 1.400 uomini, non ne diedi mai più di una trentina per 4 o 5 rastrellamenti. Io personalmente non ho mai partecipato né ordinato rastrellamenti; quando mi arrivavano gli ordini dal comando tedesco o dal prefetto li passavo per l’applicazione al capo di stato maggiore, Capitano Gustavino. Per mettere a disposizione più uomini fui inviato dal Prefetto Turchi a formare una compagnia di 150 uomini allo scopo esclusivo della lotta antipartigiana, invito che declinai adducendo i vari motivi di dispersione della forza per servizi di ordine pubblico, guardia, distaccamenti etc.. Il tenente Crems, in un momento di impazienza, disse che avevano ben ragione di accusarmi del mio atteggiamento per l’aumento dell’attività delle bande partigiane. Stesso parere fu dato dal prefetto Turchi e dal comandante della Brigata Almers tanto che ricevetti un richiamo da parte del Comando Militare Regionale di Alessandria. Ho fatto parte del tribunale straordinario di guerra unicamente perché comandato dal Prefetto Turchi. Vorrei precisare che la GNR ebbe fra fucilati e uccisi circa 100 caduti e per queste uccisioni vi era l’ordine tassativo di fare immediata ed esemplare rappresaglia convocando tribunali straordinari per giudicare i partigiani. Per quanto riguarda gli ufficiali che parteciparono a questi tribunali confermo che il capo della provincia non ha voluto risparmiare nessuno perché a quanto pare voleva compromettere tutti gli ufficiali della GNR, esercito e brigata nera, i quali un po’ tutti vi hanno partecipato. Per quanto riguarda chi abbia minato la caserma e poi fatta saltare in aria dichiaro che tali ordini non sono mai stati dati da noi. Premetto che durante la nostra partenza, udimmo un forte colpo ma dato che ormai eravamo sotto il tiro delle artiglierie nemiche e non immaginai che fosse saltata in aria la caserma. Per quanto riguarda il periodo della resa mi trovavo a Fornovo dove nel frattempo avevo udito il proclama del CLN che invitava tutte le forze repubblicane alla resa e tutti gli altri reparti tedeschi ed italiani presenti in zona si arresero solo il 29 aprile.
[…] Uccelli Franco nato a Taranto il 10 agosto 1920, Tenente della Compagnia Antisom.
Interrogatorio dell’Uccelli Franco del 4.7.1945:
Mai iscritto al PFR, arruolatomi nell’Antisom nel novembre 1943. Ho partecipato a 6 rastrellamenti insieme alla brigata nera ed alla Batteria Cascino, non ho mai comandato plotoni di esecuzione, come neppure fucilazioni di alcun partigiano o civile. I prigionieri presi durante i rastrellamenti venivano da noi consegnati alle brigate nere oppure al comando tedesco. Quando entrai in servizio all’Antisom il comandante era il Capitano Berlucchi e dal novembre del 1944 assunsi io il comando della compagnia. Gli ordini dei rastrellamenti venivano dati dal Comando Marina, Comando tedesco e brigate nere. Facevano parte dell’Antisom oltre al capitano Berlucchi, il Tenente Furlan, il Sottotenente Fedi ed il Guardia Marina Gigli.
Leonardo Sandri, Processo ai fascisti: una documentazione, Vol. 9 – Liguria: Imperia – Savona – La Spezia, StreetLib, Milano, 2019