Il partigiano Terenzio Baldovin, morto nel lager di Obertraubling il 3 aprile 1945

Lozzo di Cadore (BL). Fonte: Danilo De Marin, autore di www.lozzodicadore.eu

L’evolversi degli eventi bellici e la guerra civile scoppiata in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre convinsero il diciassettenne Terenzio Baldovin a prendere attivamente parte alla lotta per la libertà, prima come portatore di viveri e successivamente come combattente volontario <172. Il 15 giugno 1944 <173 si unì ufficialmente alla Brigata Calvi e per le lunghe basette che era solito portare gli venne dato il nome di battaglia di «Messicano <174». Nel novembre del ’44, per scovare i colpevoli dell’attentato del 21 settembre contro alcuni automezzi tedeschi nella località di Ponte Nuovo, che vide la morte di due soldati ed il ferimento di altri cinque <175, a Lozzo e negli altri paesi del Centro Cadore (nello specifico Vigo, Laggio e Lorenzago) si diede luogo ad una serie di rappresaglie per mano della forza di polizia germanica operante sul territorio. Fu così che il 30 novembre, a partire dalle 5:00 del mattino, con la minaccia di dare alle fiamme l’intero centro abitato qualora non si fossero scoperti i responsabili dell’imboscata, i tedeschi radunarono in Piazza IV Novembre tutti gli uomini del paese e a gruppi di cinque li accompagnarono in Municipio affinché i loro documenti fossero posti al vaglio di un maresciallo. Nonostante l’opposizione della madre Dolores <176, anche Terenzio si presentò regolarmente all’appello dopo aver ricevuto la garanzia dell’assenza del proprio nome nella lista dei presunti colpevoli, che il parroco don Pietro Costantini <177 aveva avuto modo di consultare in precedenza. In un primo momento, come previsto, il giovane passò il controllo, ma proprio quando la tensione generale sembrava placarsi e la gente radunata veniva fatta sfollare e lasciata libera di tornare alle fabbriche ed ai campi, ci fu un secondo appello e, a causa di una delazione traditrice di un compaesano che lo denunciò solo come partigiano e non come artefice dell’attentato a Ponte Nuovo <178, Terenzio venne catturato assieme all’amico Vincenzo Calligaro <179 ed a quattro membri del Cln locale <180. I prigionieri vennero condotti prima alla caserma di Tai dove restarono per tre notti e tre giorni nel corso dei quali furono sottoposti a continui interrogatori e violente percosse. Poi, mentre i più anziani furono rilasciati, Terenzio, Vincenzo Calligaro, Celestino Da Rin e Galliano Ronzon vennero condotti a Cortina, dove Giuseppe Da Rin <181 cercò di trarli in salvo, ma il tentativo non andò a buon fine <182. Così i prigionieri furono caricati su un treno alla volta del campo d’internamento di Bolzano <183. Il 6 dicembre, pochi giorni dopo il rastrellamento, il Comando di polizia germanico diede l’ordine di esporre in Piazza IV Novembre un bando che obbligava tutti i partigiani ancora presenti sul territorio a «presentarsi al Comando di polizia germanico di Pieve di Cadore» entro il 20 del mese, «con le rispettive armi o con l’indicazione di dove queste si trovano» e qualora questo non fosse avvenuto sarebbero state prese «severe contromisure» come l’arresto e l’annientamento dei famigliari dei singoli partigiani e la distruzione dell’intero paese <184. Tale bando aveva lo scopo di porre fine ad ogni forza di Resistenza locale per evitare ogni possibile ostacolo alle operazioni belliche nel territorio.
2.2. Da Bolzano verso la morte
Nel frattempo Terenzio e i suoi compagni giunsero a Bolzano <185. La prima testimonianza che attesta l’arrivo del giovane partigiano nel campo d’internamento è costituita da una lettera scritta dallo stesso e spedita alla madre il 19 dicembre 1944 (fa fede la data del timbro postale). In essa si legge: «Mamma mia, son arrivato ieri a Bolzano; sto abbastanza, lo credevo peggiore. Qui posso scrivere due lettere al mese e riceverne altrettante. La speranza, unica Dea che mai abbandona gli afflitti, mi seguirà, assieme all’anima di mio padre, della vostra e della mia amata, fino al ritorno che spero vicino. Non abbiate pensiero per me: so vivere e mai mi abbatterò. Salutate la mia Iva, ditele che tornerò, che qui non vivo che per voi e per lei. Questo mondo stupido cesserà di avvampare ed allora sarò felice. Speditemi al più presto viveri, sapone e denari. Baciate forte Edvige per me e fate che non si scordi di suo fratello. Arrivederci, Terenzio <186.»
In questa prima lettera, oltre alla madre Dolores, vengono citati il padre Lorenzo, la sorella minore Edvige e la fidanzata Iva Da Sacco, originaria di Pelos di Cadore <187. Fu proprio quest’ultima, che all’epoca dei fatti aveva appena 17 anni, a tentare di raggiungere Terenzio presso il lager di Bolzano. Infatti, verso la fine di novembre, Iva da Sacco scoprì di essere incinta e tentò in tutti i modi di informarne personalmente Terenzio. Tuttavia fu solo grazie all’internata Martini Gilberta <188, la quale aveva il permesso di uscire dal campo quotidianamente per recarsi al lavoro presso il paese di Gries, che la notizia arrivò a Terenzio <189. Giunto a conoscenza del fatto, egli manifestò all’amico e compagno di prigionia Vincenzo Calligaro la ferma intenzione di riconoscere il nascituro ed affidò a lui il compito di riferire questa volontà alla madre Dolores <190. Fu grazie a questa dichiarazione e ad uno scritto olografo andato perduto <191, che la sentenza del 15 aprile 1948 del tribunale di Belluno sancì che Lorenzina era a tutti gli effetti figlia del Baldovin <192.
Terenzio si trovava rinchiuso nel blocco «E», quello riservato ai prigionieri «pericolosi» e ogni contatto esterno gli era rigorosamente vietato <193. L’unico modo consentito ai prigionieri per comunicare con la propria famiglia era quello di scrivere, così il 9 gennaio 1945, Terenzio spedì la seguente lettera alla madre Dolores:
«Madre mia, io sto bene: fatemi avere notizie di tutti voi. Qui nel mio Blocco E su 240 son partiti 220 per la Germania, ed io, con Vincenzo e uno di Domegge, siamo gli unici fortunati rimasti. Io credo che questo sia avvenuto perché tanto io quanto Vincenzo siamo innocenti. Capito? La fame è grandissima: vi racconterò tante cose se avrò la fortuna di ritornare. Tutti i viveri, come descritti sulla vostra lettera mi sono giunti, e anche le 400 lire. Inoltre ho ricevuto una scatola di marmellata con uova, burro e formaggio, e un pacchetto da zio Aristide. Mandatemi le tessere del pane e molte sigarette, perché in primo luogo qui queste costano 80-100 lire al pacchetto, poi si trova roba di ogni genere. Figuratevi che ho comprato un paio di scarpe da festa ancora abbastanza nuove e una giacca a vento per 3 pacchetti di sigarette. Fate, se è possibile, una domanda per il lavoro che avete: forse può essere presa in considerazione una vedova di guerra nella vostra situazione. Non fate conto del rancio che qui mi danno, perché è assolutamente trascurabile. La roba di valore – sigarette, companatico, etc.- mandatela per le donne che lavorano all’ospedale o per il
Genio. La nonna come sta? Dille che se tornerò non mi lamenterò più, perché ho provato e ancor peggio visto cose orrende in rapporto specialmente alla fame. Baciatemi Edvige. Saluti e baci a tutti, Terenzio <194.»
Durante la prigionia a Bolzano, Terenzio ebbe la possibilità di comunicare con la propria famiglia non solo attraverso le lettere, ma anche tramite alcuni biglietti che venivano nascosti tra le trecce delle donne che uscivano ogni giorno dal campo per recarsi al lavoro.
[…] Durante la prigionia a Bolzano egli si rifiutò sempre di collaborare con i tedeschi e questo suo atteggiamento gli costò in un primo tempo la deportazione in Germania, presso il lager di Flossenbürg <199 nella regione della Baviera (avvenuta il 19 gennaio 1945) e dal 20 febbraio 1945 la detenzione nel sotto-campo di Obertraubling <200. Qui morì il 3 aprile dello stesso anno, due giorni prima del suo diciannovesimo compleanno. La notizia della scomparsa di Terenzio giunse alla sua famiglia tramite la Croce Rossa Internazionale e venne confermata il 27 dicembre 1945 dal Generale dell’Esercito italiano Gaetano Cantaluppi, il quale, il 27 dicembre 1945, da Verona, inviò a Dolores Da Pra la seguente notifica: «Gentile Signora, dall’elenco dei morti da me portato da Flossenbürg mi risulta che suo figlio Baldovin Terenzio, nato il 5 aprile 1925 (recte 1926) e morto a Obertraubling il 3 aprile, aveva il numero di matricola 43469 e giunse con me al campo di Flossenbürg e poscia inviato al Campo di lavoro di Obertraubling. Penso che la sua salma sia stata sotterrata, mentre i morti a Flossenbürg erano bruciati. Potrebbe scrivere al parroco di quel paese per sapere dove è stato inumato. Faccia le pratiche col Ministro Assistenza Postbellica per avere la pensione. Io sono a sua disposizione nel caso che le occorresse l’atto di morte. Perdoni, con molto dolore, la triste notizia. Suo G. Cantaluppi <201.»
Oltre a Cantaluppi, il 31 dicembre 1945, anche il generale Candido Armellini di Venezia, scrisse una lettera a Dolores Da Pra per spiegarle i fatti: «Signora Da Pra, ritornato a casa trovo e riscontro la sua lettera del 23 corrente. La sua fiducia di avere da me informazioni su suo figlio è stata purtroppo bene riposta, ed io tutto vorrei fare meno che dare evasione alla sua domanda, specialmente in questi giorni che sono consacrati alle gioie domestiche con la protezione del Signore appena nato. Signora, Le trascrivo quello che risulta nel mio elenco degli Italiani morti nel campo tedesco dove io pure, assai vecchio ero prigioniero: N. 43469. Baldovin Terenzio. Nato a Lozzo di Cadore il 5.4.1926. Morto il 3.4.1945 a Obertraubling (N. dell’elenco 720). Obertraubling era un campo dipendente da Flossenbürg. Al ritorno dalla Gendarmeria, nel luglio ’45, io comunicai alla Croce Rossa Italiana, a Roma, la copia del mio elenco suddetto, ed è facile che la comunicazione fattale dalla Croce Rossa Internazionale si sia fondata sul mio elenco, ed è sul mio elenco che il suo povero Terenzio è iscritto al N. 720. Le ripeto il mio dolore di averle dovuto confermare la fatale notizia. Altro non posso dirle a riguardo perché io non conobbi personalmente suo figlio, che morì, come vede, in un altro campo. Le sono grato, Signora, dei suoi auguri che Le ricambio per tutto quello che possono valere, dopo la desolante comunicazione. Coraggio. Suo Generale Candido Armellini <202.»

Terenzio Baldovin. Fonte: terenziobaldovin.blogspot.com

[NOTE]
172 Cfr. Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, nota n. 8, p. 327.
173 Questa data è indicata nella lista dei partigiani caduti in battaglia appartenenti al Comando-Brigata Calvi, conservata presso Archivio Baldovin e riportata in copia in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 187.
174 Il nome di battaglia è presente nella lista dei volontari caduti della Brigata Calvi riportata in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 187.
175 Cfr. Ivi p. 46 e Musizza e De Dona, Guerra e resistenza in Cadore, pp. 240-245.
176 Dolores Da Pra, madre di Terenzio, implorò il figlio di non recarsi in piazza con gli altri uomini usando le seguenti parole in dialetto locale: «Fiol me, io son to mare e te digo scampa parké no me fido» ovvero «Figlio mio, io sono tua madre e ti dico scappa perché non mi fido!». Tuttavia fu lo stesso don Pietro Costantini, l’allora parroco di Lozzo, a presentarsi presso l’abitazione del giovane per persuadere la madre a lasciare che il figlio rispondesse all’appello, affermando l’assenza di questi dalla lista dei nomi di ricercati in possesso della gendarmeria tedesca. Così Terenzio si recò in piazza ripetendo alla madre di non avere nulla da temere poiché egli non aveva «fatto del male a nessuno». Questo episodio è riportato dettagliatamente da Lorenzina Baldovin autrice del saggio ‘Mio padre ha salvato il paese con la deportazione’ riportato in ‘La parola ai figli e ai nipoti, la memoria della deportazione nel racconto dei familiari’, a cura della sezione milanese dell’Aned (Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti), Mimesis, Milano, 12 novembre 2006, pp. 34-35.
177 Don Pietro Costantini nacque il 10 gennaio 1909 a San Vito di Cadore. Fu cooperatore e parroco di Lozzo dal 1931 al 1972. Nella sua attività pastorale s’impegnò molto nel conforto morale e nel soccorso materiale dei suoi parrocchiani, soprattutto durante la guerra mondiale ed aiutò con solerzia i partigiani locali. Morì a Lozzo di Cadore il 17 giugno 1972. A testimonianza del suo attivismo in seno alla Resistenza si riporta la memoria del partigiano Arturo Fornasier «Volpe»: «Il parroco di Lozzo don Pietro Costantini aveva nascosto armi in canonica, pronto a distribuirle a gruppi di volontari, in caso i tedeschi avessero avuto intenzione di incendiare il paese e occorresse opporsi. Le stesse armi sarebbero dovute servire dopo la guerra per opporsi ad un’eventuale invasione dei comunisti jugoslavi». Questa memoria è stata trascritta in fascicolo 1, busta VI, Archivio Zangrando, presso la Biblioteca storica cadorina di Vigo di Cadore. Per i dati anagrafici si veda invece don Elio Cesco, Perché ci parli ancora, a ricordo di don Pietro Costantini, Tipografia Piave, Belluno, 1975, p. 7.
178 Riguardo a questo episodio, nelle memorie del fratello di Vincenzo Calligaro, Luigi, nato a Lozzo di Cadore il 20/06/1924, che sono state raccolte da Lorenzina Baldovin alle ore 16:00 del 20 novembre 2006, ora conservate nel suo archivio privato, situato a Laggio di Cadore, d’ora in poi Archivio Baldovin, si legge: «Tutti gli uomini validi di Lozzo erano in piazza e i gendarmi delle S.S. dovevano controllare i documenti, quattro alla volta, davanti ad un tavolo. Degli uomini controllati nessuno è stato fermato. A controllo terminato è stato visto un signore che faceva parte del Comitato di liberazione allontanarsi assieme ai gendarmi e andare verso casa sua che era di fronte all’imbocco della strada che porta al Cimitero di Lozzo. Vedendo ciò Terenzio ci disse: “Kél le dù a ne vende!” (ovvero “quello è andato a venderci!”). Così dissi a mio fratello e a Terenzio: “Entrate in latteria e scappate per la porta del retro!”, ma ormai era troppo tardi, i gendarmi stavano ritornando e anche se sulla loro lista non c’erano i nomi di Vincenzo e di Terenzio, essi furono prelevati, messi sulla camionetta, portati prima a Pieve, poi a Cortina e successivamente a Bolzano.»
179 Vincenzo Calligaro nacque il 23 ottobre 1921, fu partigiano della Brigata Calvi e assieme a Terenzio Baldovin condivise l’esperienza della deportazione nel campo di Bolzano dal quale fece ritorno a differenza dell’amico. Egli morì a Lozzo il l5 settembre 1966. Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, nota n.8, p. 327.
180 I quattro membri del Cln di Lozzo che vennero arrestati in seguito al rastrellamento del 30 novembre erano: Leone Marta, Renzo Calligaro «Bianco», Giovanni Da Pra Colò «Nani Poa» e Guido Da Pra «Falisse». Cfr. Ibidem, p. 323 e ivi p. 49. Per quanto riguarda Giovanni Da Pra Colò «Nani Poa» ed il suo impegno come membro del Cln il partigiano Arturo Fornasier «Volpe» ha rilasciato la seguente testimonianza: «A parlamentare con i tedeschi, per evitare ritorsioni contro la popolazione nel 1945, fu Giovanni Da Pra». Essa si trova trascritta in un documento custodito nella busta VI, fasc. 2, Archivio Zangrando, presso la Biblioteca storica cadorina di Vigo di Cadore.
181 Lo stesso Giuseppe Da Rin era stato preso in ostaggio dai tedeschi presso il Comando di Tai, dopo un rastrellamento avvenuto il 22 ottobre 1944. Si veda busta VI, fasc. 1, Archivio Zangrando presso la Biblioteca storica Cadorina di Vigo di Cadore.
182 Si veda Musizza e De Donà, Guerra e Resistenza in Cadore, pp. 322-323.
183 Il Polizeiliches und Durchgangslager Bozen era una struttura concentrazionaria che venne costruita e resa attiva dall’estate del’44. Tale struttura era sottoposta al controllo della Polizia di sicurezza tedesca ed era collocata nel cuore dell’Alpenvorland, ovvero della «Zona d’operazione delle Prealpi». Il campo venne ricavato da un’insieme di capannoni già utilizzati dal Genio dell’esercito italiano e, nei dieci mesi in cui fu attivo, ospitò circa 9.000 persone, la maggior parte delle quali era destinata ai campi di sterminio di Mauthausen, Flossenbürg, Ravensbrück, Dachau e Auschwitz. I deportati provenivano in gran parte dall’Italia settentrionale (Lombardia e Veneto) ed erano soprattutto prigionieri politici, ma in esso furono internati anche ebrei, zingari e testimoni di Geova. Il campo era suddiviso in blocchi, contraddistinti da una lettera dell’alfabeto. Il blocco «A» era destinato ai lavoratori fissi impiegati negli stabilimenti industriali della zona e nella raccolta di mele, i blocchi «D» ed «E» erano destinati ai prigionieri politici considerati più «pericolosi», il blocco «F» era riservato alle donne ed ai bambini, mentre agli uomini ebrei era destinato il blocco «L». Il lager di Bolzano fu dismesso tra il 29 aprile ed il 3 maggio 1945, quando gli ultimi internati vennero liberati dagli alleati. Per una storia dettagliata del lager di Bolzano si veda Luciano Happacher, Il Lager di Bolzano, con Appendici documentaria, Anpi, Trento, 1945, pp. 12-14.
184 La copia integrale del bando è riportata in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 188, il documento è custodito in fotocopia in Archivio Baldovin. Assieme ad esso è stato trovato un dattiloscritto a firma del Comando di polizia germanico in cui la data per l’obbligo di presentazione volontaria presso il Comando di Pieve viene posticipata al 6 gennaio 1945, per attendere il termine delle feste natalizie e di capodanno. La copia di questo documento è riportata come la precedente in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 189.
185 Terenzio venne destinato inizialmente al blocco «C» e successivamente a quello «E». Il suo numero di matricola era 6796. Vincenzo Calligaro venne invece destinato alla Galleria del blocco «E» con il numero di matricola 6797. Si veda Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano, una tragedia italiana in 7982 storie individuali, Mimesis, Milano, 2004, p. 64 e p. 107.
186 La lettera in originale è conservata presso l’Archivio Baldovin, mentre una sua copia è riportata in Appendici, documenti e fotografie, ivi pp. 190-191 ed in Carla Giacomozzi e Giuseppe Paleari (a cura di), Scrivere dai Lager, Briefe aus dem Lager, Rassegna di biglietti e cartoline postali scritti nei Lager italiani e d’Oltralpe, col patrocinio dell’Assessorato alla cultura della città di Bolzano, Archivio Storico, II edizione, Marzo 2000, Bolzano. Paragrafo 5.2.
187 Due fotografie di Iva Da Sacco sono riportate in Appendici, documenti e fotografie, ivi
pp.228 e 236.
188 Martini Gilberta nacque a Vigo di Cadore il 4 gennaio 1923, fu arrestata a Pelos di Cadore assieme alla sorella Acchillea ed entrambe furono deportate a Bolzano il 22 ottobre 1944 e rinchiusa nel blocco «F» con il numero di matricola 6792, Venne liberata il 3 maggio 1945 e morì a Pelos nel 2007. Si veda Venegoni, Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano, p. 248.
189 Come racconta Lorenzina Baldovin: «Fu proprio verso il 30 novembre del 1944 che mia madre, che allora aveva 17 anni, scoprì di essere incinta di due mesi. Riuscì, quindi, a recarsi al campo di concentramento di Bolzano nella speranza di poterlo dire al suo ragazzo, ma non poté farlo essendo egli rinchiuso nel blocco E. Confidò quindi la notizia a una compaesana detenuta che aveva il permesso di uscire dal campo per recarsi a lavorare in galleria. Mia madre mi raccontava che dalla garitta, quando tentava di guardare all’interno del campo nella speranza di vedere mio padre, le guardie sparavano verso di lei, tanto che i ciuffi d’erba saltavano tutt’attorno ai suoi piedi». Cit. da La parola ai figli e ai nipoti, la memoria della deportazione nel racconto dei familiari, p. 35.
190 Si veda Ferruccio Vendramini, Tre donne cadorine prima e dopo l’Alpenvorland: ricordo di Terenzio Baldovin. In Protagonisti, rivista bellunese di storia e cultura contemporanea, ISBREC, n. 98, giugno 2010, p. 51.
191 Lo scritto a cui si fa riferimento è una lettera inviata dal campo di Bolzano il 15 gennaio 1945, 3 giorni prima della deportazione di Terenzio in Germania. In essa era indicata la volontà del giovane di dare il suo cognome «a chi non conoscerà suo padre». Tra le carte processuali non è stato possibile ritrovare questo documento, ma la sentenza ne parla in modo esplicito. Ad esso si riferisce anche l’avvocato Mario Celso Corte di Auronzo di Cadore in una missiva inviata ad Iva Da Sacco il 3 dicembre 1947, custodita presso l’Archivio Baldovin. Cfr. Ibidem, nota n. 16, p. 50.
192 Nella sentenza n.305/47, Cron. 624, Rep. 865 del 15 aprile 1948 del Tribunale di Belluno si leggono le seguenti parole: «Devesi osservare inoltre che da una lettera in data 15 Gennaio 1945 a firma del Baldovin Terenzio e da lui vergata dal campo di concentramento di Bolzano il giovane risulta sicuramente e dignitosamente consapevole delle conseguenze del rapporto avuto con la fidanzata, facendo esplicita e chiara allusione non solo a lei ma anche “a chi non conoscerà suo padre”. Il 1 Giugno 1945 = come risulta da certificato di nascita in atti = e cioè 5 mesi e mezzo dopo nasceva la piccola Lorenzina Santina, mentre il 3 aprile 1945 il povero Baldovin Terenzio al campo di concentramento
di Oberstbanbitz (recte Obertraubling) moriva, così come risulta da atto di morte […].» Si veda l’atto della sentenza custodito presso l’Archivio Baldovin e riportato in copia in Appendici, documenti e fotografie, ivi pp. 192-197. Cfr. Anche Vendramini, Tre donne cadorine prima e dopo l’Alpenvorland, p. 43.
193 Riguardo alle motivazioni che portarono alla reclusione di Terenzio Baldovin nel blocco «E», Lorenzina Baldovin riporta questa testimonianza: «Vincenzo Calligaro, che ebbe la fortuna di tornare, riferì poi a mia madre il seguente episodio: su un tavolo era deposta la bandiera tricolore e i detenuti avrebbero dovuto sputare su di essa. Molti lo fecero, compreso Vincenzo, mentre mio padre gridò: “Viva l’Italia!” e fu immediatamente assegnato al blocco “E”, quello dei “pericolosi”». Cit. da La parola ai figli e ai nipoti, la memoria della deportazione nel racconto dei familiari, cit. p. 35.
194 La lettera è conservata come le precedenti in Archivio Baldovin. La copia della lettera è riportata in Appendici, documenti e fotografie, ivi pp. 198-199.
199 Il lager di Flossenbürg, nel nord-est della Baviera, fu attivo dal 16 maggio 1938, quando vennero deportati al suo interno circa 400 prigionieri dal campo di Dachau. Esso fu utilizzato fino al 1945. Karl Weihe fu il direttore del campo. Dal 1942 vennero aperti 97 sotto-campi destinati alla produzione di armamenti e dipendenti da quello di Flossenbürg, in cui nel 1944 si trovavano più di 40.000 internati. Il lager fu liberato il 23 aprile 1945. Si veda Italo Tibaldi, Compagni di viaggio. Dall’Italia ai Lager nazisti. I «trasporti» dei deportati 1943-1945, Milano, Franco Angeli, 1994, pp. 30-32. Una mappa del Lager di Flossenbürg è riportata in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 229.
200 Il campo di Obertraubling era uno dei 97 sotto-campi di Flossenbürg. Cfr. Ibidem p.38.
201 Questa lettera è custodita in originale presso l’Archivio Baldovin e riportata in copia integrale in Appendici, documenti e fotografie, ivi pp. 201-202.
202 Questa lettera, come la precedente, è conservata presso l’Archivio Baldovin e riproposta in copia in Appendici, documenti e fotografie, ivi p. 203.

Terenzio Baldovin. Fonte: terenziobaldovin.blogspot.com

Vittorio Lora, Terenzio Baldovin e Lozzo di Cadore. Public history e stratificazioni della memoria in una comunità di montagna, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno accademico 2011/2012