Gli anni Cinquanta e la morte del bandito Giuliano

Negli anni ’50 l’Italia è una Repubblica neonata alle prese con il secondo dopoguerra, ma, da un punto di vista giornalistico, sono gli anni dell’immobilismo, le cui uniche eccezioni sono costituite dalle fondazioni de L’Espresso, nel 1955, e de Il Giorno, nel 1956.
In questi anni l’unica inchiesta degna di nota è quella che nasce il 16 luglio 1950, giorno in cui sul settimanale L’Europeo viene pubblicato l’articolo Un segreto nella fine di Giuliano. Di sicuro c’è solo che è morto. Il pezzo di Tommaso Besozzi ricostruisce i fatti riguardanti la morte del famoso bandito siciliano Salvatore Giuliano avvenuta dieci giorni prima, delineandone una versione completamente diversa da quella fornita dai Carabinieri e dal Viminale. Il lavoro di Besozzi è un esempio eclatante nella storia del giornalismo italiano di come la verità dei fatti possa essere ristabilita attraverso un’inchiesta <197.
Secondo la versione ufficiale, riportata su tutti i giornali <198 e fornita dal Capitano Perenze del Cfrb <199, che partecipa all’azione, Giuliano sarebbe morto alle 3.50 della notte a Castelvetrano, dove si trova in attesa di espatriare verso la Tunisia: il bandito siciliano sarebbe infatti caduto in una trappola tesa dai Carabinieri che, sfruttando la vanità di Giuliano, sono andati in giro per le campagne con un furgone della polizia camuffato con scritte pubblicitarie ma dotato di ricetrasmittente e con una troupe di finti cineoperatori spargendo la voce che sarebbero stati felici di intervistare il bandito. I Carabinieri avrebbero quindi incontrato Giuliano, in compagnia di un altro uomo, in una strada periferica di Castelvetrano e da lì sarebbe nato lo scontro a fuoco. Il gregario di Giuliano riesce a scappare mentre l’altro è inseguito per le strade del paese quando, mentre tenta di rifugiarsi in un’abitazione, il mitra gli si inceppa e, prima che possa prendere la pistola di riserva, il Capitano Perenze lo uccide con una raffica di mitra.
La versione dei Carabinieri tuttavia non convince i giornali di sinistra: L’Avanti in un articolo del 7 luglio parla infatti di ‘punti oscuri e inverosimiglianze‘ mentre per L’Unità la versione ufficiale ‘non attacca, non convince e non soddisfa nessuno‘. Ci si domanda come sia possibile per un fuorilegge tanto scaltro cadere in una trappola tanto ingenua come quella del falso camion per riprese cinematografiche; come il misterioso accompagnatore di Giuliano abbia potuto sottrarsi tanto facilmente ai carabinieri, e come, infine, sia stato possibile per il bandito, di cui è nota l’abilità nell’uso delle armi, non mettere a segno nessun colpo in un conflitto tanto movimentato <200. Di diverso parere il Corriere della Sera, che, accettando la versione ufficiale, festeggia la fine del banditismo in Sicilia <201.
Intanto, il reporter de L’Europeo, Tommaso Besozzi, giunto a Castelvetrano da Venezia, si accorge subito che la storia non è come è stata raccontata; inizia così le sue indagini, parla con gli abitanti, interroga i testimoni e comparando i dati da lui raccolti con la versione ufficiale capisce che la verità è ben diversa.
Gli abitanti di Castelvetrano gli raccontano di aver sentito fin dalla mezzanotte un rumore di tegole smosse sui tetti e un bisbiglio: un primo elemento di contrasto in quanto secondo la versione dei Carabinieri il bandito sarebbe capitato lì per caso, intorno alle 3.50 della notte. Gli unici svegli a quell’ora erano i garzoni della panetteria Lo Bello, cui i Carabinieri intimarono di sprangare la porta. Nel suo pezzo Besozzi riporta inoltre le testimonianze degli abitanti di via Gagini, dove avrebbe avuto inizio lo scontro a fuoco; tuttavia nessuno sembra aver sentito gli spari. I residenti di via Mannone ripetono invece di aver sentito prima cinque o sei colpi di pistola, poi due raffiche di mitra distanziate da un breve intervallo mentre i militari riferiscono di raffiche di mitra esplose da Giuliano, altre raffiche dei Carabinieri, poi la pistola del bandito ed infine il mitra del Capitano Perenze.
Ci si chiede inoltre perché Giuliano non avesse un soldo addosso o perché portasse solo una semplice canottiera pur essendo lui vanitoso e a suo modo elegante e, soprattutto, perché non avesse l’orologio da polso cui era tanto affezionato. Proprio questi dettagli, le ferite tumefatte, la cintura dei pantaloni infilata solo in due passanti come se gliela avessero messa frettolosamente, abrasioni e graffiature su un braccio, come se qualcuno avesse trascinato il cadavere, rivelano, secondo Besozzi, una ben diversa verità: il bandito Salvatore Giuliano è stato ucciso in un altro luogo e, solo successivamente, trasportato nel cortile a Castelvetrano.
Le indagini del reporter rivelano che Salvatore è stato ucciso da un suo fedelissimo, su ordine della mafia <202 che aveva poi concesso alle forze dell’ordine di effettuare la messa in scena dello scontro a fuoco.
Besozzi descrive dettagliatamente le varie sequenze dell’assassinio di Giuliano ma non scopre subito il vero esecutore <203; la verità definitiva sarà rivelata nel successivo numero de L’Europeo, del 23 luglio, con un articolo di Nicola Adelfi intitolato ‘Lo uccise Pisciotta nel sonno‘, in cui si ricostruisce la vicenda a partire dall’arresto dei due fedelissimi di Giuliano, Mannino e Badalamenti <204.
La nuova realtà svelata mina gravemente la credibilità, agli occhi dell’opinione pubblica, delle istituzioni rappresentate dal Ministro Scelba e dal Presidente del Consiglio De Gasperi che, all’indomani dell’uccisione di Salvatore Giuliano, avevano parlato di una vittoria dello Stato sul banditismo. Il merito del successo dell’indagine è sì da attribuire all’abilità ed alla determinazione di Besozzi, ma certamente non è da sottovalutare anche il coraggio dell’editore Benedetti che aveva acconsentito alla pubblicazione dell’inchiesta su L’Espresso ‘mettendo a nudo le nudità dello Stato’ <205. La ricostruzione di Besozzi e Adelfi, che scrive il secondo articolo in quanto Besozzi è bloccato a Palermo in stato di semiclandestinità per il timore di rivalse degli apparati, viene confermata dallo stesso Pisciotta, arrestato a Montelepre dopo cinque mesi di latitanza. Il cugino di Giuliano morirà infine avvelenato il 9 febbraio 1954 nel carcere palermitano di Ucciardone.
[NOTE]
197 FARINELLI G., PACCAGNINI E., SANTAMBROGIO G. e VILLA A. I., Storia del giornalismo italiano. Dalle origini ai giorni nostri, UTET, Torino, 1997, p. 404.
198 Ex multis: Stanotte alle ore tre e trenta a Castelvetrano – Il bandito Giuliano ucciso in un conflitto con il Cfrb, in Giornale della Sicilia, 5 luglio 1950; Ucciso Salvatore Giuliano dalla squadriglia del Cfrb, in La Sicilia, 5 luglio 1950; Quattro carabinieri nel cuore della notte affrontano e uccidono Giuliano dopo mezz’ora di fuoco, in Corriere della Sera, 5 luglio 1950.
199 Comando Forze Repressione Banditismo dei Carabinieri.
200 SOMASCHINI C., La morte del bandito Giuliano e le rivelazioni dell’Europeo, in Problemi dell’Informazione, fasc. 4, 1980, p. 531.
201 Da oggi in avanti non si parlerà più di banditismo in Sicilia, in Corriere della Sera, 6 luglio 1950.
202 Cinque anni prima Giuliano aveva ucciso a Partinico alcuni capi mafiosi ed ora la mafia aveva espresso la sua condanna a morte. Si trattò quindi di un regolamento di conti.
203 Essendo rischioso mandare un sicario la mafia cominciò a togliere la protezione ai suoi rompendo la legge dell’omertà e imponendo che quelli della banda, ovunque fossero, dovessero essere segnalati alla polizia. Il bandito fu quindi ucciso da uno dei suoi fedelissimi in precedenza arrestati dalla polizia e che, una volta entrato nella camera dove era nascosto Salvatore Giuliano, non ebbe il coraggio di svegliarlo e condurlo fuori, preferendo sparargli a bruciapelo nel sonno.
204 Pisciotta, cugino di Giuliano, si lasciò convincere da un affiliato monrealese, prigioniero del bandito, che chiunque sarebbe stato vicino a Giuliano prima o poi avrebbe fatto una brutta morte e decise di collaborare con la polizia. Così mentre Pisciotta si recava da Giuliano, il monrealese stava già abboccandosi con un ufficiale superiore del Cfrb: gli spiegò come erano andate le cose e gli disse che Pisciotta chiedeva immunità e taglia. Il Colonnello Luca si fece un rapido conto: 30 milioni a Pisciotta, altri milioni all’astuto monrealese, altri milioni per gli uomini che avrebbero tenuto i collegamenti con Pisciotta a Castelvetrano e altri a chi nel cortile De Maria avrebbe dato una mano a Pisciotta; Luca chiese così al ministro dell’interno Scelba che il premio fosse portato da 30 a 50 milioni. Pisciotta chiese quindi ospitalità per la notte al cugino Giuliano e quando ebbe la certezza che questo dormiva, gli si avvicinò in camicia e piedi scalzi tenendo la pistola dietro la schiena. Pisciotta tremava; il primo colpo, diretto alla nuca, colpì Giuliano alla schiena, il secondo, immediatamente dopo, sotto l’ascella. Sono i due colpi che all’esame necroscopico risultano esplosi a bruciapelo. Lo choc psichico dei due spari fu terribile per Pisciotta che fuggì nella notte, a piedi nudi, reggendo in una mano i pantaloni; scappò verso una Millecento dei Carabinieri, salì a bordo e nessuno ha più saputo niente di lui. Il cadavere di Giuliano fu portato nel cortile, lo sventagliarono con una raffica di mitra, accorse gente, la polizia dette una versione capace di coprire i confidenti, Pisciotta e forse anche qualcuno della casa De Maria.
205 MANNUCCI E., I giornali non sono scarpe. Tommaso Besozzi una vita da prima pagina, Baldini & Castoldi, Milano, 1995, p. 169.
Nicolò Maria Salvi, Il requisito della verità della notizia nel giornalismo d’inchiesta, Tesi di laurea, Università LUISS Guido Carli, Anno accademico 2015-2016