Il rapporto tra sport e fruizione pubblica della televisione ebbe modo di sbocciare in occasione di eventi internazionali, quali ad esempio la Coppa Rimet

Con l’avvento del girone unico nel 1929-1930, il campionato di calcio compatta la penisola. Nel ventennio a seguire, un ulteriore elemento di impatto per la calcistizzazione della società italiana sarà la nascita della radiocronaca. Un’invenzione che si deve a Nicolò Carosio (1907-84), il primo cronista sportivo della radiofonia italiana. Grazie alla madre inglese, Carosio ebbe modo di conoscere le chiacchierate radiofoniche di Herbert Chapman, storico allenatore britannico. Nel tentativo di emularle, sperimentò una radiocronaca durante il derby Torino-Juventus del 1933: un esperimento che convinse l’EIAR, l’ente statale, a cominciare a trasmettere. La sua voce pastosa ed emozionante arrivò nelle case del fascio, negli oratori, nei circoli sportivi, nei bar e dagli altoparlanti installati agli angoli delle strade. Il suo stile animò l’evento, resuscitò partite monotone e la radiocronaca diventò il mezzo più efficace per la conversione calcistica del Paese. Negli anni del fascismo, Carosio evitò di assumere uno tono perentorio e aggressivo e le sue radiocronache si mantennero «sobrie, tecnicamente precise, sintatticamente inappuntabili <94».
In questi anni cambiarono anche le protagoniste della Serie A: la Juventus, legata alla famiglia Agnelli, conquistò cinque scudetti consecutivi, il Bologna diventò campione per quattro volte, mentre tre scudetti andarono all’Ambrosiana Inter. Nel 1943 cominciò l’epica del Grande Torino, campione d’Italia fino al 1949, anno della tragedia di Superga <95. Con la scomparsa della squadra granata, a conquistare l’egemonia del calcio italiano furono le società di Milano e della sponda bianconera di Torino. Milan, Inter e Juventus fecero incetta di titoli dal 1950 al 1968, e solo Fiorentina e Bologna spezzeranno questa sorta di monopolio dell’Italia produttiva: “Inutile sottolineare il ruolo che la Fiat ha avuto nella realtà e nell’immaginario di quel ventennio, o su come, negli stessi anni, Milano abbia saputo proporsi come “capitale morale” del Paese, metropoli efficiente e laboriosa, meta ambita per chiunque volesse tentare di riscrivere la propria esistenza. Le vittorie sul campo delle squadre milanesi e torinesi (manca il Torino, in realtà, ma il peso di Superga è troppo grande e del resto nella capitale sabauda c’era ormai posto per un solo re) rappresentano con tutta evidenza la traduzione nello sport del ruolo egemonico della grande borghesia imprenditoriale piemontese e lombarda” <96.
Nel 1950 si giocò il primo campionato senza gli invincibili granata e a contendersi il titolo furono proprio Juventus e Milan che il 5 febbraio si sfidarono nel capoluogo piemontese sul manto innevato e fangoso dello stadio Comunale. Sarà una partita storica e non tanto per il clamoroso 1-7 con il quale i milanisti surclassarono i padroni di casa, ma per l’esperimento tentato dalla RAI, che per la prima volta trasmetterà un incontro di calcio sul teleschermo. All’epoca erano poche le persone a possedere un apparecchio televisivo e la diretta venne destinata alla zona di Torino e dintorni, dove erano installati i ripetitori. Il clima di quel giorno rese ardua persino la telecronaca affidata alla voce di Carlo Balilla Bacarelli. Il conduttore ricorda che «Juventus-Milan si giocò in un pomeriggio di nebbia: vedevo figure vaghe, allora commentai guardando il monitor e mi accorsi che l’occhio elettronico è più sensibile di quello umano <97».
L’adattamento del calcio al nuovo mezzo di diffusione non fu da subito dirompente. A pesare erano l’alto costo degli apparecchi – il loro prezzo corrispondeva a sei mesi di un salario operaio – l’incompleta copertura del territorio nazionale e riprese ancora lontane dall’affascinare il tifoso al punto da convincerlo a sobbarcarsi il sacrificio dell’acquisto di un mezzo televisivo. Furono i programmi di intrattenimento a creare inizialmente quella forte affezione tra mezzo televisivo e pubblico. Un genere che smosse le abitudini dei cittadini, favorendo un nuovo tipo di socialità. I possessori di televisori e gli abbonati, che salirono a dismisura sotto l’effetto del miracolo economico e dell’enfatizzazione dei beni di consumo, la sera aprivano le porte ai vicini mentre i locali pubblici offrivano la visione collettiva dei programmi più popolari.
Il rapporto tra sport e fruizione pubblica della televisione ebbe modo di sbocciare in occasione di eventi internazionali, quali ad esempio la Coppa Rimet, disputata in Svezia nell’agosto del 1958. Per l’occasione la RAI mandò in onda l’intera manifestazione in piena sinergia con la stampa sportiva che dava indicazione degli orari delle partite in tv. Nacque la nuova convivialità sportiva. Come ricordano Papa e Panico: “bar e ristoranti si fecero concorrenza, avvisando clienti che nei loro locali avrebbero potuto assistere alla più grande competizione del calcio mondiale. Per la prima volta milioni di italiani che non avevano consuetudine con lo spettacolo sportivo videro una partita di calcio. Si pensi al mondo domestico, a quello femminile in particolare; si pensi ai tifosi che non avevano conosciuto il calcio internazionale se non attraverso le pagine dei giornali e le suggestive, ma cieche, radiocronache di Nicolò Carosio. Gli appassionati del pallone si trovarono d’un tratto immersi nel mondo della grande tecnica calcistica internazionale” <98.
Di pari passo con la diffusione delle prime partite di calcio, nacquero i programmi dedicati alle domeniche sportive che nel tempo raggiunsero un seguito tale da condizionare i rituali festivi degli appassionati. E’ il caso di “Novantesimo Minuto”, una trasmissione risalente agli anni ’70, in onda alle 18.15 di ogni domenica sul primo canale della RAI.
Attraverso i collegamenti tra lo studio centrale e i vari stadi, con le immagini dei gol, delle fasi salienti delle singole partite e con i primi commenti, “Novantesimo Minuto” fu la prima vera palestra di un giornalismo televisivo dai ritmi frenetici. Anche le trasmissioni di intrattenimento più seguite aprirono nei loro format delle finestre sul calcio. “Domenica in” dava vita a un continuum narrativo che iniziava con le “Notizie Sportive”, una rubrica di presentazione della giornata, e finiva con una telecronaca di un tempo di una partita di serie A. Altre trasmissioni informavano di ogni variazione dai campi attraverso una scritta in sovraimpressione. Non mancarono le lamentele: il calcio stava invadendo i consueti format di intrattenimento. Era il segno di una delle tante piccole rivoluzioni televisive, che modificarono costumi e abitudini, incidendo sulla stessa natura e nella stessa tradizione del calcio.
“L’ansia dell’attesa dei risultati della propria squadra o la tensione dell’ascolto radiofonico cominciarono ad attenuarsi. “Tutto il calcio minuto per minuto” conservò il suo carattere di trasmissione da ascoltare con concentrazione solo sulle gradinate degli stadi, dove i tifosi impararono a soffrire contemporaneamente per quello che vedevano con gli occhi e ciò che ascoltavano dal transistor. Nelle case degli italiani anche la più calda trasmissione radiofonica finì lentamente per confondersi con le immagini degli spettacoli televisivi”.
Dagli inizi degli anni ’80 era ormai impossibile ignorare le vicende del campionato: le tre reti televisive nazionali (nel 1979 si era dato l’avvio al terzo programma) erano state affiancate dalle emittenti locali, che informavano minuto per minuto dell’andamento delle partite. A tenere informato anche chi si fosse disinteressato alle vicende calcistiche ci pensava lo schiamazzo che proveniva dai cortili e dalla strada in occasione dei gol.
Nel corso del tempo, la televisione abbinata al calcio, considerata come il centro disciplinare dell’attenzione sociale delle grandi masse, diventerà ambita merce del capitalismo. Un rapporto, quello tra tv, calcio e capitale che, come vedremo, condizionerà più di ogni altro il sistema calcistico a partire dagli anni ’80, quando il monopolio della televisione pubblica in Europa crollerà, spezzato dal potere d’acquisto delle tv private che, nel tempo, acquisiranno il mandato per ripensare radicalmente i luoghi e i modi di vivere l’evento sportivo.
[NOTE]
94 PAPA A., PANICO G., Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, Il Mulino, 1993, p.54.
95 La leggendaria compagine del Torino fu investita da una tragedia il 4 maggio 1949, quando un aereo che riportava a casa la squadra da una trasferta a Lisbona si schiantò sulla collina di Superga.
96 PAPA A., PANICO G., Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, Il Mulino, 1993, p.117.
97 CELLETTI L., Carlo Bacarelli: Pioniere e galantuomo, Archeologia dello Sport, rivista online. Disponibile sul web: http://www.archeologiadellosport.com/CARLO_BACARELLI.html
98 PAPA A., PANICO G., Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, Il Mulino, 1993, p.277.
Alessandro Doranti, La forma stadio. Pratiche del conflitto urbano e crisi della trasmissione dei saperi tra generazioni, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Firenze, 2015