La dimensione partigiana dipinta da Fenoglio non è per niente edulcorata

Un racconto, l’ennesimo, sulla guerriglia suscitava fastidio e noia in lettori e critici che nel dopoguerra erano stati letteralmente sommersi da pubblicazioni di quel tipo: il giudizio negativo era dato a priori. Massimo esempio di questi preconcetti sono le ostilità che i vari editors – da Vittorini a Calvino per la Einaudi, da Citati allo stesso Garzanti per l’omonima casa editrice – opponevano di fronte ai tentativi di Beppe Fenoglio di pubblicare: è ormai certo che egli tenne nel cassetto il progetto di cui faceva parte “Primavera di bellezza” e poi “Il partigiano Johnny” anche perché frenato dalle critiche. <23
[…] Come Ada Gobetti racconta le avventure del figlio Paolo, così Gina Lagorio arma la penna per narrare il coinvolgimento del marito Emilio nelle maglie della Resistenza savonese e poi nella ricostruzione del tessuto cittadino dopo la Liberazione. Com’è noto, il titolo del volume, “Raccontiamoci com’è andata”, <52 è un prestito da una battuta che Fenoglio – l’unico che abbia saputo eternare la Resistenza in narrativa, secondo la scrittrice <53 – mette in bocca ad un suo partigiano: a sottolineare immediatamente il debito della Lagorio nei confronti dello scrittore langarolo. Il libro si costruisce sul ricordo personale di Gina ma si appoggia anche su documenti, studi storiografici e ricerche di archivio, in aiuto ad una memoria che la voce narrante teme sia fallace: “Se penso a quei due anni, dall’autunno del ‘43 alla primavera del ‘45, mi è quasi impossibile distinguere momenti precisi, accadimenti fissati dalla memoria. Oscuramento, tessere annonarie, difficoltà di approvvigionamento, allarmi aerei, paura. Questo il clima”. <54
I ricordi di Gina, partecipe diretta col marito di ciò che racconta, sono talmente confusi che la scrittrice preferisce affidarsi anche alle pagine dei romanzi di Fenoglio per ricordare quei momenti, in particolare l’inverno del proclama Alexander: “Una beffa feroce, che bloccava le speranze e che, soprattutto, aprì la strada tristemente memorabile dei rastrellamenti fascisti e nazisti. Ancora una volta per rivivere quell’ora, la disperazione dei partigiani isolati nella fame e nel freddo, con la morte addosso, il nemico che incalzava di collina in collina di presidio in presidio di casale in casale, mi rileggo le pagine di Fenoglio che raccontano, con un ritmo drammatico, di azioni e di pensieri, lo sbandamento dei partigiani tra raffiche di mitra e orrore di fango e di sangue; quando Johnny, Ettore, Pierre e Jackie si ritrovano in salvo, sfiniti e increduli, com’è vera la preghiera di Ettore ai compagni! «Per piacere, non ci addormentiamo subito. Resistiamo e raccontiamoci com’è andata»”. <55
È qui evidente l’ammirazione della Lagorio per lo scrittore langarolo, e il calco per il titolo del libretto di memorie dedicato a Emilio.
[NOTE]
23 Per una ricostruzione delle vicende editoriali dei romanzi di Fenoglio e la genesi del Partigiano Johnny, si veda ROBERTO BIGAZZI, Fenoglio, Roma, Salerno Editrice, 2011.
52 GINA LAGORIO, Raccontiamoci com’è andata: memoria di Emilio Lagorio e della Resistenza a Savona, Milano, Viennepierre, 2003.
53 Dice Gina Lagorio parlando delle Langhe: «le Langhe della Pedaggera, di Gildo Milani, di Raoul, di Tito, dei personaggi storici e fantastici eternati dal più grande di tutti, Fenoglio Milton, Fenoglio Johnny». (G. LAGORIO, Raccontiamoci come è andata, cit. p. 39).
54 G. LAGORIO, Raccontiamoci com’è andata, cit., p. 36.
55 Ibid.
Sara Lorenzetti, Narrativa e resistenza: “invenzione” della letteratura e testimonianza della storia, Tesi di dottorato, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro” – Vercelli, Anno Accademico 2014/2015

Spie del nemico si aggirano nei dintorni; una semplice indiscrezione da parte di chiunque può costarci cara. Lo spazio in cui siamo costretti è troppo limitato. La Val Tanaro, la Val Mongia, la piana di Ceva sono sempre gremite di forze nazifasciste. Conviene cambiare aria al più presto. Ma dove andare? Al di là del Tanaro c’è una vasta zona di colline soleggiate che già stanno colorandosi di un tenero verde primaverile. Paiono invitarci. Sono le Langhe. <36
1.1 Le Langhe tra narrativa e storia
Quando questo studio è iniziato, era impressa nella nostra memoria l’immagine di un paesaggio e una frase di Fenoglio: numerose colline nascoste da una sottile coperta di nebbia, che «intasava i valloni e si stendeva in lenzuola oscillanti sui fianchi marci delle colline». <37 A metà strada tra l’accoglienza di una pianura e l’astiosità di una montagna, le Langhe appaiono al forestiero un intricato labirinto di vegetazione e di celate stradine di campagna. Una terra ricca, abitata da contadini tenaci che hanno adattato un intero territorio alle diverse coltivazioni che caratterizzano la zona. Le Langhe formano un raggruppamento di colline divise in tre catene, attraversate dal Belbo e dalla Bormida di Millesimo, delimitato a ovest dai paesi di Ceva, Mondovì e Bra, a nord-est da Alba, Nizza Monferrato e Acqui Terme, mentre a nord confina con il fiume Tanaro, che attraversa Alba, e nella piccola frazione di San Giuseppe di Cairo Montenotte trova la sua punta meridionale.
Questo piccolo mondo contadino è entrato nell’immaginario collettivo della nazione proprio in relazione agli eventi che sconvolsero l’Italia nel biennio ’43-45. A partire dagli anni cinquanta infatti, anche grazie alle scelte editoriali di Elio Vittorini, <38 inizia a essere prodotta in Italia una narrativa specifica sulla Resistenza che, diversamente dalla storiografia coeva che tende a raffigurarla come un fenomeno senza macchie, monolitico, di tutto un popolo, introduce tematiche spinose, e tende a descrivere il movimento partigiano fuori dagli schemi dei partiti e della politica, facendo emergere quegli aspetti “meno eroici” e più umani che avevano contraddistinto l’avventura dei partigiani nel nord Italia. A partire dai romanzi di Cesare Pavese, “La casa in collina” (1949), dove centrale è il tema della non-scelta di fronte alla guerra civile, e “La luna e i falò” (1950), in cui prevalgono le tematiche relative agli orrori e alle contraddizioni della guerra, del collaborazionismo, fino ai romanzi di Fenoglio “Una questione privata” (1963) e “Il partigiano Johnny” (1968), pubblicati in un contesto politico e storiografico diverso rispetto a quello dei “Ventitré giorni”, la guerra partigiana viene raccontata, da chi ne è stato protagonista, passivamente, nel caso di Pavese, o attivamente, come nel caso invece di Fenoglio, da un punto di vista nuovo. Ma, oltre al valore letterario e civile, i romanzi di Pavese e di Fenoglio, a cui seguono altri libri di narrativa <39 e di memorialistica, contribuiscono a dare rilievo al territorio che ne è sfondo e anche protagonista: le colline e le valli langarole.
[NOTE]
36 E. Martini, Con la libertà e per la libertà, Società editrice torinese, Torino, 1947, p. 63
37 B. Fenoglio, Una questione privata, Einaudi, Torino, 2005, p. 26
38 Nel 1951 Vittorini venne chiamato da Einaudi per dirigere la collana “I Gettoni”, in cui vengono pubblicati i racconti de I ventitré giorni della città di Alba di Beppe Fenoglio
39 Come quello di Davide Lajolo, Il “voltagabbana”, Milano, Il Saggiatore, 1963. Ufficiale dell’esercito e in seguito segretario federale del PNF di Ancona, Lajolo, dopo una profonda riflessione che lo conduce a sconfessare le sue scelte giovanili, si avvicina agli ideali della Resistenza e diventa comandante della VIII divisione Garibaldi nell’Astigiano.
Giampaolo De Luca, Partigiani delle Langhe. Culture di banda e rapporti tra formazioni nella VI zona operativa piemontese, Tesi di Laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2012-2013

Dal canto suo, la narrativa vede nascere racconti in cui la Resistenza non è più il contesto che i personaggi, su cui è posto il focus narrativo, devono comprendere con difficoltà e fatica, ma diventa così centrale che il romanzo sembra costruirsi attorno ad essa invece che intorno al percorso evolutivo dei suoi attori, i quali le cedono il ruolo di protagonista. La guerra partigiana è dipinta finalmente come una dimensione in cui muoversi liberamente e aprire nuovi orizzonti interpretativi: una realtà animata da figure vitali, comprese e sicure del proprio ruolo, che si danno all’avventura con entusiasmo, senza ritrarsene per paura o incomprensione.
Beppe Fenoglio
Rientra a pieno titolo in questa categoria di scrittori Beppe Fenoglio, di cui sarebbe fin troppo facile parlare ora a dismisura.
[…] Fenoglio è un intellettuale periferico, che vive lontano dai circoli culturali in cui si decidono le linee da seguire. In tempi in cui i racconti sulla Resistenza non sono più in voga, l’intellettuale langarolo elegge la guerra partigiana a tema principale della sua narrativa; nonostante gli editori dimostrino di preferire, di tutta la sua opera, i più brevi racconti di argomento rurale, egli non abbandona il progetto del grande affresco partigiano, tentando e ritentando di pubblicare, almeno parcellizzato, il lavoro in cui si condensa la sua essenza di scrittore.
Fenoglio racconta la Resistenza, che fa parte della sua personale autobiografia, spinto da una necessità che possiamo definire interiore, quasi un imperativo morale che lo obbliga a fare i conti con la propria memoria. La fatica della scrittura che egli affronta è tesa a restituire sulla pagina un’esperienza che non è solo pretesto narrativo ma fondamento di un percorso individuale con cui è quasi costretto a misurarsi.
Come si sa, negli anni immediatamente successivi alla Liberazione Fenoglio stende su alcuni taccuini, usati per la contabilità nella macelleria del padre, un breve racconto di chiara origine memoriale in cui sono presenti eventi e personaggi che diverranno centrali nel Partigiano. Scrive Lorenzo Mondo nella prefazione al volume in cui sono editi questi “Appunti partigiani”: <6 “Siamo comunque ben lontani dall’assiduo lavoro sulla lingua del ‘Partigiano Johnny’, dalla sua prosa scolpita e solenne, dal suo fermo splendore. E anche dall’uso dell’inglese, come fissatore privilegiato di segni e di suoni. Fenoglio non se ne serve negli ‘Appunti’, anche se dimostra di averne piena confidenza nelle scene di Bretton Oaks scritte direttamente in quella lingua. Eppure la storia dei taccuini, almeno per le vicende parallele, si può leggere tutta in filigrana nel ‘Partigiano Johnny’. Là risusciteranno il Comandante Nord e il tenente Pierre (che qui, dopo qualche oscillazione con Piero, finirà per chiamarsi Cosmo), Ettore col suo «casco da aviatore», la staffetta Sonia (altro nome di Claudia) martirizzata dai fascisti e il marmocchio ferito in un’imboscata (che solo negli appunti risulta figlio della mezzadra della Langa)”. <7
La genesi memoriale dell’officina narrativa di Fenoglio, dimostrata da Mondo nella prefazione ai “Taccuini” e ribadita poi, tra gli altri, da Valter Boggione, <8 può essere uno dei motivi che portano lo scrittore ad accogliere nei suoi romanzi suggestioni e situazioni fino a quel momento mai toccate dalla letteratura sulla Resistenza ma tipiche invece della memorialistica partigiana. Per lo scrittore, questa è una ricchezza che, lungi dall’abbassare il livello della sua narrativa, contribuisce ad elevarla, a renderla più realistica e allo stesso tempo drammatica.
Nelle sue opere, egli dipinge un personaggio che costituisce una novità per la narrativa romanzesca pubblicata fino a quel momento. Soldato nell’esercito regolare, dopo l’8 settembre Johnny è subito padrone del proprio destino: rifiuta l’imboscamento e cerca con decisione il partigianato. Nelle sue scelte non esiste paura o dubbio. Si coglie immediatamente la differenza che lo separa dai protagonisti dei romanzi pubblicati precedentemente e visti finora, i quali restano paurosi e indecisi oppure sono frenati nell’azione da numerose inquietudini.
La gioia di Johnny che si avvia verso il partigianato è un unicum, se confrontato con la paura manifesta o con gli scrupoli intellettualistici dei suoi predecessori. Protagonisti simili all’alter ego di Fenoglio si possono trovare numerosi nella memorialistica: per esempio, nei racconti di Pino Levi Cavaglione, di Pietro Chiodi e di Mario Spinella. Ecco Johnny: “Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com’è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì si sentì investito – nor death itself would have been divestiture – in nome dell’autentico popolo d’Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell’uso legittimo che ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra”. <9
La voce narrante racconta le illusioni di Johnny sul mondo dei ribelli; fantasie che dovrà presto abbandonare quando, entrato nel gruppo dei comunisti di Tito, vi troverà uomini scorbutici e ignoranti, ormai dimentichi dell’educazione civile e resi bestie dalla vita nei boschi. Anche l’animalizzazione del partigiano, che, lontano dalle comodità della vita cittadina, deve adattarsi ai ritmi della natura e trovare in essa riparo e sostentamento, risulta essere un elemento innovativo dal momento che nessuno dei romanzieri finora incontrati – ci si avvicina solo Renata Viganò – aveva descritto in questi termini la realtà partigiana.
Nel romanzo emerge poi con grande forza la drammaticità della dimensione civile di una guerra che arriva a separare non solo uno stesso popolo, ma addirittura famiglie e fratelli: tesa e ricca di pathos è la condizione del partigiano Kyra e del fratello, ufficiale repubblichino. Le dinamiche comunitarie della realtà dei ribelli, che vivono in relazione paritaria uno con l’altro, è altro elemento innovativo, così come la figura finalmente positiva di un comandante venerato e rispettato, ma non temuto, perché discute e ragiona con i suoi partigiani, senza imporre su di loro un’autorità aprioristica o una cultura inarrivabile.
Attraverso Johnny, la voce narrante sa anche criticare le tecniche di combattimento di una brigata che si comporta come un esercito regolare, stabilendo punti base e guarnigioni fisse, mentre dovrebbe attuare una guerriglia di movimento, di agguati e colpi di mano: segno di una diretta conoscenza dell’argomento.
In sostanza, lo scrittore entra senza paura nella dimensione partigiana e ne può cogliere quindi le dinamiche, trasferendole sulla pagina. Tutti gli elementi innovativi che Fenoglio introduce, e che fino a quel momento non hanno trovato piena e matura cittadinanza in un romanzo resistenziale, <10 avevano stabilito da tempo la loro residenza nella memorialistica; la disinvoltura con cui Fenoglio per primo li accoglie in un romanzo non può che venirgli dalla conoscenza di quelle fonti, e non soltanto dalla sua esperienza diretta di partigiano poiché questo ultimo elemento, tra l’altro, caratterizza anche tutti i romanzieri finora incontrati, eccetto Monti e Pavese.
Macroscopiche differenze tematiche – su quelle stilistiche non mi soffermerò – restano però a distinguere “Il partigiano Johnny” dalla memorialistica.
La dimensione partigiana dipinta da Fenoglio non è per niente edulcorata, come avviene in molti testi di memoria: vengono raccontate le ingiustizie che serpeggiano dove esiste una condivisione del potere, come tra le guardie del corpo di Nord, e nelle situazioni grottesche dei giorni di Alba, in cui frotte di partigiani dell’ultima ora si riversano nella città libera dai fascisti per poi fuggire o imboscarsi quando si chiede loro di imbracciare le armi e resistere al contrattacco nemico. La stessa realistica ambiguità caratterizza la descrizione del comportamento dei civili: si trovano coloro che rischiano la vita per aiutare il movimento ma anche i profittatori – spie, contadini avari quando non violenti – preoccupati solo del proprio circoscritto interesse.
[NOTE]
6 BEPPE FENOGLIO, Appunti partigiani ’44-’45, a cura di Lorenzo Mondo, Torino, Einaudi, 1994.
7 Ivi, pp. XIII-XIV.
8 Scrive Boggione: «È vero che i taccuini “non contengono gli appunti stesi a caldo da Fenoglio durante la guerriglia” [….]. Resta il fatto che la forma narrativa adottata dall’autore è quella dell’autobiografia; anzi, quella di un’autobiografia nel suo svolgersi, dunque del diario. Il titolo stesso scelto dal giovane Fenoglio, Appunti partigiani, più ancora della scelta di farne protagonista un Beppe, nato nel 1922 e figlio di Amilcare e Margherita, lo denuncia apertamente. (cito da VALTER BOGGIONE, La sfortuna in favore. Saggi su Fenoglio, Venezia, Marsilio editore, 2011, p. 179).
9 B. FENOGLIO, Il partigiano Johnny, Torino, Einaudi, 1968, che cito da IDEM, Romanzi e racconti, a cura di Dante Isella, Torino, Einaudi-Gallimard, 1992, p. 833.
10 Tenui abbozzi si intravedono nel Sentiero calviniano e nell’Agnese della Viganò, ma solo nel Partigiano arrivano davvero a compimento.
Sara Lorenzetti, Op. cit.

In un noto passaggio del “Partigiano Johnny” (1968), Beppe Fenoglio descrive la vita dei partigiani come un “muovere a uccidere o essere uccisi, a infliggere o ricevere una tomba mezzostimata, mezzomata” <5. Pochi altri gesti immediati (sedersi per terra a fumare, nell’attesa di avvistare uno o più fascisti) completano il quadro di un’esistenza spesa per intero entro i limiti del paradigma eroico, improntato al criterio d’azione. Johnny è certamente l’eroe del testo di Fenoglio, ma lo è in particolar modo nel senso di ‘agente’ che la classicità greca attribuiva al termine, come ricordano gli studi di Arendt. L’attore (o agente) non è infatti “meramente ‘uno che fa’ ma sempre e nello stesso tempo ‘uno che subisce’” <6, e ciò proprio in virtù della componente relazionale insita nel concetto di azione. Così, Johnny è tanto vulnerabile al nemico quanto quest’ultimo appare vulnerabile a lui e ai suoi compagni. Da queste righe emerge in maniera nitida una visione della Storia che premia il conflitto e il confronto con l’alterità, per la quale “fare e subire sono come le facce opposte della stessa medaglia” <7.
[NOTE]
5 Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny (1968), Einaudi, Torino 2014, p. 273.
6 H. Arendt, Vita activa, cit., p. 208.
7 Ibid.
Andrea Suverato, Scritture complici: uno studio sulle finzioni testimoniali di inizio millennio, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, 2021

L’esercito irregolare partigiano, per inferiorità numerica, qualità strategica ed equipaggiamento non era in grado di sostenere una battaglia e un’occupazione in territori “chiusi” che potevano essere facilmente isolati e circondati. La testimonianza storica è data dall’esito disastroso delle Repubbliche Partigiane, o meglio zone libere, perché come specifica Santo Peli: “Non tutte le zone libere ebbero la caratteristica, per durata, intenzioni, realizzazioni tali da giustificare il più impegnativo e specifico termine di ‘repubbliche’” <27, nate tra il giugno e l’autunno del 1944.
Santo Peli, nella sua analisi del fenomeno scrive: “La collocazione geografica delle zone libere favorisce spesso le ritorsioni delle autorità fasciste e tedesche, che possono facilmente isolare i distretti partigiani” <28.
La dimensione di questo fallimento trova la più eloquente espressione letteraria ne “I ventitrè giorni della città di Alba”. In questo racconto lucido e anti-retorico, Fenoglio apre la narrazione con un esordio-epilogo che chiarisce subito i toni: “Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944” <29.
Nel racconto di Fenoglio si osserva la diffidenza e la distanza dalla città, nonostante proprio Alba sia la città natale dell’autore e quindi del suo personaggio, e in qualche modo si spiega perché la collina sia considerata come il nuovo territorio di appartenenza del partigiano: “Quella prima notte d’occupazione passò bianca tra civili e partigiani. Non si può chiudere occhio in una città conquistata a un nemico che non è stato battuto. E se il presidio fuggiasco avesse cambiato idea […] e cercasse di rientrare ad Alba quella notte stessa? […] quel pericolo era nell’aria e stranamente deformava le case e le vie, appesantiva i rumori, rendeva la città a momenti irriconoscibile a chi c’era nato e cresciuto. E i partigiani, che in collina riuscivano a dormire seduti al piede d’un castagno, sulle brande della caserma non chiusero occhio” <30.
Da questo brano risulta il capovolgimento di una situazione naturale. Alba – luogo d’origine di tanti combattenti – è sentita come spazio estraneo, città conquistata ai nemici, che da un momento all’altro possono rientrare.
[NOTE]
27 S. Peli, La Resistenza in Italia, cit., p. 96
28 Ivi, p. 98
29 B. Fenoglio, I ventitrè giorni della città di Alba, Ivi, p. 89
30 Ivi, p. 92
Anna Voltaggio, Spazi partigiani: il paesaggio letterario nella narrativa della Resistenza italiana, Tesi di Laurea, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2006-2007

Gli innegabili influssi americani hanno agito in maniera negativa sulle possibili pubblicazioni di Vittorini e Fenoglio, ritardandole in alcuni casi, bloccandole in altri. Beppe Fenoglio ha sviluppato ad esempio, nella sua opera uscita postuma nel 1968 “Il partigiano Johnny”, una lingua mista italo-inglese, difficilmente traducibile, che caratterizza l’io narratore del suo protagonista, studente di anglistica.
Questo fattore sembrò ad Antkowiak l’espressione di una grave “anglomania”, come disse nel suo rapporto dello stesso anno, scritto, dunque, a ridosso dell’edizione italiana.
Questo motivo è probabilmente bastato a bloccarne la pubblicazione nella RDT, ma se il libro non ha avuto una traduzione né nella Germania dell’Ovest né, ad oggi, nella Germania unita, probabilmente non è per ragioni politiche, ma proprio per la difficoltà di una simile traduzione da una lingua mista di parole inglesi, italiane o addirittura ibride.
Per rimanere a Fenoglio, “Una questione privata”, uscito anch’esso col titolo “Eine Privatsache” postumo nel 1963, ha raggiunto il pubblico della RDT ben 18 anni prima di quello della Germania dell’Ovest. Il testo era stato tradotto da Heinz Riedt nel 1968 presso Benziger a Zurigo e uscì nel 1970 presso la casa editrice RDT Aufbau, mentre la prima pubblicazione nell’Ovest avvenne presso la DVA di Francoforte sul Meno nel 1988.
La postfazione di Christine Wolter per l’edizione Aufbau porta i segni di un conflitto fra i lettori, che era iniziato nel 1968 quando il lettore di “Volk und Welt” Joachim Meinert aveva giudicato il testo “troppo privato”, per cui non vi si potevano riconoscere le dimensioni storiche della Resistenza e ci si limitava alle storie d’amore dei singoli partigiani (Martini 2007: 352).
Solo sulla base di questo primo giudizio negativo si può capire il lungo excursus della lettrice sulla storia e lo sviluppo della Resistenza; inoltre ella assicura al pubblico: “È veramente una cosa privata, questa storia del giovane partigiano Milton ed insieme l’immagine tragica, eroica e amara di un’epoca. […] Per il lettore italiano, molto di più che per il lettore tedesco [n.d.a : qui da intendersi: molto di più che per il mio collega Joachim Meinert] un’epoca torna a vivere attraverso i dettagli dello sfondo, un’epoca a cui viene dato il nome di Resistenza. È il periodo indimenticabile in cui tutto il popolo italiano attivo storicamente e dopo circa 20 anni di dittatura fascista, ritornò di nuovo padrone del proprio destino”. (Fenoglio 1970: 185–192)
Olaf Müller, La guerra fredda della letteratura. Sulle traduzioni dei romanzi della Resistenza italiana nella Rdt e nella Rft, Kwartalnik Neofilologiczny, LXI, 2/2014, Cejsh

“Auguri Beppe: novant’anni e non dimostrarli” considerando la ricca partecipazione, anche questo avrebbe potuto essere il titolo del convegno dedicato a Fenoglio sabato 10 marzo 2012 al Castello di Cisterna d’Asti. Infatti non è facile, specialmente in uno dei primi sabati ormai primaverili, raccogliere così tante persone per un evento di tipo culturale ma, in quest’occasione, i fatti hanno superato le più rosee previsioni.
L’incontro è stato organizzato dal Polo Cittattiva per l’Astigiano e l’Albese in collaborazione con il Museo Arti e Mestieri di un Tempo di Cisterna d’Asti, l’Associazione Culturale Franco Casetta, il Centro di Documentazione “B. Fenoglio”, la Fondazione Ferrero di Alba, l’Associazione Centro Studi “Beppe Fenoglio”, l’Associazione Franco Casetta di Canale d’Alba e l’Israt ed ha visto la partecipazione di numerosi relatori e l’inaugurazione fotografica di Aldo Agnelli, amico e fotografo ufficiale di Beppe Fenoglio. Dopo i saluti iniziali, ha preso la parola il moderatore del Convegno, prof. Giulio Parusso – Direttore dell’ Associazione Centro Studi Beppe Fenoglio – che ha introdotto i relatori e gli argomenti della giornata. Il dottor Mario Renosio dell’ Israt ha contestualizzato storicamente gli eventi relativi alla Battaglia di Cisterna e di S. Stefano Roero tratteggiandone gli aspetti più salienti e rileggendo – in una luce molto più oggettiva – i dati raccolti dai protagonisti sulla vicenda. Rastrellamenti, imboscate, spari e non solo… questo doveva essere l’ambiente – proprio in questi stessi giorni – di quegli anni. Case bruciate, vite tranquille distrutte nella quiete della campagna e, ancora oggi, interrogando i testimoni diretti è ancora possibile rivedere questa storia nei loro occhi. Ma, come ha sottolineato il dottor Renosio, l’importanza storica di questa battaglia è stata soprattutto nell’ aver creato la consapevolezza che, ormai, un periodo storico era giunto al termine e che stava sorgendo l’alba di una nuova epoca in un mondo che sembrava giunto al capolinea. In questo paesaggio storico è possibile inquadrare la figura del Maggiore Hope che Fenoglio inserisce come personaggio all’interno delle sue opere e che, probabilmente, ha conosciuto direttamente. Di questa figura singolare ha parlato il prof. John Meddemmen – docente di storia della lingua inglese presso l’Università di Pavia. Il Maggiore Hope che è stato delineato, è un uomo molto curioso, che lotta strenuamente per imparare la lingua italiana e che, a causa di un banale incidente, perde la vita in quello che oggi è il Salone della Scuola dell’Infanzia Statale di Cisterna d’Asti. Un uomo particolare che, dopo essere passato indenne attraverso due guerre, termina la sua esistenza per una disgrazia a pochi giorni dalla fine del conflitto. Il prof. Meddemen ha parlato anche del suo carteggio con il figlio del maggiore che desiderava approfondire la conoscenza dei luoghi che videro la morte del padre, anche attraverso la lettura delle opere di Fenoglio che lo riguardavano in parte.
Giulia Carpignano, studiosa e ricercatrice, ha invece sottolineato i punti di contatto e di scollamento tra la realtà storica e gli scritti di Fenoglio. Per compredere questi rapporti – nei quali è inserito anche il paese di Cisterna d’Asti – è importante conoscere la vicenda umana di Fenoglio. Partigiano della prima ora, era un guerrigliero senza mezzi, senza armi e organizzazione. Si era unito inizialmente anche a brigate di ispirazione comunista, pur sentendosi monarchico. Successivamente, dopo un tragico evento, comprense che questo non era il percorso che cercava ed entrò in un’altra divisione. Da allora in poi venne utilizzato per i collegamenti con le missioni alleate con l’incarico anche di fare il traduttore. Era un partigiano speciale, conoscitore della lingua e della cultura inglese e ciò gli è molto utile in questa seconda esperienza partigiana. Sicuramente fu un partigiano che dimostrò la sua presenza anche presidiando un territorio. Ma in nessun documento si parla della sua presenza alla Battaglia di Cisterna. Invece, negli ultimi anni si sono moltiplicate le testimonianze della sua presenza nel Monferrato. Ma probabilmente conobbe Hope e fu legato a lui da stima ed affetto tanto che qualche mese dopo la fine della guerra – come testimonia il suo amico Aldo Agnelli – ritornò a Cisterna. Comunque nei suoi testi rimangono molti punti di distacco dalla realtà storica. In ogni caso il connubio tra storia finzione consapevolmente rielaborata in chiave letteraria, nulla toglie al valore della sua opera dove la compattazione degli eventi racconta il modo in cui Fenoglio ha voluto raccontare le sue emozioni attraverso la storia; in modo particolare quanto questa esperienza abbia ampliato i suoi orizzonti, il suo modo di essere un “partigiano planetario” e di vedere la guerra.
Al termine dell’intervento, il dott. Borra del Centro di Documentazione “B. Fenoglio” ha inaugurato la mostra fotografica “Fenoglio/Agnelli: 14 scatti” alla presenza dell’autore. La mostra rispetta il formato e l’inquadratura originale ed è singolare proprio per questo. Aldo Agnelli amico dell’adolescenza di Fenoglio che con lui ha condiviso, oltre che i suoi pensieri, anche le lunghe passeggiate nelle Langhe, ha regalato ai presenti i momenti più emozionanti della giornata. “Volevo che un giorno chi le vedeva potesse capire come vedevo io questo amico. Abbiamo trascorso una vita insieme. Io usavo le foto e lui la parola… Beppe amava ascoltare la gente ma faceva poche domande. Con il mio mestiere facevo da tramite perché tutti mi conoscevano ed io potevo prendere amicizia e contatti… perché il langhetto non ama parlare delle sue cose ma con me si aprivano. Oggi provo profonda gioia perché sono servito a qualcuno. Beppe è conosciuto per i suoi scritti. All inizio non lo capivano, solo dopo hanno riconosciuto la sua grandezza. E questo mi rattrista perché se n’è andato senza godere della sua fatica… tanto lavoro! Incontrare persone che si interessano di quell’epoca, di Fenoglio per me è una grande gioia e motivo di commozione”.
Luca Anibaldi, autore con Paolo Ciaberta del bel libro “Tradizione rivoluzionaria. Non fate delle barriques ma delle barricate” – in cui un capitolo è proprio dedicata al fotografo – gli ha domandato dove oggi vorrebbe fotografare il suo amico Beppe. Ecco la risposta di Agnelli: “Dopo la sua morte per un lungo momento non salivo più sulle colline senza di lui. Però ci si abitua anche questi dolori. No, dovevo andare, ritornare, ricordare! Ci sono riuscito ed ho ripetuto le fotografie nello stesso punto in cui le avevo fatte con lui. Ero felice di avercela fatta. Sto ora provando con Borra a mettere tutto insieme per raccontare il mio viaggio con Fenoglio ma anche i luoghi fenogliani. Vorrei che capissero il mio dramma perché non è facile ripetere questi momenti per me”.
Buon compleanno Beppe Fenoglio. Grazie Aldo Agnelli. Per chi vi ha conosciuto tramite le pagine dei libri, è stato come incontrare due vecchi amici a metà di un sentiero che conduce alla cima di una collina.
Giovanna Cravanzola, Un Fenoglio alla battaglia di Cisterna, Liberi di resistere…, marzo 2012