La divisione dell’UDI dalle forze del CLN aveva fin da subito avuto un impatto ambivalente sulle partigiane e le militanti

Lo studio del caso ravennate mette a fuoco questa specifica conflittualità, interna al fronte resistenziale e di lungo periodo, estesa ben oltre i limiti cronologici della guerra – civile e mondiale – e dell’antifascismo.
La storiografia ha già ampiamente indagato alcuni nodi cruciali. In primo luogo, a dispetto del «completo accordo» tra le diverse tendenze politiche e dell’«atmosfera di equilibrio tra i singoli partiti» <33 millantate dalla Questura e della Prefettura ravennati tra il febbraio del ’45 e l’insurrezione di aprile, la letteratura concorda nel rilevare un inasprimento degli attriti tra le componenti antifasciste già all’indomani del 4 dicembre.
Gli studi, inoltre, hanno circoscritto la natura “partitica” di queste frizioni. Il Partito Socialista, che era stato protagonista delle lotte di inizio secolo, all’indomani della liberazione aveva ormai un peso ridotto sul territorio, poiché si era dimostrato poco efficace nel ristabilire le proprie forze e nel riorganizzarsi durante il conflitto. Dunque, le diatribe avevano visto contrapporsi il PRI e la DC – due partiti storicamente radicati che avevano mantenuto il proprio peso politico e sociale -, rispettivamente arroccati l’uno nel capoluogo, a Russi e a Cervia e l’altro nelle “sacche bianche” del faentino, e il «partito emergente dell’antifascismo e della Resistenza» <34, ossia il PCI, diffuso in maniera capillare e candidato a subentrare al PSIUP quale riferimento delle masse proletarie.
Altri studi hanno rintracciato in un tempo lungo la matrice di queste frizioni, poi rinvigorite dal contesto postbellico.
Alessandro Luparini, ad esempio, ha individuato il «paradigma» <35 di queste schermaglie negli anni della clandestinità. Basti pensare al dibattito generato dalla scelta della lotta armata, immediatamente sostenuta dal PCI di Zalet (il futuro sindaco ravennate Gatta), Mario Gordini e Bulow, dal Partito d’Azione e persino dalle componenti cristiano sociali – convinte da Benigno Zaccagnini, amico e compagno di armi sul fronte jugoslavo di Boldrini, nonché futuro segretario della DC – ma, a lungo, osteggiata dai repubblicani. Si ricordino altrimenti gli scontri, anche accesi, tra PCI e PRI inerenti alla proposta di Boldrini di pianurizzare la Resistenza <36, oppure quelli provocati dalla cosiddetta “battaglia del grano”, durante la quale i comunisti avevano cercato di contrastare gli occupanti nazifascisti bloccando la trebbiatura e i raccolti, contro il parere dei repubblicani.
Si pensi, infine, al caso emblematico di Castel Bolognese, in cui durante la guerra, data l’impossibilità di un compromesso, nacquero due CLN: uno formato dai comunisti e da una ridotta componente socialista e repubblicana, e l’altro composto dalle restanti fazioni cattoliche, repubblicane, socialiste e persino anarchiche. <37
Altre ricerche hanno invece posto l’accento sugli elementi di conflittualità politica riconducibili alle lotte del primo antifascismo armato e alle istanze sociali ed economiche di inizio secolo, in primis quelle delle leghe contadine e bracciantili. Proprio queste rivendicazioni – di memoria socialista – avevano costituito uno degli orizzonti del movimento resistenziale locale, in cui innestare i fondamenti della consapevolezza – e della lotta – di classe che si sarebbero poi consolidati nel dopoguerra e nei decenni successivi. Infatti, entro la frattura del fronte antifascista trovarono posto, ad esempio, l’eredità degli attriti tra le leghe “rosse” e quelle “bianche”, le lotte per il salario e quelle rivolte contro i soprusi padronali. <38
D’altro canto, permangono aspetti non ancora sistematicamente indagati dalla storiografia. Ad esempio, nonostante le ricerche condotte negli anni ’70 sulla resistenza femminile in Emilia Romagna e le suggestioni storiografiche emerse, soprattutto a partire dal convegno Donne e resistenza (1977) <39, sono rimasti a margine gli elementi connessi con le lotte di genere, che hanno invece avuto un impatto di rilievo sia sulla lotta partigiana che sulle lotte sociali della prima Repubblica. Infatti, se l’esperienza resistenziale – in armi, senz’armi, civile – ha rappresentato la prima scuola politica femminile di massa a livello nazionale, è altrettanto vero che nel ravennate la Resistenza ha fatto propria una militanza antecedente – soprattutto socialista, bracciantile e contadina -, risalente alla seconda metà dell’Ottocento. Non mi riferisco tanto a figure elitarie – istruite e di estrazione sociale elevata – come quella della contessa Maria Pasolini, emancipazionista che contribuì a fondare il Consiglio Nazionale delle Donne Italiane e che partecipò al Congresso Nazionale del 1908, quanto piuttosto alla dimensione mutuale femminile e alle donne attive nel sindacato, che organizzarono le prime leghe e cooperative, come Maria Goia e Argentina Altobelli. <40
Secondo Marzia Ferrari, il lavoro femminile aveva fatto emergere istanze specifiche che non ne permettevano il totale assorbimento nella «tematica generica delle lotte sociali», ossia nella lotta di classe, le quali avevano poi favorito l’organizzazione resistenziale autonoma dei GDD locali. Inoltre, questa politicizzazione aveva intersecato anche l’evoluzione delle strutture famigliari patriarcali. In particolare, la dimensione del «borgo» – distante dalla cascina isolata tipica della mezzadria e della piccola proprietà – avrebbe catalizzato il mutamento della struttura gerarchica tradizionale, «alleggerendo il peso della subordinazione femminile» <41 e quasi invertendo i ruoli di potere. Intervistata nel dopoguerra, la partigiana Ida Camanzi ricordava, ad esempio, il proprio nucleo famigliare come una «famiglia tradizionale dove l’azdora comandava» <42.
Tanto le lotte sociali quanto la citata consapevolezza “di genere” ante litteram anticiparono – e agevolarono – l’apporto femminile alla lotta resistenziale, che secondo Mauria Bergonzini registrò proprio nel ravennate – e nel reggiano – «l’espansione massima della partecipazione femminile a pieno titolo» <43, in virtù di questo sostrato. Dopo la liberazione, le medesime componenti trovarono espressione nelle istanze emancipatorie e nelle rivendicazioni socio-politiche delle ex partigiane e delle militanti, rappresentate soprattutto dall’UDI e dal CIF. <44
Non è un caso che il comunicato del Comitato di iniziativa dell’UDI per Radio VIII armata, trasmesso nel febbraio del 1945, individui nella legge elettorale emanata dal governo Bonomi un riconoscimento senza il quale «sarebbe stata fatta giustizia a metà della massa lavoratrice del Paese», poiché, andando con ordine, le donne hanno prima «[lavorato] accanto all’uomo nelle campagne, nelle fabbriche, nelle professioni, nelle scienze» e poi combattuto con i compagni la «battaglia per la liberazione» <45.
Altre tracce di questa eredità si possono individuare nelle memorie delle ex partigiane conservate nel fondo “Donne ravennati dalle prime lotte sociali alla Liberazione” <46, che pur essendo state raccolte soprattutto negli anni ’70 e risentendo dunque di una sensibilità differente rispetto a quella dell’immediato dopoguerra, mettono in luce a più riprese una coscienza di genere che trova riscontro nelle fonti dell’epoca: un’insofferenza verso la misoginia diffusa che non sembra generata a posteriori, ma su cui il tempo sembra aver agito mutando soltanto il registro lessicale. Proprio questo materiale mette in luce una tensione, proiettata nel lungo dopoguerra ma a lungo sottovalutata a livello storiografico, tra le partigiane e la dirigenza del movimento resistenziale così come di quello operaio. «Io non mi sentivo diversa, ma gli altri sì, chi era impegnata politicamente veniva considerata dall’opinione pubblica un ‘mostro sacro’ (cosa questa che mi ha notevolmente indisposta) [sic]», ha ricordato Gentile Bassi, responsabile della Commissione femminile (1950-1953), consigliera comunale tra il 1945 e il 1955 e segretaria dell’UDI dall’immediato dopoguerra al 1950, aggiungendo anche di ritenere che questo fosse stato «uno dei più gravi errori che ha commesso [nel dopoguerra ndr] la classe operaia, che non [capì] il vero problema dell’emancipazione femminile» <47. Le medesime conclusioni ricorrono anche nell’analisi di Ferrari in merito ai partiti di sinistra, descritti dall’autrice come forze impegnate nella «difesa della loro presenza sulla scena politica» che avrebbero però perso di vista «il fattore specifico della tematica femminile» <48.
A partire dalle fonti consultate, non è possibile ricostruire in maniera esaustiva il ruolo giocato nella dissoluzione del fronte antifascista da questi specifici attriti interni al fronte resistenziale, caratterizzati da una componente di genere più o meno politicizzata, ma solida e radicata. D’altro canto, vale la pena ricordare come la divisione dell’UDI dalle forze del CLN avesse fin da subito avuto un impatto ambivalente sulle partigiane e le militanti, che videro nella separazione tanto una valorizzazione della componente femminile quanto una sua, irriducibile, ghettizzazione. In altre parole, se l’indebolimento dell’unità del fronte resistenziale si può ricondurre ad attriti partitici, non è possibile escludere dalla questione gli scontri generati dai rapporti di genere, soprattutto a fronte di una resistenza femminile che, a seguito del proclama Alexander, aveva mostrato di poter sostenere e organizzare autonomamente
manifestazioni e lotte sociali, oltre a provvedere al sostentamento della popolazione, a livello regionale <49. Inoltre, se la disillusione partigiana acuì le fratture tra la resistenza agita dal basso e il gruppo dirigente, resta da verificare – ma non da dimostrare – la portata della delusione delle partigiane, a fronte di una Costituzione tradita e di una parità effettiva mai raggiunta <50.
In conclusione, tra la fine del ’44 e i primi mesi del ’45, il ravennate si configurava come una summa di conflitti sedimentati – fossero questi assopiti, sospesi, rinvigoriti o inediti -. Citando Marino Moretti, questi erano «luoghi difficili», comprensibili solo se si guardava a «che cosa vi avevan fatto i socialisti, che cosa i repubblicani, che cosa i preti, che cosa le donne» <51.
[NOTE]
33 Cfr. ASRA, Prefettura, Gabinetto, b. 95, f. Relazioni politiche in genere, Riservata personale Prefettura, 17.4.45; ASRA, Prefettura, Gabinetto, b. 95, f. Relazione mensile sulla situazione politica della provincia, sf. Relazioni di PS, Relazione 1.2.45.
34 Alessandro Luparini, I rapporti tra le forze politiche dalla Resistenza alle elezioni del 18 aprile 1948, in Pietro Albonetti et al., op cit., p. 251.
35 Ivi, p. 240.
36 Sul fenomeno della pianurizzazione della Resistenza si vedano in particolare: Matteo Banzola, La provincia in guerra (1940-1944), in Pietro Albonetti et al., op. cit., p. 61; Arrigo Boldrini, Luigi Martini, Pianurizzazione della guerra di Liberazione nel Ravennate, in Luciano Bergonzini (a cura di), L’Emilia Romagna nella guerra di Liberazione, vol. I, Bari, De Donato, 1975, pp. 457-486.
37 Cfr. Alessandro Luparini, op. cit, in Pietro Albonetti et al., op cit., pp. 237-316; Id., Resistenza, democrazia, ricostruzione: Le prime Giunte popolari (ottobre 1944-marzo 1945), in Id. (a cura di), Carte di resistenza e di liberazione: Dall’archivio dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea in Ravenna e Provincia, Ravenna, Longo, 2008, p. 148 e pp. 187-188; Id., Dalla politica alle armi. L’antifascismo ravennate di fronte alla scelta della lotta armata, in Giuseppe Masetti, Antonio Panaino (a cura di), Parola d’ordine Teodora, Ravenna, Longo Editore, 2005, pp. 93-107; Andrea Baravelli, L’inafferrabile volto del ‘bandito’ ravennate: identità e scelta resistenziale, in ivi, pp. 109-122.
38 Cfr. Giuseppe Masetti, Antonio Panaino (a cura di), op. cit.; Pietro Albonetti et al., op. cit.; Guido Crainz, Padania: Il mondo dei braccianti dall’Ottocento alla fuga dalle campagne, Roma, Donzelli, 2007, pp. 133-146.
39 Si rinvia in particolare agli atti del Convegno Donne e resistenza, tenuto a Bologna il 13-15 maggio 1977, pubblicati l’anno successivo: Ilva Vaccari, La donna nel ventennio fascista (1919-1943), Milano, Vangelista, 1978; Franca Pieroni Bortolotti, Le donne della Resistenza antifascista e la questione femminile in Emilia Romagna: 1943-1945, Milano, Vangelista, 1978; Paola Gaiotti De Biase, La donna nella vita sociale e politica della Repubblica: 1945-1948, Milano, Vangelista, 1978.
40 Elda Guerra, Una rappresentanza attiva sulla scena pubblica. Voci e scritti di donne tra Otto e Novecento. Un percorso di ricerca, in Maurizio Ridolfi (a cura di), La Romagna del Novecento, Cesena, il Ponte Vecchio, 1997, pp. 177-204; Ivana Ricci, Attraverso la Resistenza: percorsi di emancipazione, in Id. (a cura di), Senza camelie: Percorsi femminili nella storia, Ravenna, Longo Editore, 1992, pp. 77-87.
41 Le citazioni sono tutte tratte da: Marzia Ferrari, Scelte e orientamenti emersi dal Convegno ‘Le donne ravennati nell’antifascismo e nella Resistenza’, in Franca Pieroni Bortolotti, op. cit., pp. 261-262.
42 Archivi del Novecento, Donne ravennati dalle prime lotte sociali alla liberazione, b.1, f. Ida Camanzi.
43 Mauria Bergonzini, Notizie sulla partecipazione femminile alla Resistenza nelle carte del Public Record Office, in Ivi, p. 250.
44 Cfr. Ilva Vaccari, Lotte e conquiste femminili prefasciste, in Id., op. cit., pp. 31-89; Marzia Ferrari, Scelte e orientamenti emersi dal Convegno ‘Le donne ravennati nell’antifascismo e nella Resistenza’, in Franca Pieroni Bortolotti, op. cit., pp. 261-266.
45 Il documento è citato in Elda Guerra, op. cit., pp. 204-205.
46 Archivi del Novecento, Donne ravennati dalle prime lotte sociali alla Liberazione, bb. 1-3.
47 Ivi, b.1, f. Bassi Gentile.
48 Marzia Ferrari, op. cit., p. 266.
49 Mauria Bergonzini, op. cit., p. 253.
50 Cfr. Francesca Tacchi, Eva togata: donne e professioni giuridiche in Italia dall’Unità a oggi, Torino, UTET, 2009; Nadia Maria Filippini, Anna Scattigno (a cura di), Una democrazia incompiuta: Donne e politica in Italia dall’Ottocento ai nostri giorni, Milano, Franco Angeli, 2007.
51 Marino Moretti, L’Andreana, Firenze, Giunti, 2021, p. 96. (I edizione: Id., op. cit., Milano, Mondadori, 1935); l’edizione del 2021 corrisponde alla versione definitiva del romanzo, edita per la prima volta nel 1961.
Lidia Celli, Giudicare, punire, normalizzare: collaborazioniste e partigiane tra Bologna, Forlì e Ravenna (1944-1955), Tesi di dottorato, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”, Anno Accademico 2021-2022