Sulle interferenze degli Stati Uniti nella lotta al comunismo in Italia negli anni Cinquanta

Il doppio Stato, inteso quale “un’unica realtà in cui convivono una sfera, potenzialmente illimitata, caratterizzata dalla discrezionalità e dalla eccezionalità definita dal potere politico secondo il proprio criterio di opportunità; ed un’altra sfera, della normalità, in cui la certezza del diritto è funzionale alla garanzia di conservazione e sviluppo dei rapporti sociali capitalistici” <22, tende a rendersi manifesto quando la doppia lealtà, presente sin dall’inizio, si divarica, e ciò avviene “quando la saldatura tra nazionale e internazionale si fa più difficile o stentata, quando il circuito di soluzione dei problemi interni e la sua congruità/compatibilità con scelte internazionali è, o è ritenuto, problematico o impossibile” <23. Questo momento viene fatto coincidere con l’inizio degli anni Sessanta, con la distensione internazionale e l’avvio del centrosinistra in Italia <24. Quando la doppia lealtà entra in crisi “il personale politico, grandi apparati dello Stato civili e militari, strumenti di formazione dell’opinioni pubblica, settori strategici della produzione e della finanza come soggetto politico diretto, introducendo così accanto agli organismi e strumenti istituzionalmente deputati ad esprimere e contenere lo scontro politico, altre sedi ed altri organismi” <25. E’ così che emerge il doppio Stato: per “gemmazione” dall’apparato esistente, e non invece per un uso “deviato” dei poteri pubblici, né per azione di un organismo di controllo segreto e sovranazionale da attivare nel momento del bisogno.
Sulla scorta di questo complesso impianto teorico, Franco De Felice propone un’interpretazione innovativa degli avvenimenti che hanno colpito l’Italia negli anni Sessanta e Settanta <26. A spiegare tali fenomeni, che secondo De Felice sono tutti riconducibili “all’emergere, consolidarsi e articolarsi del doppio Stato”, concorrerebbero proprio la compresenza all’interno del sistema italiano di contrasti non ricomponibili tra i gruppi dirigenti, gli effetti distortivi provocati dalla fragilità del sistema di doppia lealtà, e la presenza di un’opposizione capace di rappresentare una minaccia effettiva o ritenuta tale <27. Il tentativo di De Felice di spiegare la violenza dell’Italia repubblicana utilizzando i condizionamenti internazionali della guerra fredda e le categorie di doppio Stato e doppia lealtà, ha rappresentato senz’altro un’inversione di rotta rispetto al passato, ed ha sancito la nascita di un dibattito storiografico su tematiche sino ad allora trascurate <28.
Queste considerazioni relativamente al Doppio Stato e al nesso nazionale/internazionale sono un importante punto di partenza per la comprensione e la disamina dei temi qui trattati, per ripercorrere i quali è necessario analizzare la struttura e l’organizzazione del presente lavoro. La struttura di questa ricerca si compone di quattro capitoli, ciascuno dei quali copre un arco temporale ben definito ed è diviso in paragrafi ordinati in ordine cronologico e concettuale. Il primo è un capitolo introduttivo in cui vengono analizzate le origini dell’anticomunismo negli Stati Uniti, quelle della guerra fredda, e le basi su cui gli Stati Uniti impostarono le loro relazioni con i due principali scacchieri internazionali: Europa occidentale ed Europa orientale. All’interno di questa prima parte si vedrà innanzitutto quanto l’anticomunismo sia un fenomeno antico e complesso, per certi aspetti radicato in alcune caratteristiche tipiche della società americana delle origini, come l’americanismo. Dopo un breve excursus sulle categorie oggetto di delegittimazione nella storia degli Stati Uniti, si passerà a considerare come nella storia degli Stati Uniti il comunismo sia stato a lungo considerato il nemico “assoluto” e “totale” da sconfiggere con ogni mezzo, lecito e non, sulla base di una “ossessione politico-culturale” verso il fenomeno, una sorta di “ortodossia religiosa”, che ha privato l’ideologia comunista di qualsiasi legittimità ed è stata alla base di una produzione legislativa anticomunista e di campagne elettorali antiradicali <29. Si cercherà anche di analizzare come le maggiori ondate di Red Scare della storia degli Stati Uniti siano da inquadrare nel contesto storico, culturale e geopolitico del momento. Molto spesso infatti hanno coinciso con momenti di difficoltà e di crisi per gli Stati Uniti, e sono state funzionali al mantenimento dell’ordine pubblico e del consenso interno. La possibilità concreta che il pericolo comunista si materializzasse anche negli Stati Uniti giustificava l’adozione di misure finalizzate a reprimere il dissenso e limitare i diritti civili, condizionando fortemente la vita politica interna del paese. Sempre nel primo capitolo si ripercorreranno gli snodi fondamentali che all’indomani della seconda guerra mondiale portarono le due maggiori potenze mondiali, Usa e Urss per l’appunto, allo scontro della guerra fredda, partendo dalle prime rivalità insorte negli ultimi mesi del conflitto fino alla costituzione di due blocchi contrapposti. Si vedrà anche come all’origine della guerra fredda vi siano stati interessi profondamente differenti tra le due potenze, prima ancora che contrapposizioni di tipo ideologico, in un quadro in cui la fortissima componente ideologica ha esasperato la rivalità tra Mosca e Washington. Le origini della guerra fredda vanno pertanto inquadrate all’interno di un clima di reciproca ostilità, in cui qualsiasi iniziativa volta a consolidare la sicurezza nazionale da parte di una delle due superpotenze, produceva inevitabilmente insicurezza nella controparte, generando una risposta che a sua volta veniva avvertita come minacciosa e offensiva. A questo proposito si vedrà quali iniziative furono approntate dagli Stati Uniti per contenere l’espansione del nemico sovietico sui diversi fronti: dalla dottrina Truman alla strategia del containment (= contenimento), una politica basata sulla necessità di respingere l’espansionismo sovietico al di là dei suoi confini acquisiti; dal Piano Marshall, un piano pluriennale di aiuti destinati alla ripresa economica dei paesi dell’Europa occidentale, ad iniziative di guerra non ortodossa e psicologica che, con i loro molteplici vantaggi in termini di economicità e fungibilità, hanno rappresentato una costola importante della politica anticomunista statunitense per tutto l’arco della guerra fredda. Ciascuna di queste strategie fu adottata e adattata sulla base dell’importanza strategica dell’area in oggetto. Si vedrà infatti come alcune regioni fossero considerate aree geografiche ad high priority e come altre invece fossero classificate a low priority. Queste ultime, essendo minacciate dall’espansionismo sovietico soltanto in maniera parziale, non furono destinatarie di consistenti interventi e piani economici che, se erogati, avrebbero certamente contribuito allo sviluppo delle economie locali. Si analizzeranno inoltre i diversi mutamenti a cui la politica estera americana nei confronti del comunismo è stata soggetta, in un crescendo di intensità e illegalità a seconda delle diverse amministrazioni e dell’intensità con cui veniva percepita la minaccia comunista. In ultima istanza, si sottolineerà come gli Stati Uniti abbiano sempre cercato di trovare un bilanciamento tra necessità internazionali e convenienze interne, in modo da prevenire sì l’espansione del comunismo, ma anche di mantenere aperti spazi di influenza economica nelle diverse aree geografiche.
Nel secondo capitolo della tesi si scenderà nel tema cardine di questa ricerca ricostruendo le interferenze degli Stati Uniti nella lotta al comunismo in Italia negli anni Cinquanta. La prima delle questioni trattate è la scelta atlantica italiana. Si vedrà come le logiche bipolari della guerra fredda, in particolare la necessità di sconfiggere il comunismo a livello internazionale, abbiano influito sull’interessamento degli Stati Uniti alla penisola, sulla collocazione internazionale dell’Italia, e infine sull’inizio della sudditanza italiana rispetto agli Stati Uniti. Si cercherà inoltre di ripercorrere le vicende che portarono gli Stati Uniti a voler includere la penisola nel sistema di sicurezza atlantico, e di ricostruire le ragioni che animarono le classi dirigenti italiane nel sostenere la tesi dell’inclusione nonostante le molteplici opposizioni provenienti da più parti del mondo politico, dall’opinione pubblica e dal Vaticano. Infine si cercherà di appurare se quella di aderire al Patto atlantico possa ritenersi una decisione autonoma e indipendente da parte del governo italiano, fino a che punto essa fu incalzata invece dagli Stati Uniti e, in ultima istanza, in che misura l’Italia, attraverso la scelta occidentale, poté ritenersi soddisfatta rispetto al raggiungimento di alcuni obiettivi diplomatici di primaria importanza per il governo italiano, come la revisione delle clausole più penalizzanti per il paese e la necessità di non rimanere isolata in ambito internazionale. Nel secondo capitolo si prenderanno anche in esame i cambiamenti internazionali avvenuti nel 1950 (l’esplosione del primo ordigno atomico sovietico, la nascita della Repubblica popolare cinese, la guerra in Corea) e quelli nazionali successivi ai risultati delle amministrative del 1951-52, che sancirono un aumento dei consensi per il Pci rispetto alle elezioni precedenti, dimostrandone tutta la forza. Si cercherà di mettere in risalto soprattutto la misura in cui questi due livelli (internazionale e nazionale) abbiano influito sull’interesse statunitense per la stabilità interna dell’Italia e, di conseguenza, sulla lotta al comunismo. E’ in questo periodo che va contestualizzata una delle iniziative statunitensi più incisive degli anni Cinquanta per sconfiggere il pericolo comunista in Italia. Si tratta del Piano Demagnetize – Clydesdale, pianificato dallo Psychological Strategy Board allo scopo di ridurre la forza del Pci e del suo sindacato, attraverso l’epurazione della presenza comunista dagli enti pubblici e dalle industrie, l’inasprimento della legislazione esistente sulla sicurezza pubblica, ed infine attraverso la predisposizione di un sistema efficace in grado di prevenire la crescita del Pci anche su base militare. Nonostante la mancanza di prescrizione concrete, il piano Demagnetize resta un documento molto importante nella comprensione dei temi trattati, in quanto molte linee guida avrebbero inspirato le iniziative di guerra psicologica messe in campo dagli Stati Uniti negli anni successivi. Una parte del capitolo sarà poi dedicata alla descrizione degli anni in cui Claire Boothe Luce fu ambasciatrice americana in Italia, e ai rapporti che questa instaurò con le classi dirigenti locali. Con il suo arrivo a Roma, si registra infatti uno dei periodi di maggiore intensità della politica contro il comunismo. Claire Boothe Luce applicò con ampia discrezionalità gli ordini impartiti da Washington, dando peraltro luogo al rafforzamento delle politiche di guerra psicologica in Italia e ad un uso spregiudicato di tutti i mezzi a sua disposizione per debellare il comunismo. Tra gli strumenti cui l’ambasciatrice fece più ricorso ci fu, in campo politico, il tentativo di costruire una maggioranza alternativa che fosse più propositiva e dinamica nei confronti del problema comunista e che scongiurasse l’ipotesi dell’apertura a sinistra. Sempre sul fronte della politica, la Luce esercitò anche pressioni sul governo italiano e sull’opinione pubblica riguardo un possibile taglio degli aiuti se il Pci fosse giunto al potere per vie legali. In campo industriale, invece, la nuova ambasciatrice ricorse alla negazione delle commesse Osp a quelle fabbriche – come la Fiat – in cui la presenza comunista fosse considerata troppo influente. Il capitolo si chiude con il 1956, anno di crisi dell’equilibrio bipolare e per i partiti comunisti di tutta Europa. Due fatti in particolare generarono tensioni internazionali: la rivoluzione scoppiata in Ungheria per la liberazione dal giogo sovietico e la Crisi di Suez. Di questi due avvenimenti ho cercato di individuare le conseguenze a livello internazionale, ma soprattutto nazionale. Ho esaminato infatti in che misura essi influirono sul modo statunitense di guardare il comunismo in Italia. Tra le conseguenze principali, si vedrà quanto a partire dal 1956 Stati Uniti e Italia abbiano intensificato un processo di collaborazione militare, di cui fece parte anche la creazione di un’organizzazione clandestina appartenente alla rete di Stay Behind (S/B) presente in tutta Europa per fronteggiare il rischio di un’invasione da parte delle armate comuniste. Gladio, l’organismo di S/B italiano, nacque in seguito ad un accordo tra i servizi segreti italiani e statunitensi. Di per sé legittima, questa organizzazione ebbe il compito di coordinare le operazioni segrete organizzate in Italia allo scopo di contrastare l’avanzata del comunismo e ricevette dagli Stati Uniti armi, munizioni e finanziamenti, oltre che addestramento ed esperienza. I problemi legati alla sua istituzione furono essenzialmente: l’oscurità del Parlamento in merito alla sua esistenza (soltanto il capo del governo e il Ministro della Difesa ne erano a conoscenza); il coinvolgimento dell’organizzazione parallela in azioni sfuggite al controllo del governo e non conformi alla Costituzione. Nelle ultime pagine del secondo capitolo di questa organizzazione si ripercorreranno i ruoli e le vicissitudine legate alla sua istituzione.
[NOTE]
22 F. De Felice, Doppia Lealtà e doppio Stato, cit., p. 498.
23 Ibid., p. 525.
24 F. Barbagallo, Il doppio Stato, il doppio terrorismo, il caso Moro, in “Studi Storici”, 42, 1 (2001): pp.127-138.
25 F. De Felice, Doppia lealtà e doppio Stato, cit. p. 525.
26 Ibidem.
27 Ibid., p. 526.
28 Si vedano ad esempio: N. Tranfaglia, Un capitolo del “doppio stato”. La stagione delle stragi, in F. Barbagallo (a cura di), Storia dell’Italia Repubblicana, vol. 3, tomo 2, Torino, Einaudi, 1997, pp. 5-80; F. M. Biscione, All’origine del concetto di “doppio Stato”: il PCI e la sconfitta della solidarietà nazionale, in S. Pons (a cura di), Novecento italiano. Studi in ricordo di Franco De Felice, Roma, Carocci, 2000, pp. 325-333; F. Barbagallo, Franco De Felice e il progetto della “Storia dell’Italia repubblicana”, in “Studi Storici”, 42, 2, (2001): pp. 359-366; F. Barbagallo, L’Italia Repubblicana di Franco De Felice: fondamenti e categorie, in “Studi Storici”, 40, 3 (1999): pp. 681-697; F. Barbagallo, Il doppio Stato, il doppio terrorismo, il caso Moro, in “Studi Storici”, 42, 1 (2001): pp.127-138.
29 F. Giovannini, Breve storia dell’anticomunismo, Roma, Datanews, 2004.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020