La prima riunione “libera” del Partito comunista a Venezia risale al 28-29 aprile 1945

La notte tra il 28 e il 29 aprile 1945 – in Calle del Doge a S. Maurizio, al primo piano di un Palazzo delle Assicurazioni Generali, ex sede di un’organizzazione fascista occupata il giorno prima dai Gap – si tenne la prima riunione “legale” della federazione veneziana del Pci. Erano presenti i membri del Cf, l’organo direttivo provinciale del partito: il segretario della Federazione Luciano Marchi (Spino) <36, Aldo Damo (Luciano) <37, Giuseppe Turcato (Marco alias Renzo) <38, Giovanni Battista Gianquinto (Giobatta o “Titta”) <39, Alfonso Vernì (Paolo) <40, Giuliano Lucchetta (Abe) <41, Piero Franceschi (Antonio) <42, Mario Martinelli <43, Ivone Chinello (Cesco) <44. Sono stati quasi tutti massimi dirigenti della Resistenza locale, con importanti compiti di responsabilità; <45 erano gli stessi membri del Cf del periodo clandestino. La composizione sociale di questo Cf era rappresentata, soprattutto, dai ceti medi (professori, studenti, impiegati) con un solo operaio (Marchi).
In questa prima riunione i nomi dei membri del Cf erano quasi tutti riportati nel verbale con i nomi della clandestinità, come a voler indicare una fase di illegalità ancora non conclusa e non ancora del tutto transitoria verso quella democratica. Infatti, il primo punto all’ordine del giorno, verteva sulla «organizzazione del partito nella nuova situazione di trapasso alla legalità». <46 Si discusse delle giornate preinsurrezionali e dell’ultimo periodo: «Dopo la reazione fascista del dicembre ’44-gennaio ’45 l’organizzazione si trovò senza il valido appoggio di alcuni compagni responsabili. La ripresa del lavoro di partito incominciò verso i primi di febbraio; più tardi raccogliendo i frutti la Federazione incominciò a sentirsi veramente federazione in rapporto alle responsabilità assunte». <47 Dunque, da febbraio-marzo del ’45 la Federazione subì un cambiamento che stette alla base del suo consolidamento-ricostruzione e della sua affermazione come partito delle masse, che avvenne nei mesi e negli anni successivi; i protagonisti di questo cambiamento rappresentarono il nucleo originario sul quale si costruì il “partito nuovo” a Venezia. <48
Enrico Longobardi, avvocato comunista e vecchio militante del partito di lunga data, redigette un Rapporto sulla situazione della federazione di Venezia al Tiv (l’organismo regionale del Pci che doveva organizzare l’insurrezione), datato il 23 aprile, cioè neanche una settimana prima della suddetta riunione: «Ai primi di febbraio la Federazione quasi non esisteva dal punto di vista organizzativo. A Venezia mancavano quasi completamente i contatti; e quanto alla Provincia, non si aveva collegamenti con nessuna località. Ora possiamo dire che la situazione è molto migliorata. Malgrado gli ultimi arresti abbiano privato la federazione, dei migliori compagni, essa funziona in modo soddisfacente. Sono stati arrestati Mas. [Mario Balladelli] e And. [Vinicio Morini]; mentre Aur. [Giorgio Trevisan], Renzo, Piero hanno dovuto necessariamente allontanarsi. Ciò [h]a provocato la perdita del collegamento con alcuni centri della Provincia. Tuttavia, ripeto, la Federazione continua a funzionare. Per quanto riguarda il capoluogo abbiamo ripreso contatto con ogni settore cittadino; e nei centri della provincia siamo quasi dappertutto presenti. […] Abbiamo avuto un discreto incremento di iscrizioni; ed un certo numero di compagni è stato attivizzato in posti di responsabilità. Nonostante i colpi subiti, abbiamo creato alcune condizioni di lavoro le quali hanno già dimostrato la loro capacità realizzatrice. È stata creata un’altra Sezione per il lavoro tra gli intellettuali, con elementi volenterosi. […] Tirando le somme, ai primi di febbraio in città vi erano soltanto una decina di compagni attivi. Ora invece si ha il seguente quadro: abbiamo circa 46 comitati dirigenti, di settore, di cellula, sezioni di lavoro, compreso il comitato cittadino. Il che significa che vi sono circa 120 compagni di quadro. In città, gli iscritti sono oltre 500. Abbiamo conseguito perciò progressi degni di rilievo. In provincia […] l’organizzazione del partito è presente in tutte le zone: San Donà, Portogruaro, Dolo, Mestre, Cavarzere, Boion. Son poche le località minori in cui manchi la nostra organizzazione. Nella zona di San Donà la nostra organizzazione è presente con 22 località, Comitato di zona, con totale di circa 250 compagni. A Portogruaro esiste Comitato di Zona, con 19 località in cui siamo presenti in 14 località Comitato di Zona, e Comitati di Villaggio, per circa 100 compagni. La zona di Dolo, 7 località con 120 compagni. Boion 4 località, 120 compagni. Per Cavarzere ci mancano dati precisi. Inoltre, nella zona industriale di Marghera siamo presenti in tutte le fabbriche con Comitato di cellula. Complessivamente con 200 compagni.» <49
Commentando la prima parte di questo rapporto, emerge il cambiamento notevole che la Federazione subisce, nella primavera del ’45, rispetto all’inizio di quell’anno. Dopo gli arresti di molti massimi dirigenti della Federazione (tra i quali ricordiamo appunto Giuliano Lucchetta, Mario Balladelli <50, Vinicio Morini <51 e Armando Pizzinato <52), altri che furono costretti alla fuga e alla clandestinità (ricordiamo Piero Franceschi e Giorgio Trevisan <53), una forte deficienza organizzativa (la mancanza di collegamento tra le varie realtà, organismi non funzionanti) e l’attendismo presente soprattutto per quanto riguarda Porto Marghera, la Federazione si riorganizzò e cercò di radicarsi in città, in provincia, nelle fabbriche. <54 Era un lavoro difficile che aveva come elemento principale l’organizzazione, l’inquadramento dei militanti, la loro suddivisione nelle varie zone e nelle varie sezioni di lavoro. Non bisogna dimenticare che si era ancora sotto l’occupazione nazifascista, perciò da una parte, si scontavano notevoli difficoltà organizzative; dall’altra l’adattamento alla vita clandestina creò dei problemi quando si trattò di tornare alla “democrazia”. Molti militanti non riuscivano o non volevano abbandonare uno stile e una “filosofia” di vita, ormai fatte proprie.
Vediamo come anche gli altri dirigenti citati fossero rappresentativi della piccola o media borghesia, mentre scarsa era la presenza, a livello dirigenziale, di elementi operai. Gli organismi significativi e importanti della Federazione che vale la pena ricordare sono: il più volte citato Cf (massimo organo provinciale), il comitato cittadino composto dai comitati di zona (con le relative cellule di strada) ed eventualmente comitati di villaggio nelle zone di campagna e i comitati di agitazione nelle fabbriche (composti da cellule).
Come abbiamo visto dal Rapporto sulla situazione della federazione di Venezia ci sono vari settori di lavoro, in ognuno dei quali era presente almeno un compagno della Federazione. Interessante notare l’incremento numerico degli iscritti, nonostante le difficoltà dell’ultimo periodo.
Questo radicamento, doveva essere corretto, epurato, indirizzato, controllato e canalizzato secondo le direttive nazionali del partito. Bisogna, infatti, sottolineare un elemento che fu alla base del lavoro della dirigenza della Federazione: il controllo e il consolidamento della funzione organizzativa (la presenza del partito in tutte le realtà, nei comitati cittadini, di settore, di agitazione nelle fabbriche, nel Fronte della gioventù, nell’Udi) andò di pari passo con quella politico-ideologica, cioè il controllo sulle masse, la purificazione da elementi considerati – come abbiamo già detto – “estremisti, settari e derivanti dalla reazione”. <55
Riprendendo in mano, il rapporto di Longobardi, emerge infatti il tentativo di coordinare i vari settori di lavoro della Federazione; Longobardi si occupò anche del lavoro militare: «IL LAVORO MILITARE: In armonia colle direttive del partito, la Federazione ha dato a questo lavoro la massima importanza. Ecco alcune cifre: In febbraio non c’era alcun contatto col Btg. Felizzati [Battaglione Felisati] e la Brigata Venezia era disgregata. Ora il Btg. Felizzati è diventato una Brigata con 400 componenti ed ha realizzato alcune azioni. La Brigata Venezia si è trasformata in Brigata Ruspo, ed in una seconda brigata Pellegrini con circa 600 uomini ciascuna. In tutte le zone si sono costituite formazioni di Sap e possiamo dire che anche queste hanno una posizione di lotta. In città si è costituita una Brigata Sap con circa 400 componenti, con rispettivo comando brigata. Molte deficienze vi sono da superare ancora specialmente in campo militare […]». <56
Come vediamo, il radicamento del partito passò – anche e soprattutto – attraverso il lavoro militare, con un incremento dei componenti delle formazioni partigiane. Intendo dire che l’aspetto militare era – in un momento di guerra – ritenuto fondamentale e necessario per aumentare la consistenza del partito. Anche per quanto riguarda il lavoro di massa il partito cercò di essere presente in tutti gli organismi vigenti, formati dai vari partiti antifascisti: «Conformemente alle direttive del P. abbiamo incrementato il lavoro di massa, sviluppando la formazione dei Cln. In tutta la Provincia, sia nei centri maggiori, sia nei centri minori, esistono Cln in ognuno dei quali è sempre presente un nostro compagno. Abbiamo curato la formazione di Cln di base. […] il nostro P. ha l’iniziativa in importanti enti ed aziende. Così in Municipio, il Cln funziona al completo. Come potrete vedere esso ha esaminato e deciso i maggiori problemi inerenti al funzionamento del Comune ed alla epurazione. Questo è un lavoro importante in quanto nel momento in cui la Giunta Popolare Municipale prenderà il potere, essa potrà giovarsi di tutto il lavoro compiuto del Cln […]. Anche presso il Gazzettino è stato costituto e funziona il Cln. […] Meno soddisfacente la situazione dell’ospedale civile, data la tiepidezza dei rappresentanti degli altri Partiti. È certo che il nostro compagno rappresentante non mancherà di compiere ogni sforzo per attivizzare il Comitato […].» <57 Dunque, si doveva avere dei propri rappresentanti in tutti gli organismi collettivi, dove erano presenti gli altri partiti, dove venivano prese decisioni importanti a livello politico, sociale, culturale ed economico.
Oltre ai propri “uomini” il Pci si fece carico e promotore della presenza, anche, degli altri partiti all’interno degli organismi istituzionali di governo e civili; infatti, molte volte fu la Federazione che cercò di risolvere le divergenze che potevano nascere per salvaguardare l’unità dei partiti antifascisti.
Un altro importante ambito di lavoro, fu quello sindacale; furono creati comitati di agitazione di base nelle varie fabbriche. Ci furono varie manifestazioni di massa, come alla Vetrocoke e alla Breda di Porto Marghera, che portarono ad una distribuzione gratuita di viveri. Alla Manifattura Tabacchi, ci furono due giorni interi di sciopero, con agitazioni per un miglioramento delle condizioni lavorative. Scioperi ben riusciti e partecipati alla Marittima e all’ospedale civile, per l’aumento salariale e la distribuzione di derrate alimentari a prezzo normale. Sciopero anche in Municipio, con richieste accolte solo in parte. Inoltre, ci fu un importante sciopero al «Gazzettino», con uguali rivendicazioni.
Continua, Longobardi, sottolineando il nuovo spirito di indipendenza che accomunò i lavoratori, e la combattività di categorie lavorative, che di solito erano «refrattarie»; tutto ciò indica, il buon e proficuo lavoro svolto dai vari comitati di agitazione. <58
Tornando invece, al verbale della prima riunione “libera”, del 28-29 aprile, si legge: «È necessario notare che la situazione della città, circa una settimana fa, era soddisfacente. La creazione (costituzione) del comitato cittadino, l’attivizzazione dei compagni responsabili nei singoli comitati di settore – in Venezia e in provincia – ebbe un esito soddisfacente. Cominciammo a sentire il polso della popolazione, avemmo non solo il quadro organico del partito e delle organizzazioni di massa che il partito controllava ma avemmo prove tangibili della partecipazione attiva delle masse popolari in rapporto alle esigenze della lotta insurrezionale e antifascista. Specie nella provincia c’erano le premesse per uno sviluppo della vita di partito. Mestre si distinse per il buon nerbo proletario subitamente manifestatosi nei primi combattimenti. Abe: “Vorrei qualche accenno su S. Donà e Portogruaro”. Spino: “Queste zone furono un poco trascurate: le comunicazioni con Portogruaro erano diventate in questi ultimi tempi sempre più precarie. Però il lavoro militare fu soddisfacente: si sono costituite e hanno operato tre brigate. Negli ultimi tempi abbiamo riscontrato in queste formazioni una maggiore combattività ed energia. La brigata Ferretto attaccava e combatteva alla periferia di Mestre. Tornando a Venezia gli ultimi arresti fecero freno: la situazione politico-militare è poi precipitata. Fu una insurrezione il che per noi comunisti è ben di più che una normale liberazione. L’organizzazione di Venezia ha risposto all’attesa in modo lodevole: politicamente e organizzativamente. Questo dimostra che nonostante tutte le precarietà della lotta clandestina si era lavorato seriamente e che i compagni erano bene orientati. Si è visto la bontà del lavoro svolto in passato: già dalle prime ore del mattino vedemmo le nostre pattuglie attaccare i nazifascisti e correre al combattimento […]”» <59
Le capacità e le qualità organizzative, politiche e militari venivano messe in risalto. Il senso di disciplina, rigore e ubbidienza agli ordini era evidente e dichiarato; esso viene notato anche da chi non ha seguito direttamente il lavoro della Federazione dell’ultimo periodo. Infatti si legge nel verbale: «Luciano: Consentitemi di dire che questa mattina ho vissuto l’insurrezione. Sono vissuto fuori dalla federazione e non conoscevo esattamente il lavoro svolto in questi mesi. Però ne ho visto il risultato: combattività, disciplina, maturità. Il Partito ha marciato. Si è visto poi anche il fenomeno: l’iniziativa dei compagni. Quando noi dicevamo: “Bisogna far questo o bisogna far quello”, ci rispondevano: “L’abbiamo fatto, stiamo facendolo”». Disse Turcato: «Da notarsi che le finalità e lo spirito di disciplina che hanno caratterizzato le azioni del Battaglione “Biancotto” dimostrano come non sia stato lo spirito di avventura (consueto nei giovani, del resto) a motivarle, ma siano il risultato di un lavoro politico e di una sentita coscienza di combattere per il popolo». Aggiunse Chinello: «Negli ultimi tempi [il] nostro Battaglione – anche attraverso i contatti coi rappresentanti dei gruppi giovanili degli altri partiti e con l’avvenuta ispettiva del Regionale, e con la formazione di una giunta giovanile coi c. [compagni] socialisti – si era consolidato politicamente. I giovani sentivano di rappresentare qualcosa […]». <60
[NOTE]
36 Luciano Marchi, nato a Verona il 28/5/1904, operaio nello stabilimento Cotonificio veneziano di Verona, già a sedici anni partecipò alle lotte sindacali e politiche nel suo stabilimento. Nel 1923 fu segretario della Federazione giovanile della città, e nel ’26 segretario della Federazione provinciale. Scontò undici anni di reclusione fino al 1943, passando per molte carceri d’Italia (Roma, Firenze, Bologna, Milano, Parma). Rilasciato con la caduta del regime, viene di nuovo arrestato. Liberato, una seconda volta, si trasferì a Rovigo, dove diresse il partito e la lotta partigiana, dandosi alla macchia. Nell’ottobre del ’44, venne catturato dai nazifascisti, dopo numerosi rastrellamenti, per essere processato e giustiziato. Riuscì ad evadere dalle carceri veronesi, nonostante aveva una gamba infortunata; riparò a Venezia, dove dal gennaio del ’45 fu inviato dal centro e diventò segretario della Federazione provinciale del partito. Cfr. Il nostro Segretario Federale, Vdp, 10/8/1945.
37 Aldo Damo (S. Donà di Piave, 1906-1978) di famiglia antifascista, emigrò per lavoro a Vercelli dove aderì al movimento politico di Giustizia e Libertà. Fu arrestato dalla polizia fascista e condannato nel 1937 dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato a dieci anni di carcere; scontò la pena nel carcere di Reggio Emilia, dove si avvicinò al Pci. Scarcerato nell’agosto del 1943, dal dicembre dello stesso anno alla primavera del ’44 divenne segretario provinciale del Pci veneziano. Fu così nominato rappresentante del Pci nel Clnrv, diventandone verso la fine della guerra vicepresidente. Membro della Consulta Nazionale per il Pci nel settembre del ’45 e presidente del Clnrv nel marzo del ’46. La sua mancata candidatura alla Costituente lo portò sempre di più a rompere con il partito fino alla sua radiazione avvenuta nel 1949. Avremo modo più avanti di parlare di queste vicende. Cfr. L. Urettini, Gli invisibili: Aldo Damo, in Venetica, cit., pp. 135-182.
38 Giuseppe Turcato, nasce a Castelfranco Veneto nel 1913; lavorò a Venezia presso la Sade (Società adriatica di elettricità). Entrò nel Pci veneziano dagli anni Trenta. Animatore, protagonista e leader della Resistenza veneziana; commissario politico della Brigata Garibaldi “Francesco Biancotto” ed intellettuale autodidatta, era molto abile a “scovare” giovani capaci e fidati per le azioni partigiane più pericolose. Fu per un breve periodo, verso la fine del 1944, segretario della Federazione veneziana del Pci. Inoltre, fu l’organizzatore e l’ideatore della famosa “Beffa” al Teatro Goldoni del 12 Marzo 1945. Nel dopoguerra fu eletto consigliere comunale per due volte (1946-56). Ebbe degli scontri con la Federazione, infatti, dopo la Liberazione non fece più parte del Cf; avrò modo di parlarne più avanti. Cfr. A. Melinato, Per una biografia politica di Giuseppe Turcato, Tesi di laurea triennale, 2007-2008, Università Ca’ Foscari di Venezia, relatore prof. M. Isnenghi.
39 Giovanni Battista Gianquinto (Trapani 1905 – Venezia 1987). Laureato in giurisprudenza a Padova; aprì uno studio legale in Campo Sant’Angelo a Venezia. Fu un avvocato penalista, antifascista, già repubblicano, poi comunista. Fu uno degli antifascisti e comunisti più in vista e importanti della città, membro del Cf del Pci veneziano; diventò vicesindaco subito dopo la Liberazione della città lagunare per la giunta Ponti, e successivamente Sindaco nel 1946, fino al 1951 – Dal ’51 ricoprì il ruolo di consigliere comunale, nel ’53 venne eletto deputato, e poi senatore nel ’58, ’63, ’68 e nel ’72, stando in Parlamento per ben 19 anni. Cfr. S. Distefano, Giobatta Gianquinto, in G. Distefano – L. Pietragnoli (a cura di), Profili veneziani del novecento, Supernova, Venezia, 2004.
40 Alfonso Vernì, dal marzo al giugno ’45, fu responsabile del lavoro di massa del Comitato cittadino del Pci; poi nel Cf provinciale diventò responsabile dell’organizzazione. Fu il fratello di Anna Maria Vernì, bellissima donna, dirigente della Commissione femminile della Federazione, insieme ad Anita Mezzalira.
41 Giuliano Lucchetta (Venezia 1919), studente di Lettere all’Università di Padova; figlio di Giuseppe, socialista. Rappresentante del Pci nel Clnp di Venezia fino alla fine del ’43; venne inviato nel gennaio del ’44 nel mandamento di San Donà, per riorganizzare la Resistenza a seguito di molti arresti avvenuti in quel periodo. Diventò comandante militare della Brigata Garibaldi “Venezia”. Venne arrestato il 2 gennaio del ’45, insieme al pittore Armando Pizzinato. Si finse pazzo per evitare di essere ucciso, e infatti venne trasferito al manicomio di San Servolo, dove rimase fino alla Liberazione. Finita la guerra, rimase a far parte della Federazione – anche se non ebbe un ruolo dirigenziale – facendo ogni tanto e per breve tempo l’ispettore in provincia. La vita, finita la guerra era molto dura, e cercò di arrangiarsi come poté, tra vari lavori. Diventò poi professore di Lettere. Cfr. A. Daoud, Il compagno “Andrea”. Storia di un partigiano, operaio e intellettuale comunista. Tesi di laurea triennale, 2009-2010, Università Ca’ Foscari di Venezia, relatore prof. M. Isnenghi.
42 Piero Franceschi, impiegato, anche lui importante organizzatore della Resistenza veneziana; fu responsabile nel Cf del Pci veneziano, durante la clandestinità, del lavoro sindacale e poi del lavoro di massa.
43 Mario Martinelli, capitano dell’aeronautica; uno dei dirigenti della Brigata “Biancotto”. Fu uno dei responsabili dell’azione che portò alla resa degli ultimi fascisti rimasti a Sant’Elena. Cfr. G. Turcato, “Stratagemma” contro la Decima Mas, in G. Turcato – A. Zanon Dal Bo, 1943-45. Venezia nella Resistenza, Comune di Venezia, Venezia 1976, p. 272.
44 Ivone Chinello (Venezia 1925-2008), nome di battaglia Cesco (in onore del partigiano Francesco Biancotto); comunista, partigiano della Brigata “Biancotto”. Fu uno dei protagonisti della “beffa” al Goldoni. Diventò responsabile dei giovani all’interno del Pci, responsabile del lavoro d’organizzazione, poi segretario della Federazione (1961-1968), consigliere comunale e deputato. Soprattutto, grande studioso del movimento operaio e di Porto Marghera. Cfr. C. Chinello, Un barbaro veneziano. Mezzo secolo da comunista, Il Poligrafo, Padova, 2008.
45 «Erano presenti alla riunione vari c. da mesi lontani dalla vita di Partito per cause di forza maggiore. Abe per esempio. […] Da notarsi che i c. appena avvisati si sono subito preoccupati di agganciarsi con il Partito, riprendendo direttamente – nei casi urgenti – i collegamenti in modo da accelerare la mobilitazione di tutti i c. delle squadre Sap. Questo in particolare il lavoro di Massimo [Balladelli], di Piero e di Marco. Massimo è riuscito a ricollegarsi con Marghera, con Mestre, Dolo e Mirano e specie con le organizzazioni di strada. Questo dimostra il buon orientamento dei c. In tempo utile questa federazione aveva inviato a Mestre tempestive direttive insurrezionali: la risposta immediata del c. Massimo dimostra il buon accordo esistente con tutte le organizzazioni Provinciali […]». Verbale della seduta di partito della federazione di Venezia del Pci, (28 aprile 1945 – seduta notturna), in Aiveser, Fondo Turcato, busta 5 (Manoscritti, pratiche e documenti), fasc. 2 (1943-45 Comitato federale clandestino), p. 1.
46 Ibidem.
47 Ivi, p. 2.
48 Non tutti rimasero a far parte della Federazione; alcuni furono trasferiti, altri per vari motivi vennero “epurati”, basti pensare a Turcato e Damo.
49 E. Longobardi, Rapporto sulla situazione della Federazione di Venezia, 23 Aprile 1945, in Aiveser, Fondo Cavanna, busta 1, fascicolo (il Pci veneziano), pp, 2-3.
50 Mario Balladelli (Massimo), uno dei massimi dirigenti della Federazione veneziana, e uno dei capi della Resistenza locale. Nato il 23 Luglio 1919 a Bologna da una famiglia bolognese, sua madre era casalinga e suo padre era medico dentista e aveva uno studio a Treviso. Sin da giovane si era trasferito con la famiglia a Mestre; studente di Filosofia all’Università di Padova. Era il “leader” e maestro del gruppo di amici composto appunto da Balladelli, Giuliano Lucchetta, Vinicio Morini e Ada Salvagnini. I quattro si ritrovavano dal 1942-43 a casa di Lucchetta o Balladelli, per discutere di politica, di fascismo e altro. Balladelli il più grande del gruppo, insegnava agli altri la filosofia orientale, lo yoga e le basi del marxismo; è anche dalle letture dei testi della mistica orientale (ad esempio autori come Swani Vivekananda e Sri Ramakrishna Paramahamsa) che i quattro arrivarono a posizioni antifasciste. I luoghi di ritrovo diventarono dei centri di discussione e confronto culturale tra questi amici. Tutti e quattro condivisero la scelta antifascista e partigiana – anche se con strade e percorsi diversi – arrivando a volte a ricongiungersi durante la clandestinità. Balladelli, inviato spesso in provincia (nel miranese, ed era anche membro del Cln di Venezia) per dirigere le attività partigiane, diventò commissario politico della Brigata “Venezia” nel sandonatese, dove raggiunse l’amico Lucchetta, raggiunti successivamente da Morini. Balladelli, nell’autunno del ’44, ritornò a Mestre per coordinare e collegare le forze partigiane dell’entroterra mestrino, insieme a Morini. Entrò, dunque, a far parte del Cf, e si diede molto da fare per risolvere i problemi organizzativo-politici e militari. Venne arrestato il 6 aprile 1945; liberato nel carcere di Mira il 22 aprile, poco prima di essere fucilato. Dopo la Liberazione, fu uno dei massimi dirigenti della Federazione, tra l’altro anche consigliere comunale. Successivamente, si dedicò all’insegnamento della filosofia. Cfr. A. Daoud, Il compagno “Andrea”, cit.
51 Vinicio Morini (Andrea), nato l’11 novembre 1925 a Mirano; figlio di un ufficiale dell’esercito. Si trasferì giovanissimo a Mestre, dove conobbe Balladelli, Lucchetta e Salvagnini; strinse amicizia con il calzolaio comunista Leone Moressa. Nel novembre del 1942, lavorò a Porto Marghera, nello stabilimento delle Leghe Leggere. Qui, sotto la direzione di Paquola e di Moressa, portò avanti un’attività antifascista insieme ad altri operai. Compiuti i diciotto anni, non aderì alla Repubblica Sociale Italiana; si diede dunque alla macchia: riprodusse al ciclostile per otto mesi, i volantini, opuscoli e documenti del Pci, dentro lo studio (chiamato “buco stampa”) del pittore Pizzinato a Venezia. Nell’autunno del ’44, raggiunse gli amici Balladelli e Lucchetta nel sandonatese, successivamente tornò a Mestre per coadiuvare Balladelli nel coordinamento delle formazioni locali. Venne arrestato verso la fine di febbraio del ’45 a Mestre; tradotto nella Casa del Fascio, fu ripetutamente torturato. Liberato il 27 aprile, partecipò come giudice popolare al processo ai due fascisti Tullio Santi (tra l’altro fu uno dei torturatori di Morini) e Mario Maffei, terminato con la loro fucilazione. Finita la guerra non entrò subito a far parte della Federazione, ma si dedicò al lavoro; verso la fine degli anni quaranta diventò delegato sindacale in provincia, soprattutto a Portogruaro, e poi dirigente
sindacale a Porto Marghera. Inoltre, fu consigliere comunale a Mirano dal 1951 al 1975. Ibidem; Intervista a Vinicio Morini dell’autore, Mirano, 26/03/2012 (Vedi Allegato I).
52 Armando Pizzinato (Stefano), nato il 7/10/1910 a Maniago nel Friuli. Pittore, l’8 settembre ’43, lasciò San Vito al Tagliamento, dove si trovava ricoverato in ospedale per raggiunge Venezia. Qui, si mise in contatto con il Pci clandestino: cominciò ad affiggere volantini e distribuire manifesti antifascisti per la città, durante il coprifuoco, e successivamente diventò responsabile della stampa e propaganda clandestina nella provincia di Venezia. Il suo studio a S. Agnese, il cosiddetto “buco stampa”, diventò un centro fondamentale di produzione di materiale antifascista e comunista: qui Morini riproduceva al ciclostile volantini, opuscoli, mensili (come «Fronte Unico») e direttive riservate del partito. Il buco stampa non fu mai scoperto dai fascisti, e la sua attività propagandistica non cessò fino alla fine della guerra. Pizzinato fu arrestato il 2 gennaio 1945, insieme a Lucchetta, portato alla Gnr di Mestre – dove venne interrogato e torturato – vi rimase per ventisette giorni. Poi, venne trasferito al carcere di S. Maria Maggiore, infine a Cà Littoria in questura, per essere interrogato di nuovo, da dove riuscì a fuggire a Liberazione quasi avvenuta. Nel dopoguerra, ritornò a dedicarsi alla pittura, organizzando varie mostre, soprattutto di carattere antifascista, insieme al pittore Emilio Vedova.
53 Giorgio Trevisan (Aurelio), professore di Matematica all’Università di Padova; era nei primi mesi del ’44 rappresentante del Pci nel Cln di Venezia. Nel Novembre del 1944 fu segretario della Federazione veneziana del Pci, sostituito poi da Turcato perché ricercato dalla Brigate Nere.
54 Nella terraferma, soprattutto a Porto Marghera e Mestre, si era creata una fase di stallo dell’attività partigiana, a causa del’“attendismo” del comitato cittadino di Mestre. Pietro Tesio (Sergio), capo operaio di una fabbrica di Marghera e responsabile politico e organizzativo del Pci nella zona di Mestre, aveva una forte influenza sugli altri comunisti nella zona. Portò avanti una linea attendista, si opponeva ad ogni tentativo di azione e di unità dei partiti antifascisti, e arrivò addirittura a rifiutare di dare al Cf del Pci i contatti relativi alle organizzazioni di fabbrica. La Federazione alla fine decise l’espulsione di Sergio. La decisione fu accolta e accettata anche da coloro che si erano fidati di Sergio e ne avevano accettato “l’autorità”. In un rapporto di Balladelli si legge: «L’attesismo dei compagni del Comitato di zona di Mestre, negativamente influenzati da Sergio e da altri, politicamente disorientati, nonostante gli interventi di Gianni [Bruno Venturini segretario della federazione dalla primavera al settembre del ’44], Aurelio, Marco e dei dirigenti di Padova, è rimasto essenzialmente quello di prima. Il Sergio è un pericoloso disgregatore. Pur dovendo assolvere alle responsabilità militare assegnatemi dal partito, condividendo le comuni preoccupazioni, riaffrontai la situazione facilitato dal fatto che avevo già risieduto e lavorato a Mestre e conoscevo quindi sufficientemente l’ambiente. Non mi è stato possibile rimuovere taluni dalle loro posizioni, ma chiamando ad un lavoro politico i migliori, autentici compagni delle fabbriche, coi quali avevo avuto rapporti cospirativi nel passato – già prima dell’8 settembre – e di cui godevo la stima (Toni Bernardi, Mario Tonini ed altri) insieme riuscimmo a promuovere l’istituzione – qualcosa che valeva e prometteva veracemente – di un nuovo Comitato di zona, che con iniziali difficoltà ma in tempo utile, sostituì il vecchio ed inetto organismo e divenne nel tempo l’organo dirigente della lotta politica del Mestrino». Anche Turcato, in una relazione del 18 marzo del ’45, spiegò la difficoltà della situazione: «In seguito agli arresti di compagni responsabili (del settore della Giudecca ed altri sparsi), in seguito all’infortunio del compagno Piero (o Antonio) responsabile dell’organizzazione (sfuggito all’arresto e feritosi nella fuga) la situazione locale si presentava non facile. Contatti, collegamenti perduti e difficoltà inerenti ad infortuni del genere». Dopo queste difficoltà, il lavoro ricominciò a riprendere tra febbraio e marzo, con la sostituzione del comitato di zona e la ripresa e l’intensificazione dei contatti. Sempre Turcato: «siamo pertanto in grado di ricominciare il nostro lavoro di attivizzazione, di controllo e di stimolo. Col compagno Spino abbiamo concretato determinate soluzioni del problema cittadino e provinciale… Furono tenute varie riunioni di Comitati di settore… di capi-cellula, di comitati di cellula, di singoli compagni staccati per varie ragioni, ed infine di tutti i responsabili di settore, per sentire, vedere, proporre e stimolare. […] In questa revisione della situazione organizzativa cittadina vennero osservate le seguenti particolarità: minore attesismo, intensificazione del lavoro, dei Comitati di agitazione, idee meno settarie per i Cln di fabbrica, entusiasmo per l’auspicata unione con il partito socialista… […]». C. Chinello – E. Longobardi – M. Balladelli, Per una documentazione. L’organizzazione comunista veneziana nel «lavoro illegale», in G. Turcato – A. Zanon Dal Bo, 1943-45. Venezia nella Resistenza, cit., pp. 146-147; C. Chinello, La Resistenza a Marghera: rottura e ricomposizione nella lotta operaia. Una nuova soggettività sociale e politica, in G. Paladini – M. Reberschak, La resistenza nel veneziano, Comune di Venezia, Venezia, 1985, pp. 265-271.
55 Ricordò Spriano: «La replica al’“estremismo” da parte dei dirigenti ha, in generale, una doppia sorta di motivazioni: quelle classiche, che lo denunciano come opportunismo mascherato, come forma di attesismo, come concezione alla “teoria erronea della spontaneità” e quelle che impostano un discorso realistico – a cui più sono sensibili gli operai – del tipo: non possiamo fare tutto quello che vogliamo, se puntassimo alla rivoluzione proletaria il blocco delle forze antifasciste si spezzerebbe, “noi comunisti ci isoleremmo dal popolo italiano”, una tale politica ci “porterebbe alla guerra civile e questo nelle condizioni attuali potrebbe significare la catastrofe per il nostro Paese”». P. Spriano, Storia del Partito comunista Italiano,
Vol. V, cit., p. 525.
56 E. Longobardi, Rapporto sulla situazione della Federazione di Venezia, 23 Aprile 1945, cit., p. 3.
57 Ibidem.
58 Ivi, p. 4.
59 Verbale della seduta di partito della federazione di Venezia del Pci, (28 aprile 1945 – seduta notturna), in Aiveser, Fondo Turcato, busta 5, fasc. 2, cit., p. 2.
60 Ivi, p. 3.
Ahmed Daoud, “Qualcuno diceva di esser comunista”. La Federazione veneziana del Pci dalla clandestinità alla repubblica tra stalinismo, riformismo, ed elettoralismo (1945-46), Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2011-2012