È la stessa banda partigiana Lazzarini a essere una storia incompiuta

Nella zona di Luino operò la Formazione “Lazzarini”, composta da una trentina di elementi, per lo più soldati sbandati, renitenti alla leva, antifascisti locali. Comandata dal “capitano” Giacinto Domenico Lazzarini, la banda prese contatti prima con le organizzazioni clandestine cattoliche, poi con il CLN di Varese. Nell’estate del 1944 fu protagonista di alcune azioni partigiane; ma la notte del 7 ottobre, in seguito ad indagini fasciste e a gravi delazioni, venne quasi al completo sorpresa nel sonno alla Gera di Voldomino da un centinaio di nazifascisti provenienti da Varese. Dodici partigiani furono trucidati. Preceduta da forti scioperi operai a Luino e nei dintorni, la Liberazione arrivò il 25 aprile 1945.
Redazione, Luino (VA), Memorie in cammino

Numerose sono le case che ospitano Giacinto Lazzarini e Vittorio Mumolo. Giacinto Lazzarini, ufficiale italo-americano dei servizi segreti USA paracadutato ai Piani Resinelli (Missione USA Dick), si nasconde nei primi giorni in casa Valsecchi sopra l’albergo Italia, poi a Lecco si rifugia in casa di Carlo e di Angela Gerosa e di Oreste Dell’Era; con lui sta Vittorio Mumolo, marconista italo-americano; in seguito si sposteranno in via Ariosto, a San Giovanni in Varigione e ad Abbadia presso la casa cantoniera.
Redazione, Donne da ricordare, ANPI Lecco, 8 marzo 2009

La missione Dick (Anita) fu istituita, poi, su richiesta del XV Gruppo d’Armata che mirava ad acquisire informazioni sulle difese e fortificazioni dei tedeschi nell’area del Bergamasco.
Michaela Sapio, Servizi e segreti in Italia (1943-1945). Lo spionaggio americano dalla caduta di Mussolini alla liberazione, Tesi di Dottorato, Università degli Studi del Molise, 2012

Ogni banda fra quelle dislocate lungo la frontiera settentrionale diede il suo apporto nel favorire la fuga degli ebrei. Fra tutte merita particolare segnalazione la formazione comandata da Giacinto Lazzarini, sul cui capo le autorità repubblichine posero la taglia di 500 mila lire con l’ordine di ucciderlo a vista, la quale riuscì a far espatriare 1.168 ebrei e 817 ricercati politici e renitenti alla leva fascista. La formazione, che operava nella zona circostante a Varese, si distinse per la grande decisione, la perizia, le ramificazioni profonde nella zona immediatamente retrostante al confine, che permisero di accompagnare i fuggitivi proteggendoli con vere e proprie scorte armate che arrivarono a comprendere fino a cinquanta uomini. Un impegno che fu pagato con un alto tributo di sangue. La formazione contò infatti ben 44 caduti [7].
[7] Cfr. G.Bianchi, Aspetti dell’attività partigiana nel Nord Lombardia, in ‘La Resistenza in Lombardia’, Milano, Edizioni Labor, 1965, pp. 123.
Massimiliano Tenconi, La guerra silenziosa per salvare gli ebrei, Storia in network, 1 maggio 2014

Ma al Varesotto lega il suo nome anche Giacinto Domenico Lazzarini, ufficiale della Resistenza, comandante della “Banda Lazzarini”, che operava tra la Valcuvia e la Valtravaglia, salvando numerosi ebrei (insignito da Yad Vashem del titolo di Giusto nel 1978), e don Dante Sala, modenese, che salvò oltre cento ebrei, accompagnandoli in prima persona in piccoli gruppi fino alle zone del Luinese per farli espatriare in Svizzera (Giusto tra le nazioni dal 1969).
Sara Magnoli, Varese, Cunardo, Valcuvia, Luino. Quanti ebrei salvati in provincia, La Provincia di Varese.it, 27 gennaio 2013

Il 7 ottobre 1944, due compagnie della Scuola Allievi Ufficiali della Gnr di Varese, fra cui la IV, detta “Compagnia del Terrore”, sotto il comando dell’Upi, sono dirottate nel Luinese, con l’obiettivo di sorprendere la [banda nda] “Lazzarini”. I partigiani, sorpresi verso le 7.30 nel sonno, in una piccola stalla a pochi metri dalla cascina della “Gera” sono diciotto. Il diciannovesimo, ferito, è ospitato in casa dei signori Baggiolini, proprietari del fondo. Giunge nel frattempo sul posto il colonnello Enrico Bassani, comandante della Scuola Allievi Ufficiali della Gnr, lasciando al sottotenente Carlo Rizzi dell’ Upi la facoltà di soprassedere alla fucilazione “per quegli elementi che potevano interessare”. Dodici fra i partigiani catturati, sono fucilati, ma in località diverse. Alla “Gera”, base della “Lazzarini”, i fucilati sono quattro: Sergio Lozzo, Alfredo Carignani, Flavio Fornari e Pietro Stalliviere. A Brissago Valtravaglia i partigiani passati per le armi, al grido “Viva l’Italia libera”, sono cinque: Giacomo Albertoli, Carlo Di Marzio, Dante Girani, Carlo Tappella e Gianpiero Albertoli. Alle Bettole di Varese, presso l’ippodromo, i fascisti fucilano i tre partigiani più giovani: Elvio Coppelli, venti anni, Evaristo Trentini, ventitré e Luigi Ghiringhelli, di venti anni, abbandonando i loro corpi sul prato per due giorni, come monito alla popolazione. A costituire il plotone di esecuzione sono gli Allievi ufficiali della Gnr. Gli altri sette partigiani sono fatti prigionieri e trattenuti all’Upi di via Dante. Vengono fermate anche quattro donne, quasi tutte del luogo: Maria e Rosa Garibaldi, di Valdomino, Dolores Bodini, una sfollata, e la moglie del Lazzarini, Angela Bianchi. La cascina “Gera” dei coniugi Garibaldi è data alle fiamme, l’annessa casa colonica razziata di mobili, suppellettili, animali e generi alimentari <2.
Giacinto Lazzarini non era presente, si era allontanato con altri membri della banda. Il Capitano Lazzarini <3 nel 1990 donò una serie di documenti al comune di Merate (LC), l’anno successivo il comune della città costituì «Il Museo storico “G. Lazzarini” […] dopo che la moglie del colonnello Giacinto Lazzarini di Muralto donò all’Amministrazione comunale l’archivio del marito» <4.
[…] Cosa ci dicono i racconti e soprattutto cosa riusciamo a districare della storia di Giacinto Lazzarini? Il periodo che va dall’otto settembre al 25 aprile non contiene processi lineari e limpidi. Sovente s’intrecciano strane figure, gli attori sul terreno sono tanti. La Chiesa, il Regno del sud, gli americani distinti dagli inglesi ma a volte assieme, i fascisti che cercano una via d’uscita, quelli che procedono come se nulla fosse e quelli che millantano chissà quali sconquassi prima di scomparire – e i partiti e gli uomini che si riconoscono nel CLN – e spesso non riescono a seguire o inseguire tutto questo movimento. I tedeschi poi diventano di volta in volta crudeli assassini, militari che fanno la guerra, politici che guardano al dopo.
In questa grande e variegata moltitudine di uomini si muovono quanti consideriamo persone di tutti i giorni ma anche i tipi più strani, dagli avventurieri agli Zelig: è una particolare forma di sindrome da dipendenza ambientale in cui il paziente modifica di continuo la propria identità, adeguandola alle persone e agli oggetti con cui di volta in volta entra in relazione, come una sorta di “camaleonte” più imprevedibili. Le memorie del dopoguerra raccontano in parte anche questa situazione. Dalle dimenticanze di azioni partigiane non convenzionali – le rapine, attentati dinamitardi in mense e osterie – all’autocelebrazione dell’agire in combattimento sino alla presenza in luoghi lontani e incontrollabili: racconti che fanno a volte sorridere o che, complici noi, accettiamo come pegno perché noi non ci siamo stati. Poi ci sono i falsi racconti assieme al tentativo di accreditarsi in un panorama dell’antifascismo che oggi però è più facile da controllare.
Non si vuole affrontare la questione del chi era Giacinto Lazzarini inseguendo la correttezza dei documenti del suo fondo – sarebbe un lavoro troppo complesso per le mie possibilità – posso però fornire alcuni elementi di riflessione, porre questioni di logica elementare nei lanci militari – ci si buttava da 400/750 metri con paracadute ad apertura automatica (vincolati) e non da 4000! – che possano anche aiutarci a leggere sia le testimonianze direttamente rilasciate da Lazzarini, sia i richiami documentari che si possono trovare su libri, in archivi e anche nel web.
La banda Lazzarini a Voldomino
Finalmente, verrebbe da dire, si esce dalla spirale di Lazzarini che racconta Lazzarini e incontriamo qualcun altro che ci racconta della banda Lazzarini: Franco Giannantoni. Nel suo “Fascismo, Guerra e Società nella Repubblica Sociale Italiana” si trovano riferimenti a questo gruppo di resistenti che si organizza dopo l’otto settembre. L’apparenza però inganna, superato il momento iniziale di trovare altri che parlano di Lazzarini, purtroppo si ricade nel refrain di sentirci raccontare storie sempre dallo stesso protagonista. È la stessa banda Lazzarini a essere una storia incompiuta, niente organigramma, niente legami certificati con gli organismi del CLN di Varese o di Milano nemmeno una ricostruzione compiuta fatta dallo stesso comandante; sempre brani, pezzi, l’elenco dei caduti e poi la liberazione delle donne catturate e non siamo nel marzo-aprile 1945 ma nell’ottobre del 1944. Ma è nebuloso anche l’arrivo in zona del Lazzarini e come riesce ad esprimere un’autorità che lo rende comandante di una banda. Il suo dopo otto settembre, si trovava sempre a suo dire in quel momento presso la ditta Caproni di Taliedo, e la storia ricalca in modo sorprendente la relazione che fa tale Leonetto Lazzarini dopo la guerra al Cvl della ditta; non è proprio uguale, il nostro Leonetto non riesce a non inserire elementi spettacolari nella fuga verso Como <21: all’altezza di Legnano incontrano un posto di blocco tedesco, ad un ordine di Lazzarini gli autocarri rallentano e si dispongono a forma di ventaglio per sfruttare tutta la potenza delle mitragliatrici. Il prosieguo del racconto ha un che di immaginifico: tedeschi falciati e i cavalli di frisia travolti dalla colonna che prosegue, un Mad Max oltre la barriera del tuono ante litteram. Sorprendentemente la relazione di Leonetto Lazzarini <22 trova un riscontro nel resoconto «Attività svolta dal comandante Rino Pachetti dal settembre 1943 fino alla liberazione d’Italia»: “Nella notte sul 9 settembre, in accordo con Poldo Gasparotto, effettuai con pochissimi uomini il disarmo dei carabinieri di guardia allo Stabilimento Caproni di Milano. Detta azione, autorizzata dal Gen. Ruggero, fu condotta d’accordo con il tecnico Lazzarini e l’ing. Crespi (poi fucilato) e procurò due autocarri, 96 mitragliatrici calibro 7,7 con circa 300.000 colpi ed 80.000 maglie per nastri. Possono testimoniare quanto affermo l’On. Luigi Gasparotto ed il sig. Boffito della Banca Commerciale e l’avv. Pugliesi. Sempre il 9 settembre assunsi il comando dei patrioti dislocati fra Cernobbio (Como) ed il confine Svizzero. Essi furono da me armati con il bottino fatto alla Caproni” <23.
Anche Angelo Chiesa nel suo libro di ricordi “Racconto di vita e di lotta” non entra nello specifico della banda Lazzarini ma ci lascia alcune importanti tracce che testimoniano, da una parte la scarsa considerazione del personaggio e dall’altra si fanno interpreti di uno spaesamento di fronte alle sue ricostruzioni. Egli viene indicato come «ufficiale dell’aeronautica, in collegamento con i servizi informativi americani» e le attività della sua banda conservano «molte [sono le] zone d’ombra». La relazione sull’attività della sua banda viene definita «strana» tant’è che Chiesa ritiene di dedicargli qualche pagina e, anche questa volta, il racconto è pieno di voli pindarici che lasciano sgomenti: «il colonnello Cortese affida a Lazzarini il grado di comandante operativo delle bande operanti in provincia [Varese nda] […] magazzini clandestini di armi e viveri e preparare il reclutamento e l’armamento di 500 uomini». Finalmente non troviamo gradi militari che identificano il nostro ma anche trovare il tenente colonnello Cortese delegato militare del C.L.N. del tempo non è così facile!
Il tragico epilogo della banda Lazzarini non lascia solo ombre, normali in una situazione dove vengono colti nel sonno i componenti di una banda partigiana, ma lo sconcerto non termina nell’ottobre del 1944; tale è invece l’informazione che riporta Franco Giannantoni nel suo “La notte di Salò (1943-1945). L’occupazione nazifascista di Varese dai documenti delle camicie nere”. Il nostro assassina con un colpo di arma alla testa Antonio Rosato il 25 aprile 1945 mentre sta portando un mazzo di fiori per Angela Bianchi. Il Rosato era stato un componente della banda che era scampato alla cattura degli altri membri perché allontanatosi con il comandante assieme ad altri sei uomini: «per spostare la base dirà Rosato, per occultare il cadavere di un fascista ucciso il giorno prima, sosterrà Lazzarini» <24. Le motivazioni che attengono all’episodio sono tuttora avvolte nel mistero. Per altre memorie l’uccisione del Rosato ha una sequenza diversa: «Sta di fatto che il 30 aprile 1945, mentre in piazza Risorgimento a Luino si sta celebrando la festa della liberazione dall’oppressione nazifascista, tra la folla si fa largo un uomo, con un mazzo di fiori fra le mani, destinato alla moglie del Lazzarini. Non c’è dubbio: è il Rosato. Appena il comandante lo scorge, ordina senza indugio “Uccidete quell’infame”. Il Rosato, falciato da una granata di colpi, cade a terra a ridosso del muro di cinta del parco Ferrini, dove rimane insepolto per parecchi giorni» <25. Che su questa morte non si sia adeguatamente fatta luce o quantomeno indagato pone un altro interrogativo. Franco Giannantoni sembra lasciare ai lettori le conclusioni o i giudizi su questo e altri episodi; la pubblicazione del verbale di Antonio Rosato dopo la sua cattura da parte della Gnr mi sembra vada in questo senso, una specie di giudicate voi lettori che però alla fine lascia tutto avvolto in una nebbia <26.
[…] Giacinto Lazzarini (1912-1990) è stato un militare italiano, insignito dal parlamento d’Israele dell’onorificenza di Giusto fra le nazioni per aver messo in salvo ebrei durante la seconda guerra mondiale. Il suo nome è inciso nel monumento del Giardino dei Giusti presso il museo nazionale Yad Vashem di Gerusalemme. È stato nominato cittadino onorario dello Stato d’Israele. Fu addestrato dai servizi segreti britannici mentre soggiornava in Canada, durante la guerra mondiale. Quindi operò in Francia, dove fondò la RAIE, Svizzera e Italia, distinguendosi per l’attività di salvataggio di molti cittadini ebrei (si stima furono addirittura tremila le vite salvate).
[…] Nel ricordo della Liberazione, Merate riscopre Giacinto Lazzarini, ovvero un uomo che, nel 1945 l’aveva salvata dalla distruzione. Alle 15 del 25 aprile in biblioteca, è stato infatti presentato il volume “Comandante Lazzarini, da partigiano ad agente dei Servizi Speciali Americani” (edizioni Cattaneo), storia di un personaggio che, in due modi diversi, volle combattere il nazifascismo. A proporli c’erano Giusy Spezzaferri, assessore alla cultura, e Paola Tagliabue. In sala anche Maria Tagliabue, che si è laureata con una tesi su Lazzarini. A raccontare la storia di Hycinth Lazzarini, sono stati invece gli autori, Anselmo Brambilla e Alberto Magni <29.
L’articolo fornisce una sintesi biografica che va a integrare quanto riportato dalla pagina di Wikipedia. Nato a Varese, padre medico e antifascista, nel 1931 la famiglia Lazzarini emigra in Canada. Dopo un lungo soggiorno in Kenya (Giacinto era medico con specializzazione in malattie tropicali) Lazzarini torna in Italia, per fuggire di nuovo in Canada e infine negli Usa. Che erano già in guerra con l’Italia e la Germania. In quanto italiano, il medico avrebbe potuto essere fermato in un campo di prigionia degli Stati Uniti. Doveva scegliere. La prigionia o l’arruolamento. Decide di arruolarsi nell’esercito statunitense. Da quel momento comincia la sua vita, prima da partigiano, poi da agente segreto. Brevetto di pilota, dopo aver costituito una prima unità di partigiani con gli avieri del Forlanini (Linate) Lazzarini comincia la sua attività di partigiano sulle montagne intorno a Luino. Per altri versi, sempre documentazione riferita al fondo Lazzarini, quest’ultimo nel 1942 è in forza presso la Piaggio di Finale Ligure e viene inviato a Tolone per dare assistenza agli idrovolanti costruiti dalla Caproni mentre il suo contributo al maquis è un intero vagone di armi e munizioni che lui riesce a far passare. Si può comprendere lo spirito giornalistico, ma un minimo di conoscenza della storia dovrebbe consigliare un po’ di prudenza e quantomeno un tentativo di verifica delle fonti, che è sempre una e una sola: quella di Giacinto Lazzarini. Si deve convenire che, anche con queste scarne notizie sulla sua biografia, un lettore comincia a porsi qualche problema: perché nella voce Giacinto Lazzarini dell’Enciclopedia dello spionaggio nella Seconda Guerra Mondiale non c’è nessun riferimento all’antifascismo del Lazzarini, alla sua educazione sentimentale che lo porterà all’antifascismo militante. Nessun riferimento nel Casellario Politico Centrale riguarda il padre antifascista. Interessante è la questione della scelta tra l’internamento in USA – in qualità di italiano e cioè straniero nemico- o l’arruolamento. Posta in questo modo non è vera, ma purtuttavia il procuratore generale Francis Biddle garantì che alcuni degli stranieri nemici, non solo italiani, non sarebbero stati discriminati se si fossero dimostrati fedeli. Anche dell’unità partigiana costituita «con gli avieri del Forlanini (Linate)» non ci sono
tracce.
[…] Pochi conoscono la storia dei documenti segretissimi che il partigiano ricevette dal comando alleato dopo la fucilazione di Benito Mussolini. La storia venne fuori nel 1993, tre anni dopo la morte di Giacinto Lazzarini fondatore della famigerata banda Lazzarini, grazie al settimanale Gente che pubblicò i documenti che erano in possesso del partigiano. Un fascicolo di documenti datati 26 settembre 1944 nei quali era descritto dettagliatamente il piano di Hitler per eliminare papa Pacelli, al secolo Pio XII, risalente al 1943. La strategia assassina di Hitler prevedeva l’assalto alla Città del Vaticano da parte di reparti tedeschi con le divise dell’esercito alleato, uccidere Pio XII e mandare un altro reparto di SS per eliminare i finti soldati americani. Non dovevano rimanere testimoni. Il documento, che portava la firma della brigata nera Rodini di Como, fu sequestrato dai partigiani a Paolo Porta funzionario di Como del regime di Mussolini in quel di Dongo subito dopo l’arresto del dittatore insieme ai suoi collaboratori mentre tentavano di fuggire dall’Italia travestito da tedesco il 27 aprile 1945. Il documento successivamente fu affidato al comando alleato di stanza a Varese il quale lo diede in custodia a Giacinto Lazzarini. Alcuni storici, però, tendono a non credere alla documentazione del Lazzarini in quanto il piano di Hitler, secondo altre interpretazioni, non mirava all’eliminazione di Pio XII ma alla sua deportazione, per farne ricadere la colpa sugli alleati ed eliminare dalla scena un personaggio scomodo oltre alla confisca degli immensi tesori custoditi nel Vaticano. A parte le ricostruzioni storiche, che non sveleranno mai fino in fondo cosa girava nella testa di alcuni personaggi a noi storici, la cosa straordinaria è come i partigiani si siano ritagliati prima con i gesti eroici e, più tardi, con lo svelamento di molti segreti – vedi i misteri del carteggio Mussolini-Churchill – una fetta di gloria e di memoria che anche grazie a semplici ribelli come Giacinto Lazzarini hanno reso l’Italia libera, democratica e in pace.
La questione dell’uccisione e/o rapimento di Pio XII ha un’altra versione ed è riportata dai giornali e dalle TV nazionali, la troviamo nell’Avvenire il 15 gennaio 2005, è ripresa poi da L’Eco di Bergamo (giornale controllato dalla Curia di Bergamo) il giorno seguente e da altri giornali e reti televisive. I giornali però inseriscono accortamente il dubbio, «sembra» che Hitler avesse impartito al generale delle SS Karl Friedrich Wolff l’ordine di rapire il pontefice. Successivamente, il generale si «sarebbe» recato in borghese in Vaticano la sera del 10 maggio 1944 per avvertire in gran segreto il pontefice del grave pericolo che correva, anche se lui «non avrebbe» in nessun caso eseguito l’ordine di Hitler. È lo stesso Wolff, che allora aveva 84 anni, che il 3 marzo 1983, intervistato alla trasmissione Reporter di Rai 2, dichiarava pubblicamente che Pio XII, i cardinali e la Curia Romana dovevano essere deportati in Germania nel maggio 1944. Il giornale Il Giorno del 16 aprile del 2010 è un po’ più modesto, relega Lazzarini a «capo della “Missione Dick” e delle Forze di Liberazione dell’Alto Lario (sic!)» e ne ribadisce gli stretti legami con la città di Merate nel titolo: «25 aprile, La memoria del comandante Hyacinth Lazzarini. Gli indelebili legami di stima e affetto reciproci tra “Fulvio” e i meratesi proseguirono anche dopo la fine del conflitto e si concretizzarono nel 1994 quando nella centralissima via Manzoni gli fu dedicata una sala del museo civico dove sono conservati i suoi cimeli, comprendenti quella provvidenziale radio», ma della radio manca una parte fondamentale, la sezione trasmittente <30.
[…] Anche il riconoscimento tra i Giusti delle Nazioni potrebbe suscitare qualche perplessità, ma chi, nella zona di Varese, a ridosso del confine, dal 1943 al 1945 non si è imbattuto in qualche famiglia ebrea o in qualche singolo che cercava di varcare il confine? Sappiamo poi tutti che la commissione che approva l’iscrizione allo Yash Vaschen è di manica larga, trovare qualche gentile da aggiungere al lungo elenco fa comodo e per il Lazzarini e moglie il gioco è facile. «[l’articolo] contiene notizie erronee sul preteso aiuto della banda Lazzarini di Varese all’espatrio di ebrei, frutto di falsificazioni documentarie prodotte dallo stesso capobanda, Giacinto Lazzarini, individuo senza scrupoli e megalomane». Così si esprime in una nota Marino Viganò nel volume “Mezzo secolo fa guerra e Resistenza in provincia di Varese”.
[NOTE]
2 http://www.straginazifasciste.it/?page_id=38&id_strage=5045. La località della strage è Luino, Brissago, Varese, in data 7 ottobre 1944. CLAUDIO MACCHI, Antifascismo e Resistenza in Provincia di Varese, Tomo I e Tomo II, Macchione, Varese 2016.
3 Domenico Lazzarini si autonomina capitano o colonnello, non si comprende in base a quali considerazioni. Non ha gradi militari quando si trova citato in documenti pubblici. Nel Registro matricolare del Distretto militare di Milano, è soldato di leva in congedo illimitato perché rivedibile nel tardo 1941. Nel 1982 gli verrà consentito di fregiarsi del titolo onorifico di Tenente. Per ulteriori notizie si rimanda al sito: www.55rosselli.it
4 https://www.memoranea.it/luoghi/lombardia-lc-merate-museo-storico-lazzarini. Ultima visualizzazione 18 luglio 2018.
21 Leonetto Lazzarini capo armiere della fabbrica Caproni: LUIGI BORGOMANERI, Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi (1943-1945), Edizioni Unicopli, Milano, 2015, ad nomen.
22 La relazione di Leonetto Lazzarini si trova in: Aismlni, Fondo: Carte comitati nazionali della Resistenza provenienti dall’archivio Fiap nazionale. Serie: Consiglio nazionale federativo della Resistenza (CNFR) busta 4, fascicolo 25.
23 Ainsmli, Fondo: CVL, Serie: Comandi e formazioni dell’Ossola e della Valsesia, Sottoserie: Schede di smobilitazione divisione Valtoce
24 FRANCO GIANNANTONI, La notte di Salò, (1943-1945) l’occupazione nazifascista di Varese dai documenti delle camicie nere, Artierigere, Varese 2001, p. 763. Cfr. ANGELO CHIESA, Racconti di vita e di lotta. Dalle guerre, alla Resistenza, alla libertà tra speranze e delusioni, Artierigere, Varese 2003, p. 123.
25 http://lombardia.anpi.it/media/blogs/lombardia/2014/10/LUINO-I-MARTIRI-DELLA-GERA-5ottobre.pdf
26 Qualche elemento in più lo si trova nel lavoro di CLAUDIO MACCHI, Antifascismo e Resistenza in Provincia di Varese, 2 voll., Macchione editore, Varese 2017, passim.
29 26 aprile 2013, http://www.merateonline.it/articolo.php?idd=34816.
30 http://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/2010/04/16/319287-aprile.shtml.
Gabriele Fontana e Massimo Fumagalli, La Storia, la politica, la memoria: il caso G.D. Lazzarini, responsabile della Unione Nazionale dei resistenti autonomi e delle delegazioni per l’Italia della Resistenza estera, Associazione Culturale Banlieu

Fra i documenti inseriti nella cartella postulatoria, c’era anche un falso plateale relativo ad un presunto scambio di lettere del comandante della B.N. di Milano, Costa, con il comandante della B.N. di Como, Porta. Questo documento, datato 28 dicembre 1944 – prot. 2915/3/B, aveva per oggetto “Scambio informazioni clero” [15]. Una missiva oltremodo prolissa, nella quale il presunto scrivente, Costa, si dimostrava ferratissimo circa le varie posizioni del clero lombardo, favorevole o meno alla resistenza; mentre risultava molto più confuso nei trattare della struttura politica e militare della Rsi di cui era anche alto esponente. Succo di tale lettera era l’invito da parte di Costa a Porta ad organizzare un attentato in arcivescovado per togliersi definitivamente di mezzo sia Schuster che il suo segretario Bicchierai. Prudentemente don Paolino Beltrame segnalava trattarsi di fotocopia, esprimendo anche dubbi sulla sua autenticità e tuttavia la riportava in modo completo seppure a titolo informativo. Alcuni anni dopo la docente universitaria Annalisa Carlotti aveva dato pure lei alle stampe questa con altre fotocopie [16] dichiarando trattarsi di documenti i cui originali erano stati regolarmente depositati presso l’Archivio storico della Diocesi di Milano. Questa documentazione doveva servire negli intenti della docente a sostenere la tesi, dimostratasi poi del tutto infondata, di un preteso complotto nazifascista finalizzato al sequestro del Papa [17]. All’epoca tale notizia fece il giro del mondo tant’è che a tutt’oggi i meno informati, che sono poi la maggioranza, restano ancora convinti dell’attendibilità di tale notizia anche perché, come al solito, la smentita non ha avuto la stessa eco riservato alla ‘patacca’. La grezza montatura venne facilmente smontata sulle colonne del periodico d’Arma, “San Marco”, dal prof. Mario Manfredini [18]. Nel caso in questione, Manfredini squadernava in tre fitte pagine una somma d’ingiustificate preveggenze, contraddizioni e altre assurdità tecnico-linguistiche del tutto insostenibili come il fatto che esponenti fascisti indicassero nei loro scritti i nemici angloamericani con il paradossale termine di “alleati” e senza poi contare assurdi scambi di persona per cui il milanese Costa comunicando con il comasco Porta scriveva: “Qui in vescovado a Como ecc. Idem per l’uso dei timbri dove a margine di un documento firmato Costa, comandante della B.N. di Milano, appare addirittura il timbro della B.N. “Rodini” di Como”.
A seguito di questa sua sferzante critica, il prof. Manfredini riceveva il 22 maggio 2000, una lettera inviatagli dal prof. Giorgio Vecchio, un cattedratico di Storia Contemporanea, che aveva pure lui utilizzato tali documenti e che a questo punto doveva francamente ammettere che si trattava di evidenti falsi, ipotizzando tuttavia che tali falsi fossero dovuti al comandante partigiano Giacinto Lazzarini, volendo così scagionare mons. Enrico Assi, già vescovo ausiliare di Milano che aveva collaborato con la resistenza e pertanto sospettabile di tale manipolazione [19]. Manfredini aveva, infatti, scritto a conclusione del suo primo articolo che purtroppo il Lazzarini è deceduto, come anche mons. Assi, e non è possibile chiedere loro spiegazioni e l’esibizione degli originali. Non crediamo in ogni modo di poter attribuire la responsabilità del falso al solo Lazzarini: troppo insistiti sono i richiami al cardinale Schuster, al clero ed alle organizzazioni cattoliche, troppo numerosi i particolari relativi a personaggi ed istituti religiosi, perché non appaia più plausibile pensare alla collaborazione di ben altra mano. Nel convenire con l’analisi del prof. Manfredini, aggiungiamo da parte nostra un non irrilevante sospetto nei confronti di don Paolino, avendo già avuto occasione di riferire, nella prima parte di questa ricerca, sul vezzo di questo prelato d’incettare timbri e carte intestate della Rsi che poi utilizzava per elaborare documenti utili alle sue diverse strategie operative. Circa la manipolazione di altri importanti sigilli della Rsi, sempre da parte di don Paolino, tratteremo nel prossimo articolo che sarà dedicato in gran parte al viaggio da lui intrapreso verso Roma nel febbraio del ’45.
[NOTE]
[15] P. Beltrame Quattrocchi Al di sopra dei gagliardetti 1985, pp. 354-55.
[16] A.L. Carlotti Cattolici e Resistenza nell’Italia settentrionale Ed. Il Mulino 1997.
[17] Pio XII – Mio padre salvò il Papa dalle SS: la testimonianza del figlio di un partecipante alla congiura contro Hitler e la lettera del federale di Como fanno luce sul piano nazista in “Il Giornale” del 28 febbraio 1999, pag. 24.
[18] M. Manfredini, Un falso clamoroso: le lettere tra Porta e Costa del settembre-dicembre 1944 in “San Marco” n.27 del gennaio-marzo 2000.
[19] M. Manfredini Le lettere tra Porta e Costa del settembre-dicembre 1944 in “San Marco” n. 29 del luglio-sett. 2000
Franco Morini, Oss e Vaticano tra parroci e cardinali