La volontà di un imprenditore di arginare l’ascesa dei progressisti

La sera del 28 marzo 1994 apparve chiaro che era nato un nuovo protagonista nella vita politica italiana: Forza Italia risultava primo partito e il suo leader sarebbe diventato primo ministro. Ma come, quando e perché era nato questo soggetto politico? Queste erano solo alcune delle domande che pose la nascita e la vittoria elettorale di Forza Italia.
La pianificazione dell’operazione politica Forza Italia cominciò all’inizio dell’estate del 1993 <321. Le tradizionali forze di governo, travolte durante il biennio dalle inchieste di Tangentopoli, avevano subito una secca sconfitta alle elezioni amministrative di giugno e non si vedeva come potessero porre un argine alla Lega e al Pds nei prossimi appuntamenti elettorali: amministrative autunnali ed elezioni politiche, per le quali non c’era ancora una data, ma era presumibile che si sarebbero svolte nella primavera del ’94 <322.
In quella estate, un professore di scienza politica della Bocconi ed editorialista di alcuni dei maggiori quotidiani italiani <323, Giuliano Urbani, cominciò a girare intensamente principalmente tra i convegni ed i meeting organizzati da Confindustria <324. «Qui mi sono rovinato con le mie stesse mani. – ha dichiarato in un’intervista – Ma mi chiedevano spesso di partecipare. All’epoca scrivevo molto su il Sole 24 Ore, soprattutto sugli orientamenti elettorali. Con la Bocconi avevamo fatto una convenzione con la Doxa, quindi ero in possesso di dati freschi ed attendibili. Mi fu facile scrivere vari articoli sul fatto che la nuova legge elettorale avrebbe favorito nei singoli collegi nuove aggregazioni di società civile, leader emergenti, che potevano essere imprenditori, professionisti, giornalisti, professori, per creare una nuova base di rappresentanza sociale, al fronte del disfacimento della classe politica» <325.
Questo attivismo del professore Urbani non passò inosservato, ed infatti il 28 luglio venne intervistato anche da Chiaberge del «Corriere della Sera» e qualcosa iniziò ad emergere: «Semplice: siamo un gruppo di persone che hanno deciso di dire basta. Di non continuare a stare alla finestra, ad assistere all’imbarbarimento e all’inconcludenza del dibattito politico. E non vogliamo un Parlamento dominato dalla Lega e dal Pds». Quindi? Incalzò l’intervistatore, stava organizzando la costituzione di un nuovo partito? «Assolutamente no. In un partito mi sentirei un pesce fuor d’acqua. […] Guardi, quello a cui penso è una specie di Mulino anni Novanta, un’associazione di cultura politica».
Tutti i convenuti avevano le sue stesse preoccupazioni sul futuro politico del Paese, a quel punto l’idea di darsi un’organizzazione, magari di fondare un’associazione, ma ancora nessun riscontro pratico. Anche tra gli industriali, grandi e piccoli, aveva trovato molti simpatizzanti, tuttavia sempre pochi quelli disposti ad impegnarsi realmente. Finché non ci fu l’incontro con Silvio Berlusconi che “fu quello nettamente più fattivo. Gli altri volevano sapere, ma poi si tiravano indietro” <326. Anche se all’epoca, intervistato sul legame con l’imprenditore preferiva rimanere sul vago: «mi ha colpito l’entusiasmo con il quale si è associato ‐ dichiarò sempre Urbani durante l’intervista ‐, fin dal primo momento a questa iniziativa. Anche se per ora non c’è nulla di concreto. È soltanto un pour parler da salotto» <327.
Lo stesso giorno, sempre il 28 luglio, anche Berlusconi rilasciava una sua intervista, in questo caso a «Repubblica», nella quale esponeva il suo punto di vista sulla politica italiana. La sua attenzione si concentrava sulla drammatica agonia dei partiti di governo e sul rischio che il Pds e la Lega egemonizzassero il futuro Parlamento. Per questo avvertiva la necessità di una nuova classe dirigente, più preparata ed estranea alle corrotte pratiche del passato. Berlusconi dichiarò che su questo progetto si stava impegnando in prima persona, incontrando in quelle settimane in varie città d’Italia imprenditori, rappresentanti di gruppi d’interesse, accademici, giornalisti, e chiunque condividesse i valori “liberaldemocratici”. Per farla breve, si stava impegnando per costruire una nuova classe dirigente, ciò detto chiariva che la sua operazione era trasversale ai partiti politici e non era sua intensione fondarne uno, meno che meno era interessato ad entrare personalmente nell’agone politico <328.
Ad un raffronto anche superficiale non sfuggivano le analogie tra le due interviste: le comuni preoccupazioni sull’attuale crisi della classe dirigente del Paese, il timore dello scivolamento del dibattito politico ad una dialettica tra Pds e Lega, l’auspicio della nascita più che di un nuovo partito di un rassemblement dei moderati che favorisse l’ascesa di candidati non compromessi con il passato e portatori dei valori liberaldemocratici.
Inizialmente non fu chiaro se i due lavorassero assieme, forse era pur vero che i primi incontri furono interlocutori, poi i due personaggi si intesero e sicuramente a partire dalla fine del luglio 1993 cominciarono a lavorare individualmente, ma alla realizzazione di un progetto politico comune <329. La comune preoccupazione era il crollo delle forze moderate: le amministrative di giugno erano state la cartina al tornasole dello stato di smarrimento delle forze politiche di governo. Dopo l’estate lo stato di confusione rimaneva e non si vedeva come Segni, la Dc di Martinazzoli, il Partito socialista o le forze laiche minori potessero risollevarsi.
Il paese sembrava trascinato in una dinamica bipolare Progressisti‐Lega. A quel punto Berlusconi e Urbani decisero di rendersi operativi. Il primo passo fu quello del coinvolgimento delle élites, dare un indirizzo ideologico ed un pensiero di riferimento chiaro a chi decideva di avvicinarsi al loro progetto. In settembre, a Milano, Urbani fondò con alcuni colleghi <330, un editore, Marcello Mondadori, un imprenditore, Felice Mortillaro ed un generale, Luigi Caligaris, l’associazione «Alla Ricerca del Buongoverno» che immediatamente divenne un punto d’incontro tra intellettuali e imprenditori che si riconoscevano nel progetto enunciato negli incontri estivi del fondatore. A novembre, lo stesso Urbani pubblicava un volume dal titolo “Alla Ricerca del Buongoverno. Appello per la costruzione di un’Italia vincente” <331.
L’appello, diviso in nove sezioni tematiche, si apriva con un “Patto di cittadinanza”, una chiamata alle armi della società civile. L’Italia che stava vivendo uno straordinario periodo di cambiamenti, sia delle strutture politiche che delle fondamenta del vivere civile, per dare uno sbocco positivo e costruttivo a questi cambiamenti aveva bisogno dell’impegno delle migliori forze della nazione. L’associazione si proponeva di raccogliere queste forze attorno ad un programma di tipico stampo liberale. «Lo scopo è unire quelle forze vitali della società civile che si riconoscono nei principi e nella pratica della liberal‐democrazia» <332. Infatti nell’Appello erano ampliamente riprese alcune delle issues che negli anni ottanta erano state la chiave del successo di Thatcher prima e Reagan poi, ma che in Italia avevano avuto scarso richiamo. L’idea di Urbani era un partito liberale di massa, naturalmente nel senso del seguito popolare, non dell’organizzazione. Infatti, le strutture burocratiche dei partiti erano viste come una delle principali cause del collasso del sistema. L’idea di fondo, come ha confermato in un’intervista Gaetano Quagliariello, «era quella di dar voce, non più marginale, ad una cultura di massa liberale» <333.
Il tema principale era il ridimensionamento del ruolo dello Stato, che si declinava attraverso l’ammodernamento della burocrazia pubblica, tagli fiscali e la razionalizzazione delle spese pubbliche. Il messaggio invocava, in sintesi, l’iniezione di una cultura liberale per tutti i livelli della gestione pubblica. Un approccio culturale innovativo rispetto all’impostazione statalista e consociativa delle forze politiche che avevano retto le sorti del paese negli ultimi decenni, ma per nulla rivoluzionario: era un programma di fatto liberalmoderato di impostazione anglosassone: evidente il richiamo, con le dovute differenze, alla Thatcher e a Reagan.
L’Appello, dunque, sembrava a tutti gli effetti l’esposizione del manifesto di un nuovo movimento politico, nonostante l’autore chiarisse che non fosse quella la sua intenzione. Tuttavia erano presenti un’analisi del contesto, una proposta su forze da aggregare e con quale programma, la strategia per realizzarlo ed infine delle parole chiave ricorrenti. Ed infatti, quando i Club di Forza Italia cominciarono a proliferare in tutta Italia l’Appello di Urbani fu indicato come il riferimento ideologico del nascituro movimento <334.
Al momento si trattava di riunioni informali, la volontà di un imprenditore, che credeva nei valori liberali e che aveva avuto rapporti con il mondo politico del pentapartito, di arginare l’ascesa dei progressisti. In quei giorni si era ancora in una fase poco chiara. Il futuro leader di Forza Italia non pensava, probabilmente, ad un suo intervento diretto, però percepiva lo smarrimento dei moderati e cominciò ad impegnarsi direttamente per sostenere un mondo che stava crollando, tentando di indirizzarlo verso, approfittando della crisi, verso una rivoluzione liberale.
[NOTE]
321 Ezio Cartotto in un’intervista al «Corriere della Sera» dichiarò che l’idea di Berlusconi fondare un partito prese vita durante un incontro con Craxi il 4 aprile del 1993, tale dichiarazione però non è confermata da altre fonti. F. Battistini, Quel giorno ad Arcore quando Craxi suggerì a Berlusconi di fondare un partito, «Corriere della Sera», 12 aprile 1996. Anche in E. Cartotto, “Operazione Botticelli”. Berlusconi e la terza marcia su Roma, Sapere 2000, Roma 2008, pp. 19‐27.
322 P. Ignazi e R.S. Katz, Introduzione. Ascesa e caduta del governo Berlusconi, in Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni, a cura di P. Ignazi e R. S. Katz, il Mulino, Bologna 1995, pp. 27‐48.
323 Nel ’92‐’93 Giuliano Urbani scriveva sui maggiori quotidiani nazionali. La Stampa, Il Sole 24Ore, il Giornale, Corriere della Sera. Su il Giornale di Montanelli si occupò quasi esclusivamente di editoriali sulla situazione politica italiana.
324 Pare che Giuliani avesse l’idea di coinvolgere Gianni Agnelli, incontrato il 22 giugno, ma che l’Avvocato dopo averlo ascoltato con attenzione, non si sbilanciò, e gli rivolse un breve domanda: «Ne ha parlato con Berlusconi?». Cfr., I. Montanelli e M. Cervi, L’Italia di Berlusconi, Bur, Milano 2001, p. 27.
325 Intervista dell’Autore a G. Urbani, 18/01/2012.
326 Intervista dell’Autore a G. Urbani, 18/01/2012.
327 R. Chiaberge, Una “Cosa” né Lega né Pds, «Corriere della Sera», 28 luglio 1993.
328 A. Lupoli, Un partito, lo ha detto lui, «la Repubblica», 28 luglio 1993.
329 E. Poli, Forza Italia. Strutture, leadership e radicamento territoriale, il Mulino, Bologna 2001, p. 44.
330 Fabio Roversi Monaco, Antonio Martino, Paolo Ungaro, Marcello Fedele, Luigi Rossi Bernardi, Guido Alpa, Gianni Morongiu, Raffaele Chiarelli e Sergio Fois. In C. Golia, Dentro Forza Italia, Marsilio, Venezia 1997, p.34.
331 E. Poli, op. cit., p. 44.
332 Dal testo dell’Appello, in D. Mennitti, Forza Italia. Radiografia di un evento, Ideazione Editrice, Roma 1997, p. 208.
333 Intervista dell’Autore a G. Quagliariello, 12/04/2012.
334 E. Poli, op. cit., pp. 44‐45.
Andrea Marino, Forza Italia. Nascita, evoluzione e sviluppo del centro destra italiano (1993-2001), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno accademico 2011-2012

Essendo venuta meno la forza dei partiti di maggioranza erano ormai necessarie nuove elezioni. Scalfaro impose le dimissioni del governo Ciampi nel gennaio 1994, governo soprannominato anche “il Parlamento degli inquisiti” poiché in realtà la corruzione ancora non era stata completamente debellata e numerosi furono i parlamentari condannati. Il 27-28 marzo 1994 furono indette le nuove votazioni. Fu in quest’occasione che emerse la figura di Silvio Berlusconi, che venne visto da molti come colui che avrebbe rivoluzionato il sistema politico, in grado di dar vita ad una nuova Italia e accantonare definitivamente la vecchia repubblica. L’imprenditore, capo di diverse aziende, decise di scendere in campo per respingere la politica dei vecchi partiti, ormai falliti e far sì che lo Stato, la pubblica amministrazione e il governo divenissero delle imprese efficienti al pari di quelle di sua proprietà. Si presentò come candidato premier alla guida di “Forza Italia” e, fin da subito, avviò un dialogo diretto con i cittadini, inviando messaggi di fiducia nel futuro. Nonostante Berlusconi fosse già attivo in ambito politico dal ’93, non volle mai entrare personalmente all’interno del sistema, quindi dopo aver cercato di convincere inutilmente il figlio di Mario Segni e Cossiga, il 26 gennaio 1994, agli schermi di Rete 4 ufficializzò il grande passo. Forza Italia si ispirò ad un liberismo neoconservatore e rivitalizzò quel conflitto politico destra-sinistra che in Italia venne sostituito per lungo tempo da una politica di appeasement. Inoltre, grazie a Berlusconi, finalmente una grande fetta di popolazione, costituita da lavoratori autonomi, piccoli imprenditori e commercianti, difficilmente inquadrabili nei vecchi partiti, riuscirono a sentirsi rappresentati per la prima volta da un movimento politico.
L’esito delle elezioni politiche non fece altro che confermare il successo di Silvio Berlusconi; quest’ultimo ottenne ben il 21% alla Camera, superando di poco il Pds e trionfando come primo partito del Paese <82. Anche se gli elettori si aspettavano che il numero di partiti sarebbe diminuito drasticamente, ciò non accadde. Infatti, vennero presentati ben 64 simboli diversi, alcuni del tutto inediti, per altri invece si trattò di un rinnovamento come nel caso di Alleanza nazionale, ex Movimento Sociale Italiano e Partito Popolare, ex Dc. In totale di questi 64, vennero eletti solo 15 partiti, 7 entrarono superando la soglia di sbarramento del 4%, mentre altri 8 ottennero un seggio al maggioritario attraverso accordi con liste maggiori <83.
[NOTE]
82 Riguardo i risultati elettorali del 1994 vedere: https://elezionistorico.interno.gov.it/index.php?tpel=C&dtel=27/03/1994&tpa=I&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
83 M. Gervasoni, A. Ungari, Due Repubbliche. Politiche e istituzioni in Italia dal delitto Moro e Berlusconi, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2014, p. 27.
Elisa Ercoli, La corruzione politica: da Tangentopoli a Mafia Capitale, Tesi di laurea, Università Luiss, Anno Accademico 2020-2021

Intervista a Giuseppe Carlo Marino <333
[…] D: Alcune fonti che ho consultato sostenevano che chi avesse controllato la DC siciliana avrebbe controllato l’intera DC. Le sembra un’affermazione eccessiva?
R: Sì, secondo me è eccessiva. Il comando della DC in Sicilia però poteva essere decisivo per contare nella DC nazionale, per eventualmente far crescere una corrente piccola e farla diventare rilevante e prestigiosa, dati i molto voti che la Sicilia portava alla DC. Ed è stato così anche ai giorni nostri per Berlusconi: i personaggi più rappresentativi dello schieramento di Berlusconi, almeno quelli fondativi, sono stati Dell’Utri, Schifani, Miccichè, tutti siciliani: era come se avere la Sicilia, significasse vincere le elezioni. Chi controllava la DC siciliana quindi aveva un ruolo fondamentale, da qui il peso di Andreotti e l’autorevolezza da lui acquisita.
[NOTA]
333 Storico ed accademico. Ha conseguito la laurea presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze. Nel 2001 è diventato professore ordinario di Storia contemporanea presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Palermo, è autore di numerosi libri ed ha collaborato con la RAI per alcuni programmi inerenti la storia e lo sviluppo della mafia.
Agostino Amato, Mafia e politica tra lo sbarco alleato e la fine degli anni ’50, Tesi di laurea, Università degli Studi di Firenze, Anno Accademico 2013-2014

In generale, sia Conti che Cazzaniga concordano nel sostenere come oggi l’influenza della massoneria in politica sia piuttosto esigua. Come afferma Conti durante il nostro colloquio: “Secondo me oggi [la presenza dei massoni in Parlamento] è molto molto esigua […]. Se isoliamo il caso P2, che è stato un po’ particolare… ma già dal dopoguerra. […] Ho messo mano fino ai primi anni Cinquanta, controllando gli eletti al Senato, alla Camera e mettendoli a confronto con gli elenchi del Grande Oriente, per il dopoguerra, per quegli anni… sono pochissimi, limitati per lo più al Partito repubblicano, liberale, socialdemocratico, un po’ di socialisti… ma è una presenza che poi si assottiglia progressivamente. Qui secondo me la svolta è addirittura in parte già con la prima guerra mondiale quando si passa da un sistema elettorale di tipo maggioritario al proporzionale e al suffragio universale maschile. Quando si arriva al proporzionale puro del ’45-’46, col suffragio allargato anche alle donne, una struttura elitaria, notabilare come la massoneria perde capacità di…” [Interv. Conti].
Un peso politico che, come abbiamo già visto, inizia a scemare all’indomani del secondo conflitto mondiale per una varietà di fattori, quali principalmente le riforme elettorali, il suffragio che man mano si fa universale, col successo crescente dei partiti di massa come quello cattolico e comunista.
Da questo punto di vista, ho chiesto a Conti se sia lecito credere che, nei decenni più vicini a noi, la maggior parte dei fratelli possa essere confluita nel centro destra perché Berlusconi, in qualche modo, è riuscito a creare un partito liberale di massa. La sua risposta è che ciò è certamente probabile, anche se andrebbe osservata la realtà locale delle singole città più che un orientamento generale nazionale. In effetti, risulta interessante capire se l’Obbedienza mantenga una precisa identità politica; in proposito, secondo Cazzaniga, questa identità non esiste più e, per quanto riguarda l’orientamento politico dei singoli, risulta importante tenere in considerazione le differenze regionali e locali. Come mi ha riferito lo studioso durante il nostro colloquio: “I legami con la politica non esistono. [Neanche a livello locale?] Come dire, a livello locale esistono eccome, ma non esiste una identità politica del Grande Oriente. […] girando per conferenze mi sono accorto che esiste un parallelismo con la regione, con la zona, in altre parole: in prevalenza erano di Forza Italia in Lombardia, in prevalenza erano del Pd in Toscana. Questo torna con l’affermazione del principio del “non facciamo politica”, in realtà torna con una mancanza di identità politica, che è un po’ diverso insomma. Raffi era il segretario di Pacciardi, e poi il segretario del Partito Repubblicano a Ravenna, quindi c’è una tradizione di destra repubblicana filoamericana che Raffi rappresenta […] un patrimonio politico-culturale che non esiste più nell’arco che va da Forza Italia al Pd, insomma” [Interv. Cazzaniga].
Eleonora Salina, Dentro la massoneria. Una ricerca sull’Obbedienza del Grande Oriente d’Italia, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Torino, 2017