L’ammutinamento di Giumelli avvenne nella notte tra il 14 e il 15 ottobre 1944

Traona (SO). Fonte: Wikipedia

Il caso che più fece rumore in bassa valle fu quello di Giuseppe Giumelli. Giumelli era nato nel 1917 a Traona, un paese posto alla base delle alpi Retiche di fronte a Morbegno e aveva svolto propaganda antifascista a Milano al tempo in cui frequentava la facoltà di medicina. Dopo essersi laureato ed essere stato imprigionato per attività antifascista a S. Vittore e a Regina Coeli, tornò in Valtellina, dove lavorò come medico condotto ad Ardenno, poco sopra Morbegno. Come medico fu chiamato a curare alcuni partigiani feriti in montagna ed entrò così in contatto col movimento garibaldino in bassa valle. Nella primavera del 1944 Giumelli notò che due forestieri avevano cominciato a frequentare la trattoria dove lui stesso pranzava, sempre accomodati al tavolo di fronte al suo. Erano due agenti della Questura di Sondrio. Poco dopo, ricevette la cartolina che lo richiamava alle armi. Giumelli non dovette pensarci su molto: salutati i genitori a Traona e affidata la motocicletta ad un amico, partì per la montagna <90.
Giumelli partecipò a tutte le azioni del fronte nord della Brigata Matteotti e presto ne divenne uno dei leader, anche in ragione della sua posizione di medico dell’intera brigata. Ma egli aveva una sensibilità del tutto diversa dal comandante Nicola [Dionisio Gambaruto] e non passò molto tempo prima che si trovasse con lui in disaccordo. Il primo dissidio avvenne dopo la battaglia di Buglio, il paese sopra Ardenno che l’11 giugno era stato occupato dai partigiani, i quali lo avevano tenuto per cinque giorni, prima che le truppe naziste e fasciste lo mettessero a ferro e fuoco, bruciando 36 abitazioni e 12 cascinali. Secondo Giumelli, “occupare un paese, pretendendo di dare le libertà democratiche, distribuire la lana alla popolazione come è stato fatto, destituire il podestà e nominare il sindaco, rappresentò un cumulo di sbagli” <91. Per Giumelli, l’occupazione di Buglio era stata decisa per ragioni di natura politica: “una disfatta che ha delle giustificazioni in ciò che pensano i partiti in un senso politico tattico ed anche strumentale e demagogico”, ragioni che contrastavano con elementari principi di prudenza: “in una guerra partigiana non si occupa un paese, non ci si fa contare, si salta di qua e di là con opportuni colpi di mano, si fa guerriglia e non si occupano paesi. Soprattutto quando non si hanno i mezzi per resistere” <92.
Gli studi sulla battaglia di Buglio, che fu l’avvenimento maggiore della Resistenza in Valtellina, e sulle sue conseguenze sul movimento partigiano pongono in luce la differente origine di Giumelli e Nicola: valtellinese il primo e quindi più sensibile alle ricadute che le azioni partigiane potevano avere sulla popolazione, “milanese” il secondo e quindi meno sentimentalmente coinvolto nelle rappresaglie <93. Tuttavia, occorre notare che il quieta non movere non ricorre mai nella testimonianza di Giumelli, che ritenne al contrario che le azioni partigiane col passare del tempo avessero perso troppo mordente <94. Ciò che appare è invece la critica continua alla politicità delle decisioni di certi comandanti garibaldini, devoti al Partito Comunista. Diciamo subito che Giumelli sbagliava nel ritenere che i partigiani comunisti facessero del movimento garibaldino un feudo del PCI, da gestire a suo tornaconto <95. Tuttavia, in una valle del tutto priva di un ceto politico attivo, Giumelli rappresentò con pochissimi altri la parte anticomunista della Resistenza e tenne sempre a sottolineare la differenza fra i partigiani milanesi comunisti e quelli valtellinesi anticomunisti.
Subito dopo la battaglia di Buglio Giumelli ebbe un aspro scontro verbale con Nicola e decise di abbandonare la formazione. Con pochi uomini, si accampò sulle montagne sopra Traona. Dopo quindici giorni Nicola invitò Giumelli ad un incontro in cui gli propose di riunire i loro gruppi e di lavorare come medico della nuova formazione. Giumelli accettò, convinto che la nuova banda nascesse su criteri diversi da quelli del passato <96. Nessuno più pensò ad azioni in grande stile come quella di Buglio, ma le speranze di Giumelli furono presto deluse: “durante l’estate le azioni partigiane sono diventate imprese che lasciavano luogo a delle critiche; so che i partiti sferrarono un attacco politico notevole e le azioni recarono un po’ quel marchio: arrivarono opuscoli di propaganda ed inviava [sic] anche gente da Milano e dintorni completamente ignara di quel che poteva essere una battaglia, la guerra in montagna eccetera. Così sono giunti purtroppo elementi che non erano partigiani, erano su come partigiani, ma in pratica tutt’altro. C’era gente che scendeva, accoppava vacche, non mangiava la testa che piantava lì a marcire, rubava; gente in scarpette da tennis che appena vedevano i fascisti bruciare le case tagliavano la corda […] Accaddero anche degli omicidi e delle rapine del tutto ingiustificate: a Morbegno accopparono per esempio una vecchia di ottant’anni che anzi era la madre di un antifascista. La tensione aumentava e tra me e Nicola si creò uno stato di assoluta incomunicabilità. Lui, ormai, aveva preso il potere, perché aveva alle spalle il Partito Comunista che gli mandava armi, istruzioni, uomini e direttive” <97. Di nuovo, Giumelli insiste sulla spregiudicatezza dei partigiani di Milano e sul carattere politico della loro attività. E qui appare la divisione fra valtellinesi e milanesi: “A questo punto si verificò la nascita di un certo malumore fra la popolazione dei paesi valtellinesi. E si era venuto a creare un certo dissapore fra i partigiani valtellinesi e quelli venuti da fuori in quell’estate” <98. Ma tale dicotomia è sempre riferita alle azioni insensate di certi partigiani e alla loro differente inclinazione politica, non già ad una diversa percezione emotiva del pericolo di rappresaglie, che se indubbiamente serve come discrimine fra partigiani di alta e bassa valle, non si applica però al caso di Giumelli.
La seconda crisi tra Nicola e Giumelli scoppiò dopo la battaglia di Mello, combattuta il primo giorno di ottobre 1944. La battaglia costò alle formazioni partigiane alcuni morti e causò rovine e distruzioni a danno della popolazione. “I miei rapporti con Nicola si inasprirono ancora di più. Anche gli uomini protestarono mentre i valligiani di Mello insorsero vedendo portar via il formaggio e il bestiame. L’entusiasmo di un tempo stava spegnendosi e si incrinava l’antica solidarietà. La popolazione era stanca di pagare e di non essere difesa. Assistetti proprio in quei giorni ad un processo sommario contro un partigiano, Achille, accusato ingiustamente d’aver rubato alla formazione. La sentenza fu di fucilazione” <99.
Mentre il malcontento nei confronti di Nicola montava Giumelli fu contattato dai dirigenti della Resistenza in alta valle. Il primo di agosto del 1944 era stata costituita la Divisione Giustizia e Libertà che inquadrava tutte le formazioni partigiane a nord di Sondrio. Il comandante della divisione era il capitano in s.p.e. Giuseppe Motta, detto Camillo, e il commissario politico era Plinio Corti, un valtellinese che lavorava a Milano come legale della Edison. Camillo cercò subito di allacciare rapporti col movimento garibaldino e incaricò Ercole Valenti, maresciallo dei carabinieri in forza al distretto militare di Sondrio e partigiano in incognito, di organizzare un incontro con i due capi garibaldini più in vista, Nicola e Giumelli, per discutere della unificazione dei comandi partigiani. In un prossimo capitolo faremo la storia piuttosto contorta di questa unificazione. Qui basti dire che Valenti non riuscì a fissare un incontro con Nicola, ma vide Giumelli più volte fra l’estate e l’autunno 1944 <100. Dal primo incontro, Valenti trasse l’impressione che Giumelli, pur volendo essere leale verso Nicola, non approvasse i metodi del suo capo <101. Quando poi, nell’agosto del 1944, Nicola mandò in alta valle i suoi ambasciatori Bill e Rosa per convincere le formazioni là dislocate a passare agli ordini del comando garibaldino, Camillo si convinse dell’inutilità di una collaborazione col comandante della I Divisione Garibaldi e incaricò Valenti di trattare col solo Giumelli. “Giumelli alla testa delle formazioni partigiane della bassa Valtellina – scrive il maresciallo di Talamona – e in stretto collegamento con quelle dell’alta Valle, formanti tutte un blocco bene amalgamato e alle dirette dipendenze di un unico capo, che avrebbe potuto essere appunto Camillo perché riuniva in sé, a mio parere, tutte le doti necessarie per esserlo. Questo sarebbe stato veramente l’ideale auspicabile” <102.
Tra i comandanti dell’alta valle cominciava a farsi strada l’idea di provocare un terremoto fra le file garibaldine per eliminare gli ostacoli che si frapponevano alla unificazione dei comandi sotto la loro guida. Dopo che Giumelli aveva accettato di incontrare Camillo, questi gli fece avere nel settembre 1944 un promemoria in cui delineava il programma della sua divisione. Il promemoria si apriva con una dura critica a Nicola per il suo rifiuto di collaborare e per l’ostilità verso le formazioni non comuniste – il riferimento era al caso Baruffi e alla citata missione di Bill e Rosa in alta valle – e si chiudeva con l’enunciazione del programma di Camillo: difendere le dighe e le centrali da eventuali attacchi, evitare azioni inutili e precipitose e prepararsi per la battaglia finale contro i tedeschi <103. Nell’ottobre del 1944, ci fu una riunione in casa Ponti, a cui parteciparono oltre al padrone di casa Attilio, i notabili sondriesi Mario Buzzi e Plinio Corti, che sostituiva Camillo costretto a lasciare Sondrio, Ercole Valenti e il fondatore del CLN di Chiavenna Febo Zanon. Fu deciso che se si fosse convinto Giumelli ad assumere il comando delle forze partigiane in bassa valle, i partigiani della Val Chiavenna già inquadrati con le forze dell’alta valle si sarebbero tenuti pronti ad accorrere in suo aiuto, qualora Nicola avesse deciso di reagire <104. Insomma i dirigenti dell’alta valle stavano preparando un putsch in piena regola. Poco dopo, a Campovico Valenti incontrò ancora Giumelli, che era accompagnato dal suo stretto collaboratore Franco Ghislanzoni, detto Athos. Facendo leva sull’avversione di Giumelli per i metodi violenti di Nicola, Valenti espose a Giumelli il progetto dei comandanti dell’alta valle: “rappresentai l’opportunità che Nicola venisse decisamente eliminato e che Giumelli assumesse il comando delle formazioni e si mettesse subito in contatto con le formazioni dell’alta valle onde giungere al più presto possibile al tanto desiderato comando unico” <105. Dopo aver riflettuto da solo per alcuni minuti, Giumelli disse a Valenti: “potete riferire a Camillo e a Ricci (alias Plinio Corti, nda) che da questo momento partono gli ordini per la scissione. Noi ci distacchiamo da Nicola e attendiamo ordini dal comandante delle formazioni dell’alta valle alle dipendenze del quale passiamo” <106. Due giorni dopo Giumelli ricevette da Corti il denaro necessario a finanziare la nuova formazione <107.
L’ammutinamento di Giumelli avvenne nella notte tra il 14 e il 15 ottobre 1944. Egli era formalmente inquadrato nel I Battaglione della 90^ Brigata Zampiero, che dal ponte del Baffo in Valmasino si allungava verso ovest, comprendendo Mello e Poira, fino al Pian di Spagna e alla Val Chiavenna. Il comandante della brigata era un certo Nino e il commissario politico si faceva chiamare Dan; erano entrambi tra gli uomini più fidati di Nicola. Durante la notte, Giumelli aiutato da Athos e da un gruppo di partigiani tutti valtellinesi disarmò l’intero primo battaglione e portò via undici mitragliatrici. Il giorno dopo si spostò al Piz di Mastroj, sede del V distaccamento della Brigata Zampiero, dove fu accolto trionfalmente. Il gruppo di Giumelli e gli uomini del V distaccamento si unirono dando vita ad una formazione autonoma <108. A questo punto, Nicola prese l’iniziativa: “dispongo tutte le misure di sicurezza in caso che i rivoltosi mirassero al Comando di Divisione. Mando staffette alla 40^ Brigata avvisando di tenersi a disposizione in stato di allarme; ai distaccamenti del III Battaglione preavvisandoli delle manovre di Giumelli; al Comando di Brigata per chiedere notizie. Le notizie dal Comando di Brigata arrivano scarse e sconclusionate tanto da far temere che il Comando fosse prigioniero e le lettere venissero imposte con la minaccia delle armi” <109.
Giumelli aveva occupato un magazzino viveri e disponeva di molte armi. Secondo la relazione di Nicola al Comando Delegazione e al Raggruppamento, gli uomini del dottore avrebbero messo in atto un’operazione di pulizia politica: “Tutti gli elementi dei paesi favorevoli al Comando di Brigata vengono arrestati. Pattuglie di rivoltosi percorrono continuamente i paesi; si minaccia un’azione diretta sul Comando di Divisione. La sera del giorno prima due elementi locali che avevano sempre lavorato con passione per il comando sono presi a fucilate” <110.
Il 17 ottobre, il Comando di Raggruppamento mandò una circolare a Giumelli condannandone l’operato e invitandolo ad aprire delle trattative: “[Il comando di Raggruppamento] invita il responsabile scissionista Dottor Giumelli a voler desistere immediatamente dal provocare disordine, sabotaggio, disfattismo e di volersi presentare coi suoi collaboratori al Comando della I divisione per appianare i dissensi che noi riteniamo del tutto personali. Al comando della I divisione trovasi un nostro delegato, Dottor Rossi (alias Tiberio Panzeri, nda) che assumerà la carica di presidente della riunione conciliatrice che dovrà appianare i dissidi” <111. Il CLN di Milano mandò suoi rappresentanti a parlamentare con Giumelli e persino i repubblichini si fecero vivi con proposte che Giumelli rifiutò <112. Il giorno stesso della circolare del Raggruppamento, Nicola mandò Bill, il valtellinese Alfonso Vinci, a trattare con Giumelli. A Cevo, Bill fu intercettato dagli uomini di Giumelli che gli sequestrarono la pistola e lo lasciarono proseguire sotto scorta. Quando incontrò Giumelli, questi gli comunicò subito l’impossibilità di una intesa: “mi disse che era in netto disaccordo con i milanesi e che non approvava i loro metodi”. Intanto Nicola aveva mandato una decina di uomini dietro Bill. A Roncaglia essi incontrarono i partigiani di Giumelli che lo avevano arrestato e, trovata nelle loro mani la pistola del Capo di Stato Maggiore garibaldino, ne fucilarono seduta stante due <113. “Quando fui informato dell’episodio – racconta Giumelli – dichiarai che non potevamo accettare supinamente, che avremmo vendicato i caduti <114. Giumelli lasciò Poira, sede del comando della nuova formazione, e si diresse verso la Val Masino. Coi suoi uomini circondò il comando garibaldino di stanza presso l’albergo dei Bagni di Masino. Poco mancò che il dissidio fra le due fazioni partigiane non finisse in un bagno di sangue <115. Pare tuttavia che ci siano stati degli scontri tra gli uomini di Giumelli e quelli di Nicola e anche qualche vittima <116. Il blocco della Val Masino durò un paio di giorni, poi il dottor Rossi, vice commissario del Comando di Raggruppamento, intervenne per avviare trattative di pace. Al dottor Rossi si associò un uomo della delegazione lombarda del comando generale, il commissario Lino. L’incontro fra le due parti avvenne il 20 ottobre nella piana di Poira in un’atmosfera da ‘Ok Corall’: “Ci vedemmo su un prato – ricorda Giumelli – con cinque uomini armati da una parte e cinque dall’altra. Io avevo una colt e Nicola una bomba a mano. Con me c’era Athos e le rispettive bande erano in attesa nei boschi” <117.
Alla fine l’accordo fu raggiunto su questi punti: Giumelli si impegnò a rientrare nella 90^ Zampiero e ad agire con lealtà e cameratismo; egli ottenne per sé il comando del I Battaglione e per Athos, al quale non fu concesso tanto, il ruolo di intendente della Brigata; Giulio Spini, valtellinese e su posizioni critiche nei confronti di Nicola, divenne commissario politico di Giumelli; Nino e Dan, comandante e commissario della 90^ invisi a Giumelli furono sostituiti da Bill ed Elio; le armi vennero suddivise fra i tre battaglioni della Brigata e parte degli uomini di Giumelli dovette passare al II battaglione. Furono inoltre decise la liberazione dei prigionieri fatti da Giumelli e la restituzione di armi e viveri <118. La crisi sembrava definitivamente risolta: “dal giorno 20/10 si torna alla normalità. Il comando della 90^ si insedia a Ledino. I reparti della 90^ ritornano alle loro sedi. Solo il distaccamento d’assalto rimane in zona a disposizione del Comando di Divisione. Si riformano i tre battaglioni della 90^, i quadri sono già al completo” <119.
Ma qualcuno al Comando di Raggruppamento notò subito che l’accordo poggiava su basi malferme. Il problema era la concessione a Giumelli del comando del I battaglione, che in realtà fu decisa in un secondo momento contro le istruzioni date a Lino e Rossi e per intervento dell’ispettore della delegazione lombarda del comando generale, Giorgio <120. “Il fatto stesso di fare altre concessioni dopo gli accordi e di dare completamente ragione alla tesi di Giumelli non fece che avvalorare e ritenere illegali i rivoltosi” <121. Dello stesso parere il vice comandante del Raggruppamento Neri: “Formalmente ogni cosa risulta appianata, ma è evidente che lasciandogli il comando di una frazione di uomini (degli stessi elementi locali malcontenti) è sempre latente il pericolo del rinascere di dissidi, disegni ambiziosi da parte del capo” <122.
Erano parole profetiche.
[NOTE]
90 Cfr Intervista fatta al Dott. Giuseppe Giumelli, Issrec, Fondo Anpi, b4 f18.
91 Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol II, pag. 61.
92 Intervista fatta al Dott. Giumelli, doc. cit.
93 Per la battaglia di Buglio e le polemiche che ne seguirono cfr: Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit.; Dante Sosio, Buglio in monte: un Comune di antiche origini nella storia del Terziere inferiore, Comune di Buglio in Monte, 2000; Ferruccio Scala, Buglio a trenta anni dalla battaglia, in “Il lavoratore Valtellinese”, 24 aprile 1974; Giuseppe Giumelli, La battaglia di Buglio, “Il lavoratore Valtellinese”, 4 luglio 1964
94 Cfr Incontro dei capi e commissari della 40^ Matteotti, doc. cit.
95 Per il peso effettivo della propaganda di partito nelle formazioni partigiane e il reale significato da dare all’attività politica che si svolgeva nelle bande v. sopra, pag. 9 e segg.
96 Cfr Intervista fatta al Dott. Giumelli, doc. cit.
97 Ivi.
98 Ivi. Questa la posizione di Giumelli, ma occorre avvisare che una completa valutazione del rapporto fra Resistenza e popolazione in Valtellina deve poggiare su qualcosa di più di un’unica testimonianza? Nel seguito del testo il lettore troverà un intero capitolo dedicato a questo problema.
99 Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol II, pag. 62.
100 Ercole Ciriaco Valenti, op. cit., pagg 129-132.
101 Ivi, pag. 134.
102 Ivi, pag 140.
103 Ivi, pag. 152.
104 Ivi, pag. 158.
105 Ivi, pag. 170.
106 Ivi, pag. 171.
107 Ivi, pagg 171-172.
108 Cfr Intervista fatta al Dott. Giumelli, doc. cit.
109 Comando della I Divisione alla Delegazione Comando e al Comando Raggruppamento delle Divisioni Garibaldine Lombarde, 24/10/1944, firmato Diego (alias Nicola, nda), Issrec, Fondo Anpi non catalogato, fascicolo “Vertenza Giumelli”.
110 Ivi.
111 Il Comando Raggruppamento al Dottor Giumelli, al CLN di Morbegno ecc., 17/10/1944, Issrec, Fondo Anpi non catalogato, fascicolo “Vertenza Giumelli”.
112 Cfr Intervista fatta al Dottor Giumelli, doc. cit. e Ercole Valenti, op. cit., pagg 173-174.
113 Cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol. II, pag. 113.
114 Ivi, pagg 62-63.
115 Cfr le testimonianze di Giumelli, Germano Bodo e Giovanni Pola in Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol II, pagg 63, 38 e 92. E’ significativo che nella sua relazione al Raggruppamento Nicola ometta completamente questa parte della vicenda, cfr Comando della I Divisione alla Delegazione Comando e al Comando Raggruppamento delle Divisioni Garibaldine Lombarde, 24/10/1944, doc. cit.
116 La maggior parte delle testimonianze non riferisce di scontri armati. Ne parla però Valenti in Ercole Valenti, op. cit., pag. 173. In una intervista concessa all’a. Mario Songini, all’epoca ragazzo e abitante in Val Masino, accenna a baruffe nei pressi di Cataeggio.
117 Cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol. II, pag. 63. Secondo Giumelli, questo incontro avvenne a Cataeggio. Bill e Iseo Vola dicono invece che si svolse a Poira, cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol. II, pagg 114 e 116. Così anche Nicola, cfr Comando della I Divisione alla Delegazione Comando e al Comando Raggruppamento delle Divisioni Garibaldine Lombarde, 24/10/1944, doc. cit. Fini e Giannantoni per parte loro sposano la ricostruzione di Nicola, Bill e Vola, cfr Marco Fini e Franco Giannantoni, op. cit., vol. I, pag. 195.
118 Cfr Comando della I Divisione alla Delegazione Comando e al Comando Raggruppamento delle Divisioni Garibaldine Lombarde, 24/10/1944, doc. cit.
119 Ivi.
120 Cfr Relazione alla Delegazione Comando, 4/11/1944, senza firma ma attribuibile ad Ario, Issrec, Fondo Gramsci,
121 Ivi.
122 Relazione 2° viaggio in Valtellina, 25/10/1944, firmato Neri, Issrec, Fondo Gramsci, b1 f3.
Gian Paolo Ghirardini, Società e Resistenza in Valtellina, Tesi di laurea, Università degli Studi di Bologna, Anno accademico 2007-2008