La Lega Nord fino al 1992 rimase un fenomeno marginale

Intanto, però, i partiti di governo vedevano confermato il loro consenso nella società, come dimostrarono le elezioni politiche del 1987. Le famiglie italiane vedevano arrivare improvvisamente un inaspettato e nuovo boom economico dopo gli anni dell’austerità e premiarono il nuovo centro‐sinistra: la Dc con il 34,3% registrò un’inversione di tendenza dopo l’arretramento del 1983; il Psi continuava a cavalcare l’onda lunga e raggiungeva il 14,3%, mentre il Pci perdeva altri tre punti percentuali, scendendo al 26,6%. In leggera crisi anche i partiti laici tutti in perdita, mentre entravano nel parlamento i primi due rappresentanti della Lega lombarda: Umberto Bossi guadagnava lo scranno del Senato.
Le elezioni confermarono, dunque, la tenuta delle forze di governo, rafforzato dal recupero della Dc e dall’avanzata del Psi. L’obiettivo storico che si era prefisso Craxi del sorpasso a sinistra procedeva lentamente, il Pci era ancora lontano, ma il trend si era invertito e sembrava inarrestabile.
I partiti della maggioranza, poi, venivano premiati al di là della loro compattezza. De Mita e Craxi erano stati protagonisti di un perenne scontro durante tutta la legislatura ed acuito nella parte finale della legislatura dall’accusa del segretario democristiano verso il socialista del mancato rispetto del “patto della staffetta”. Lo scontro aveva bloccato le riforme e aveva portato ad uno scioglimento anticipato delle Camere; nonostante ciò le urne non li avevano penalizzati, segno che la ripresa economica e il benessere diffuso erano stati percepiti dall’elettorato più importanti rispetto alle riforme mancate <23.
Il fallimento, però, della commissione Bozzi per la modifica della seconda parte della Costituzione, quella relativa al funzionamento dello Stato, rappresentava una grave occasione mancata <24. Agli irrisolti squilibri della spesa pubblica si aggiungeva la mancata modifica dei meccanismi di governo. Una fase di stabilità e di espansione dell’economia non era stata sfruttata appieno al fine di dare un impianto compiuto alle trasformazioni della società. Insomma, i partiti galleggiavano su una crisi latente, poco percepita, anche perché l’elettorato aveva dato una risposta positiva alle forze di governo.
Principalmente, però, dallo studio di questo decennio se ne ricava l’immagine di forze politiche concentrate più su stesse che sui reali problemi del paese. Il sistema politico sembrava estremamente autoreferenziale. Emerge un quadro per cui i gruppi dirigenti dei principali partiti, confortati da un discreta solidità elettorale, fossero più concentrati in un gioco tattico interno al sistema, osservando e marcando il posizionamento dei rivali politi; per esempio, la sinistra Dc che guardava al Pci, dunque i socialisti che arginavano questi movimenti alleandosi con i dorotei e via di questo passo. Si dà come per scontato che nulla potesse cambiare, diveniva fondamentale la tattica politica, mentre sfuggivano i cambiamenti profondi, epocali (internazionali) e strutturali (interni), che stavano per modificare il mondo e che quindi avrebbero travolto un paese evidentemente impreparato.
[…] L’Italia aveva viaggiato a tassi di sviluppo secondi solo a quelli del Giappone, il leader socialista, però, non era riuscito ad invertire la tendenza espansiva del debito <55. Soprattutto non era riuscito ad approfittare di una positiva congiuntura economica per portare a termine delle riforme strutturali che potessero realmente evitare l’esplosione della crisi del debito <56. Probabilmente c’era la propensione a credere che il periodo di boom economico potesse prolungarsi, quindi, altre riforme impopolari, incentrate sui tagli alla spesa pubblica, furono rimandate nel tempo.
Allo stesso tempo è fondamentale notare come ci fosse un discreto e costante consenso attorno alle politiche di governo. Ad ogni appuntamento elettorale celebrato in quegli anni ci fu una conferma della maggioranza di pentapartito. L’onda lunga del Psi continuò fino al 1992 e la Dc dopo l’arretramento del 1983 ebbe una risalita che ridiede una nuova serenità al gruppo dirigente, la Lega Nord fino al 1992 rimase un fenomeno marginale, mentre il maggior partito di opposizione, il Partito comunista, era in constante calo, cosa che apparve ancora più evidente dopo il collasso del comunismo internazionale.
Certo stavano cambiando le basi del consenso e del radicamento elettorale.
[NOTE]
23 Sulla crisi del sistema dei partiti negli anni novanta, cfr. M. Cotta e P. Isernia, Il gigante dai piedi d’argilla: la crisi del regime partitocratico in Italia, il Mulino, Bologna 1996.
24 Per maggiori informazioni sui lavori della commissione cfr., http://www.camera.it/parlam/bicam/rifcost/dossier/prec03.htm
55 «La subordinazione di questo problema ad altri obiettivi, ‐ il controllo dell’inflazione e l’aumento della produzione (nda)‐ è del resto testimoniata dalla ulteriore crescita della spesa pubblica fino al 1985». L. Verzichelli, Le politiche di bilancio: il debito pubblico da risorsa a vincolo, in Il Gigante dai piedi d’argilla, M. Cotta e P. Isernia (a cura di), il Mulino, Bologna 1996, p. 207.
56 N. Tranfaglia, Vent’anni con Berlusconi. L’estinzione della sinistra, Garzanti, Milano 2009, p. 31‐33.
Andrea Marino, Forza Italia. Nascita, evoluzione e sviluppo del centro destra italiano (1993-2001), Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno accademico 2011-2012

Negli stessi mesi [del 1991] muoveva i primi passi la Lega Nord. In questa fase si erano notevolmente accentuati nel leghismo, i toni e le polemiche contro “Roma”; ogni occasione era sfruttata da Umberto Bossi per polemizzare con “la politica meridionalista del governo, accusato di alimentare il clientelismo nelle province meridionali con le risorse prodotte da quelle settentrionali” <197. In quest’ottica anche il semestre di presidenza diventò un’occasione per denunciare un’Italia “fanalino di coda” dell’Europa: “L’Italia, infatti, presenta l’indice di inflazione più alto, rispetto a quello degli altri ‘partners’, è oberata da un ‘deficit’ di bilancio astronomico, è considerata la Nazione più ‘a rischio’ d’Europa. C’è da chiedersi allora”, scriveva Bossi, “al di là delle enfatiche declamazioni in che modo e con quale prestigio potremo presentarci all’appuntamento del 1992” <198.
Nel discorso d’apertura al primo congresso, il leader leghista notò come non fosse solo l’Italia ad essere a rischio, ma la stessa Europa, in quanto “finge di diventare un’istituzione federalista sommando tanti stati centralisti (…) il federalismo europeo per nascere dovrà essere anche infranazionale e non soltanto sovranazionale” <199. Se ne poteva dedurre un approccio strumentale all’integrazione europea, in funzione di un’auspicata maggiore autonomia per le regioni del Nord. Nella sua relazione Moretti indicò, infatti, la proposta della LN nel definire la struttura istituzionale della CEE: “alle regioni deve essere assegnato un proprio peso ed un proprio ruolo nell’ordinamento di una futura Unione Europea accanto all’autorità centrale europea ed agli stati membri. L’Unione dovrebbe essere pertanto strutturata in quattro stadi: Comunità, Stati membri, Regione e Comuni, tra i quali devono essere ripartire le funzioni in base al principio della sussidiarietà” <200. Questo in quanto, riprendeva Marco Formentini, “la fisionomia dell’Europa sarà la risultante delle fisionomie degli Stati che la compongono. Fin qui i centralismi nazionali hanno condizionato in senso centralistico anche l’integrazione europea (…) Costruire un’Europa rispettosa delle autonomie, anzi su di esse fondata, significa invece moltiplicare i centri di governo dell’economia, creare contrappesi al capitalismo egemonico, favorire la diffusione dell’imprenditorialità, disciplinare i mercati in base alle esigenze delle collettività” <201.
A suggellare la nuova linea politica, Bossi lanciò la parola d’ordine della costituzione di tre grandi federazioni: “Nord, Centro e Sud, costituenti della Confederazione per la libertà dei popoli italiani che la nostra lotta, e la nostra determinazione, imporranno quale superamento dello Stato nazionale unitario” <202.
[NOTE]
197 G. Mammarella, L’Italia contemporanea 1943-1998, cit., p. 545.
198 U. Bossi, Bossi sul semestre di presidenza italiana della Cee, in “Lega Nord Centro e Sud”, a. I, n. 0, febbraio 1991.
199 U. Bossi, Discorso di apertura del Congresso della Lega Nord, I° Congresso Lega Nord, Pieve Sant’Emanuele, 8-10 febbraio 1991.
200 L. Moretti, Le Regioni in Europa, I° Congresso Lega Nord, Pieve Sant’Emanuele, 8-10 febbraio 1991.
201 M. Formentini, Liberismo federalista, I° Congresso Lega Nord, Pieve Sant’Emanuele, 8-10 febbraio 1991.
202 U. Bossi, Conclusioni dei lavori congressuali e ringraziamenti del segretario, I° Congresso Lega Nord, Pieve Sant’Emanuele, 8-10 febbraio 1991.
Massimo Piermattei, Dal vincolo esterno all’europeizzazione? Le culture politiche italiane e l’integrazione europea nella rincorsa alla moneta unica (1988-1998), Tesi di dottorato, Università degli Studi della Tuscia, 2009

Le trasformazioni dell’unità politica dei cattolici segnarono profondamente le vicende della “prima repubblica”. L’armonia dell’unità cattolica fu sempre intrinseca al partito stesso, grazie al supporto da parte dell’istituzione ecclesiastica a partire dal 1943/1945. Perciò Chiesa e cattolici furono a sostegno dello Stato repubblicano fino al grande tracollo del 1992, che condusse alla conclusione del coinvolgimento e dell’appoggio dell’istituzione ecclesiastica nei confronti della Democrazia cristiana. Perdita dell’unità cattolica che fu direttamente proporzionale alla graduale scomparsa della centralità democristiana, che segnò il deterioramento del rapporto della Dc con la Chiesa. Un’istituzione ecclesiastica che preferì togliere progressivamente la delega della rappresentanza dei propri interessi di mano alla Dc, preferendo tornare a tutelare le proprie faccende da sola, piuttosto che attraverso un partito. L’unico leader democristiano che azzardò una politica di apertura verso il riformismo fu Ciriaco De Mita, che arrivò alla segreteria in occasione del 15° Congresso della Dc, nel 1982. Egli provò a rinnovare la Dc, poiché cosciente della sua paralisi politica difronte ai numerosi cambiamenti che stavano avvenendo. Attraverso il suo programma, tentò di sfidare fin dall’inizio l’avversario socialista, Craxi che, con il suo progetto di “Grande Riforma”, cercò di modificare il sistema da un punto di vista politico ed economico. Infine, come per ogni singolo partito, viene proposta un’analisi del cambiamento dell’elettorato: come sono variate le percentuali di voto a partire dal 1976 fino ad arrivare al crollo del 1992. Si analizza soprattutto il crollo democristiano del 1983 in cui la Dc, nonostante le vittorie nelle tornate del ’76 e del ’78, perse ben 5,4 punti percentuali. Cruciale fu la perdita del voto di appartenenza situato nelle regioni del Nord, a favore di uno spostamento verso il Sud, dove si registrò per lo più voto di scambio. La cosiddetta “meridionalizzazione del voto”, certificò ancora una volta un sistema partitocratico sempre più in crisi, la cui solidità poggiava essenzialmente su una fascia sociale composta da salariati, dalla grande e piccola impresa, dai gruppi della burocrazia. Questo fenomeno si comprese alla luce dell’emersione di nuovi elementi nel contesto politico, come quello della Lega Nord che iniziò, a partire da quegli anni, ad ottenere numerosi successi, attraendo voto democristiano nelle zone dove era più radicato, ovvero al Nord.
[…] Tangentopoli danneggiò tutti i partiti storici, nessuno escluso, provocando l’indignazione e la rabbia della società civile, sempre più sfinita della partitocrazia. «Le inchieste giudiziarie di Mani Pulite, esaltate dai fautori di uno stato eticamente integro e denigrate dai critici della magistratura politicizzata, fecero emergere alla luce de sole le profonde trasformazioni verificatesi nella politica italiana. Venuto meno l’originario ruolo di mediazione, tra consenso politico e accesso alle risorse con la crisi finanziaria dello Stato, emerse il nesso stretto tra clientelismo partitico ed estensione della cultura politica» <13. Le indagini portarono alla luce le profonde trasformazioni verificatesi nella politica italiana. In questi anni la magistratura aveva assunto un ruolo a sé stante nelle indagini riguardante la vita politico-amministrativa dei partiti. Con questa inchiesta vennero messi in discussione i caratteri genetici della “prima repubblica” e, più in generale, della “Repubblica dei partiti”. All’inizio degl’anni Novanta, la crisi della Repubblica sembrava condensare e raggruppare tutti i deficit strutturali della fragile società italiana: la nazione “introvabile”, la modernità contraddittoria, lo Stato «debole e un’invasiva partitocrazia, la frammentazione e la politicizzazione» <14.
In conclusione la dissoluzione del sistema politico della “prima repubblica” fece perciò condensare fattori interni ed esterni, che tra loro si influenzarono reciprocamente: la fine del mondo bipolare e delle appartenenze ideologiche, che per anni avevano spaccato il mondo in due; i livelli di corruzione sistemica all’interno dell’assetto politico, svelati dalla macro inchiesta giudiziaria sopra citata; la secessione minacciata dalla Lega Nord attraverso la radicalizzazione della “questione settentrionale” <15. Se questi fattori evocarono soprattutto quella che era l’identità nazionale, altri contribuirono invece al crollo del sistema politico partitico: l’attuazione di politiche economiche imposte dal Trattato di Maastricht per il risanamento dell’ingente debito pubblico italiano; l’attacco da parte della mafia con l’assassinio dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; le conseguenze dei due referendum su questioni elettorali (quello del 1991 sull’abrogazione delle preferenze plurime e quello del 1993 sul sistema di voto proporzionale per le elezioni in Senato) per favorire comportamenti di voto più liberi. «Con il crollo definitivo del 1992 la partitocrazia e il sistema politico rimasero sospesi tra un prima e un dopo, senza una reale rigenerazione della partecipazione e senza la riforma dell’assetto istituzionale in senso maggioritario. Non furono le istituzioni ad essere modificate, bensì i protagonisti della classe politica a mutare gerarchia, attraverso un loro riposizionamento in un contesto laddove prevaleva la nuova centralità dell’opinione pubblica» <16.
[NOTE]
13 S. Colarizi, A. Giovagnoli, P. Pombeni (a cura di), L’italia contemporanea dagli anni Ottanta a oggi III. Istutuzioni e politica, Roma, 2014, Carocci Editore, pag 68.
14 Ibidem.
15 Ivi, p. 70.
16 Ivi, p. 82.
Carolina Polzella, Dc, Pci e Psi: la crisi delle grandi famiglie politiche nella “prima repubblica”, Tesi di laurea, Università Luiss, Anno accademico 2018-2019