L’avvicinamento di Giannini al comunismo preoccupava gli esponenti neofascisti e costituì una delle ragioni incentivanti la nascita del MSI

Con la fine della Seconda guerra mondiale, si delineò una profonda spaccatura, a livello politico, tra sostenitori della repubblica e movimenti filomonarchici.
Queste ultime tendenze si registrarono non solo entro gruppi espressamente fautori della monarchia, come il Movimento Monarchico Italiano, fondato nel 1944 da Giorgio Asinari di San Marzano, e poi riemerso in una simile forma quattro anni dopo, ma anche da organismi che operavano in clandestinità (quale l’Armata Italiana di Liberazione – AIL), nonché da esponenti chiamati a ingrossare le fila del PLI (Partito Liberale Italiano), che, ricostituitosi dopo l’8 settembre 1943, necessitava di un ampio supporto per imporsi alla stregua di un “partito conservatore moderno” <44.
Tra i sostenitori della monarchia, figuravano numerosi giovani, reduci dagli anni della Resistenza e animati da numerosi elementi in comune: “l’educazione familiare, l’esperienza partigiana, l’idea che attorno alla corona potesse ricostituirsi un’Italia moderata e, per certi versi, anticomunista” <45, quest’ultima propria di tutte le frange del filo-monarchismo.
Essi, assieme ai membri uscenti del PNF, si raggrupparono in un movimento noto come Fronte monarchico giovanile. Il Fronte venne fondato nell’autunno del 1944 da alcuni studenti appartenenti a famiglie di ceto elevato, che intendevano riportare in auge i valori monarchici. L’obiettivo del Fronte era quello di “riunire in azione comune l’attività di tutti i giovani che a[vessero] fede monarchica e credano fermamente nei suddetti ideali”. Esso era perseguito attraverso lo strumento della propaganda “rivolta a tenere vivi gli ideali che condu[cono] all’unità della patria”, oltreché con il fine “combattere le tendenze separatiste, considerandole come disgregatrici e antinazionali” e, infine, di “istituire circoli culturali, artistici e sportivi per una rigenerazione morale, fisica ed intellettuale delle giovani generazioni preparandole alla responsabilità del domani” <46.
Il retaggio fascista di questa impostazione emerge in tutta la sua evidenza.
A latere di queste esperienze, si colloca il movimento fondato dal giornalista e commediografo napoletano Guglielmo Giannini, con la denominazione di “Uomo Qualunque”, da cui è derivata la espressione “qualunquismo” <47.
Si tratta di una ideologia contraria alla tradizionale impostazione dei partiti politici, diffusa attraverso una omonima rivista settimanale di carattere satirico, pubblicata a partire dal 27 dicembre 1944, che riscontrò un certo successo all’indomani della fine del conflitto mondiale, soprattutto nell’Italia meridionale, dove ricevette il plauso da parte degli imprenditori agricoli, che temevano le sollevazioni delle masse contadine fedeli ai valori comunisti, e dei gruppi neofascisti che non avevano ancora trovato una propria autonoma fisionomia.
Il movimento ricevette il 5,3% del consenso elettorale nelle elezioni politiche del 1946 e riuscì a insediare alcuni dei suoi rappresentanti in seno all’Assemblea Costituente. Come osservato da attenta dottrina, le motivazioni connesse all’affermazione di questo movimento sono molteplici e risiedono, fondamentalmente, nella difficile transizione dal totalitarismo alla democrazia. L’Uomo Qualunque si proponeva come un’alternativa agli altri schieramenti politici, pur manifestando i limiti di un movimento che non riusciva del tutto a rendersi indipendente dal sostegno dei partiti già esistenti.
Esso è stato definito come un movimento di destra, frutto di un “fascismo deteriore”, sebbene la sua connotazione fosse in parola antifascista o almeno contraria al “fascismo più estremo e più totalitario” <48 e tendente inizialmente a valorizzare l’operato del Comitato di Liberazione Nazionale. Egli vedeva di buon grado la Liberazione e le azioni realizzate per portarla a termine, con “eroismo” e “serietà” da parte degli uomini dell’“Alta Italia” <49.
A opinione di Giannini, a Roma regnava il clientelismo e la brama di ottenere incarichi di potere a qualsiasi costo, entrambi figli del più deplorevole “politicantismo” <50.
Ben presto, Giannini mutò orientamento, scagliandosi contro il governo di Ferruccio Parri, insediatosi il 21 giugno 1945, e ritenendolo colpevole di eccessiva durezza nella conduzione della repressione antifascista. Di fatto, egli mirava a ottenere l’appoggio della classe borghese, ceto medio conservatore e fedele alla religione cattolica, rimasto deluso dalle aspettative che riponeva nel nuovo governo, poi sfiduciato e crollato dopo poco più di sei mesi <51.
Quest’ultimo è stato definito da alcuni anche come il movimento che meglio intercettava i sentimenti e le ambizioni tradizionaliste della classe media (“qualunque”, appunto) della società, rimasta insoddisfatta dopo la Liberazione.
Tale dato accomuna le istanze del movimento a quelle del Partito Liberale Italiano (PLI) di Benedetto Croce, con il quale Giannini cercò, a più riprese, un’alleanza. Analogamente, egli tentò di avvicinarsi anche alla Democrazia Cristiana (DC), senza ottenere alcuna possibilità di collaborazione.
L’ultimo tentativo di Giannini fu quello di stringere contatti con il Partito Comunista Italiano (PCI), interloquendo con Palmiro Togliatti, pur di arrivare a raggiungere una forza politica tale da opporsi alla DC, dopo il rifiuto di quest’ultima di favorire l’ascesa del qualunquismo.
L’avvicinamento di Giannini al comunismo preoccupava gli esponenti neofascisti e costituì una delle ragioni incentivanti la nascita del MSI.
Delusi dall’ambizione di trovare nell’Uomo Qualunque un movimento in grado di “creare una destra ben radicata sul territorio” <52, i neofascisti si trovarono privi di una guida o di un orientamento-contenitore in cui potersi sentire, a qualche titolo, inclusi. D’altro canto, Romualdi sottolineava i rischi connessi alla deriva “comunista” dell’Uomo Qualunque, potenziale esito della “politica troppo conciliante nei confronti del PCI” <53 che il movimento stava conducendo. Egli sostenne con fermezza la necessità di abbandonare la clandestinità delle azioni intraprese fino a quel momento, per uscire allo scoperto. Invero, secondo Romualdi era necessario offrire al popolo italiano un “partito nuovo con rinunzia definitiva a qualunque forma di ricostituzione di un partito fascista” in senso stretto; a questa determinazione, si accompagnò il chiaro “invito ai militanti dei gruppi neofascisti di cessare ogni iniziativa clandestina” <54, assumendo una forma organizzata e unitaria <55.
È evidente, da questo quadro, il “trasformismo” che caratterizza il movimento; del resto, esso “a stento era riuscito a trovare un punto di riferimento politico che ne incarnasse le motivazioni e gli ideali” <56. I suoi principi-cardine sono espressi nell’opera La Folla. Seimila anni di lotta contro la tirannide, curata dal fondatore e direttore Giannini. In questa pubblicazione, Giannini assume posizione contraria al populismo, sostenendo che esso venisse utilizzato come mezzo di strumentalizzazione delle masse per catturare il sostegno della “gente onesta, laboriosa e pacifica che forma la maggioranza della popolazione in tutti i paesi del mondo” <57. In verità, è proprio con il movimento dell’Uomo Qualunque che egli concreta l’ambizione populista di radunare intorno a sé le masse, facendo leva sul malcontento della popolazione.
[…] Il Movimento Sociale Italiano rappresenta l’erede della RSI, fondato su proposta di Pino Romualdi, il 26 dicembre 1946, da coloro che avevano militato nella Repubblica.
Tra essi, figurano Giorgio Almirante, Francesco Giulio Baghino e Giorgio Bacchi, nonché da altri sostenitori del regime fascista <61, presenti nella riunione in cui fu approvato l’atto costitutivo del partito, che si svolse a Roma presso la sede dello studio del ragioniere Arturo Michelini <62, luogo dove – fin dal mese di ottobre dello stesso anno – si tenevano gli incontri tra i soggetti interessati a dare vita al partito.
Il Movimento, originariamente noto con l’acronimo MOSIT, venne creato con lo scopo di proporre una rinnovata versione degli orientamenti fascisti, considerati anacronistici e – del resto – condannati a più riprese, prima dalla Resistenza e, poi, dai tribunali. Tale obiettivo trovava piena esplicazione nella locuzione “Non rinnegare, non restaurare”, elaborata da Augusto De Marsanich, il quale ricoprì sia la carica di Segretario del partito (negli anni 1950-1954), che quella di Presidente, fino al 1972 <63.
Il Segretariato del neonato partito fu originariamente assunto, su suggerimento di Romualdi, da Giacinto Trevisonno, il quale mantenne l’incarico fino al 15 giugno 1957, data in cui fu sostituito da Giorgio Almirante, dopo aver rassegnato le sue dimissioni in quanto contrario all’ammissione nella giunta esecutiva del MSI di alcuni appartenenti al movimento dell’Uomo Qualunque.
[NOTE]
44 A. UNGARI, La marcia verso il centro e la prospettiva di una destra moderata, “Ventunesimo Secolo”, n. 7, 2005, p. 116.
45 A. UNGARI, La destra dopo il fascismo tra conservazione e innesto giovanile, in M. De Nicolò (a cura di), Dalla trincea alla piazza. L’irruzione dei giovani nel Novecento, Viella, Roma, 2011, p. 265.
46 Ivi, p. 266.
47 Per un’analisi diffusa di questo movimento, si veda M. COCCO, Una storia politica e culturale dell’uomo qualunque, Mondadori, Milano, 2018. Nella descrizione data da Giannini, l’“uomo qualunque” è “l’uomo nel caffè, nel cinematografo, nella camera da letto, nella sala da pranzo, davanti allo sportello delle tasse, dovunque… è un personaggio che si contrappone all’eroe, al capo, al duce, al re, al fuhrer, al conductor, al Churchill, al Roosevelt, allo Stalin e dice… io voglio vivere liberamente, senza essere seccato da nessuno, senza essere coinvolto nelle vostre risse”, G. SCOGNAMIGLIO (a cura di), La grande avventura dell’Uomo Qualunque raccontata da G. Giannini, in Enciclopedia del Centenario, D’Agostino, Napoli, vol. II, 1960, p. 40.
48 G. SERRA, Le origini del qualunquismo in Sardegna. Il Fronte dell’Uomo qualunque 1945-1956, Cavinato Editore, Brescia, 2014.
49 S. SETTA, L’Uomo Qualunque 1944-1948, Laterza, Bari, 2005, p. 66.
50 Ibidem.
51 Parri rassegnò, infatti, le proprie dimissioni il 10 dicembre 1945, dopo la mozione di sfiducia approvata sotto iniziativa dei liberali.
52 A. UNGARI, La marcia verso il centro e la prospettiva di una destra moderata, cit., p. 116.
53 A. BALDONI, Destra senza veli: 1946-2018. Storia e retroscena dalla nascita del Msi ad oggi, Edizioni Fergen, Roma, 2018, p. 13.
54 Ibidem.
55 Sulla nascita del MSI, si veda infra, capitolo II, di questa tesi.
56 A. UNGARI, La marcia verso il centro e la prospettiva di una destra moderata, cit., p. 116.
57 G. GIANNINI, La Folla. Seimila anni di lotta contro la tirannide, Edizioni Faro, Roma, 1945, p. 6. In argomento, si veda anche la edizione dell’opera curata da G. ORSINA, La Folla. Seimila anni di lotta contro la tirannide. Con un dibattito su “Liberalismo e qualunquismo” di Giovanni Orsina e Valerio Zanone, Fondazione Einaudi, Roma, 2002.
61 Si trattava, specificatamente, di Giovanni Tonelli, Cesco Giulio Baghino, Mario Cassiano, Valerio Pignatelli, Roberto Mieville, Giorgio Pini e Biagio Pace.
62 Alfredo Cucco, segretario della RSI, ricorda con queste parole la nascita del MSI: “quella sera del dicembre 1946 mi venne a trovare in convento – nella Casa generalizia dei padri passionisti a Celimontana in Roma – Mimì Pellegrini Giampietro, ex ministro delle Finanze della RSI, già in galera e poi evaso, infine assolto dalla Cassazione […] Era venuto a informarmi circa la sigla che avrebbe assunto il Movimento da tutti noi superstiti auspicato […] Vedi, mi disse, la M è l’iniziale per noi più chiara e significativa, non esprime solo Movimento, ma lo consacra con l’iniziale mussoliniana. Vi sono poi le due lettere qualificative della RSI: S e I (iniziali di socializzazione e Italia) e questo dice molto” (Prefazione, in A. La Grua, Lo Stato nazionale del lavoro nella vocazione del MSI, citato da P. P. POGGIO (a cura di), La Repubblica sociale italiana 1943-45. Atti del convegno, Brescia 4-5 ottobre 1985, Fondazione “Luigi Micheletti”, Brescia, 1986, p. 424).
63 “Nella spinta al “non rinnegare” prevale naturalmente la convinzione di essersi battuti stando dalla parte giusta […] “non restaurare” significa invece […] innanzitutto proporre una immagine riveduta, e in un certo modo edulcorata, del fascismo, da contrapporre alle argomentazioni denigratorie degli avversari. Un’immagine nella quale la natura dittatoriale del regime e la connessa negazione delle libertà democratiche sono presentate come semplici conseguenze della situazione di emergenza attraversata dall’Italia all’indomani del primo conflitto mondiale” (M. TARCHI, op. cit., p. 192).
Andrea Martino, Nascita del MSI nel periodo dal 1946 al 1960 con riferimento al rapporto tra società italiana e neofascismo, Tesi di Laurea, Università Luiss “Guido Carli”, Anno accademico 2019/2020

[…] analisi della nascita del Movimento Sociale Italiano (dicembre 1946), il suo difficoltoso ma rapido sviluppo, i primi contrasti al suo interno che portarono alla sostituzione di Giorgio Almirante con Augusto De Marsanich alla segreteria del partito. La necessità della scelta legalitaria divenne ancora più contingente in seguito ad una serie di operazioni di polizia che si abbatterono nei confronti dei gruppi che ancora operavano clandestinamente. Tale strada venne favorita anche dal lusinghiero risultato ottenuto nelle prime competizioni elettorali a cui il Movimento fu permesso di partecipare (elezioni comunali di Roma del novembre 1947). Già nel 1948, dunque, il MSI poteva tenere il suo primo Congresso Nazionale e varcare le soglie del Parlamento repubblicano. La sua affermazione contribuì peraltro alla parallela crisi irrevocabile del movimento dell’Uomo Qualunque, e del parziale travaso dei consensi verso il nuovo soggetto politico. Tali risultati vennero acquisiti grazie all’attivismo di Almirante ed in particolare ai cosiddetti “giornali parlati”, dapprima nella sede romana e in seguito nei teatri e nei cinema. Gli scontri con i comunisti contribuirono a ottenere l’attenzione dell’opinione pubblica, l’interesse di una parte dell’imprenditoria nonché la spinta verso il rafforzamento della struttura organizzativa.
Il nuovo partito riusciva a raccogliere aderenti non solo tra i vecchi nostalgici ma anche tra i giovanissimi e in particolare tra coloro i quali avevano vissuto in prima persona l’esperienza della Repubblica Sociale militando nelle Brigate nere, nella Guardia nazionale repubblicana o nella Decima Mas. Non è un caso, inoltre, che tra gli appartenenti alle numerose sigle del fascismo clandestino, la maggior parte di essi non avesse ancora compiuto vent’anni. L’iscrizione al MSI e alle sue strutture giovanili come il Raggruppamento Giovanile Studenti e Lavoratori (RGSL) e il Fronte Universitario di Azione Nazionale (FUAN) fu dunque una tappa obbligata.
La crescita del Movimento attirò l’attenzione di britannici e statunitensi. Londra, in particolare, era interessata, oltre all’organizzazione e alle personalità neofasciste, soprattutto ai contatti intrattenuti dal MSI con gli altri gruppi e movimenti fascisti europei, nonché con le personalità presenti nelle ex colonie italiane amministrate dalla Gran Bretagna. Se il MSI nei rapporti dei diplomatici e dell’intelligence britannica venne sempre giudicato disprezzabile, sia a causa dello storico sentimento anti-britannico dei fascisti, ma anche per il loro attivismo a Trieste, diverso fu il caso americano. Possiamo notare infatti come la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta avesse visto, infatti, un rapporto altalenante tra diplomazia e servizi segreti statunitensi da una parte e destra neofascista dall’altra, anche se inizialmente la nascita del MSI era stata accolta con freddezza e ostilità.
Un focus è infine dedicato a Trieste e al confine orientale. La situazione particolare in cui si trovava il territorio giuliano, sotto il controllo del Governo Militare Alleato fino al 1947, e rivendicato sia dall’Italia che dalla Jugoslavia, poteva dimostrarsi un laboratorio particolare per il MSI. Fin dall’autunno-inverno 1945 erano peraltro attive bande di giovani neofascisti che si fecero notare per alcuni atti propagandistici. Anche qui l’attivismo di tipo terroristico accompagnò di pari passo il tentativo di riorganizzazione politica, dapprima all’interno dell’Uomo Qualunque, e infine nel Movimento Sociale Italiano (gennaio 1947).
[…] la nuova linea moderato-conservatrice, cattolica e filoamericana, con cui il MSI di De Marsanich iniziò il suo progressivo inserimento all’interno del panorama politico italiano, tramite anche all’accordo con il Partito Nazionale Monarchico in vista delle elezioni amministrative del 1951 e del 1952. Una manovra che venne giudicata favorevolmente anche da parte delle autorità diplomatiche statunitensi. Grazie ai suoi appelli alla creazione di una coalizione anticomunista ed alla sua svolta moderata, il partito ottenne anche la considerazione di Papa Pio XII che, per garantire la vittoria democristiana alle amministrative di Roma, spinse per un’alleanza elettorale con il MSI. Era la cosiddetta “Operazione Sturzo”, portata avanti dal fondatore del Partito Popolare ma destinata al fallimento a causa dell’opposizione di De Gasperi. Infatti, se una parte della DC puntava a ridimensionare la destra cercando di integrare i missini, un’altra parte, guidata dall’allora Ministro dell’Interno Mario Scelba, puntava alla loro eliminazione grazie alla legge che portava il suo nome (che puniva la riorganizzazione del partito fascista e l’apologia del fascismo) e che in quei mesi si stava discutendo in Parlamento. La legge tuttavia non venne approvata prima delle elezioni amministrative del Centro-Sud del maggio 1952 e la portata del successo delle liste della fiamma (11%) fu tale da vanificarne gli effetti. Questo risultato elettorale, tuttavia, fece nuovamente cambiare atteggiamento al Dipartimento di Stato americano, preoccupato dell’indebolimento dei partiti di centro.
Nel III congresso del partito, svoltosi a L’Aquila nel luglio 1952, gli oppositori di sinistra raccolti nei Gruppi Autonomi Repubblicani, capeggiati da Giorgio Pini e Concetto Pettinato, i quali rivendicavano le origini repubblicane e rivoluzionarie del partito e si dichiaravano contrari al filoatlantismo, vennero dapprima emarginati e in seguito espulsi. De Marsanich riuscì a rimanere in carica come presidente, forte anche dei successi elettorali, cercando soprattutto di blandire la corrente sinistra del partito ridimensionando l’adesione al Patto Atlantico (annunciata l’anno precedente) e premendo la mano sulla questione triestina.
Proprio in merito alla questione di Trieste il MSI trovò un assist inaspettato: il cambio alla presidenza americana e soprattutto la nomina di Clare Boothe Luce come ambasciatrice a Roma. Il suo acceso anticomunismo portò la diplomazia statunitense a non disdegnare i contatti con i neofascisti. Il ruolo di “paladina” della causa italiana affibbiato alla diplomatica, consentì al MSI di legittimare, anche di fronte al proprio elettorato, il fatto di aver assunto una posizione filoamericana, mantenendo, nel contempo, una netta politica antibritannica.
La mobilitazione dei giovani sulla questione giuliana, incitata dal Movimento Sociale, permise al partito e soprattutto alle sue organizzazioni giovanili di ottenere visibilità e successo. I giovani neofascisti non si limitarono, inoltre, ad attuare azioni di propaganda all’interno del mondo universitario ma parteciparono attivamente alle diverse manifestazioni e scontri di piazza che si tennero a Trieste tra il 1952 e il 1953 per rivendicare l’“italianità” della città giuliana. I mesi di forte tensione culminarono nelle “giornate di Trieste” del 4, 5 e 6 novembre 1953, le quali videro in prima fila i giovani missini. Il loro protagonismo permise al partito neofascista di consolidare la sua posizione, già rafforzata dopo il successo elettorale delle elezioni politiche del 1953 (6% delle preferenze). Una espansione che era avvenuta in particolar modo grazie all’appoggio del ceto medio, moderato e borghese del Sud e ai danni della Democrazia Cristiana.
Si completava pertanto un ciclo che aveva visto i reduci della Repubblica Sociale passare in pochi anni dalla clandestinità alla partecipazione attiva nella vita politica italiana. Fu proprio in questo momento favorevole al partito neofascista, tuttavia, che la sua avanzata venne frenata e che vide, oltre al fallimento della tattica dell’inserimento in una più ampia coalizione anticomunista, gli inasprimenti delle lotte interne con il conseguente allontanamento delle anime ritenute più radicali e la creazione di partiti-movimenti alternativi al MSI.
Nicola Tonietto, La genesi del neofascismo in Italia. Dal periodo clandestino alle manifestazioni per Trieste italiana. 1943-1953, Tesi di laurea, Università degli Studi di Trieste, anno accademico 2016-2017

E c’è chi ha circostanziato le origini di questa “anomalia” italiana: «Nella lunga fase tra il 1946 e l’implosione del sistema politico-partitico detto Prima Repubblica – ha spiegato lo storico del pensiero politico Alessandro Campi – il luogo geometrico proprio del la destra è stato in realtà occupato e monopolizzato, sia sul piano politico partitico che sul piano simbolico-culturale, dagli epigoni dell’esperienza mussoliniana che, in quanto tali, avevano difficoltà a presentare se stessi come uomini di una destra (liberale, conservatrice, nazionalistica) che il fascismo aveva combattuto, assorbito e inverato». Un’anomalia che sta evidentemente all’origine profonda dello stesso rapporto controverso e
altalenante tra le espressioni politiche di questa destra e le trasformazioni della società italiana nei decenni del secondo dopoguerra. Tra i meriti della narrazione di Baldoni c’è uno sforzo continuo di connessione tra i due piani che contribuisce a chiarire molti fenomeni della politica attraverso quello che stava accadendo anche sul piano del costume, della sensibilità popolare, dei processi sociali, del contesto internazionale. Da questo punto di vista, scorrendo le pagine sul periodo che va dalla metà degli anni ’70 in avanti, emerge con chiarezza il percorso di fuoriuscita dall’isolamento e di ritorno alla piena cittadinanza nel gioco della politica. Mentre infatti alcune condizioni avrebbero voluto la destra immobile nel ghetto, accadevano tante cose che riguardavano tutti, e che quindi coinvolgevano anche questa parte politica.
Luciano Lanna, Prefazione a Adalberto Baldoni, Storia della destra. Dal postfascismo al Popolo della libertà, Vallecchi, 2009