Le diciassette tesi erano in conclusione un documento tutto sommato conciliante

I primi casi di integrazione, come la CECA o l’UEO, crearono, come abbiamo visto, pochi problemi all’impianto teorico sovietico, il quale riuscì a liquidarli come classiche alleanze militari, “super-cartelli”, li inserì nella polemica “strutturale” e continua con tutto il mondo occidentale e reagì usando gli strumenti classici della diplomazia. Le Comunità nate il 25 marzo 1957 con i Trattati di Roma, costituivano però un passo avanti qualitativamente diverso sulla strada verso l’integrazione europea. Anastas Mikoyan, all’epoca a capo del Ministero sovietico del Commercio Estero (MVT) e vice Primo ministro, dimostrò, nel suo discorso al XX Congresso del PCUS, di essersi reso conto che qualcosa di nuovo stava per arrivare sullo scenario della lotta al capitalismo ed evidenziò come il Partito stesse “…lagging seriously behind in the study of the contemporary stage of capitalism; we do not study facts and figures deeply; we often restrict ourselves for agitation purposes to individual facts about the symptoms of an approaching crisis or about the impoverishment of the working people, rather than making a comprehensive, profound assessment of the phenomena of life in foreign countries” <225.
I primi giudizi su quegli eventi, nonostante l’avvertimento di Mikoyan, non si discostarono molto dalle conclusioni che la dottrina sovietica aveva già raggiunto, ma fecero comunque qualche leggerissimo passo in avanti nella direzione indicata dal vice Primo ministro. Sempre al XX Congresso del PCUS Chruščev aveva chiaramente prospettato una situazione parzialmente in linea con quanto sostenuto da Stalin nella sua ultima opera <226: a causa della crescita del campo socialista, una coesistenza pacifica era divenuta possibile ma – e qui egli introdusse un elemento nuovo – era anche divenuta possibile una transizione pacifica al socialismo. Certo le forze imperialiste rimanevano aggressive, ma la guerra non era più, né tra loro né contro il mondo socialista, del tutto inevitabile <227.
Nel luglio del 1957, l’appena fondato Institute of World Economy and International Relations (IMEMO) dell’Accademia delle Scienze dell’URSS – che sostituiva l’Institute of World Economy and Politics, operante dal 1925 al 1948 – pubblicò sul primo numero della sua rivista “Mirovaja economika i meždunarodnye otnošenija” (L’economia mondiale e le relazioni internazionali, che da adesso in poi verrà citata come MEiMO) le “Diciassette tesi sulla creazione del Mercato Comune e dell’Euratom” <228. Le carenze di cui parlava Mikoyan e i cambiamenti rispetto al periodo stalinista risultarono allora evidenti.
Secondo le tesi, la CEE, l’Euratom e “l’Eurafrica” – così veniva infatti denominato il sistema di associazione dei paesi e territori d’oltre mare – non erano altro che un ulteriore passo verso la «pretesa “integrazione dell’Europa” nelle più diverse direzioni: economica, politica, ideologica e soprattutto militare». Tutte queste organizzazioni o accordi – dall’unione doganale del Benelux alla CECA, dall’UEO al Consiglio d’Europa – avevano come unico obiettivo quello di creare «un blocco militare aggressivo», teso a spaccare l’Europa e diretto contro l’Unione Sovietica e le democrazie popolari, grazie al sostegno attivo, e spesso per iniziativa, degli Stati Uniti (prima tesi). La seconda tesi illustrava sommariamente i contenuti dei Trattati di Roma, i quali avrebbero creato la «piccola Europa» ad esclusivo profitto dei monopoli, seguendo quel processo di fusione di questi ultimi con lo Stato (terza tesi) che aveva caratterizzato i paesi a capitalismo maturo fin dai tempi della prima guerra mondiale e che aveva ormai raggiunto il suo pieno sviluppo <229. La ragione che aveva condotto i monopoli a unirsi a livello internazionale, era da rintracciarsi soprattutto nel fatto che i rapporti di forza sulla scena mondiale si fossero bruscamente modificati in favore del socialismo e per questo essi si erano scoperti molto più disponibili a collaborare in difesa dei loro interessi comuni (quarta tesi).
A dimostrazione del carattere bellicoso di queste organizzazioni, la quinta tesi sosteneva che «nel definire i rapporti di un paese come la Svizzera con il Mercato Comune, alcuni rappresentanti degli Stati membri [avevano] dichiarato che l’adesione di questo paese sarebbe [stata] incompatibile con la sua tradizionale politica di neutralità». Inoltre, esso era considerato dagli ambienti influenti europei e americani «come la base economica della NATO e dell’Unione Europea Occidentale» e il loro obiettivo ultimo era la fusione del Mercato Comune, della CECA e dell’UEO in modo da rafforzare il pericoloso militarismo tedesco. In questo contesto l’Euratom non sarebbe stata altro che una misura pratica per dotare la Germania occidentale dell’arma atomica. Nella sesta tesi si accusavano inoltre i creatori delle Comunità europee di portare, nonostante le numerose rassicurazioni, un attentato gravissimo alla sovranità nazionale dei paesi membri e soprattutto di quelli più piccoli, nonché un attentato alla democrazia per mezzo del rafforzamento degli esecutivi a detrimento dei parlamenti nazionali.
La settima tesi si preoccupava invece di andare un po’ più a fondo nel rintracciare le ragioni, «le difficoltà proprie dell’Europa occidentale», che avrebbero spinto gli Stati europei ad una simile mossa. In particolare esse sarebbero state le conseguenze disastrose della seconda guerra mondiale sull’economia europea e la caduta del sistema coloniale. Questi fattori hanno fatto sì che l’Europa occidentale diventasse sempre più dipendente nei confronti degli Stati Uniti sia per l’importazione sia di materie prime sia per l’importazione di beni finiti. Molti politici europei avevano sostenuto che le Comunità avrebbero permesso all’Europa occidentale di diventare «una terza forza mondiale», ma si trattava di speranze del tutto illusorie, come dimostrato dal fatto che nessuno dei paesi membri aveva mostrato la benché minima volontà di rottura verso «il blocco dell’Atlantico del Nord». Inoltre, sebbene non fosse da escludere la possibilità di un qualche aumento della produzione, grazie agli sviluppi tecnologici, il problema degli sbocchi alla produzione, fondamentale per i monopoli internazionali, sarebbe diventato sempre più acuto perché in contraddizione – parola fondamentale nel lessico sovietico – con la domanda sempre più debole – adoperando qui un argomento classicamente leninista <230. Altro aspetto che questa tesi rimproverava alla CEE – al di là dell’ovvio fatto che essa non puntava in alcun modo a modificare i rapporti di mercato, il quale semplicemente sarebbe diventato più vasto – risiedeva nel fatto che, creando essa una tariffa esterna comune, non abbandonava in nessun modo il protezionismo più classico, ma semplicemente lo nascondeva e lo ampliava. Se è vero poi che la tendenza all’internazionalizzazione dell’economia è un argomento marxista assolutamente ortodosso, una “legge oggettiva dello sviluppo economico”, e se è anche vero che gli imperialisti stavano accentuando questo processo <231, ciò non toglie che sarebbero sempre rimaste due vie: quella imperialista «violenta e arbitraria» e quella socialista basata sull’eguaglianza, il rispetto della sovranità nazionale e l’aiuto reciproco (ottava tesi).
La nona tesi era probabilmente quella che più di tutte dimostrava quanto importanti fossero per l’impianto teorico di quest’analisi le conclusioni cui era giunto Lenin. Essa infatti, si scagliava contro «i socialisti di destra» – il cui archetipo sarebbe ovviamente Karl Kautsky – perché guardavano alle Comunità appena fondate come ad una nuova possibilità per la creazione di «un capitalismo nuovo e senza conflitti».
La decima tesi citava esplicitamente l’Ultraimperialismo e le critiche ad esso rivolte da Lenin. Certo la possibilità che i monopoli trovassero degli accordi temporanei e ben definiti non era da escludersi <232 – bastava citare il caso dei cartelli degli anni ’20 <233 o della CECA – ma i Trattati di Roma non avrebbero comportato altro che la nascita, al massimo, di una forma nuova di cartello internazionale: «Infatti può mutare, e di fatto muta continuamente, la forma della lotta, a seconda delle differenti condizioni parziali e temporanee; ma finché esistono classi non muta mai assolutamente la sostanza della lotta, il suo contenuto di classe» <234. Il Mercato Comune sarebbe stato creato quindi ad esclusivo vantaggio dei monopoli e avrebbe fornito a questi dei nuovi mezzi, non solo propagandistici, per dettare le proprie condizioni alla classe lavoratrice aiutandoli a realizzare quella «armonizzazione degli oneri sociali e dei salari» proclamata dagli stessi Trattati, ma permettendogli di basarsi in questa opera «non sul livello più alto, ma sul livello più basso», portando gli esempi antitetici di Francia e Italia (decima tesi).
Le Comunità sarebbero state inoltre rivolte anche contro la classe contadina, per via della promozione della concentrazione della produzione agricola che un mercato più vasto avrebbe comportato, e perfino contro la media borghesia per via della necessaria futura scomparsa delle imprese piccole e in certa misura anche delle imprese medie (undicesima tesi). La dodicesima tesi accusava il Vaticano e le forze reazionarie di fare della «demagogia sociale» promuovendo attraverso la CEE la chimera della «cooperazione tra lavoro e capitale».
La tredicesima tesi, la più lunga, si concentrava sull’elencazione di tutte le contraddizioni e rivalità che le Comunità non sarebbero state in grado di far superare: quella tra gli stessi Stati membri, soprattutto per via della dominante posizione tedesca; quella tra Stati membri e Stati Uniti, per via degli sforzi che i monopoli dei primi avrebbero profuso nel tentativo di resistere all’invadenza del capitale americano e nella conquista del mercato d’oltreoceano; quella tra Stati membri e Gran Bretagna, la quale non voleva rinunciare alle proprie preferenze imperiali ma che allo stesso tempo avrebbe rischiato di essere tagliata fuori dal mercato continentale e per questo proponeva la nascita di una “zona di libero scambio” – concretizzatasi poi nel 1959 con la fondazione della European Free Trade Association (EFTA); quella infine tra la “piccola Europa” e il resto dei paesi del mondo – Svizzera, Austria, paesi scandinavi, Giappone Brasile, Cuba, Canada ecc. – i quali avevano individuato nella CEE «una minaccia diretta per il loro commercio estero»: la CEE non era infine altro che un mezzo creato dagli imperialisti «per dividersi gli sbocchi di mercato, le fonti di materie prime, i campi di investimento dei capitali».
La quattordicesima tesi cercava invece di mostrare come “l’Associazione”, prevista dalla Parte Quarta del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea, non fosse altro che un progetto di «sfruttamento in comune», camuffato da «industrializzazione», soprattutto del continente africano ma tendente soprattutto a creare in quei paesi un modello di sviluppo favorevole agli interessi monopolisti e a permettere alla Germania di stabilirsi in modo «legale» nei possedimenti coloniali dei suoi partner. La quindicesima tesi si occupava dell’Euratom, considerandola un’agenzia che si sarebbe semplicemente occupata dell’ampliamento «dell’industria atomica di guerra» e di permettere alla Germania occidentale di ottenere la bomba nucleare; un’agenzia che si proclamava pacifica ma che non comportava in nessun modo l’abbandono della produzione, da parte di nessuno dei suoi membri, di tale arma. A dimostrazione del suo carattere aggressivo, sostenevano gli autori delle tesi, bastava considerare che il governo americano avrebbe finanziato la gran parte delle esigenze dell’Euratom.
La sedicesima tesi dettava le linee guida per l’atteggiamento che tutti i comunisti avrebbero dovuto tenere nei confronti delle Comunità europee: ne «svelano il carattere reazionario e aggressivo», «ne denunciano la natura militare», riconoscono che la semplice partecipazione di forze socialiste alla gestione delle Comunità non può modificarne il carattere e si impegnano a sostenere la necessità di una collaborazione degli Stati europei «istituita nell’interesse dei popoli e non dei monopoli». Infine la diciassettesima tesi ricordava gli sforzi sovietici per la creazione del tipo di cooperazione citata nella sedicesima tesi e dimostrati dalla già ricordata proposta sovietica di Accordo di Cooperazione Economica Paneuropea.
L’impressione che si ricava dalla lettura di questo documento è che esso fosse impeccabilmente leninista. Tuttavia gli studiosi sovietici, quando si rendeva necessario apportare delle modifiche alla dottrina per renderla più rispondente a quanto accadeva nel mondo, non procedevano quasi mai per rotture nette e netti cambiamenti di prospettiva, ma preferivano cambiamenti nelle sfumature e nell’enfasi, cercando sempre di tenere vivo il legame con le vecchie basi teoriche <235. Le diciassette tesi mi sembrano un esempio lampante di questa tendenza. Si può notare infatti come fossero stati messi da parte alcuni aspetti teorici che per Lenin avevano ricoperto un’importanza capitale, ma che in quel momento erano passati decisamente in secondo piano, perché semplicemente sembravano non avere più molto senso in una situazione storica profondamente mutata. Ad esempio non si faceva cenno alla possibilità che i monopolisti usassero i “superprofitti” ricavati dallo sfruttamento delle colonie per «corrompere gli strati superiori del proletariato», pratica che Lenin presentava come la ragione principale dell’inerzia delle classi lavoratrici europee occidentali <236. E questo perché probabilmente una simile argomentazione, in un momento in cui la fede comunista delle classi lavoratrici occidentali era in bilico, sarebbe probabilmente risultata controproducente.
Inoltre, nonostante queste alleanze tra imperialisti fossero temporanee e principalmente volte a impedire lo svilupparsi del socialismo nel mondo – tema sottolineato più volte nelle tesi – restava il fatto che, come emerge soprattutto dalla diciassettesima tesi, la cooperazione fosse possibile, necessaria, l’Unione Sovietica doveva impegnarsi per ottenerla e la guerra non era inevitabile né tra le potenze imperialiste né tra queste e il blocco comunista.
Le diciassette tesi erano in conclusione un documento tutto sommato conciliante, ma non per questo meno fermo nell’affermare il futuro, inevitabile, fallimento delle Comunità europee.
[NOTE]
225 Cit. in Malcolm N., Soviet Policy…, op. cit. p. 4.
226 Cfr. sopra p. 50.
227 Binns C. A. P., From USE to EEC…, op. cit., p. 247.
228 Le “Diciassette tesi” tradotte in italiano sono disponibili in Leonardi S., L’Europa e…, op. cit., Allegato II, p. 185.
229 Varga E., The Capitalism of the 20th Century, The Current Digest of the Post-Soviet Press, Vol. 12, No. 4, 1960, pp. 3-9, p. 8. Cfr. anche sopra, nota 9.
230 Lenin V. I. U., L’Imperialismo…, op. cit., capitolo 6.
231 Ivi, capitolo 4.
232 “Sozialdemokrat”, Lenin V. I. U., Sulla parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa, op. cit.. Cfr. supra, p. 7.
233 Anche Scott N. B. S., Soviet Approach to…, op. cit., p. 293.
234 Lenin V. I. U., L’Imperialismo…, op. cit., capitolo 5.
235 Adomeit H., Soviet Perceptions of Western European integration: Ideological Distortion or Realistic Assessment?, Millennium – Journal of international Studies, Vol. 8, No. 1, 1979, pp. 1-24, p. 3.
236 Lenin V. I. U., L’Imperialismo…, op. cit., capitolo 8.
Alberto Rini, Le reazioni dell’URSS ai processi di integrazione europea: dalla fine della seconda guerra mondiale al crollo del blocco sovietico, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2010-2011