Nel codice Rocco compaiono, accumulandosi, diverse gradazioni di xenofobia, che introiettano il concetto di alterità razziale nella società

Nello studio della legislazione antiebraica italiana, una delle questioni più dibattute è l’individuazione delle ragioni che hanno portato alla sua promulgazione. La vulgata nazionale – a cui si è già accennato – esenta gli italiani dall’accusa di antisemitismo in virtù del numero esiguo di cittadini ebrei presenti tra la popolazione, in un confronto con gli stati dove il gruppo ebraico è più numeroso e identificabile all’interno della società. Questi possono essere i paesi dell’Europa centro-orientale, nei quali molte comunità ebraiche vivono separate dal resto della società e in condizioni di indigenza, e dove gli attacchi violenti che subiscono sono legati a un’intolleranza di natura religiosa; oppure nazioni come la Francia o la Germania, dove gli ebrei sono sì numerosi, ma l’integrazione è elevata, e ciononostante sul finire del XIX secolo esplode la questione ebraica come strumento del conflitto politico. Corollario di questo <11 ragionamento è che l’Italia, priva di situazioni di conflittualità sia per la presenza di una comunità ebraica molto piccola, sia per l’elevata integrazione nella società che la caratterizza, non ha elaborato sentimenti antiebraici. È solo grazie a un uso massiccio della propaganda che il regime fascista riesce a instillare i germi del razzismo nella popolazione, e solo parzialmente: il luogo comune vuole che ci sia un «solerte impegno a soccorrere gli ebrei prima perseguitati nei loro diritti dal regime fascista e poi braccati dall’alleato germanico assetato di sterminio <12». Sennonché tale tentativo di ridimensionare la portata dell’antisemitismo degli italiani impedisce di comprendere come sia stato possibile che, alla promulgazione delle leggi razziali da parte del regime, gran parte della popolazione abbia risposto con favore, o con un assenso silenzioso.
Se la storiografia odierna, rifiutando l’impostazione semplicistica defeliciana, non attribuisce più la responsabilità del corpus antiebraico alla mera influenza della Germania nazista, è comunque necessario chiedersi se il razzismo e le leggi razziali siano prodotti inevitabili del fascismo, presenti in potenza fin dalla comparsa del regime. A monte di questo interrogativo tuttavia è possibile formularne uno ulteriore: se nella cultura italiana è già presente un sostrato ideologico favorevole al razzismo prima dell’avvento della dittatura.
La diffusione delle discriminazioni razziali non è fenomeno improvviso: fin dalla seconda metà del XIX secolo si accompagna allo sviluppo delle nozioni di razza, legate allo sviluppo della biologia, su cui si innesteranno i pregiudizi xenofobi. È il periodo storico in cui compare l’antisemitismo moderno, termine coniato nel 1879 dal polemista e giornalista Wilhelm Marr e dalla specifica connotazione razziale, che rappresenta uno scarto rispetto all’antigiudaismo dal fondamento religioso – cattolico e protestante – diffuso in Europa fino a questo momento. Sono decenni in cui il pregiudizio <13 contro gli ebrei appare in molteplici contesti, svuotandone l’identità per perseguire diversi scopi politici: dal mondo tradizionalista e borghese che li critica come comunità non assimilata e volta ai propri interessi – se non come bolscevichi, con il progredire delle vicende russe -, ai movimenti socialisti, per i quali l’ebreo diventa il portatore delle istanze del capitalismo. Li affianca un’evoluzione dell’antigiudaismo religioso, che si adegua al mondo contemporaneo e identifica nell’ebreo un’incarnazione della modernità, intesa come mondo laico, privo di valori a cui la religione deve contrapporre i suoi dettami etici.
Nella società italiana, prima ancora della comparsa dell’antiebraismo nella sua versione secolarizzata, è presente quello di stampo cattolico, che assume un nuovo vigore nell’ultimo decennio del XIX secolo. Campagne veementi contro gli ebrei si trovano sulle pagine de «La Civiltà Cattolica», rivista gesuita considerata vicino alle posizioni pontificie, solo l’esempio più noto di una produzione pubblicistica di stampo reazionario che avversa l’uguaglianza civile conquistata dagli ebrei e l’identifica come una stortura del mondo moderno. La modernità, con gli stili di vita e le professioni che la caratterizzano, è percepita come anticattolica e stigmatizzata: lo si vede anche nelle riviste cattoliche di provincia come «La Voce cattolica», organo della diocesi di Brescia, che parla di «Giudaismo liberale» riferendosi al fenomeno per il quale gli ebrei moderni, vergognandosi della propria religione, se ne allontanano e così perdono la propria etica, giacché «la tentazione della libertà civile aveva indotto nell’indifferenza religiosa […] i Giudei liberali sono moltissimi, specialmente nelle grandi città o in regioni con scarsa rappresentanza giudaica, e appartengono per lo più alle classi medie di professionisti e commercianti <14».
È rilevante come in queste riviste ricorra l’idea della congiura ebraica, topos che attraverserà tutte le fasi della persecuzione, e che avrà la massima espressione nel successo editoriale dei “Protocolli dei savi anziani di Sion”, il falso storico di origine russa dei primi dell’Ottocento volto a smascherare un complotto degli ebrei ai danni di tutti gli altri popoli <15. Questo testo ha un ruolo di rilievo nella propaganda dei persecutori di tutta Europa; all’inizio degli anni Venti compaiono le prime due edizioni italiane, una del religioso Umberto Benigni e l’altra di Giovanni Preziosi, futuro protagonista della Repubblica sociale. Ex sacerdote, Preziosi si allontana dalle posizioni di un antiebraismo meramente cattolico, e tramite l’attività di pubblicista e giornalista diffonde le sue violente e precoci bordate contro gli ebrei, accusati di cospirare contro il fascismo e la Nazione. Il regime non assimila la sua figura a livello istituzionale, ma approva la pubblicazione della sua rivista «La Vita italiana», assieme ad altre tristemente note, quale ad esempio «La Difesa della razza» di Telesio Interlandi, dallo stampo biologistico <16. A ridosso dell’emanazione delle prime leggi razziali queste riviste, affiancate dai quotidiani, iniziano una campagna di propaganda antiebraica di grandi proporzioni: sono lo strumento dello stato fascista per formare capillarmente il consenso degli italiani. Per quanto riguarda Preziosi, l’ex sacerdote al momento non assume un ruolo istituzionale nella campagna antiebraica fascista; in questi anni intesse l’insieme di relazioni anche internazionali – sono noti i suoi rapporti con alcuni esponenti nazisti – che nel 1944 lo porterà ad assumere la carica di Ispettore generale della razza. Le tesi sostenute da Preziosi sono messe in relazione a quelle del filosofo Julius Evola, accomunati in una corrente che si può definire un antisemitismo esoterico-spirituale, che utilizza istanze di tipo biologistico per identificare gli ebrei, ma a questo unisce una visione permeata da riferimenti culturali, quali le categorie opposte di arianesimo e giudaismo. Il filosofo però non rappresenta “(…) una versione edulcorata del razzismo antisemita al confronto con il biologico del razzismo nazista; il razzismo spirituale del quale parla Evola vuole partire appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento «sul piano dello spirito» (…) intendeva potenziare e nobilitare, e non già attenuare, il razzismo…” <17.
Risulta come, a pochi anni dall’emanazione delle leggi razziali, il paese sia attraversato da diverse correnti di razzismo; sarà la corrente di stampo biologicistico ad avere un ruolo centrale nell’elaborazione dei primi elaborati fascisti antiebraici <18. A differenza di altre realtà europee, in Italia non si arriva alla costituzione di movimenti politici basati sul razzismo: è il fascismo ad assimilare la temperie razzista e bisogna interrogarsi sul significato da attribuire al suo operato. Le interpretazioni storiografiche si dividono tra quanti affermano che le leggi del 1938 rappresentino un punto di svolta della politica di Mussolini e quanti invece sostengono una continuità con il fascismo degli anni precedenti. A sostegno della prima linea interpretativa si cita il fatto che fino al 1938 non compaiono campagne contro gli ebrei nel dibattito pubblico; inoltre personaggi radicalmente antisemiti come Preziosi, o lo scrittore Paolo Orano <19, hanno presa su una parte limitata del Paese. Quanti invece vedono nelle leggi antiebraiche un aspetto di rottura supportano la tesi dell’uso del razzismo per un fine politico: la necessità di individuare un nemico interno che possa rinsaldare il legame tra la società e la dittatura, e che sia funzionale all’avvio di una nuova fase per il fascismo, in cui la civiltà italica possa compiere un salto di qualità con la realizzazione dell’uomo nuovo fascista.
Una posizione più sfumata, che accoglie ed elabora gli elementi di entrambe queste teorie, è la definizione di Ilaria Pavan di una «progressione antisemita», un graduale diffondersi dell’idea di razza all’interno del discorso politico; la familiarità con i concetti razzisti accumulata negli anni rende possibile ottenere il consenso di una grande parte della popolazione alla comparsa delle leggi razziali. Se già con la politica popolazionista <20 degli anni Venti il regime diffonde il concetto della stirpe italiana, le differenze di razza si insinuano anche in altri tipi di provvedimenti, ad esempio nel codice Rocco: nella Definizione dei delitti contro l’integrità e sanità della stirpe si introduce un vincolo di tipo razziale, adeguando il codice penale ai risvolti delle campagne coloniali. In altre parole compaiono, accumulandosi, diverse gradazioni di xenofobia, che introiettano il concetto di alterità razziale nella società.
[NOTE]
11 Per un quadro sulla situazione della popolazione ebraica nei differenti paesi europei mi limito a citare A. Foa, Diaspora. Storia degli ebrei nel Novecento, Roma-Bari 2009.
12 Focardi, Il cattivo tedesco e il bravo italiano, cit., p. XI.
13 Per un inquadramento storico dei concetti di antisemitismo, antigiudaismo e antiebraismo: G. Luzzatto Voghera, Antisemitismo, Milano 1997.
14 Il popolo che fu di Gerusalemme. In cerca di una patria. Dagli altari nella polvere, in «La Voce cattolica» 12 dicembre 1938, n. 49, riportato da M. Ruzzenenti, La capitale della RSI e la Shoah. La persecuzione degli ebrei nel bresciano (1938-1945), Rudiano 2006.
15 N. Cohn, Licenza per un genocidio. I protocolli dei savi anziani di Sion, Torino 1969.
16 Il primo numero de «La Difesa della razza» è del 5 agosto 1938.
17 Collotti, Il fascismo e gli ebrei. Le leggi razziali in Italia, Bari – Roma 2003, p. 48.
18 M. Raspanti, I razzismi del fascismo, in La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell’antisemitismo fascista, a cura del Centro Furio Jesi, Bologna 1994.
19 Gli ebrei in Italia di Paolo Orano è pubblicato dalla casa editrice Pinciana nel 1937.
20 I. Pavan, Fascismo, antisemitismo, razzismo. Un dibattito aperto, in A settant’anni dalle leggi razziali: profili culturali, giuridici e istituzionali dell’antisemitismo, Roma 2010, p. 31.
Sara Garbarino, La Repubblica sociale italiana e la persecuzione degli ebrei, Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, Anno accademico 2016-2017