L’elemento culturale su cui buona parte degli italiani, e degli europei in generale, formavano la loro visione ed i loro giudizi sulla società americana era dato dai film

Opportunamente, D’Attorre ha notato che «Il mito dell’URSS aveva un’emittente politica più univoca del mito americano» <1686. L’immagine degli Stati Uniti arrivava al pubblico italiano anche attraverso canali controllati, caratterizzati da un atteggiamento piuttosto ingenuo e da un senso di ammirazione incondizionata. Secondo la lettura del dopoguerra europeo offerta dagli studiosi genericamente caratterizzati dall’ orientamento postrevisionista, l’attenzione da parte del governo statunitense alla diffusione internazionale del consenso verso il loro paese, costituiva una delle armi fondamentali per consolidare l’influenza degli USA nei paesi democratici che avevano formulato l’«invito» ad entrare nella loro orbita <1687.
Oltre alla complessa macchina propagandistica che accompagnava i piani di aiuti postbellici, dall’UNRRA all’ERP, già più volte presa in considerazione, un altro strumento sotto il diretto controllo statunitense che può essere preso in considerazione è l’edizione italiana di Selezione dal Reader’s Digest. Gli articoli proposti dalla rivista, generalmente traduzioni di interventi prodotti per l’estero da giornalisti ed esponenti politici americani, si soffermavano su meraviglie tecnologiche da noi ancora impossibili da trovare, come la televisione <1688, sulle grandi scoperte mediche conseguite dai ricercatori americani, presentate in un tono quasi miracolistico che ricordava gli articoli dell’Unità e di Vie Nuove sulla medicina sovietica <1689, e sulle grandi attrazioni per cui gli Stati Uniti erano noti nel mondo, dal ponte di Brooklyn all’Empire State Building <1690.
Altrettanto idilliaco era il ritratto del sistema educativo statunitense, attraverso il quale si intendeva superare i pregiudizi sui corsi di studi considerati troppo “leggeri”: esso era presentato attraverso le descrizioni entusiaste di alcuni studenti stranieri, con le notizie su un museo di scienze naturali interattivo, così divertente che addirittura i ragazzi saltavano le lezioni per imparare divertendosi, o tramite i giudizi di addetti ai lavori che lodavano la capacità della scuola americana di stimolare la partecipazione attiva e l’educazione ai valori della vita <1691.
Non diversamente da quanto accadeva intorno al PCI con il “mito” sovietico, questi canali direttamente controllati da oltreoceano contribuivano ad alimentare l’immagine diffusa degli Stati Uniti che aveva attirato gli emigranti, quella che gli italo-americani rinverdirono nel 1948 con le loro lettere <1692, ovvero quella del paese delle “belle favole dei poveri trasformati in ricchi e dei lustrascarpe diventati banchieri, e che ora, durante la guerra, ha confermato in pieno, anche con la presenza fisica dei propri soldati, la sua fama di terra promessa dalle infinite e imprevedibili possibilità”. <1693
Sicuramente, alcuni degli articoli reperibili in Selezione ebbero il loro ruolo nel fissare un’immagine degli USA di sicuro impatto, ispirando nei toni, nei temi e nelle scelte descrittive altri interventi. Essi, però, raggiungevano un pubblico numericamente più modesto rispetto a quanto accadeva ad altri strumenti di comunicazione. Per quanto riguarda poi l’accettazione, da parte della comunicazione politica cattolica e democristiana, del modello di sviluppo economico produttivistico di stampo americano, essa non comportava l’assimilazione piena ed incondizionata del mito degli USA come sfondo ideologico su cui inserire la propria proposta politica. Dal punto di vista strettamente linguistico, è senz’altro vero che i riferimenti più o meno espliciti al benessere e all’efficienza degli Stati Uniti entrarono con sempre maggiore decisione nel bagaglio semantico della propaganda centrista e soprattutto democristiana: l’aggettivo americano, riferito alle rilevazioni statistiche sulla produzione nell’URSS così come agli ultimi ritrovati della tecnologia, divenne sulle colonne del Popolo e sui giornali murali una sorta di sinonimo di efficiente, all’avanguardia, aggiornato, e in numerosi manifesti SPES della campagna elettorale del 1958 si ritenne opportuno rappresentare visivamente il progresso sociale e civile a cui la DC aveva condotto l’Italia attraverso un’immagine stilizzata che ricordava la skyline di Manhattan <1694.
In tali casi la propaganda organizzata, più che contribuire alla diffusione di punti di riferimento per il “sogno” americano, sembrava subire gli stilemi che si erano imposti attraverso canali privi (almeno apparentemente) di valore ideologico. È questa l’opinione di Emanuela Scarpellini: “Se si volesse […] valutare la portata del processo usando principalmente categorie politiche e ideologiche, […] gran parte del fenomeno dell’americanizzazione sfuggirebbe del tutto. Esso utilizzò mezzi di penetrazione “non convenzionali”, a cominciare dalla cultura e dai consumi […]”. <1695
L’elemento culturale su cui buona parte degli italiani, e degli europei in generale, formavano la loro visione ed i loro giudizi sulla società americana era dato dai film, dal momento che già dagli anni Trenta il mercato mondiale della cinematografia era fortemente condizionato, e dopo la guerra divenne addirittura dominato, dalle produzioni americane: sullo schermo nacquero le immagini che meglio di tutte caratterizzavano gli Stati Uniti nell’immaginario collettivo, dagli svettanti grattacieli ai gangster, alle bellissime attrici <1696. Il ruolo del cinema nella creazione di un “mito” americano è stato ormai affrontato in numerosi studi italiani e stranieri <1697, ma non sempre è stato preso in considerazione il ruolo che nella veicolazione di esso ha avuto la carta stampata, sia per la frequenza con cui il tema degli Stati Uniti era trattato, sia per valutare attraverso essa l’effettivo condizionamento dei paradigmi cinematografici nell’approccio alla realtà socio-politica americana.
È senz’altro impressionante il numero di giornalisti che i principali periodici impegnavano nella copertura informativa dagli Stati Uniti. Per Il Messaggero corrispondevano dagli USA tre giornalisti: Leo Rea si occupava delle notizie politiche da Washington; Amerigo Ruggiero, affiancato nel 1950 da Luigi Cavallo, scriveva da New York, ed era principalmente occupato nella pubblicazione di articoli culturali e di bozzetti sulla vita quotidiana della società statunitense; sempre dal 1950 era corrispondente da Los Angeles Milo Caudana, già inviato a Parigi, e si occupava soprattutto di informazione cinematografica e di show business. Corrispondente da Washington per il Corriere era invece Ugo Stille, unico inviato straniero esonerato dalla produzione di articoli di terza pagina a causa dell’eccessivo impegno nella cronaca politica <1698; a lui si affiancavano per periodi limitati i più quotati autori di racconti di viaggio sotto contratto con il quotidiano di Milano, come Indro Montanelli, o Guido Piovene, che tra il 1950 e il 1951 trascorse più di un anno in America per un doppio coast to coast. Il Tempo, giornale che rispetto ai precedenti vantava una rete di collaboratori dall’estero assai meno sviluppata, contò comunque per alcuni anni sulla corrispondenza da New York di uno dei suoi autori più prestigiosi, Giuseppe Prezzolini.
Per quanto riguarda i grandi settimanali “a rotocalco”, fu soprattutto Oggi ad organizzare una copertura informativa sulla società americana tramite inviati in loco: Amerigo Ruggiero scrisse articoli anche per il settimanale milanese, dal 1950 in poi ebbero modo di passare periodi piuttosto lunghi oltreoceano altri collaboratori, come Giuliano Gerbi e Gino Gullace. Sia su Oggi sia su Epoca, l’America restava uno dei temi in assoluto più battuti, anche senza l’aiuto di corrispondenti: alcuni giornalisti producevano interventi sugli Stati Uniti dall’Italia, usando materiale provenuto dai giornali americani o dall’USIS; le impressioni sugli States costituivano un argomento forte nelle interviste o nelle memorie di alcuni personaggi famosi che avevano avuto modo di risiedervi, come accadde ad esempio in un contributo che Vittorio de Sica scrisse per Epoca <1699; simili articoli, poi, erano corredati in misura assai maggiore di ogni altro dalle fotografie delle skylines delle grandi metropoli, o dalle immagini delle future pin-up, come quelle di una giovanissima Marylyn Monroe apparse su Epoca nel 1951 <1700; in gran parte americani erano i messaggi pubblicitari, come quelli del dentifricio Colgate, praticamente presenti in ogni numero di tutti i settimanali per il “lancio” in Italia dell’abitudine statunitense dell’uso quotidiano del dentifricio <1701.
Una buona parte del materiale utilizzato dai giornalisti italiani proveniva da fonti americane, ed era ottenuto tramite il contatto con l’USIS o altri uffici d’informazione attivi direttamente negli Stati Uniti. Probabilmente, i servizi di intelligence giocavano un ruolo nella scelta dei giornalisti inviati in America e nell’organizzazione dei viaggi per i reportage; per esempio Guido Piovene, autore del più articolato racconto di viaggio negli USA uscito nei primi anni del dopoguerra per un giornale italiano, era uno dei principali membri italiani del Congresso per la libertà della cultura. Ciononostante, il controllo che i vertici delle centrali propagandistiche esercitavano sulla presentazione e sull’uso di informazioni e fotografie; da un lato, come si sarebbe più volte ripetuto negli ambienti dell’USIA, l’interesse di tutto il mondo verso gli Stati Uniti era così intenso che il controllo degli uffici d’informazione governativi non poteva che essere limitato <1702; dall’altro, molti degli addetti ai lavori impegnati nella gestione dei rapporti con l’opinione pubblica internazionale non ritenevano efficace una strategia improntata ad un intervento più diretto.
[NOTE]
1686 “Sogno americano e mito sovietico…” cit., p. 39.
1687 Tra i testi di riferimento per gli studi di orientamento post-revisionista, cfr. C.S. Maier (ed.), The Cold War cit.; cfr. spec. l’intervento di G. Lundestad, “Empire by Invitation? The United States and Western Europe. 1947-1952”.
1688 H. Manchester, “Arriva la televisione!”, Selezione dal Reader’s, Digest, I, 1, Ottobre 1948, pp. 22-25. Dello stesso autore, cfr. “Imminente: impianto radio che sta nel taschino”, Selezione dal Reader’s Digest, I, 2, Novembre 1948, pp. 70-72.
1689 B. Bailey, “Contro il cancro una cura precoce”, Selezione dal Reader’s Digest, I, 1, ottobre 1948, pp. 25-28. Alcuni es. tratti dalla stampa comunista, utili per un possibile confronto, sono quelli della rubrica di Vie Nuove intitolata Vie Nuove della scienza, e V. Pedicino, “Col trapianto di cornea i ciechi vedono di nuovo”, L’Unità, 17/III/1951, p. 3.
1690 Cfr. E. Muller, “Il ponte di Brooklyn. Trionfo dello spirito umano”, Selezione dal Reader’s Digest, VI, 2, febbraio 1953, pp. 101-110.
1691 Tra i numerosi articoli relativi a questo tema, cfr. H. Manchester, “Che bisogno c’è che i musei siano noiosi?”, Selezione dal Reader’s Digest, III, 17, febbraio 1950, pp. 52-55, B. Fine, “Studenti stranieri in America”, Selezione dal Reader’s Digest, III, 20, maggio 1950, pp. 40-42, A. Fontaine, “Non sembra nemmeno di essere a scuola”, Selezione dal Reader’s Digest, III, 21, giugno 1950, pp. 22-24, e J.R. Robertson, “Una scuola che forma mente e carattere”, Selezione dal Reader’s Digest, III, 27, dicembre 1950, pp. 60-62.
1692 APC, 0181 0198-0793.
1693 A. Gambino, Storia del dopoguerra cit., p. 497.
1694 L’immagine è presente nell’appendice iconografica a L Visentini, “Osservazioni sulla propaganda elettorale”, in J. La Palombara, A. Spreafico (a cura di), Elezioni e comportamento politico in Italia, Milano, Edizioni di Comunità, 1963, pp. 277-298.
1695 “Le reazioni alla diffusione dell’American way of life nell’Italia del miracolo economico”, in P. Craveri, G. Quagliariello, L’antiamericanismo in Italia e in Europa cit., pp. 353-354.
1696 Sul ruolo di simili immagini nella formazione di un’immagine diffusa degli Stati Uniti, cfr. R. Campari, “Grattacieli e pellirosse”, in P.P. D’Attorre (a cura di), Nemici per la pelle cit., pp. 363-368.
1697 Il volume collettaneo che meglio può rendere l’idea dello sviluppo dei lavori sull’argomento è senz’altro il già cit. G.P. Brunetta, D.W. Ellwood, Hollywood in Europa. Cfr. anche P. Cavallo, “La riscoperta dell’America…” cit.
1698 Cfr. ACdS, Fasc. 403 C.
1699 “L’America è tutta una lampadina”, Epoca, III, 111, 22/XI1952, pp. 54-58.
1700 cfr. II, 45, 18/VIII/1951, p. 3. Per ulteriori riflessioni sulle modalità in cui i temi cinematografici erano trattati nella stampa periodica italiana, cfr. G. Muscio, “L’immagine popolare del cinema americano in Italia attraverso le pagine di Hollywood”, in G.P. Brunetta, D.W. Ellwood (a cura di), Hollywood in Europa cit., pp. 102-112: l’autrice si occupa in particolare di una rivista a diffusione popolare pubblicata tra il 1947 e il 1952.
1701 Di una simile abitudine si parla in C.W. Freeman, “Un modo semplice per diminuire la carie”, Selezione dal Reader’s Digest, III, 24, settembre 1950, pp. 1-3. Sull’importanza del linguaggio pubblicitario nel fissare i canoni della modernizzazione secondo l’immagine degli Stati Uniti nel mondo, cfr. V. De Grazia, “The Arts of Purchase. How American Publicity subverted the European Poster, 1920-1940”, in B. Kruger, P. Mariani (eds.), Remaking History, Seattle, Bay Press, 1989, pp. 221-257, e con specifico riferimento all’Italia S. Gundle, I comunisti italiani tra Hollywood e Mosca. La sfida della cultura di massa, Firenze, Giunti, 1995, pp. 572 e ss.
1702 Cfr. R.F. Kennedy, “Foreword” to T. C. Sorensen, The Word War cit., pp. VII-VIII.
Andrea Mariuzzo, Comunismo e anticomunismo in Italia (1945-1953). Strategie comunicative e conflitto politico, Tesi di Perfezionamento, Scuola Normale Superiore – Pisa, 2006