L’Italia e la crisi di Suez del 1956

Fonte: Archivio storico de “l’Unità”

Il 4 aprile del 1949 l’Italia firmò a Washington, con altri undici paesi, il trattato dell’Atlantico del Nord istitutivo della NATO mentre sei anni più tardi, esattamente il 14 dicembre del 1955, l’Italia entrò a far parte delle Nazioni Unite a seguito di un intenso e lungo lavoro diplomatico, svolto in prima persona da De Gasperi (convinto filo-americano), con l’obiettivo di riabilitare l’Italia agli occhi dei principali protagonisti vincitori del secondo conflitto mondiale. Dopo la sua morte, sopraggiunta nell’agosto del 1953, il lavoro avviato precedentemente continuò anche grazie all’azione diplomatica intrapresa dal ministro degli esteri Gaetano Martino all’interno dell’esecutivo guidato dal democristiano Antonio Segni <64.
Tuttavia, al momento della nazionalizzazione del Canale di Suez da parte di Nasser, l’Italia non rivestiva, di fatto, un ruolo di primo piano nello scacchiere internazionale, dal momento che era ancora considerata, soprattutto da Francia e Gran Bretagna, come un alleato poco affidabile. A dimostrazione di ciò risultò vano un appello del ministro Martino rivolto al segretario di stato americano Dulles il 25 luglio del 1956, il giorno prima della nazionalizzazione, indicante la necessità di finanziare la costruzione della diga di Assuan.
“Martino aveva avvertito Washington che la decisione di bloccare i finanziamenti per la diga di Assuan avrebbe determinato una rottura con lo schieramento dei Paesi anticolonialisti e aveva sottolineato che unicamente attraverso i meccanismi della cooperazione sarebbe stato possibile recuperare l’Egitto all’Occidente. Egli restava convinto che soltanto il mantenimento di una strategia occidentale unitaria nei confronti di Nasser poteva risolvere la questione, rafforzando nel contempo l’Alleanza atlantica. Sin dalla vigilia della crisi, dunque, Martino, aveva scelto una linea di negoziazione con l’Egitto, capace di coinvolgere anche Gran Bretagna e Francia” <65.
Questo appello dell’ultimo minuto fu respinto dagli alleati perché non intenzionati a sobbarcarsi una spesa simile né tantomeno propensi a negoziare con Nasser.
A differenza degli alleati che accusarono in modo traumatico la nazionalizzazione poiché intaccava i loro interessi economici e politici, l’Italia non fu coinvolta direttamente a livello finanziario dalla nazionalizzazione – dal momento che non possedeva azioni della Compagnia del Canale di Suez – ma si preoccupò di assicurarsi che i suoi traffici commerciali intorno a questo snodo marittimo principale del Mediterraneo fossero garantiti.
“Negli ambienti diplomatici italiani le decisioni annunciate ieri dal Presidente egiziano Nasser in merito alla nazionalizzazione della ‘Compagnia del Canale’ sono state accolte con sorpresa. Sebbene l’Italia non sia interessata finanziariamente all’attività della Compagnia, è anche vero che la bandiera italiana è al terzo posto nella navigazione del canale. L’Italia -si osserva -è particolarmente interessata alla libertà dei mari; questo interesse non può non riferirsi, pertanto, anche alla situazione determinatasi nella zona del canale, in conseguenza di una decisione unilaterale e delle polemiche che ne sono derivate, sul piano internazionale” <66.
Il governo di Roma aveva, allo stesso tempo, interessi nel mantenere buoni rapporti con l’Egitto e soprattutto con gli alleati ma, al suo interno, era diviso tra la posizione assunta dal Presidente del Consiglio Antonio Segni, fortemente filo-occidentale e degasperiano convinto, e tra coloro che (anche all’interno della stessa DC, come il segretario generale Fanfani e il Presidente della Repubblica Gronchi) intendevano far emergere il paese in questa disputa internazionale garantendo all’Italia un posto e un ruolo di primo piano nel Mediterraneo e nel vicino Medio Oriente, sostituendosi a Gran Bretagna e Francia in qualità di principale interlocutore degli Stati Uniti.
Eloquente in merito fu il commento del democristiano Giuseppe Maria Bettiol, presidente della Commissione esteri della Camera, a seguito della nazionalizzazione:
“Ho avuto ed ho relazioni di particolare cordialità con esponenti del mondo politico egiziano e più volte ho avuto modo di esprimere giudizi sostanzialmente positivi circa l’evoluzione della situazione egiziana verso una normalità costituzionale interna ed una emancipazione di fronte a paternalismi più o meno espliciti di nazioni occidentali nei confronti dell’Egitto. L’Italia democratica, che ha completamente bandito dalla propria politica ogni rivendicazione colonialistica e imperialistica sia perché anacronistica, sia perché di sé non accettabile, non può che considerare con grande simpatia lo sforzo che l’Egitto sta compiendo
per affermare con una volontà politica sua propria, quale espressione del proprio interesse di nazione sovrana. Anche il recente gesto -sebbene dal punto di vista procedurale passibile di qualche riserva critica -va inquadrato in questa politica di una nazione araba che non vuole in casa propria interventi o resti molto concreti di quella vecchia politica alla quale per troppo tempo, contro la sua volontà, era stata costretta. D’altro canto, come italiani possiamo ricordare che siamo sempre stati esclusi da ogni partecipazione all’amministrazione del Canale di Suez” <67.
Di tutt’altro avviso il repubblicano Randolfo Pacciardi, fermamente convinto nel condannare il gesto del colonnello Nasser:
“La nazionalizzazione della società del Canale di Suez è un fatto essenzialmente grave non perché nazionalizza l’utile di una società “privata” ma perché una via di comunicazione marittima diventa “nazionale” cioè può essere sospesa al traffico internazionale o soggetta a discriminazioni secondo caratteri politici o nazionali comunque unilaterali. Il provvedimento del colonnello Nasser non ferisce soltanto interessi privati, ma anche interessi nazionali. È quindi un atto che può provocare complicazioni gravi, e perciò contrario alla distensione e alla pace. Bisogna augurarsi -ha proseguito l’onorevole Pacciardi -che non sia stato incoraggiato dalle autorità sovietiche perché, se ciò fosse, le formule pacifiste “nuovo corso” sarebbero contraddette clamorosamente. Per l’Italia la libertà dei traffici a Suez e a Gibilterra è essenziale. Benché favorevole a una politica di accordo con i paesi arabi -ha concluso l’on. Pacciardi -considero il gesto del col. Nasser un colpo di testa deplorevole, a meno che non sia accompagnato da garanzie internazionali della libertà di comunicazioni attraverso il canale” <68.
Sta di fatto che nel Consiglio dei Ministri tenutosi il 31 luglio, a distanza di pochi giorni dalla nazionalizzazione, il primo ministro Segni ed il ministro degli esteri Martino discussero della situazione creatasi, ed esposero la linea che il governo aveva intenzione di assumere a riguardo, una posizione che non si discostava dalle intenzioni degli alleati NATO.
Il 2 agosto l’Italia rese nota la tesi sostenuta dal ministro Martino all’interno del Consiglio dei Ministri e tramite il lavoro svolto dagli ambasciatori presenti a Londra, Parigi e Washington ebbe modo di informare i diretti interessati:
“l’Italia accoglierà con piacere un accordo che ponga il Canale di Suez sotto controllo internazionale. Ciò che interessa l’Italia (è questo il succo della missione affidata ai rappresentanti diplomatici) è che il transito attraverso il Canale rimanga libero in ogni momento alle navi di qualsiasi Paese. E che si facciano passi perché tale libertà sia garantita.
[…] Il problema di Suez è esaminato sotto tre aspetti diversi: quello tecnico-giuridico, quello, più grave, della libertà di navigazione e, infine, quello dei rapporti fra l’Egitto ed i Paesi occidentali. Il primo -vi è detto -interessa scarsamente l’Italia. Tutt’al più la interessa dal punto di vista generico della sicurezza dei capitali esportati. È il secondo problema il più scottante e quello che la tocca da vicino. ‘In questo argomento gli interessi dell’Italia sono chiari: la libertà dei mari e quindi la libertà di transito nel Canale, con il complesso delle condizioni economiche fino a oggi esistenti, rappresenta per essa un interesse semplicemente vitale’. Anche sul terzo problema la posizione dell’Italia è chiara: ‘L’Italia non ha alcun interesse a dissociarsi dai suoi alleati occidentali’, anche se non intende -vi si aggiunge -venir meno alla sua amicizia con l’Egitto”. <69
Subito dopo aver dichiarato il proprio appoggio agli alleati NATO, l’Italia ricevette dall’ambasciatore inglese Ashley Clark di stanza a Roma l’invito per partecipare alla Conferenza di Londra del 16 agosto. Il sottosegretario agli esteri Alberto Folchi a nome del governo italiano rispose accettando l’invito e garantì la presenza di Roma nella capitale inglese per discutere sul problema di Suez con gli altri 22 paesi. A questo punto Segni e Martino interruppero le loro vacanze e si incontrarono ad Abano Terme per decidere la linea politica che l’Italia avrebbe dovuto adottare all’interno della conferenza:
“Sebbene il nostro atteggiamento sia definito (l’opposizione italiana non è tanto diretta contro la nazionalizzazione della Compagnia, quanto contro la pretesa che il transito del Canale resti privo di garanzie internazionali), ciò che si deve ora prevedere, è il complesso delle difficoltà che ancora circondano la conferenza stessa: difficoltà procedurali; di agenda; di divergenze di metodo, e quindi di atteggiamento politico verso l’Egitto, tra Francia e Inghilterra da un lato, Stati Uniti dall’altro. La posizione italiana, come quella tedesca si avvicinano di gran lunga più a quella americana” <70.
Questo discorso fu esposto allo stesso modo e dopo qualche giorno al Quirinale, dinanzi al Presidente della Repubblica Gronchi, per informarlo della situazione. L’Italia come gli Stati Uniti era favorevole soltanto ad una soluzione di compromesso e ad una risoluzione pacifica della vertenza intesa a impedire un’evoluzione armata degli avvenimenti. Dunque anch’essa rifiutava l’utilizzo della forza prospettato dalla Francia e dalla Gran Bretagna e per i suoi interessi auspicava la libertà di transito sul canale così come per tutti i paesi interessati e firmatari delle Convezione del 1888.
Il 15 agosto la delegazione italiana capeggiata dal ministro Martino e comprendente il segretario generale di Palazzo Chigi, il capo di gabinetto, l’ex ambasciatore al Cairo Pasquale Jannelli, il direttore generale degli affari politici, il direttore generale degli affari economici, il capo ufficio stampa del ministero degli esteri, partì per Londra. All’aeroporto di Ciampino, prima di imbarcarsi sul velivolo che li avrebbe condotti nella capitale inglese, Martino dichiarò ai giornalisti presenti le intenzioni della delegazione:
“La delegazione italiana parte per Londra con il sincero desiderio di contribuire alla ricerca di una serena ed equa soluzione per il grave problema del Canale. È ben chiara alla nostra mente l’importanza vitale per il nostro Paese di questa via di comunicazione tra il Mediterraneo e il Mar Rosso, resa evidente, oltre che dalla posizione geografica dell’Italia tutta racchiusa nel Mediterraneo, anche dal tonnellaggio delle nostre navi e dal volume delle merci destinate al nostro consumo e alla nostra esportazione, che annualmente passano per il Canale di Suez.
Per l’economia italiana e per lo stesso tenore di vita del popolo italiano, tre condizioni sono assolutamente indispensabili: la libertà di transito in pace e in guerra; la stabilità all’attuale livello delle tariffe in vigore; la efficienza tecnica del Canale.
Queste condizioni trovano rispondenza nei principi sanciti dalla convenzione di Costantinopoli del 1888 tuttora in vigore. Perché esse vengano assicurate per tutti gli utenti senza nessuna discriminazione, è evidente che non può prescindersi da garanzie internazionali compatibili tuttavia col rispetto della sovranità dell’Egitto. A Londra saremo pronti -ha concluso il Ministro -ad accettare o eventualmente promuovere proposte costruttive atte a favorire una siffatta soluzione della vertenza” <71.
Seppur all’interno della conferenza il lavoro della delegazione italiana fosse risultato di minor rilievo rispetto ai principali protagonisti, l’operato era tendente verso la conciliazione delle parti in causa e quindi a soluzioni di compromesso.
Una posizione a favore del blocco occidentale ma non coincidente con le tesi anglo-francesi. Difatti, a conclusione della conferenza, il ministro Martino decise di appoggiare ed accettare il piano proposto dal segretario di stato americano perché ‘la proposta Dulles è sufficientemente elastica per consentire in un secondo tempo, a ciascuno degli Stati aderenti, di presentare formule di applicazione conciliative’ <72. Un piano di pacifica soluzione in linea con le prospettive e le intenzioni italiane; un compromesso che non escludeva ulteriori trattative con l’Egitto di Nasser.
Così si espresse il ministro Martino all’interno della Conferenza esponendo il suo punto di vista in merito all’accettazione del piano Dulles:
“Queste proposte -ha affermato l’on. Martino -mi sembrano tener conto tanto della giusta esigenza dell’Egitto di salvaguardare in ogni evenienza la sua sovranità, quanto di quei principii attorno ai quali si è raccolto il più largo consenso di questa Conferenza; e cioè la necessità che il Canale sia sottratto alle alee delle mutevoli contingenze politiche e dei particolari interessi per servire soltanto ai suoi scopi essenziali che sono quelli di favorire e sviluppare sempre più interni contatti materiali e spirituali tra i popoli.
Le proposte della delegazione americana sono certamente ispirate a quella flessibilità di cui avevamo riconosciuto la necessità ed abbiamo notato anche con soddisfazione la moderazione con la quale il Segretario di Stato ne ha accompagnato la presentazione.
Si può certo affermare, mi sembra, che tutti qui hanno riconosciuto che il Canale non deve servire scopi di politica interna, che esso non deve neanche essere utilizzato per raggiungere obiettivi di politica internazionale, e che, invece esso deve servire a tutti i Paesi sia dell’occidente, sia dell’oriente perché dal Canale di Suez dipende in gran parte la loro economia e la loro stessa vita. All’Egitto, d’altro canto, esso deve dare un equo profitto fino al limite compatibile con la necessità di non alterare sostanzialmente le condizioni economiche attuali della gestione. […] Importante e indispensabile è che il Canale di Suez -e la Conferenza ha, mi pare, manifestato una volontà unanime -sia e rimanga, come fu sempre inteso, un pacifico e proficuo tramite di traffici e di spirituale avvicinamento fra occidente e oriente ed un motivo di più stretta e pacifica collaborazione tra i popoli, in primo luogo fra l’Europa, l’Egitto e i Paesi del vicino e medio Oriente” <73.
Subito dopo esser rientrato da Londra, il ministro degli esteri si incontrò con il presidente Gronchi, a Ischia, per informarlo della situazione internazionale e sullo stato di avanzamento dei lavori. Nel frattempo il presidente della Commissione Esteri alla Camera Bettiol convocò, per il 29 agosto, una seduta avente lo scopo di discutere della questione di Suez e del lavoro svolto a Londra da parte della delegazione italiana.
Il pomeriggio del 29 agosto, la Camera si riunì e il ministro Martino ebbe modo di illustrare ai presenti le ragioni della scelta italiana e di tutte le altre delegazioni partecipanti. Per difendersi dalle critiche provenienti dall’opposizione e da alcuni esponenti della stessa DC, l’onorevole – reo di aver mostrato un certo immobilismo al posto di una spigliata intraprendenza – tenne a precisare che la linea adottata dall’Italia all’interno della conferenza di Londra era stata decisa dal Consiglio dei Ministri del 31 luglio e questo giustificava il prudente atteggiamento assunto dalla delegazione. A detta del ministro fu un’azione di mediazione condotta con cautela e con due obiettivi precisi: salvaguardare la solidarietà atlantica e non turbare i cordiali rapporti con l’Egitto. Infine, rivelò di aver inviato una lettera a Dulles in cui esortava gli Stati Uniti a finanziare la costruzione della diga di Assuan <74.
Con la sua vocazione europeista e atlantica da un lato e mediterranea dall’altro – perché interessata ai buoni rapporti con i paesi arabi – l’Italia auspicava un buon esito delle trattative, in corso al Cairo, tra Nasser e il Comitato dei Cinque.
Visto il momento delicato e in attesa che la situazione potesse sbloccarsi a livello internazionale, il primo ministro Segni informò Gronchi sullo stato delle trattative e sull’opera moderatrice svolta dall’ambasciatore Giovanni Fornari al Cairo.
“La situazione di Suez è sempre oggetto di una particolare attenzione da parte dei nostri ambienti politici e diplomatici. Non senza qualche preoccupazione il Presidente del Consiglio ne ha parlato prima con Martino e poi, al Quirinale, con il Capo dello stato.
Si temevano e si temono atteggiamenti negativi da parte di Nasser sulle proposte occidentali, e incidenti che possano offrire motivo ai francesi e agli inglesi per azioni di forza. L’azione diplomatica italiana sarebbe volta a far accettare a Nasser le proposte dei ‘cinque’ almeno come principio di discussione e a evitare dall’altra parte colpi di forza” <75.
[NOTE]
64 Sulla figura di Antonio Segni c.f.r. S. Mura, Aldo Moro, Antonio Segni e il centro-sinistra, in ‘Studi Storici’, anno XI volume 3 luglio-settembre 2013.
65 M. Saija, A. Villani, Gaetano Martino, 1900-1967, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2011, p. 326. Cfr anche Martino scrisse a Dulles per spingere gli Stati Uniti a finanziare la diga di Assuan, in ‘Il Giorno’, 29 agosto 1956.
66 Una dichiarazione ufficiosa italiana, in ‘Il Giorno’, 28 luglio 1956.
67 Cantalupo e Bettiol favorevoli alla nazionalizzazione di Suez, in ‘L’Unità’, 28 luglio 1956.
68 Ibidem.
69 L’Italia ha chiarito la sua posizione, in ‘Il Giorno’, 3 agosto 1956.
70 Incontro ad Abano di Segni e Martino, in ‘Il Giorno’, 7 agosto 1956.
71 Si aprono domani a Lancaster House i lavori della Conferenza per Suez, in ‘Il Popolo’, 15 agosto 1956.
72 Martino: forse a Roma un’altra conferenza per il Canale di Suez, in ‘Il Giorno’, 23 agosto 1956.
73 M. Milo, L’Italia aderisce alle proposte americane per una soluzione conciliativa del problema di Suez, in ‘Il Popolo’, 22 agosto 1956.
74 Per ulteriore approfondimento: si veda: L’atteggiamento italiano per Suez esaminato dalla Commissione Esteri, in ‘Il Popolo’, 30 agosto 1956.
75 Segni illustra a Gronchi gli aspetti del problema di Suez, in ‘Il Corriere della Sera’, 7 settembre 1956.
Adriano Veneruso, La crisi di Suez: la politica estera italiana e le relazioni con gli alleati ed i paesi arabi, Tesi di laurea magistrale, Università degli Studi di Pisa, Anno Accademico 2018-2019