Lo scenario biopolitico è attualmente completamente “aperto”

L’interrogazione sul tema della biopolitica e, dunque, sul senso di questo paradigma è attualmente oggetto di un vivace dibattito. E, se Foucault non è propriamente l’inventore del termine “biopolitica”, egli ha sicuramente rivoluzionato e riqualificato il concetto.
Il filosofo francese, infatti, nei suoi studi degli anni Settanta, riconosceva nel potere esercitato sulla vita e non più sulla morte, l’effettiva forma della biopolitica. La “problematizzazione” biopolitica foucaultiana manifesta, pertanto, una complessità e una radicalità del tutto incomparabili con le teorizzazioni precedenti.
La biopolitica è, per Foucault, quel dispositivo «che fa entrare la vita ed i suoi meccanismi nel campo dei calcoli espliciti e fa del potere-sapere un agente di trasformazione della vita umana» <809.
Foucault, dunque, ha il grande merito di aver messo in relazione il biopotere con la sovranità.
«Si potrebbe dire che al vecchio diritto di far morire o di lasciar vivere si è sostituito un potere di far vivere o di respingere nella morte» <810, recita la formulazione foucaultiana ripresa da tutti gli autori coinvolti nella discussione sulla biopolitica.
Secondo lo studioso francese, infatti, a partire dal XVII secolo, si assiste a una trasformazione sostanziale dell’esercizio del potere: le funzioni produttive, gestionali e organizzative volte a far crescere e moltiplicare le forze alle quali si applicano sostituiscono il dispositivo repressivo, sottrattivo, tanatopolitico della sovranità.
Tali funzioni produttive – biopolitiche – fanno emergere la dimensione microfisica del potere, la sua capacità di penetrazione pervasiva attraverso i corpi:
“Quel che fa sì che il potere regga, che lo si accetti, ebbene, è semplicemente che non pesa solo come una potenza che dice no, ma che nei fatti attraversa i corpi, produce le cose, induce del piacere, forma del sapere, produce discorsi; bisogna considerarlo come una rete pervasiva che passa attraverso tutto il corpo sociale, molto più che come un’istanza negativa che avrebbe per funzione di reprimere” <811.
Il percorso designato dal filosofo francese non è sempre lineare e il modello biopolitico non è sempre pienamente coerente, ciò nonostante, «nessuna delle questioni di interesse pubblico – che per altro è sempre più difficile distinguere da quello privato – è interpretabile fuori da una connessione profonda e spesso immediata con la sfera del bíos» <812.
Il bios è al centro della discussione internazionale e grazie all’Italian Theory – punto di distacco e di rinnovamento rispetto all’impostazione foucaultiana – il concetto di biopolitica si è ricentrato sulla contemporaneità: la lettura tanatologica che Agamben avanza a proposito della biopolitica può essere trasposta alla deriva manipolativa e totalitaria delle applicazioni biotecnologiche; la vita che entra nei circuiti del mercato e che Hardt e Negri riconoscono compiutamente nell’attività produttiva della moltitudine può essere individuata nella produzione e riproduzione “bioeconomica”; il paradigma immunitario individuato da Esposito permette di indagare fenomeni di contaminazione del corpo (protesi, impianti, trapianti, ecc.).
Abbiamo, dunque, tutti gli elementi a partire dai quali si rilancia il dibattito sulla biopolitica che vede nella biomedicina il ruolo cardine nelle pratiche di gestione della popolazione.
La biopolitica, infatti, per effetto delle nuove conoscenze scientifiche ha subito un processo di risemantizzazione.
Il potere biopolitico non si rapporta più al molare, al corpo nella sua unità, come potere di vita o di morte, ma al molecolare, al corpo nella sua particolarità genetica <813: si può, pertanto, individuare nella genetica, nella proteomica e nella farmacologia postgenomica un potere di repressione preventiva della devianza individuata al livello della dotazione genetica e, più in generale, una forma di sorveglianza molecolare sulla vita dei singoli e delle collettività.
Insomma, la biopolitica che si esercita sempre più attraverso la biomedicina e le biotecnologie amplifica le potenzialità di controllo dell’uomo sull’uomo.
Il tema del controllo e della plasmazione della vita genera problemi concettuali, pratici ed etici: «il grado di finezza raggiunto nell’analisi genetico-molecolare pone, non solo in campo medico ma soprattutto in quello filosofico-medico, la differenza tra l’uso della tecnica come strumento di potenziamento e miglioramento della salute dell’uomo e l’uso della tecnica come mezzo di asservimento e/o annientamento dell’uomo» <814.
Lo scenario biopolitico è attualmente completamente “aperto”: il «cittadino biologico» <815, dunque, può e deve fino in fondo assumere la responsabilità delle proprie forme, non solo sociali, ma pure vitali, d’essere.
L’aspetto che è opportuno sottolineare è che resta assoluta la centralità del bíos: l’invariante biologico che, pur nel contesto tecnologico, definisce irrevocabilmente l’essere umano.
Non si può, infatti, in alcun modo auspicare il totale trascendimento del corpo senza essere consapevoli che, nel caso tale trascendimento si realizzasse, si perderebbe «la struttura biologica originaria che costituisce l’uomo nella sua assoluta specificità», la paticità <816, dunque, si perderebbe l’uomo tout court.
Il corpo vivente, inoltre, non potrà mai essere identificato con la sua controparte digitale, né il potere che si esercita attraverso il controllo dei big data potrà in alcun modo superare o arginare il potere biopolitico che si esercita sui corpi e attraverso i corpi.
Se per il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han al biopotere succede uno psicopotere <817 che si esercita attraverso il controllo dei dati e per mezzo dell’addestramento della psiche ad auto-assoggettare se stessa in una spirale comportamentale di continua e lucida auto-ottimizzazione permanente, la prospettiva che si è inteso proporre in questo studio è stata, fra l’altro, di mostrare la effettiva convivenza del biopotere con lo psicopotere.
Il corpo e, dunque, il bíos, rivestono, infatti, ancora un ruolo centrale nelle pratiche politiche: innanzitutto, perché ciò che la mente crede, percepisce e sperimenta non è altro che corpo. I bisogni espressi dalla mente sono, infatti, i bisogni del corpo <818. Non solo. Negli schemi organizzativi e nelle prassi di sorveglianza attuali si ritrovano, dunque, tanto i dispositivi digitali quanto gli effetti biopolitici.
Per tale ragione, si ritiene possibile, pertanto, parlare di una biopsicopolitica che scoperta nella psiche una ulteriore forza produttiva, la utilizza per i propri fini di dominio, senza, tuttavia, dover rinunciare – almeno per ora – al biologico, al somatico, al corporale.
[NOTE]
809 M. Foucault, La volontà di sapere, cit., p. 126.
810 Ivi, cit., p. 122.
811 M. Foucault, Microfisica del potere, cit., p. 16.
812 R. Esposito, Bíos, cit., p. 159.
813 Cfr. N. Rose, La politica della vita, cit., p. 18.
814 P. A. Masullo, Critica della salute bioantropotecnica, in Critica della ragione medica, cit., p. 84.
815 Cfr. N. Rose, La politica della vita, cit., pp. 211-248.
816 P. A. Masullo, Patosofia, cit., pp. 59-60.
817 Byung-Chul Han, Psicopolitica cit., p. 73.
818 Cfr. S. Gallagher D. Zahavi, La mente fenomenologica, Raffaello Cortina, Milano 2009.
Carmen Caramuta, Lo scenario biopolitico tra attualità e superamenti, Tesi di Dottorato, Università degli Studi della Basilicata, 2019