Fu però nel Frusinate che tali brutalità divennero sistematiche

Figura 2.7 – Alle 9.45 del 15 febbraio 1944, la millenaria abbazia di Montecassino, la cui fondazione risaliva al sesto secolo, venne rasa al suolo da circa 450 tonnelate di bombe. L’ordine venne dato dal generale americano Mark Wayne Clark, e si rivelò una delle scelte più controverse della Seconda guerra mondiale. Il monastero venne poi ricostruito nel dopoguerra con un progetto il più possibile fedele alla struttura architettonica orginale. Fonte: Archivio Luce al sito www.archivioluce.com. Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra

Dal 17 gennaio al 12 maggio, nel tentativo di superare lo sbarramento tedesco, si alternarono ben quattro battaglie <17, nel corso delle quali la millenaria abbazia benedettina e il sottostante paese vennero completamente rasi al suolo dalle bombe americane negli assalti del 15 febbraio e del 15 marzo del 1944 (Fig. 2.7; 2.8).

Figura 2.8 – Dalle 8.30 alle 12.30, ad ondate di 10-15 minuti l’una dall’altra, 550 bombardieri medi e pesanti e 200 cacciabombardieri, decollati da aeroporti italiani, nordafricani e inglesi, sganciarono su Cassino più di mille tonnellate di bombe, lasciando sepolti sotto le macerie militari e civili. All’operazione aerea fece poi seguito il fuoco di artiglieria su tutta la montagna contro gli ultimi avamposti tedeschi, uno sbarramento che avrebbe dovuto favorire l’avanzata di 400 carri armati accompagnati dalla fanteria coloniale britannica. Come racconta anche Helena Janeczek nel suo romanzo Le rondini di Montecassino (2010), toccò infatti al corpo neozelandese avanzare in città fra le rovine, divenute rifugio per i soldati tedeschi della 1° divisione paracadutisti. Soltanto dopo sette giorni il generale inglese Harold Alexander ordinerà di interrompere gli attacchi sulla città e sul monte, ma bisognerà aspettare ancora il mese di maggio per vedere il territorio occupato esclusivamente dalle truppe alleate. Fonte: foto di George Silk per la rivista Life, al sito www.dalvolturnoacassino.it/asp/n_main.asp. Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra

La situazione si sbloccò soltanto con il quarto attacco (nome in codice “Operazione Diadem” <18) attuato nelle tarde ore dell’11 maggio 1944. L’intervento era sostenuto in primo luogo dal Corpo di spedizione francese <19, specializzato nella guerra di montagna, che riuscì ad aggirare l’insormontabile baluardo di Montecassino e a prendere alle spalle i difensori germanici, risalendo la dorsale montuosa degli Aurunci da Castelforte e da Monte Faito (Gribaudi 2005). Grazie a questa incursione, condotta in località troppo impervie per essere incluse nei piani di difesa (Klinkhammer 1993), le truppe marocchine, inquadrate nell’esercito francese, aprirono in soli due giorni «ai mezzi corazzati la via per Ceprano e Frosinone, risalendo, nella settimana successiva, la provincia fino alla valle dell’Amaseno e del Sacco e costringendo i tedeschi a una rovinosa ritirata per evitare l’accerchiamento» (Baris 2003, 93). Uno dopo l’altro caddero così «i vari monti (Fammera, Revole, Faggeto, Calvo, Maio) e via via i vari paesi (Castelnuovo Parano, Ausonia), fino a raggiungere il “baluardo di Esperia”, come veniva definito, poiché rappresentava il punto decisivo, cioè la porta da aprire per arrivare a Roma» (de Angelis-Curtis 2016, 9).

Figura 2.9 – Offensiva del CEF a sud della linea Gustav e suo avanzamento, tra il 14 e il 26 maggio 1944. Nella notte tra l’11 e il 12 maggio, i francesi lanciarono l’attacco lungo Castelforte e Monte Faito, posizioni che vennero conquistate in soli due giorni dalle truppe della 3° DIA e della 2° DIM. Nello stesso momento, il corpo di montagna guidato dal generale François Sevez e i tabors marocchini del generale Augustin Guillaume avanzarono sugli Aurunci da Monte Maio. Una volta conquistato anche il Monte Petrella, era chiaro a tutti che la linea Gustav fosse stata sfondata. Fonte: Le Goyet (1969, 41). Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra

Al termine di questa battaglia, il 26 maggio 1944, le linee Gustav ed Hitler poterono dirsi davvero sfondate (Fig. 2.9) e per gli Alleati si aprì il cammino verso la capitale, poi liberata il successivo 4 giugno. Per la popolazione locale, invece, già provata da duri mesi di occupazione tedesca e dai bombardamenti alleati, la liberazione tanto agognata si trasformò velocemente in un incubo dalla violenza sfrenata e incontrollata. Per circa due settimane, infatti, dal 15 maggio all’inizio di giugno, numerosi componenti del Corpo di spedizione francese si resero protagonisti di una serie impressionante di saccheggi, omicidi e stupri in tutti i paesi conquistati, finché non gli fu ordinato di arrestare la marcia a Valmontone, prima quindi di un loro infausto ingresso nella città capitale <20 (Chianese 2004). L’avanzata delle truppe transalpine, con tutto il suo carico di violenza, riprese comunque nei mesi successivi nel territorio viterbese, finendo poi per arrestarsi definitivamente in Toscana dopo una serrata marcia attraverso due direttrici, la prima verso Firenze, passando per Arezzo, e la seconda, via Siena, fino all’Isola d’Elba.

Figura 2.10 – Goumier di un tabor marocchino nel corso della Campagna d’Italia. Tali soldati si imposero sin da subito nella memoria delle popolazioni locali sia per il loro colore della pelle <21 sia per l’abbigliamento “atipico”: erano infatti soliti portare lunghe vesti rigate, orecchini al naso, trecce e copricapi eccentrici; inoltre molti di loro non si separavano mai dal proprio pugnale ricurvo, dal fodero istoriato. Fonte: Ministère des Armées-Chèmins de mémoire al sito www.cheminsdememoire.gouv.fr. Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra
Figura 2.11 – Nel muoversi sui territori di montagna, le truppe del CEF erano solite utilizzare muli per trasportare viveri e munizioni, o per evacuare i feriti. Fonte: Ministère des Armées-Chèmins de mémoire al sito www.cheminsdememoire.gouv.fr. Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra
Figura 2.12 – Nel dicembre 1943, le truppe coloniali francesi si stabilirono sul fronte italiano e in breve tempo conquistarono i massicci del Pantano e delle Mainarde. Fonte: Ministère des Armées-Chèmins de mémoire, ritrovabile al sito www.cheminsdememoire.gouv.fr. Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra

Era il CEF <21 un contingente dell’esercito francese composto da circa 120.000 uomini, formato prevalentemente da truppe coloniali suddivise in quattro divisioni, a cui si aggiungeva il Groupement Mixte Marocain (GMM), un battaglione di circa 12.000 “soldati irregolari” – detti anche goumiers da goum, traslitterazione fonetica francese del termine arabo quom che allude a una banda o a uno squadrone – legati tra loro da vincoli di parentela e reclutati nell’area montuosa del Maghreb (Fig. 2.10). La capacità di questi soldati di adattarsi alla natura del terreno (Fig. 2.11), così come il coraggio e il valore dimostrati nei combattimenti, furono tuttavia pari alla «crudeltà con cui saccheggiarono il territorio e stuprarono le persone che vi incontrarono» (Fabi, Loffredi 2018, 287). Il loro percorso vittorioso fu infatti accompagnato da una lunga serie di lutti e sofferenze fin dal loro arrivo in Sicilia, dove un ridottissimo numero di uomini (circa 800) venne impiegato nelle operazioni di sbarco. Altri casi di violenza vennero segnalati poi nelle Mainarde, a cavallo tra Lazio e Molise, dove tali truppe erano state inviate nel dicembre 1943 per sfondare le prime linee difensive approntate dai tedeschi a ridosso della Gustav (Fig. 2.12): vittime si ebbero, in particolar modo, ad Acquafondata, Casalcassinese, Viticuso, Vallerotonda e Sant’Elia Fiumerapido (Giammaria, Gulia, Jadecola 1985; Jadecola 2006).

Figura 2.13 – Denuncia di una giovane donna rilasciata alla questura di Pontecorvo in data 2 maggio 1947, tre anni dopo il passaggio delle truppe marocchine sul fronte, in occasione dell’avvio, da parte del governo italiano, delle pratiche di risarcimento per i danni di guerra subiti. Da notare l’omissione dei dati sensibili, appositamente richiesto all’autrice dalla direzione dell’Archivio di Stato di Frosinone al momento della riproduzione dei documenti. A distanza di quasi ottant’anni da tali accadimenti, vige ancora un certo riserbo sull’argomento, al punto che non soltanto non è possibile riportare il nome della vittima, ma talvolta neppure la contrada di appartenenza. Fonte: ASF, Prefettura di Frosinone, 1927-87, II serie, b. 931, f. Pontecorvo. Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra
Figura 2.14 – Denuncia rilasciata il 13 novembre 1946 – sulla base di un modello standard diffuso in tutta la provincia – alla stazione dei Carabinieri di Ceccano. La vittima dichiara di aver subito violenza nei pressi della città tra il 20 e il 30 maggio 1944, specificando inoltre la sua condizione economica, ancora piuttosto disagiata. Anche in questo caso è stato richiesta l’omissione dei dati sensibili. Fonte: ASF, Prefettura di Frosinone, 1927-87, II serie, b. 1415, f. Ceccano, Donne violentate dai marocchini. Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra
Figura 2.15 – Certificato medico rilasciato dal dottore Cao Franco il 1° luglio 1947, in cui si specificano i vari sintomi contratti da una vittima di violenza: tra questi, da notare la presenza di numerose ecchimosi nella zona vaginale. Ai fini dell’ottenimento dei risarcimenti di danni di guerra, tali documenti erano prove inconfutabili dell’avvenuto stupro e dunque garantivano alla vittima un esito positivo della richiesta di indennizzo. Fonte: ASF, Prefettura di Frosinone, 1927-87, II serie, b. 1415, f. Ceccano, Donne violentate dai marocchini. Immagine qui ripresa da Camilla Giantomasso, Op. cit. infra

Fu però nel Frusinate che tali brutalità divennero sistematiche, «parte di un modo virile di manifestare il proprio trionfo e la distruzione dell’avversario in una guerra che anche per questo viene definita totale» (Selvaggio 2007, 297). Dai rapporti ufficiali <22, tra cui anche le denunce rilasciate al tempo nelle questure locali e certificati medici ancor oggi conservati presso l’Archivio di Stato di Frosinone (Fig. 2.13; 2.14; 2.15), è possibile ricostruire la dolorosa vicenda che si abbatté sul Basso Lazio in seguito al loro passaggio dei goumiers: gli “eccessi” ebbero inizio nelle montagne e nelle vallate di Esperia tra il 15 e il 17 maggio, per poi proseguire a Sant’Oliva (frazione di Pontecorvo) (17, 18, 19 e 20 maggio), Lenola (20, 21, 22 maggio), Campodimele (22, 23 maggio), San Giovanni Incarico (24, 25 maggio), Pico (25 maggio), Pastena (26, 27, 28 maggio), Vallecorsa (24, 25 maggio), Castro dei Volsci (27, 28, 29 maggio), Ceccano (28, 29, 30 maggio), Supino (1, 2, 3 giugno), Giuliano di Roma (2, 3 giugno ), Morolo (3, 4, 5 giugno) e Sgurgola (5, 6 giugno). Le date riportate sono quelle riscontrate nella maggior parte delle fonti, e ricalcano effettivamente il percorso delle truppe franco-africane. In alcuni casi, però, la querela riporta o una data diversa (antecedente o successiva di non più di dieci giorni) o generica (ovvero indicata nella forma “ultima settimana di maggio”, “tra il 20 e il 30 maggio” o “primi di giugno”).
[NOTE]
17 La lunga battaglia di Cassino, nelle sue quattro fasi, è considerata ancora oggi come uno degli scontri esiziali per la sconfitta dell’esercito tedesco e, di conseguenza, per l’esito stessa della Seconda guerra mondiale. La prima fase dello scontro ebbe luogo dal 17 gennaio all’11 febbraio 1944, dopo lo sbarco alleato ad Anzio e Nettuno, e coinvolse i soldati americani della 36° divisione Texas che, su ordine del generale Mark Wayne Clark, tentarono, senza successo e a costo di enormi perdite, di superare il fiume Gari – una sconfitta così dura, quella della cosiddetta “battaglia del Rapido”, che richiese addirittura un’indagine da parte del Congresso Americano per accertare le responsabilità di un disastro imprevisto. La seconda fase della battaglia, iniziata il 15 febbraio, ebbe come obiettivo la neutralizzazione dell’abbazia di Montecassino, che venne completamente rasa al suolo da 450 tonnellate di bombe: anche in questo caso, l’ordine venne dato dal generale Clark nella convinzione, poi rivelatasi errata, che all’interno dell’abbazia fossero annidate truppe tedesche. Il 15 marzo 1944, la terza fase del combattimento si concretizzò dapprima in una raffica di bombardamenti sulla città e sui civili di Cassino, poi in uno scontro corpo a corpo tra i paracadutisti tedeschi e la fanteria maori. Il quarto e ultimo assalto, quello decisivo, prese avvio l’11 maggio 1944 e vide come protagoniste le truppe coloniali francesi, dopo che la direttrice d’attacco era stata spostata da Cassino ai Monti Aurunci.
18 Il piano prevedeva «l’attacco simultaneo sull’intero fronte compreso tra Cassino e il golfo di Gaeta, lo sfondamento delle due linee difensive approntate dai tedeschi, il ricongiungimento con la testa ponte di Anzio e il raggiungimento di Roma. Ai polacchi del II Corpo d’Armata del generale Anders era assegnato il poco invidiabile compito di risalire le pendici del Monte Cassino e raggiungere l’abbazia, agli inglesi di attaccare su due direttrici ai lati di Sant’Angelo in Theodice, al CEF di assaltare le montagne degli Aurunci tra Monte Maio e Castelforte, agli americani di avanzare oltre la foce del Garigliano» (Cavallaro 2004, 196-197).
19 Sbarcato a Napoli nel novembre 1943, e posto sotto il comando del generale Alphonse Juin, il Corp Expeditionnaire Français era formato da truppe coloniali suddivise in quattro divisioni, per un totale di circa 120.000 uomini. La 1° divisione detta “Francia Libera”, agli ordini del generale Diego Brosset, consisteva di soldati provenienti da Senegal, Camerun e da altre colonie francesi, ed era stanziata presso i comuni di Sant’Andrea, Sant’Ambrogio e Sant’Apollinare; la 2° divisione di fanteria marocchina (DIM), guidata dal generale André Dody, occupava Monte Faito e Monte Maio; la 3° divisione di fanteria algerina (DIA), comandata dal generale Joseph de Goislard de Montsabert, era allocata su Castelforte; la 4° divisione marocchina di montagna (DMM) rispondeva invece agli ordini del generale François Sevez. Completavano i ranghi gruppi di tabors marocchini, circa 12.000 uomini affidati al comando del generale Augustin Guillaume. Questi ultimi reparti erano composti da goumiers, soldati “irregolari” reclutati dall’esercito francese nell’area del Maghreb sin dai primi anni del Novecento, appartenenti a tribù di contadini di montagna. Ciascuna di queste tribù, anche detta goums, era composta da circa una settantina di uomini, legati tra loro da vincoli di parentela, e rispondeva al comando di un ufficiale di origine europea (de Angelis-Curtis 2016; Fabri, Loffredi 2018). Tali uomini, più che per patriottismo, si erano probabilmente arruolati per la «prospettiva di un salario sicuro, la possibilità di acquistare prestigio guerriero, la fedeltà ai loro clan» (De Luna 2002).
20 Il 18 maggio 1944 Papa Pio XII scrisse a Charles De Gaulle, presidente della Francia Libera, chiedendo il suo personale intervento nelle violenze compiute dai marocchini. Ciò che il Pontefice ricevette non fu tanto una promessa, quanto una risposta accorata, in cui si incolpava il generale Guillaume dell’intero accaduto (De Luna 2002). Nello stesso periodo, si venne anche a sviluppare una polemica tra il giornale delle truppe coloniali francesi e l’Osservatore romano accusato dal primo di limitarsi a dare risalto soltanto alle violenze sui civili, dimenticandone il valore militare.
21 Come ebbe modo di specificare lo storico Ernesto Galli della Loggia, durante la Seconda guerra mondiale, per la prima volta, «nelle campagne e nei borghi d’Europa moltissime donne – che a differenza degli uomini, i quali almeno avevano potuto avvalersi dell’occasione della leva, non si erano mai allontanate dal proprio paese – ebbero l’opportunità di venire a contatto con il diverso, lo straniero, l’esotico talvolta» (Galli della Loggia 1991, 15). In tal senso, non stupisce dunque se l’immagine e il comportamento delle truppe coloniali francesi siano subito stati percepiti dalle donne del Frusinate come elementi estranianti alla loro comunità.
22 Per un quadro generale del passaggio delle truppe marocchine in Italia si rimanda alla documentazione ufficiale depositata presso gli archivi: AUSSME, Carteggio Comando supremo e Stato maggiore dell’esercito, II guerra mondiale, 1940-47, racc. 150, f. Patrioti Bande Italia Centrale 1944, Nota del Comando generale dell’arma dei carabinieri reali alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al ministero della Guerra, al capo di Stato maggiore dell’esercito del 25 luglio 1944; ACS, PCM, 1944-47, n. 10270, f. 10-19, Truppe alleate, Comportamenti, Incidenti 1944-46; ASMAE, Affari politici, 1931-45, Francia, b. 98, f. Atrocità varie commesse dalle truppe francesi ai nostri danni, sf. 1. Nel caso specifico del Frusinate, si rimanda alla documentazione custodita in ASF, Prefettura di Frosinone, 1927-87, II serie.
Camilla Giantomasso, Memorie dimenticate lungo la linea Gustav. Questioni identitarie e proposte partecipative per la valorizzazione del territorio del Frusinate, Tesi di dottorato, Sapienza Università degli Studi di Roma, 2023