Lo sport è stato utilizzato infatti dal fascismo come espressione di propaganda politica

Tassello importante nel processo di fascistizzazione dello sport italiano fu quello relativo all’italianizzazione del lessico sportivo. Tale processo si inserisce perfettamente in quell’azione nazionalizzatrice che il regime provò ad articolare attraverso vari canali: quello sportivo fu uno dei più efficaci. Come abbiamo visto in precedenza, il regime, dopo aver rintracciato le origini del calcio nell’antico gioco fiorentino, avviò un processo di sostituzione dei termini sportivi stranieri (in grande maggioranza anglofoni) con termini italiani. Tra il 1924 e il 1934, la stampa sportiva ebbe uno straordinario sviluppo: il regime favorì la proliferazione di numerose testate e pose sotto il suo controllo le testate “storiche”, come nel caso della “Gazzetta dello Sport”, dove fu instaurato Arnaldo Mussolini all’interno del consiglio di amministrazione <144. Nell’epoca fascista queste testate diedero un notevole contributo nell’applicazione di quel progetto di “pedagogia totalitaria” che il regime tentò di perseguire durante tutto il ventennio; come abbiamo visto, gli articoli non si limitavano ad offrire una mera elencazione di dati e statistiche relative agli incontri, ma – come nel caso del “Littoriale” e del “Lo Sport Fascista”, possedevano una precisa impostazione politica, nel quale venivano veicolati temi, miti, e battaglie care al regime.
Tra le battaglie principali intraprese dalla stampa, quella dell’italianizzazione del lessico fu una delle più agguerrite. Se fino alla metà degli anni ’20 era assai frequente trovare questi esempi all’interno degli organi di informazione sportiva, “fino al settantacinquesimo minuto di giuoco la rete di Niccolai non ha conosciuto ospiti undesiderables” <145, intorno agli anni trenta, in virtù dell’intensità con la quale la stampa sportiva cominciò ad attuare questo processo di rimozione, fu quasi impossibile rintracciare espressioni di matrice straniera nel lessico calcistico.
“I popoli forti impongono il loro linguaggio, i loro modi di dire, le loro sigle, non raccattano ogni foresteria con balorda premura […] Non c’è più posto in un’Italia ardita e cosciente di sé per i cianciugliatori alla balcanica di parole forestiere” <146.
A farne le spese fu persino la parola football, sostituito con l’italianissimo calcio; a seguire scomparvero termini fino a quel momento molto ricorrenti nella stampa sportiva, come: match, back, trainer, refree, outsiders, boîte à surprise, etc. Parallelamente alla carta stampata, il processo di italianizzazione del lessico sportivo fu attuato da uno dei medium che si stava diffondendo sempre di più nel territorio nazionale: la radio. La radiocronaca sportiva nacque nel 1933 e contribuì a coinvolgere agli eventi sportivi un numero fino a quel momento impensabile di persone. Una dei radiocronisti più autorevoli e seguiti nel periodo fascista fu Nicolò Carosio, il quale – attraverso i suoi racconti – contribuì «alla diffusione dello sport in Italia, trasformando le imprese memorabili in miti e i campioni in eroi» <147. Inoltre, all’interno delle sue radiocronache, si prodigò nella creazione di un lessico sportivo totalmente italiano, contribuendo «al processo di unificazione nazionale del linguaggio sportivo e all’italofonia sportiva» <148.
[NOTE]
144 R. Grozio, Mass-media, propaganda e immaginario durante il fascismo, in M. Cannella e S. Giuntini (a cura di), Milano, Sport e Fascismo, FrancoAngeli, 2009, p. 190.
145 F. Fabrizio, op.cit. , p. 161.
146 P. Monelli, Barbaro dominio, Hoepli, Milano, 1933, p. VIII. Citato da F. Fabrizio, op. cit. , p, 162.
147 R. Grozio, op.cit., p. 193.
148 A. Papa, G. Panico, op.cit., p. 211
Nicolò Falchi, Il calcio al confine: il caso di Trieste. Dall’irredentismo alla guerra fredda, Tesi di laurea, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, Anno accademico 2014-2015

Proprio perché nulla poteva essere e rimanere estraneo al regime fascista, esso tentò di abbracciare la vita nella sua totalità partecipando alla costruzione della nuova comunità nazionale. In questo contesto perciò anche gli eventi sportivi vennero usati a scopi nazionalistici, ritenendo lo sport parte integrante del processo di costruzione di un nuovo ordine politico e di una diversa morale. Lo sport divenne un’importante parte della politica fascista per conquistare le menti e i cuori della popolazione. Mussolini usò intenzionalmente lo sport per sviluppare sentimenti di supremazia e per aumentare il sostegno alla macchina da guerra italiana.
Lo sport dunque in quegli anni cessò di essere un’attività libera e divenne una funzione del governo in cui i vittoriosi risultati sportivi vennero guardati, raccolti, catalogati e sfruttati, in patria e all’estero. Il regime fascista riteneva infatti lo sport un utile strumento di propaganda per l’autorità della nazione, una concreta necessità nazionale per il prestigio dell’Italia.
[…] Perciò tramite lo sport i fascisti tentarono di creare un sentimento di coscienza nazionale in tutta la popolazione, istituendo una particolare forma di solidarietà tra gli italiani che si sacrificavano per la difesa e la gloria della patria.
Lo sport offre inoltre l’occasione per riflettere su come la nazione non sia qualcosa di remoto ma sia invece presente nelle piccole parole, nei discorsi quotidiani che spesso si danno per scontati. Emerge dunque, come teorizzato da Billig, un tipo di nazionalismo che esiste e articola la società anche in forma implicita. Ed è proprio grazie a questo nazionalismo che la nazione vive e si riproduce. <14 Nelle competizioni sportive infatti è issata la bandiera nazionale, l’inno nazionale è cantato dai giocatori e dagli spettatori, l’evento sportivo è diffuso dai media al fine di suscitare l’attenzione e l’interesse della nazione: lo spettatore diventa in definitiva un vero e proprio sostenitore della patria con l’obiettivo politico di intensificare la solidarietà collettiva tra la popolazione e gli atleti. C’è perciò un nazionalismo banale, di routine, dove in una condizione di normalizzazione e quotidianità, esso agisce all’interno dell’identità nazionale attraverso un processo di riproduzione in cui le pratiche ripetitive garantiscono la persistenza della nazione attraverso la quotidianità. Avviene una costante riproduzione di credenze, abitudini, rappresentazioni e pratiche che consolidano le nazioni: la nazione viene sbandierata e richiamata ogni giorno nella vita dei suoi cittadini e questo continuo richiamo alla nazione appare così familiare da non venire percepito consciamente come tale.
L’identità nazionale è incarnata nelle abitudini della vita sociale, nel modo di pensare e di utilizzare il linguaggio. Il nazionalismo banale agisce tramite parole prosaiche e consuetudinarie che danno per scontato le nazioni; esse sono spesso parole appena percepibili che fungono da costanti richiami della patria e che rendono indimenticabile la “nostra” identità nazionale.
Il nazionalismo abbraccia perciò abitudini comportamentali, convinzioni che si combinano al fine di sembrare naturali: sembra normale avere quella specifica identità. L’identità nazionale è qualcosa che si reputa naturale possedere e ricordare in quanto è radicata nella routine della vita quotidiana, la quale ricorda costantemente l’appartenenza alla nazione. Tutti questi numerosi richiami alla memoria costituiscono una componente talmente familiare dell’ambiente da agire in modo incosciente e da far dimenticare il nazionalismo, che infatti scompare nell’ambiente naturale delle società. <15
Lo stretto legame tra politica e sport ha visto la sua massima espressione proprio con i nazionalismi totalitari del XX secolo. Infatti anche il fascismo ha spesso utilizzato lo sport per affermare il proprio predominio rispetto alle nazioni rivali. Durante le competizioni sportive culture diverse entrano inevitabilmente in contatto, promuovendo dunque lo sport come veicolo di presentazione e caratterizzazioni nazionali ad altre comunità. Infatti gli atleti nelle manifestazioni sportive rappresentano entità geopolitiche che gareggiano contro altre nazioni, sviluppando un forte senso di identificazione collettiva: i singoli atleti si riconoscono come appartenenti a un determinato ambito nazionale e il loro impegno sportivo assume una valenza rappresentativa nazionale.
La squadra è la nazione, la quale combatte contro gli avversari stranieri per il proprio onore perché in gioco c’è anche il valore aggiunto del prestigio, del sacrificio personale per la causa della nazione stessa.
Il desiderio di sentirsi migliori degli altri può sfociare però anche in forme di vero e proprio odio per l’avversario. Come affermato da Billing, il nazionalismo è un’ideologia della prima persona plurale, ma è evidente non ci possa essere un noi senza un loro. I “nostri nemici” non si oppongono solo a “noi” e alla “nostra” particolarità ma si oppongono anche all’ordine morale che “noi” riteniamo di rappresentare. Perciò “loro” sono demonizzati come qualcosa di più di un semplice “loro” nemico o straniero. <16
La nazione viene concepita depositaria di una propria identità nella quale le persone si identificano e in cui lo stato afferma di parlare per l’intera popolazione, rappresentandone quindi l’essenza. Tutto viene fatto in nome del popolo, della nazione e dell’intera patria. Le bandiere che sventolano rappresentano per “noi” le “nostre vittorie” e i “nostri eroi”.
Questo sentimento di integrità viene comunicato tramite metafore di parentela e genere dove la nazione è la famiglia che vive nella patria. La tematica dell’unicità è inoltre nuovamente mobilitata facilmente in caso di minaccia, vera o presunta, della “nostra identità”.
Il nazionalismo, perciò, produce forme di opposizione tra nazioni che possono degenerare anche in violenze o conflitti: le competizioni sportive rappresentano un momento dove viene messa in scena questa esasperata opposizione tra nazioni. In questo caso il fascismo ha alimentato pensieri nazionalistici promettendo alla popolazione una patria pura, non contaminata dall’ingresso “degli altri”, facendo proprio l’aspetto xenofobo dei nazionalisti attraverso la richiesta di purificare la cultura italiana dalle decadenti influenze straniere. Il binomio “sei fascista allora sei italiano, sei italiano allora sei fascista” racchiude la privazione dell’identità nazionale verso chi non condivide idee politiche e religiose, in una versione esclusivista del nazionalismo dei nazionalisti dove è necessario condividere per forza alcune caratteristiche della nazione per poterne far parte. Un chiaro esempio è rappresentato dalla scelta del 1938 della FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) di escludere dalla partecipazione al campionato di calcio i giocatori stranieri.
Lo sport come espressione dell’identità nazionale fascista
In Italia durante il ventennio fascista (1922/1943) l’educazione e la pratica sportiva hanno assunto un ruolo fondamentale. Lo sport è stato utilizzato infatti dal fascismo come espressione di propaganda politica, diventando la rappresentazione della potenza e dell’identità nazionale.
Il fascismo ha sfruttato determinate caratteristiche dello sport al fine di formare una macchina di consenso e propaganda sia all’interno del paese, distraendo la popolazione dalle reali problematicità della vita quotidiana, sia all’esterno per vendere l’immagine di un’Italia nuova e grandiosa. Durante gli anni ’20 il regime tentò di creare la parvenza di un paese ben ordinato e di una società stabile dove gli italiani, non solo accettassero il fascismo, ma mostrassero entusiasmo verso il potere nei loro comportamenti pubblici e privati. Infatti il fondamentale obiettivo culturale del regime risiedeva nella creazione di una facciata fascista idilliaca per smascherare la realtà della vita italiana. Si cercò di ricostruire il perduto sentimento della comunità e di offrire sicurezza a un popolo disorientato promettendo una sorta di slancio verso il futuro, istillando nella gente la convinzione di vivere un presente in progressiva degradazione e la certezza di essere sul punto di entrare in un’epoca di sovvertimento glorioso. <17
Ciò si inserisce nell’idea, tipica di tutte le ideologie totalitarie, di forgiare l’uomo nuovo e nel tentativo di sviluppare nel popolo italiano una rinnovata coscienza collettiva. Lo sport è parte integrante di questo progetto: esso doveva creare solidarietà non solo negli sportivi ma all’intero di tutto il popolo italiano in quanto strumento per una mobilitazione collettiva. <18
Il regime fascista manipolò dunque gran parte delle istituzioni sportive con lo scopo di far convergere propaganda e cultura creando una specifica forma culturale, linguistica e storica di italianità e combattendo contro ogni forma di esterofilia.
Il fascismo conferì all’attività sportiva un’unica ed innovativa centralità. Lo sport era preordinato al conseguimento degli scopi della nazione, doveva riflettere la sanità della popolazione in quanto “milizia al servizio della patria”. <19 L’immaginario sportivo serviva a descrivere un’Italia nuova, moderna e giovane dove lo sport era una delle tante occasioni per dimostrare la sua grandezza.
Perciò lo sport, in quanto attività sociale, venne considerato un vero e proprio settore della politica del regime perché ritenuto uno come strumento e un’opportunità perfetta per incentivare i processi di identificazione nazionale al fine di veicolare un’immagine dinamica, attiva e aggressiva del popolo italiano. <20
[NOTE]
14 Billig M., Nazionalismo banale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018, pag. 13
15 Ivi, pag. 18
16 Billig M., Nazionalismo banale, cit., pag. 54
17 Zunino P., L’ideologia fascista. Miti, credenze, valori nella stabilizzazione del regime, cit., pag. 129
18 Gentile E., Il culto del Littorio, cit., pag. 52
19 Ferretti L., Il libro dello sport, Roma, Libreria del Littorio, 1928, pag. 74
20 Bacci A., Mussolini, il primo sportivo d’Italia, Ivrea, Bradipolibri Editore, 2013, pag. 38
Valentina Marcon, I luoghi della nazione sportiva fascista. Progetto didattico tra sport, storia e propaganda, Tesi di laurea, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Anno accademico 2020-2021