Lo studio della nascita della FDJ è emblematico per comprendere la storia della zona di occupazione sovietica e la fondazione della DDR

La centralità della questione tedesca era un tema rivelatosi in tutta la sua complessità prima ancora che il secondo conflitto mondiale giungesse al termine: l’ipotesi di smembrare la Germania fu già ventilata nel 1943, alla conferenza di Teheran; nel febbraio del 1945 però, a Jalta, furono definite le due più importanti condizioni imposte alla Germania postbellica, ovvero la spartizione in zone di occupazione e la riscossione di riparazioni, che sarebbe avvenuta sia dalla produzione corrente, sia tramite la rimozione del potenziale industriale tedesco. Le clausole sancite a Jalta, poi perfezionate a Postdam nell’estate del 1945, segnarono un primo passo significativo verso una diversificazione economica fra le quattro zone di occupazione e quindi verso la divisione della Germania, anche se tale soluzione era allora considerata provvisoria e si credeva che vi si sarebbe potuto porre rimedio attraverso la creazione, in un secondo tempo, di istanze centrali. Le regolari Conferenze dei Ministri degli Esteri, che andarono a sostituire quelle tenutesi in tempo di guerra, si rivelarono tuttavia del tutto inconcludenti e l’istituzione di tali amministrazioni si risolse in un nulla di fatto, per l’opposizione francese e l’attendismo sovietico, che bloccarono il processo di riunificazione in maniera irreversibile.
Il destino della Germania postbellica era quanto mai incerto. La situazione risultava aggravata dall’altrettanto confusa condotta sovietica nei confronti della propria zona di occupazione: il dibattito storiografico sugli obiettivi dell’Unione Sovietica e sul ruolo di Stalin nel dopoguerra tedesco è tuttora molto acceso, e vede storici attestati anche su posizioni diametralmente opposte. La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che, alla fine della guerra, l’URSS si apprestasse ad amministrare la propria zona senza avere stabilito un preciso piano di condotta nei confronti della Germania. Norman Naimark, storico statunitense che ha avuto il grande merito di avviare, a partire dagli anni novanta, una importante stagione di studi di storia sociale sulla zona di occupazione sovietica, nel suo libro “The Russians in Germany”, sostiene che nel gruppo dirigente di Mosca, non esisteva una posizione univoca, perché l’obiettivo era quello di soddisfare i due bisogni primari della potenza sovietica: garantire una sicurezza territoriale nel caso di una rinascita tedesca e riscuotere le riparazioni come ricompensa per l’immenso sforzo bellico sostenuto. La mancanza di un programma organico determinò però, nei fatti, una politica contraddittoria da parte dell’Unione Sovietica: se da un lato si cercò di mantenere in vita le trattative con gli Alleati, partecipando attivamente alle Conferenze dei Ministri degli Esteri e continuando a sostenere l’opzione di una Germania unita, dall’altro furono attuate misure molto rigide che prevedevano una politica di saccheggio e lo smantellamento delle fabbriche, provvedimenti che, insieme ad altre violenze e soprusi, minarono alla base il rapporto fra popolazione tedesca e occupanti sovietici. La prospettiva di mantenere una Germania unita, che secondo Naimark era l’opzione caldeggiata dal Commissariato agli Esteri e probabilmente dallo stesso Stalin, aveva diversi vantaggi per l’Unione Sovietica: innanzitutto avrebbe consentito di attingere riparazioni dalle miniere della Ruhr, ma anche di creare uno stato neutrale, sottoposto ad un controllo interalleato, proprio al centro dell’Europa. Dopo la proposta degli Stati Uniti di ritirare le truppe dalle rispettive zone, posta durante la Conferenza dei Ministri degli Esteri di Parigi (aprile-maggio 1946), nel gruppo dirigente sovietico maturò sempre più l’idea che la formazione di un forte partito, nato dalla fusione di KPD ed SPD, avrebbe costituito uno strumento di fondamentale importanza per mantenere un controllo sul territorio. L’esperimento della SED però, non solo si rivelò del tutto fallimentare, ma addirittura nocivo per Unione Sovietica e Germania: il partito non ebbe il successo sperato e rimase confinato nella zona di occupazione sovietica e posto sotto la guida dell’esponente comunista Ulbricht e di quello socialdemocratico Grotewohl, mentre ad occidente continuarono a coesistere la KPD e la SPD di Schumacher. L’effetto più devastante di tale politica fu quello di creare un’insanabile spaccatura fra la socialdemocrazia occidentale e quella orientale, annientando il principale partito tedesco e perdendo così anche la possibilità di sfruttarne il radicamento territoriale per farne un valido vettore di unità nazionale. Questo errore contribuì in modo sostanziale alla divisione tedesca. Alla stessa maniera, il gruppo dirigente di Mosca sottovalutò la portata della Bizona: di fronte all’attendismo, nelle trattative per la costituzione di amministrazioni centrali, da parte dell’Unione Sovietica che sperava, prima di compiere questo passo, di vedere garantite le misure economiche stabilite a Postdam, gli Stati Uniti diedero vita all’esperimento della Bizona che prevedeva la creazione di organismi economici che avrebbero avuto il compito di sovrintendere alle zone americana ed inglese. L’obiettivo degli USA, in tal modo, era quello di forzare la situazione ponendo l’Unione Sovietica di fronte ad un fatto compiuto, costringendo così Mosca ad aderire all’iniziativa per evitare una spaccatura: questo calcolo si rivelò tuttavia errato. Venne così costituita la Bizona, che rappresentò il secondo enorme errore di Mosca nella valutazione dello scenario tedesco: la divisione operata risultò insanabile e ben presto anche la Francia aderì all’iniziativa, determinando la nascita della Trizona. La fusione fu prima economica e poi politica, e sancì, di fatto, la creazione di due diverse entità statuali.
Nonostante l’opzione unitaria fosse contemplata dal gruppo dirigente sovietico, vi erano, evidentemente, difficoltà da parte di Mosca a gestire la situazione internazionale. A partire dalla primavera del 1946 iniziarono a profilarsi i primi problemi fra gli Alleati: l’Unione Sovietica, di conseguenza, attribuì sempre maggior importanza alla propria zona di occupazione, come già da tempo suggerivano esponenti come Zdanov ed Ulbricht, costituendo un regime politico, che sembrava irrimediabilmente orientato verso la divisione della Germania. Le scelte operate dai sovietici furono, infatti, del tutto inadeguate e non fecero che peggiorare il malcontento della popolazione. Uno dei primi provvedimenti applicati fu in effetti lo smantellamento delle industrie tedesche: pratica che si protrasse fino alla primavera 1946, e poi, più sporadicamente, fino al 1948. Di certo una tale misura minò la fiducia della classe operaia, il cui consenso invece avrebbe dovuto costituire la base del nuovo regime. Analoghe violenze furono compiute durante la riforma agraria e nella fusione forzata di KPD ed SPD: risulta evidente l’incapacità sovietica di mettere in pratica approcci non coercitivi, come dimostrarono anche il referendum in Sassonia sull’esproprio degli industriali ex-nazisti nel luglio del 1946 e le elezioni dell’autunno dello stesso anno.
Il tema centrale di questo lavoro è l’analisi della costituzione di questo sistema politico, attraverso lo studio di un suo aspetto specifico, ovvero la fondazione dell’organizzazione giovanile, la Freie Deutsche Jugend (FDJ). É noto come la FDJ fosse stata ideata dai comunisti tedeschi in esilio a Mosca, e come tale, rispondesse a delle esigenze imposte dall’Unione Sovietica e dal partito. La FDJ era un tassello fondamentale del programma che i sovietici avevano in mente per il popolo tedesco; il problema della “rieducazione” era infatti centrale per Mosca, che si prefiggeva come obiettivo quello di estirpare i dettami di una “cultura reazionaria”, grazie alla quale il nazismo aveva potuto proliferare: solo in questo modo sarebbe stata concepibile la costituzione di una Germania democratica e guidata da un governo con il quale sarebbe stato possibile stipulare un trattato di pace. La FDJ e la scuola rappresentavano quindi due facce di una stessa medaglia: tutto era funzionale alla formazione di una nuova cultura antifascista che avrebbe consentito di creare anche la classe dirigente del futuro. Nonostante il fatto che all’organizzazione venisse quindi attribuita una funzione ben precisa da parte del partito e della potenza occupante, la FDJ rappresentò, più in generale, una straordinaria occasione di socializzazione e di impegno politico per i giovani tedeschi: questi ultimi erano una categoria che aveva subito in modo particolarmente marcato l’irreggimentazione e la propaganda del regime nazista. Secondo i piani del partito comunista, vi era quindi quanto mai bisogno di una valida guida che consentisse ai ragazzi, da una parte, di poter partecipare a pieno titolo alla vita politica, e dall’altra, di dare il proprio fondamentale contributo alla ricostruzione economica del paese. Dopo lunghi anni di dittatura e di guerra, era naturale che i giovani aderissero numerosi ed entusiasti alle attività dei comitati antifascisti prima ed alla FDJ poi: di certo vi era in primo luogo la volontà di divertirsi, ballare e stare in compagnia, che offuscavano gli intenti pedagogici del partito. Ma ciò non significava che l’organizzazione avesse per questo meno importanza, ed anzi il numero sempre crescente di iscritti, come dimostrano i dati, in particolare fra il giugno ed il novembre del 1946, fu un evento straordinariamente significativo: a livello di base spesso non si conoscevano le direttive impartite dall’alto e ciò lascia presupporre quanto l’adesione fosse sincera e spontanea. La maggior parte dei giovani dei comitati locali non faceva parte di alcun partito politico e un evento come il I Parlamento rappresentava davvero un’occasione senza precedenti per i ragazzi tedeschi che da poco meno di un anno erano usciti dal regime hitleriano. Ma all’irrigidimento sul fronte politico, a partire dal 1947, seguì naturalmente anche un profondo mutamento dell’organizzazione giovanile: all’esperimento dell’apartiticità si pose fine quindi bruscamente, non lasciando più spazio a tutti quei ragazzi che avevano aderito sinceramente all’organizzazione, al di là degli intenti utilitaristici degli esponenti della SED.
Lo studio della nascita della FDJ è emblematico per comprendere la storia della zona di occupazione sovietica e la fondazione della DDR. I metodi utilizzati dal giovane gruppo dirigente dell’organizzazione, composto in prevalenza da membri della KPD/SED, rispecchiavano fedelmente quelli del partito prefigurando, in nuce, gli sviluppi successivi. Un esempio significativo era l’uso strumentale dell’alleanza con gli esponenti degli altri partiti del blocco e con i rappresentanti delle chiese protestante e cattolica, al fine di avvalorare la pretesa di apartiticità dell’organizzazione: apartiticità che talvolta non veniva accettata neanche da alcuni giovani membri della KPD, che consideravano l’organizzazione come un qualcosa di “proprietà” del partito. In maniera analoga si cominciò, già a partire dal I Parlamento della FDJ, a fare un uso sistematico della censura nei protocolli editi: la manipolazione diventava fondamentale per alimentare una lettura degli avvenimenti favorevole al regime, cosa che in seguito divenne una prassi consolidata. L’organizzazione giovanile, di fatto, era costituita alla base da giovani senza partito, anche se il gruppo
dirigente era completamente in mano alla SED: nel corso del 1946 le discussioni erano ancora relativamente aperte al contraddittorio e la FDJ rappresentava un elemento importante nella vita di molti ragazzi tedeschi ed avrebbe avuto dunque la possibilità, così come tutta la zona di occupazione sovietica, di seguire un corso diverso rispetto a quello che poi condusse alla costituzione della DDR. L’Unione Sovietica non fu capace di gestire tali potenzialità: le misure adottate ed i metodi coercitivi, che sembravano gli unici mezzi conosciuti dalle autorità sovietiche, minarono alla base qualunque tentativo, anche sincero, di fare della zona di occupazione sovietica un modello democraticamente avanzato da offrire agli occhi dell’opinione pubblica occidentale.
Serena Migliozzi, La fondazione della FDJ, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma “Tor Vegata”, Anno Accademico 2009-2010