L’occultamento della vera identità di Bertoli

All’inizio del 1973 il primo ministro italiano Andreotti poteva vantare l’appoggio e la fiducia delle istituzioni americane. La buona considerazione che gli Usa avevano in Andreotti sembrava ben riposta, come dimostrato dal provvedimento del febbraio 1973 con cui venivano accresciuti i poteri della polizia e delle forze dell’ordine in un periodo della storia italiana caratterizzato dal dilagare della violenza politica e dagli scioperi. Maggiori perplessità nascevano invece a proposito dell’atteggiamento italiano nei confronti del terrorismo islamico: le iniziative del governo volte a stringere accordi con le grandi organizzazioni terroristiche permettendo loro di muoversi liberamente sul territorio italiano per proteggerlo da eventuali attacchi venivano infatti lette in chiave opportunistica e contro gli interessi della coalizione atlantica. Nel 1973 vi furono sostanziali mutamenti dei rapporti tra Stati Uniti e Italia. All’Ambasciata Graham Martin venne sostituito con John Volpe e ricompensato per i successi italiani con la nomina ad Ambasciatore a Saigon. Volpe, dal canto suo, vantava origini italo-americane e un legame affettivo molto solido con il paese natio <948. Nonostante il cambio ai vertici dell’Ambasciata, Martin non cessò di esercitare la propria influenza sulla politica italiana <949. In conseguenza della decisione di Volpe di sospendere il programma di finanziamenti occulti messi in piedi da Martin, Kissinger incaricò Martin di continuare a gestire l’operazione direttamente da Saigon. In alcuni telegrammi inviati nel luglio e nel novembre 1973, infatti, Martin parla di un misterioso impegno preso nelle vicende italiane, della necessità di portarlo a termine, e di come fosse necessario adempiere agli impegni presi in Italia per liquidare una volta per tutti il problema italiano, il tutto senza avvisare Volpe. Queste comunicazioni furono effettuate attraverso il backchannel, il canale privilegiato che escludeva il Dipartimento di Stato e l’Ambasciata e riduceva i contatti tra Kissinger e Martin alla segretezza di rapporti personali. Purtroppo ad oggi non è noto il programma di cui Martin parlava nei suoi telegrammi, ma non è escluso che si trattasse di un qualche sostegno al golpe bianco di Edgardo Sogno, di cui si è già parlato.
Quel che è certo è, invece, che la situazione politica interna nel 1973 era abbastanza movimentata. Continuavano infatti a susseguirsi attentati di colore opposto: nel 1973 si contarono ben 450 attentati dinamitardi. A sinistra, tra gli eventi più eclatanti vi fu invece il rogo di Primavalle. La notte tra il 15 e il 16 aprile 1973, si sviluppò un incendio nella casa del segretario della sezione missina della borgata romana di Primavalle, Mario Mattei. Mentre gran parte della famiglia riuscì a mettersi in salvo, due dei suoi figli morirono nel rogo. L’incendio, doloso, era stato appiccato dalla Brigata Tanas, una organizzazione di sinistra. Nel 1973, inoltre, il compromesso storico di Berlinguer rendeva ancora più probabile l’avvicinamento dei comunisti al governo. Se la collaborazione tra Dc e Pci si fosse realizzata, l’Italia avrebbe potuto allontanarsi dal blocco atlantico <950. Inoltre, l’arresto per associazione sovversiva nei confronti dello Stato del colonnello Amos Spiazzi, e le indagini sui complotti della destra extraparlamentare iniziavano a preoccupare gli Stati Uniti circa un loro eventuale coinvolgimento nelle trame nere italiane. Il 26 aprile Volpe riferiva a Washington dell’inchiesta condotta da Panorama sui legami tra Cia, Stati Uniti e neofascisti implicati nelle stragi. Queste dichiarazioni avrebbero incrinato il riconoscimento e la credibilità degli Stati Uniti, in un momento storico in cui la fiducia degli italiani era già in netto calo in seguito alla guerra in Vietnam. Pertanto Volpe suggerì di negare ogni coinvolgimento e di far sentire il proprio scontento a livello privato e all’editore <951.
In questo contesto, il 17 maggio 1973, davanti alla Questura di Milano, durante una cerimonia in memoria del commissario Luigi Calabresi, lo scoppio di un ordigno provocò la morte di quattro persone. Subito arrestato, l’attentatore Gianfranco Bertoli si professò anarchico: una versione smentita successivamente dalle indagini della magistratura, da cui emersero contatti di rilievo con i servizi segreti italiani e, indirettamente, con quelli statunitensi <952. Anzitutto, si appurò che il Bertoli fosse un uomo della destra eversiva, vicino alla cellula veneta di On e a Carlo Maria Maggi. Bertoli inoltre era stata una fonte informativa del Sifar e poi del Sid, con tanto di retribuzione, e proprio da parte degli organismi di intelligence era scattata, subito dopo l’azione, la protezione e la copertura finalizzata a coprire l’identità politica dell’attentato. L’obiettivo della strage era quello di attentare alla vita di Rumor, presente alla commemorazione, colpevole di non aver proclamato lo stato di emergenza subito dopo la strage di Piazza Fontana e di aver promosso lo scioglimento di On nel febbraio 1972. In linea più generale, tuttavia, la strage si proponeva di determinare uno stato di caos e di tensione tale da rendere necessaria una svolta autoritaria. La matrice anarchica dell’attentato serviva solamente a mimetizzare i veri mandanti e responsabili dell’attentato, esattamente secondo le linee indicate nel Field Manual 30-31 e nel piano Chaos, volto a introdurre in gruppi di estrema sinistra elementi mimetizzati appartenenti a servizi di sicurezza o comunque legati agli ambienti estremisti, convincendo la popolazione che i colpevoli della strage fossero da individuare a sinistra. Per queste ragioni, e per tutti gli elementi emersi dalle inchieste giudiziarie che collegano Bertoli ad ambienti della destra e dell’intelligence, l’attentato alla Questura di Milano non può ritenersi un gesto isolato, ma va inserito all’interno della strategia della tensione e di un quadro costituito oltreoceano e già entrato in attività nei precedenti attentati che, attraverso una sofisticata opera di mimetizzazione, ha posto in essere l’operazione di occultamento della vera identità di Bertoli.
[NOTE]
948 L. Wollemborg, Stelle, strisce e tricolore, p. 322.
949 C. Gatti, Rimanga tra noi, cit. p. 123 e ss.
950 Il rapporto di Berlinguer al XII Congresso del Pci, in “L’Unità”, 14 marzo 1972; L. Montesi, La svolta atlantica, in “L’Europeo”, 12 settembre 1974, pp. 24-25.
951 L. Cominelli, L’Italia sotto tutela, cit. p. 127.
952 Il processo nei confronti di Bertoli, colto in flagranza, si concluse rapidamente con una condanna all’ergastolo emessa dalla Corte d’assise di Milano il 1° marzo 1975, confermata sia in appello che in cassazione e divenuta definitiva l’anno dopo. Più lungo fu invece l’iter del processo cui furono sottoposti Carlo Maria Maggi, Francesco Neami, Giorgio Boffelli, Amos Spiazzi e Carlo Digilio, accusati di essere stati i mandanti della strage e rinviati a giudizio il 18 luglio 1998 dal giudice istruttore di Milano Antonio Lombardi. A giudizio fu rinviato anche il generale Gian Adelio Maletti, capo del Reparto D del Sid, accusato di omissione di atti d’ufficio nonché di sottrazione e soppressione di atti e documenti riguardanti la sicurezza dello Stato. Le vicende giudiziarie e i fatti del 17 maggio sono ricostruiti da: P. Calogero, Questura di Milano, via Fatebenefratelli (17 maggio 1973), in A. Ventrone (a cura di), L’Italia delle stragi, cit. pp. 69-77.
Letizia Marini, Resistenza antisovietica e guerra al comunismo in Italia. Il ruolo degli Stati Uniti. 1949-1974, Tesi di dottorato, Università degli Studi di Macerata, 2020