L’urgenza di frenare la reazione centrifuga non accecò gli occhi del segretario del Pci

Da un punto di vista storico si può affermare che nei primi dieci anni dell’Italia repubblicana la linea politica del Pci rimase sospesa nel dubbio che le posizioni di sostegno alla democrazia, espresse in ripetute occasioni da Palmiro Togliatti, fossero solo una tattica surrettizia per nascondere una strategia rivoluzionaria. Tale dubbio non attraversava solamente militanti pieni di speranza ma, data soprattutto la situazione internazionale di guerra fredda, preoccupava non poco anche gli avversari politici.
In merito a ciò, sono due le congiunture nelle quali la linea politica del Partito comunista cerca di essere sistematizzata: la prima riguarda il periodo 1944-1945, quando la fine della guerra impone una riflessione sulla opportuna fisionomia che il Pci avrebbe dovuto assumere in vista della fase di ricostruzione del paese; la seconda giunge circa dieci anni più tardi, nel 1956, ed è effetto del dibattito stimolato dal XX Congresso del Pcus e del «rapporto segreto» su Stalin. In entrambi i casi, due congressi provarono a sciogliere il dubbio sulla linea politica del partito, linea che, pur rinnovata nel 1945, era rimasta ugualmente prigioniera in un limbo che confondeva osmoticamente tattica e strategia, alimentando così fantasie rivoluzionarie. L’analisi di questi due momenti ci permetterà di comprendere quali spazi questo nodo gordiano aprirà alla sinistra del Pci.
Tra il 1944 ed il 1945 Togliatti si era preoccupato di indicare chiaramente quali fossero le priorità che le organizzazioni di partito avrebbero dovuto seguire durante la guerra di liberazione. Così scriveva nel giugno 1944:
“Ricordarsi sempre che l’insurrezione che noi vogliamo non ha lo scopo di imporre trasformazioni sociali e politiche in senso socialista o comunista, ma ha come scopo la liberazione nazionale e la distruzione del fascismo. Tutti gli altri problemi verranno risolti dal popolo, domani, una volta liberata l’Italia tutta, attraverso una libera consultazione popolare e l’elezione di un’Assemblea costituente” <6.
Il segretario del Pci aveva inoltre insistito sulla necessità di combattere per la democrazia e di costruire un partito nuovo:
“Noi vogliamo una democrazia combattiva, che difenda la libertà distruggendo le basi oggettive della tirannide fascista e quindi rendendo impossibile ogni rinascita reazionaria, una democrazia che sia attivamente antifascista e antimperialista e perciò veramente nazionale, popolare e progressiva. […] Il partito nuovo che noi vogliamo creare tende inevitabilmente a essere, e dovrà dunque essere, il partito unico della classe operaia e dei lavoratori italiani, sorto dalla fusione delle correnti politiche proletarie attualmente esistenti, le quali non potranno fare a meno di portarvi, insieme con la loro forza numerica, organizzativa e politica, quegli elementi della loro tradizione che corrispondono ai compiti nuovi che stanno davanti a noi” <7.
Una formazione politica unica della classe operaia e dei lavoratori italiani con lo scopo di costruire così, senza rinunciare ai princìpi del marxismo-leninismo, una democrazia popolare e progressiva, dunque. La scelta di questa strategia si giustificava sulla base di due elementi, uno di carattere contingente e l’altro di carattere teorico. A guerra ancora in corso, il carattere contingente dipendeva dal contesto bellico internazionale: insistendo sull’obiettivo dell’unità nazionale, della lotta contro il nazifascismo e della liberazione dell’Italia, la «svolta di Salerno» del 1944 dava attuazione a quella politica di fronti popolari lanciata nel 1935 dal VII Congresso del Comintern e, più materialmente, era legata all’impossibilità di una rivoluzione socialista in una fase in cui gli Alleati occupavano il territorio italiano.
Più interessante è sottolineare l’elemento teorico che fondava la linea di Togliatti. Questi aveva infatti ben compreso quanto dense di verità fossero le riflessioni di Gramsci circa la realizzabilità di una rivoluzione socialista nei paesi occidentali nelle stesse forme con le quali essa si era realizzata in Russia dopo la Grande Guerra: mentre in Oriente il carattere ancora incipiente della società civile aveva reso più facile prendere il potere per via insurrezionale, in Occidente il carattere sostanzialmente maturo di quest’ultima rendeva preferibile intraprendere una strada diversa, una «guerra di posizione» lenta e prolungata, portata avanti per mezzo di un’egemonia culturale costruita all’interno di quella stessa società <8.
Ma se durante la guerra di liberazione quella formulazione poteva ancora apparire come una tattica – combattere per la democrazia per fare poi la rivoluzione – e per di più impreziosita dall’influenza del pensiero di Gramsci, a suggellare definitivamente la linea togliattiana di lotta per la «democrazia progressiva» fu l’approvazione durante i lavori del V Congresso del Pci, svoltosi a Roma tra il 29 dicembre 1945 ed il 5 gennaio 1946, del nuovo Statuto del partito, di cui l’art. 1 chiariva le finalità: “Il Partito comunista italiano è l’organizzazione politica dei lavoratori italiani i quali lottano in modo conseguente per la distruzione di ogni residuo del fascismo, per l’indipendenza e la libertà del paese, per la edificazione di un regime democratico e progressivo, per la pace dei popoli, per il rinnovamento socialista della società” <9.
Il concetto della «democrazia progressiva» usciva così da quella doppia interpretabilità generata dalla contingenza della guerra per diventare parte giuridica del documento fondante del Partito comunista eliminando – quantomeno formalmente – i dubbi circa gli obiettivi dei comunisti: costruire un partito nuovo e combattere all’interno della legalità democratica per un rinnovamento in senso socialista. Ciò appariva tanto più opportuno se si considera che tutto questo avveniva in un contesto di gestazione istituzionale che richiedeva una certa maturità politica affinché un forza come quella del Pci, globalmente percepita come eversiva, potesse partecipare, e da protagonista, alla fase costituente che di lì a poco si sarebbe aperta.
Quello che qui preme osservare è che non solo il concetto di «democrazia progressiva» rimase alquanto sfuggente nel suo significato preciso – aspetto che più volte è stato sottolineato dagli storici <10 -, ma che, proprio per questo, la reazione di alcune componenti del Pci tese o a mostrarsi piuttosto critica nei confronti di una formulazione che sembrava abbandonare definitivamente l’ipotesi rivoluzionaria iniziata con la Resistenza, o – e ciò valse prevalentemente per alcuni quadri del partito – a aderire alla linea del Pci ma continuando a credere che quella scelta fosse ancora identificabile come un’astuzia tattica, non come la strategia11. Ma al V Congresso la linea togliattiana fu comunque prevalente e il nuovo Statuto venne approvato a maggioranza.
La fisionomia politica con la quale il partito guidato da Togliatti si presentava all’inizio del 1946 era dunque quella di una formazione politica che, pur non rinunciando ai princìpi del marxismo-leninismo, aveva accettato di muoversi nella legalità democratica e di combattere, all’interno di essa, in nome di una trasformazione socialista della società stessa. La linea togliattiana trovava prevalentemente l’appoggio del partito anche se una parte di esso rimaneva apertamente critica e intimamente convinta della realizzabilità di un’altra soluzione.
Nel 1956 nove anni di opposizione parlamentare senza dubbio valsero al Pci l’onore della credibilità di posizioni che, allora, attendevano ancora l’onere della prova. Ma ad offrire o, meglio, a costringere ad un’ulteriore fase di chiarimento della strategia comunista fu prima il XX Congresso del Pcus, tenuto a Mosca tra il 14 e il 25 febbraio, e successivamente la pubblicazione, il 4 giugno sul «New York Times», del «rapporto segreto» di Chruščëv sui crimini commessi da Stalin <12. Posto davanti al rischio di una profonda crisi del movimento comunista italiano, Togliatti rispose in due tempi cercando di frenare l’effetto potenzialmente disgregante che soprattutto il «rapporto segreto» avrebbe potuto generare e che in parte generò.
Ora, l’urgenza di frenare la reazione centrifuga non accecò gli occhi del segretario del Pci il quale comprese la grande occasione che quella circostanza gli avrebbe dato. Le argomentazioni sostenute da Togliatti, infatti, non solo seguivano l’intento di rafforzare la giustificazione della via italiana al socialismo ma soprattutto – ed è questo l’aspetto che qui preme più evidenziare – gli permisero di elaborare una tesi volta a dimostrare come la scelta di una via italiana al socialismo si ponesse in perfetta e coerente continuità sia con la storia stessa dell’Unione Sovietica depurata dalla degenerazione stalinista, sia con l’ideologia leninista.
Occorre in primo luogo ricordare che uno degli aspetti più significativi del XX Congresso fu l’affermazione fatta da Chruščëv riguardo al superamento della dottrina marxista-leninista circa l’inevitabilità della guerra contro il capitalismo. Affermando la possibilità di una coesistenza pacifica tra sistemi economici diversi, il segretario del Pcus non rinunciava affatto a combattere ideologicamente il capitalismo ma affidava alla «superiorità intrinseca» del socialismo la garanzia di una sua certa vittoria. Non solo la guerra non era più inevitabile, ma in quell’occasione Chruščëv andò oltre, riconoscendo (un riconoscimento in odore di inevitabile concessione data la divergenza con la Jugoslavia di Tito e la Cina popolare) come potessero esserci nuove forme di passaggio verso il socialismo, non necessariamente identiche a quelle che avevano caratterizzato l’Unione Sovietica <13.
Entrambe le posizioni – soprattutto la seconda – andavano logicamente a corroborare la scelta compiuta dal Pci di una via nazionale al socialismo. Tuttavia l’operazione con cui Togliatti cercò di rafforzare ulteriormente tale posizione fu molto più sottile poiché, consapevole dei destinatari precisi cui quel riconoscimento si indirizzava, si addentrò in una rilettura della storia dell’Urss nell’intento di dimostrare l’inevitabile evoluzione democratica, storicamente determinata, del sistema sovietico in assenza delle storture dello stalinismo.
Il primo passaggio della tesi di Togliatti muove dal tentativo di ricostruire le modalità attraverso le quali fu reso possibile lo stalinismo in Unione Sovietica. Rifiutando la spiegazione monocausale proposta dai sovietici legata al culto della personalità del dittatore, nell’intervista rilasciata a «Nuovi argomenti» del giugno 1956 Togliatti evidenzia la necessità di una «attenta indagine del modo come al sistema caratterizzato dagli errori di Stalin si giunse» <14. Sia pur lasciando la verità dell’ultima parola ai compagni sovietici, tale richiamo gli permette di ipotizzare che l’origine dello stalinismo sarebbe consistita in una degenerazione patologica di una necessità fisiologica: la «centralizzazione del potere» e «l’adozione di misure repressive radicali per schiacciare la controrivoluzione» dopo il 1917 finirono per riprodursi successivamente, anche dopo la loro necessità storica, e furono sapientemente dirette da Stalin, le cui capacità furono tali che anche le forze sane del partito che vi si riunirono intorno «non poterono più opporsi quando incominciarono a venire alla luce le cose cattive». Era dunque «dal partito» che, secondo Togliatti, «ebbero inizio le dannose limitazioni del regime democratico» <15.
Questa riflessione veniva ripresa ed approfondita pochi mesi dopo all’VIII Congresso del Pci, tenutosi a Roma tra l’8 ed il 14 dicembre, in una situazione meno tesa ma certamente non meno complessa. Il ragionamento geometrico muoveva dall’importanza del XX Congresso e del «rapporto segreto» circa «la strategia e la tattica del movimento comunista: l’affermazione della possibilità di evitare la guerra in conseguenza delle modificazioni stesse della struttura del mondo, il riconoscimento della possibilità di un’avanzata verso il socialismo che escluda la violenza insurrezionale e si compia nell’ambito della legalità democratica, utilizzando anche gli istituti parlamentari» <16. Rifiutando così la «trasposizione meccanica» dell’esperienza sovietica ai paesi che lottavano per il socialismo, Togliatti parlava di «sviluppi creativi» pur rimanendo dentro ad uno spazio di legittimità ideologica:
“La indispensabile ricerca da parte di ciascun partito di una propria via di avanzata e lotta per il socialismo, nonché di una propria via di sviluppo interno, esige autonomia di ricerca e di giudizio nella applicazione alle situazioni nazionali dei princìpi del marxismo-leninismo che sono la nostra guida. Questi stessi princìpi non sono un dogma. Ci forniscono un metodo, seguendo il quale noi siamo in grado di intendere la realtà, di adeguare ad essa la nostra azione, e attraverso l’azione sviluppare gli stessi princìpi e scoprire nuove leggi regolatrici della creazione di un mondo socialista […]. Tener fede ai princìpi e da essi dedurre tutto ciò che è necessario per il nostro rinnovamento, questo è il compito che oggi sta davanti a tutti noi” <17.
Ora, la forza di questa posizione – che si sarebbe concretizzata in quella stessa occasione nell’espressione «unità nella diversità» – veniva a fortiori confermata dal completamento del ragionamento aperto da Togliatti proprio qualche mese prima. Il segretario del Pci esprimeva, in modo ora chiaro e distinto, l’inevitabilità della democrazia sovietica qualora essa non fosse stata annientata dalle azioni compiute da Stalin. Riferendosi alla storia dell’Urss, Togliatti ribadiva che quando “la evoluzione della base economica era già arrivata a un punto che consentiva ed esigeva una estensione della vita democratica, questa non venne attuata, e si ebbero invece restrizioni e chiusure artificiali. Qui mi pare stia la chiave che spiega come in una società socialista, il cui carattere sostanzialmente democratico risulta anche solo dalla continua iniziativa, dall’attività e dalla creazione economica e politica delle masse popolari anche nelle condizioni più difficili, la democrazia poté subire, nel partito e fuori di esso, le violazioni e limitazioni che oggi si denunciano” <18.
Qual era la forza implicita che si nascondeva dietro un’argomentazione così sottile? Sostenere che, in assenza delle storture compiute dallo stalinismo, anche l’Unione Sovietica si sarebbe storicamente determinata come società democratica significava fondare la scelta di una via italiana al socialismo costruita nella legalità democratica per mezzo di una legittimazione che si inseriva in ideale continuità con la storia stessa dell’Urss, soprattutto ora che il XX Congresso aveva mostrato il coraggio di denunciare e correggere proprio quelle storture. In sostanza, significava non rinunciare alla forza dell’esempio ma, in forza dell’errore dell’esempio, imitarlo con genuina originalità.
[NOTE]
6 P. Togliatti, Le istruzioni alle organizzazioni di partito nelle regioni occupate, in Id., Opere scelte, a cura di G. Santomassimo, Editori Riuniti, Roma 1974, pp. 331-332.
7 P. Togliatti, Partito nuovo, in «Rinascita», 1944, 4, in ivi, pp. 372-373.
8 P. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 2006, pp. 51-57.
9 Statuto del Pci, approvato al V Congresso (29 dicembre 1945 – 5 gennaio 1946), citato in A. Vittoria, Storia del Pci. 1921-1991, Carocci, Roma 2006, pp. 60-61.
10 Cfr. Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, cit., pp. 52-53.
11 Vittoria, Storia del Pci, cit., p. 59. In particolare, si vedano le posizioni assai critiche di Secchia sulla costruzione del «partito nuovo»; cfr. ivi, pp. 63-64.
12 Il «rapporto segreto» fu pubblicato in Italia da «Il Punto» il 9 giugno.
13 Cfr. E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. 1918-1999, Laterza, Roma-Bari 2002, pp. 851-852.
14 P. Togliatti, Intervista a «Nuovi argomenti», in «Nuovi argomenti», 1956, 20, in Id., Opere scelte, cit., p. 715.
15 Ivi, p. 717.
16 P. Togliatti, Rapporto e conclusioni all’VIII Congresso nazionale del Pci, in Id., Opere scelte, cit., p. 786.
17 Ivi, pp. 792-793.
18 Ivi, p. 798.
Andrea Bertini, Una sola moltitudine. Rivoluzione e modernizzazione alle origini del Sessantotto, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pisa, Anno accademico 2013-2014