Negli stessi giorni Vitalone alimenta le polemiche con un’intervista a Repubblica in cui attacca tutta la corrente di Magistratura Democratica

L’11 gennaio 1980 il neo eletto senatore democristiano Claudio Vitalone rivolge un’interpellanza al ministro di Grazia e giustizia insieme ad altri 21 colleghi (tra cui Massimo De Carolis, Silvio Coco, Libero Mazza e Luigi Granelli), in cui accusa sei magistrati <80 della capitale di contiguità con i terroristi di sinistra. Secondo un documento sequestrato su ordine della procura di Roma, spiegano i senatori, «emergono precisi collegamenti tra appartenenti ad organizzazione eversiva ed i magistrati» <81; i democristiani accusano anche uno dei sei, il pretore Luigi Saraceni, di aver ammesso di essere un terrorista in un’intervista <82. Il documento cui si fa riferimento era stato rinvenuto otto anni prima nella casa di un membro di Potere Operaio, poi inquisito per complicità nel sequestro di Aldo Moro (inchiesta cui Vitalone ha partecipato e quindi avuto accesso al documento in questione), mai considerato dagli inquirenti nel senso suggerito nell’interpellanza; in esso, sostanzialmente, si proponeva una lista di magistrati fidati cui chiedere consigli e aiuto in caso di bisogno.
Molte sono le reazioni sdegnate, a cominciare da Magistratura democratica, la corrente cui aderiscono i sei giudici accusati, ma anche la CGIL e la Uil di Benvenuto <83 si dimostrano critiche; 21 magistrati della procura di Roma stigmatizzano il comportamento di Vitalone, fra cui Enrico De Nicola, che pure in passato aveva espresso biasimi nei confronti dei sei magistrati accusati nell’interpellanza. Di forte critica nei confronti dell’iniziativa dei senatori è anche l’atteggiamento di Pci e Psi. Per i comunisti si pronuncia Pietro Barcellona con un’editoriale in cui <84 accusa Vitalone e spiega che si vuole «incentivare la possibilità che nell’opinione pubblica si diffonda il giudizio che le lotte operaie e sindacali e violenza terroristica siano la stessa cosa»; sull’Avanti pubblica un intervento Lelio Lagorio <85 in cui attacca duramente i 22 senatori. Ambedue i partiti rivolgono al governo un’interrogazione sul caso <86. Si interessa della questione anche il Presidente Pertini, il quale chiede chiarimenti al ministro della Giustizia Morlino.
Il Csm apre un’inchiesta ed invita i senatori democristiani a deporre, ma questi declinano l’invito <87 suscitando le critiche del commissario Almerighi, mentre qualche giorno dopo Morlino interviene spiegando che il governo non può prendere i provvedimenti richiesti dai senatori, ovvero chiedere la sospensione dei sei giudici, mentre Granelli sembra prendere le distanze dall’iniziativa in un’intervista al Messaggero in cui dice: «Vitalone ha detto che possedeva altra documentazione ma io non sono entrato nel merito, non ho voluto nemmeno vederla…»; «Granelli sembra defilarsi», è la conclusione dell’Avanti <88. Negli stessi giorni Vitalone alimenta le polemiche con un’intervista a Repubblica in cui attacca tutta la corrente di Magistratura Democratica.
Intanto la situazione si complica ulteriormente per iniziativa della procura di Roma. Dopo aver aperto un’indagine sul caso, il Csm decide di sentire il procuratore Gallucci, il quale però non si presenta, spiegando che nel frattempo la procura aveva aperto un’inchiesta penale sui sei magistrati e su altri quattro (tra cui i membri “togati” del Csm Coiro, e Viglietta <89, della sezione romana di Md) i cui nomi e numeri di telefono sono stati rinvenuti presso l’emittente radiofonica Onda rossa che ha come riferimento Autonomia; il fascicolo viene inviato, come richiede la procedura, alla Cassazione la quale individua Firenze come sede per il procedimento <90. Il magistrato De Nicola, titolare dell’inchiesta su Onda rossa, afferma di aver appreso «con stupore e sgomento» la notizia dell’apertura dell’inchiesta <91, mentre l’organo del Psi, in linea con l’ispirazione garantista del partito, spiega che «se basta un numero di telefono in una sede di associazione o di un’organizzazione ritenuta eversiva ad autorizzare sospetti sui cittadini, si rischia di riempire i tribunali di procedimenti contro persone del tutto estranee a qualsiasi attività contro la legge e di perdere le fila della vera organizzazione terroristica» <92.
A febbraio gli sviluppi della vicenda si accavallano con l’emergere dello scandalo Italcasse e con la fuga dei fratelli Caltagirone <93. Vitalone rilascia una nuova intervista, questa volta a Epoca in cui accusa i membri del Csm Michele Coiro e Francesco Siena (entrambi aderenti a Md) i quali, secondo l’espressione del senatore, «si annidano nel Csm», di aver divulgato un documento del Consiglio che riguarda proprio lui (nell’intervista Vitalone non parla del contenuto del documento, che riguarda i suoi rapporti con i Caltagirone <94) e stabilisce un nesso tra una lettera da lui inviata al vicepresidente del Csm Vittorio Bachelet il 12 febbraio e l’omicidio del giurista cattolico da parte delle Brigate Rosse, avvenuto lo stesso giorno; «c’è una tremenda consecutio che non è solo di tempi» afferma Vitalone. Mentre l’Unità ribatte: «Si tratta di un’accusa gravissima che appare tanto più odiosa in quanto il senatore Dc non si cura – come ormai è suo solito – di spiegare e dimostrare ciò che dice, gettando fango sui giudici di un’istituzione dello Stato così delicata come il Csm» <95. Ma poco dopo il Csm rende noto che la missiva di Vitalone a Bachelet non riguardava i magistrati accusati di simpatie verso i terroristi, ma la divulgazione del dossier su Vitalone, mentre si scopre che nei documenti sequestrati nella perquisizione a Onda rossa c’erano i recapiti di decine di magistrati.
L’Unità segnala con sdegno che Gustavo Selva, il cui nome figurerà tra i membri della P2, su Rai due ha offerto 15 minuti di «intervista-farsa» a Vitalone, nella quale il giornalista Bucarelli lo tratta con «molto riguardo, il nome dei Caltagirone non è stato neppure pronunciato nell’intervista» <96. Il Pci formula un’interrogazione al governo, di cui si fanno carico Violante e Spagnoli, in cui si afferma che «non è ammissibile che dietro la protezione dell’immunità parlamentare possano essere sollevati mostruosi sospetti su un intero settore di un’istituzione dello stato come il Csm, senza alcuna spiegazione fondata, arrivando ad accomunare un gruppo di magistrati agli assassini di Bachelet» <97;
anche Fabrizio Cicchitto, per il Psi, presenta un’interrogazione dai contenuti analoghi. Il Popolo si limita a narrare gli sviluppi del caso, ed in particolare la smentita da parte del Csm circa i possibili nessi tra la lettera di Vitalone e l’omicidio di Bachelet, con molta cautela e non poche ambiguità <98.
Da una parte questo episodio costituisce il primo di una serie di tentativi di intimidazione da parte di un settore della magistratura romana legato alla Dc, e in particolare alla corrente di Andreotti, ai danni del Csm e del suo potere di governo sulla magistratura; diversi altri seguiranno, soprattutto tra la fine del 1982 e l’inizio dell’anno successivo <99. Esso d’altra parte si intreccia con la decisione e la spregiudicatezza di un singolo magistrato e senatore, Vitalone, che anche in passato (ma vi saranno ulteriori significativi episodi anche in futuro) aveva mostrato di non avere alcuna remora nel ricorrere a qualsiasi strumento a sua disposizione nei casi in cui si vede personalmente attaccato o minacciato (o quando ritiene minacciati membri della sua famiglia <100).
Quel che risulta più difficile da spiegare è semmai come riesca a trascinare con sé significativi pezzi del partito <101, anche delle correnti che non gli sono politicamente vicine. Socialisti e comunisti dimostrano un punto di vista piuttosto simile nel giudicare severamente l’interpellanza del Senato, ma con almeno una sfumatura diversa: mentre i socialisti fanno appello ai principi garantisti e ricordano che nel 1972 (anno di ritrovamento del documento oggetto dell’interpellanza) Potere operaio non era un’organizzazione dedita ad attività illegali, i comunisti, pur criticando con decisione Vitalone, mettono in rilievo come, a volte, alcuni aderenti a Md commettano alcuni eccessi. Giuseppe Cutturri, ad esempio, critica su Rinascita Vitalone e gli altri senatori soprattutto per il metodo prescelto, il quale, anche nel caso che la denuncia avesse avuto fondamento, sarebbe stato da censurare in quanto lo strumento adeguato sarebbe stato quello di un’inchiesta giudiziaria riservata, non la denuncia pubblica: «Scegliere un organo che può immediatamente attivarsi per assicurare alla giustizia i colpevoli, o eccitare l’opinione pubblica usando come megafono Parlamento e mezzi d’informazione, non sono la stessa cosa rispetto ai risultati». L’obiettivo che Vitalone e gli altri senatori desiderano raggiungere, secondo Cutturri è un altro: “L’iniziativa parlamentare assume tale significato obiettivo, per il momento in cui interviene: che è quello di uno scontro assai duro per la conversione in legge del decreto governativo, contenente discusse misure contro il terrorismo […] l’interpellanza gioca, in maniera surrettizia, a favore della linea che vuole sottrarre potere alla magistratura”. Poi però il settimanale del Pci non risparmia critiche anche a certi magistrati di sinistra: “Credo che le forze di sinistra interne alla magistratura debbano riflettere anche autocriticamente. Per la corrente di Md, l’equivoco e l’ambiguità sono emblematicamente condensati in quello stesso episodio Tolin, che ne segnò nel 1969 la svolta di coscienza, una nuova storia: c’erano allora i segni di una strategia autoritaria che ha poi coinvolto e attraversato certi settori della politica e dello Stato – e Md seppe avvertirli e denunciarli tempestivamente – ma c’era anche la pubblicazione di un grafico su come si costruisce una molotov”. <102
Eppure probabilmente Cutturri attribuisce a Vitalone intenti dal respiro molto più grande di quello reale; vi sono buone probabilità che il senatore non cercasse, con l’interpellanza, alcun effetto di politica generale, ma distogliere l’attenzione dal dossier discusso al Csm circa i suoi rapporti con Caltagirone. Quando il consigliere Vincenzo Summa, (eletto in quota Pci) propone di fare ulteriori indagini sul magistrato e parlamentare, questi non esita a scrivere una lunga lettera a Berlinguer per chiedergli di intervenire <103.
I conflitti in seno alla magistratura, con significativi riflessi sui partiti politici, hanno una portata ancor maggiore nel caso che si sviluppa con forza a partire da febbraio 1980 e che riguarda i finanziamenti concessi dall’Italcasse con criteri poco trasparenti e che vedono tra i protagonisti i fratelli Caltagirone. I guai giudiziari della Italcasse, la banca delle Casse di risparmio italiane, erano cominciati nel 1977 quando erano emersi con una certa chiarezza i prestiti anomali che l’istituto aveva concesso a società della Esso nel 1968, versando il corrispettivo a persone fisiche non identificate, con girate su assegni che erano poi finiti nelle casse dei partiti di governo. La circostanza che la Esso si fosse assunta l’onere di restituire il debito all’Italcasse aveva fatto pensare ad una ramificazione dell’affare dei petroli scoppiato ad inizio 1974. Le indagini erano state condotte nel corso del 1978 dal sostituto procuratore di Roma, Di Nicola, ed avevano quale principale indagato il presidente dell’Italcasse, Giuseppe Arcaini; esse erano state poi verosimilmente ostacolate con vari stratagemmi da altri magistrati romani, tanto che Di Nicola, che non era riuscito a trarre in arresto Arcaini <104 a causa di curiosi disguidi, aveva deciso di fare un esposto in proposito al Csm <105. Comunque nel giugno 1978 l’inchiesta era proseguita con l’invio di comunicazioni giudiziarie ai segretari amministrativi dei quattro partiti del centrosinistra: Filippo Micheli, Dc; Augusto Talamona, Psi; Giovanni Polito, Psdi; Oscar Mammì, Pri <106. Si tratta del caso noto come dei “fondi neri”, uno dei due filoni di inchieste legate all’Italcasse.
L’altro filone, quello dei cosiddetti “fondi bianchi”, riguarda invece prestiti, spesso di notevole entità, concessi ad aziende senza che vi fossero i necessari requisiti normalmente richiesti per il credito bancario. Le operazioni finanziarie più discusse sono quelle che favoriscono la Sir del finanziere Nino Rovelli, la Nuova Flaminia di Domenico Balducci e Giuseppe Calò, legati alla banda della Magliana <107, e le aziende dei fratelli Caltagirone. In particolare, nel gennaio 1978, l’istituto aveva deciso (a maggioranza e con il parere contrario di Cariplo ed altre casse di risparmio) di rinegoziare i finanziamenti per l’ingente valore di 276 miliardi, ad aziende di proprietà dei fratelli Caltagirone, trasferendoli ad una moltitudine di altre imprese che si riveleranno “scatole vuote” <108. Nell’estate 1978 il PM Jerace, quando Arcaini era già latitante, aveva ordinato l’arresto di altri alti dirigenti di Italcasse, mentre all’azione della magistratura si era aggiunta l’inchiesta ispettiva della Banca d’Italia (alcuni osservatori vedranno nella determinazione dell’istituto di emissione una delle ragioni per l’incriminazione di Baffi e Sarcinelli <109).
[NOTE]
80 Si tratta di Franco Marrone, Aldo Vitozzi, Ernesto Rossi, Francesco Misiano, Gabriele Cerminara e Luigi Saraceni; tutti di Magistratura Democratica.
81 “Vitalone ed altri senatori Dc accusano sei magistrati di simpatia per le Br”, La Stampa del 12 gennaio 1980
82 Nel luglio del 1978 Saraceni aveva rilasciato un’intervista all’Europeo in cui, parlando di Piperno aveva affermato: «La gente che ha contiguità col terrorismo è tanta, c’è tutto il 68, tutta la sinistra extraparlamentare. C’è la storia di molti di noi e io non mi escludo. Si tratta di spezzare definitivamente questa contiguità…». Prima dell’interpellanza Saraceni aveva sporto denuncia nei confronti di Wilfredo Vitalone, avvocato e fratello di Claudio.
83 “Il governo deve fare subito chiarezza sulle accuse di Vitalone ai sei giudici”, Unità del 13 gennaio 80
84 “Vitalone, il terrorismo, il 68”, Unità del 17 gennaio 80
85 “Magistrati talpa o magistrati innovatori”, Avanti del 13 gennaio 80
86 “Se c’è un documento che accusa i magistrati il governo lo tiri fuori”, Avanti del 19 gennaio 80
87 “Magistrati e BR, nessuna rivelazione di Vitalone”, Unità del 22 gennaio 80
88 “Granelli, non so nulla, io non volevo… Vitalone rischia di rimanere solo”, Avanti del 18 gennaio 80
89 “Sporgono denuncia i 10 giudici finiti sotto inchiesta”, Unità del 5 febbraio 80. Viglietta spiega subito di essere stato nel mirino di Autonomia (era nella lista di magistrati da colpire nel covo di via G. Cesare, in cui erano stati arrestati Faranda e Morucci), organizzazione che lui aveva perseguito con ordini di cattura.
90 Nel dicembre 1980 il tribunale di Firenze stabilirà di non doversi procedere per i dieci magistrati.
91 “I magistrati eversori denunciano la manovra dei loro accusatori”, Avanti 5 febbraio 80
92 “Giudici eversori, molto rumore ma poca sostanza”, Avanti del 4 febbraio 80
93 Vedi pag. 144
94 Vitalone aveva trascorso, con la propria famiglia, il capodanno di fine 1978 a Cortina in compagnia di Gaetano Caltagirone, il quale aveva provveduto a pagare il soggiorno dell’allora magistrato in servizio. L’episodio era emerso in seguito all’apertura di un inchiesta, da parte del pretore locale, La Monica, per assegni irregolari emessi a pagamento del conto dell’albergo. La Monica, che aveva convocato Vitalone come teste, era stato subito denunciato da quest’ultimo per abuso d’ufficio. “A Vitalone saltano i nervi per quel capodanno a Cortina”, Unità del 7 dicembre 1980
95 “Inaudite accuse di Vitalone contro giudici del CSM”, Unità del 27 febbraio 80
96 “Vitalone smentito dal CSM per le accuse ai giudici di MD”, Unità del 29 febbraio 80
97 “Chiesti provvedimenti contro Vitalone”, Unità del 1 marzo 80
98 Ad esempio “Documento del CSM sulle dichiarazioni del Sen. Vitalone”, Il Popolo del 29 febbraio 80, in cui non si spiega in cosa consistesse l’accusa di Vitalone ai membri del Csm, oppure “Documento del CSM sulle dichiarazioni del Sen. Vitalone”, Il Popolo del 8/3/80, in cui si annuncia la dichiarazione del Csm che respinge le accuse di non fedeltà alla Repubblica di alcuni membri, ma senza spiegare da dove venga l’accusa.
99 Vedere par. 4.9
100 Ad esempio in occasione dell’arresto del fratello Wilfredo nel 1982; vedere pag. 197. Su Vitalone vedere anche C. Bonini e F. Misiani, La toga rossa. Storia di un giudice, Marco tropea Editore, Milano, 1998. Pag. 48s.
101 “Dobbiamo fare completa luce sul terrorismo”, Discussione del 26 gennaio 1980, che dà anche notevole spazio ad un’intervista al senatore.
102 “L’obiettivo (mancato) di Vitalone e i veleni del sospetto”, Rinascita, del 25 gennaio 1980
103 Questo almeno appare l’unico senso plausibile di una lettera di sei pagine contenente considerazioni varie senza una logica apparente, datata 6 marzo 1980. La risposta del segretario del Pci è garbata ma piuttosto asciutta. Fondazione Gramsci, Archivio del Pci, Busta 0466, Pagine 0883-0889.
104 Arcaini fugge poi dall’arresto lasciando il Paese e muore all’inizio del 1979.
105 Unità del 28 maggio 77
106 Unità 24 giugno 78
107 Vedere sentenza della Corte d’assise d’appello di Perugia per l’omicidio di Mino Pecorelli del 17/11/2002, depositata il 13/02/2003. Pag. 14
108 Unità del 27 gennaio 78
109 Vedere pag. 119
Edoardo M. Fracanzani, Le origini del conflitto. I partiti politici, la magistratura e il principio di legalità nella prima Repubblica (1974-1983), Tesi di dottorato, Sapienza – Università di Roma, 2013