Lussu dileggia l’ottimismo del PCd’I

L’11 e 12 maggio 1938, un convegno a Parigi vara una “Carta ideologica” di GL che ribadisce la formula di «movimento d’azione antifascista e socialista». Il ceto di riferimento, a dispetto delle indicazioni stizzite degli alleati, è il proletariato, industriale e agricolo; l’orizzonte: «un collettivismo di tipo federalista che realizzi la socializzazione dei mezzi di produzione». Un’impostazione, è evidente, forgiata da Lussu <492. Secondo Garosci, quest’ultima stagione vede il movimento, al netto di alcune posizioni di retroguardia, primeggiare ancora sul «terreno intellettuale», con un’acutezza sopra la norma del resto dell’emigrazione antifascista. GL dimostra «la vecchia prontezza di percezione» su alcuni temi cruciali, scrutando le traversie europee con lucidità. Sopravvivere, nel biennio post-Rosselli, avrebbe addirittura significato non lasciar morire le radici sulle quali innestare un corpo unitario, allo scoppio della guerra <493. Sulle colonne di «Giustizia e Libertà» fra luglio e settembre si sviluppa una serie di cinque articoli dove Tirreno (lo pseudonimo scelto da Emilio Lussu per la pubblicistica) illustra compiutamente, senza lesinare bordate, il proprio progetto per l’unità socialista: una sorta di lascito del capitolo giellista della sua vita. “Note polemiche e considerazioni politiche”, è il titolo di quella rubrica. Il primo intervento nasce come replica a quello, quasi omonimo, dello «Stato Operaio», che gli ha negato lo status di antifascista. Tirreno lamenta le aperture dei comunisti ai fascisti, quando nel frattempo assiste alla recrudescenza inquisitoria riservata a un compagno d’opposizione come lui. Se il foglio gli ha rinfacciato l’antico interventismo, Lussu bolla come deficienza rinfrescare il terrore per un conflitto che egli, se avesse passaporto francese, sosterrebbe per non arrendersi al nemico. «Non ho niente da ripudiare del mio passato – scandisce -. […] Ogni periodo della mia vita è una tappa della mia esperienza. E ho sempre pagato di persona. […] Tutta la mia vita è sempre stata tesa a cercar di diventare uomo: il che è ben difficile. Ma, se il mondo crollasse, io spero di morire da uomo. Se il mondo crolla, sono parecchi quelli che muoiono da macchina da scrivere». Parlando al plurale, sostiene di nuovo che l’antifascismo non si sia saputo battere; il proletariato paga tuttora la débâcle dei suoi interlocutori politici, sbaragliati dallo squadrismo. Propugna, provocatorio, un aggiornamento dei criteri di selezione dei quadri: basta oratoria da comizio o mattoni inflitti alle riviste di partito, servono apostoli che accendano le masse e le guidino in caso di battaglia <494.
Nella puntata del 22 luglio, dileggia l’ottimismo del PCd’I, poco schizzinoso al punto che a suo dire arruolerebbe persino capitale e gerarchi in camicia nera. Invece, e questo è il credo di GL, sono riscattabili solo le classi vessate dalla tirannide con il ricatto del salario. A parità di degrado, secondo lui sono le campagne a garantire più alto potenziale d’irrequietezza; a suffragio della tesi cita come élite militare i corpi con base rurale: i marocchini per la Spagna, gli Alpini del Regio Esercito e gli omologhi francesi (i Chasseurs alpins). Con un avvertimento: «la guerra civile, come la guerra comune – ricorda l’autore di “Un anno sull’Altipiano” -, è un’immensa tragedia che esige, da chi la accetta, uno spirito eroico». La conclusione è interlocutoria: nessuno ha titoli, all’estero, per discettare di insurrezioni: né lui (che però ne ha scritto) né GL, ma neppure i comunisti, che – è tagliente Tirreno – si vantano come avessero animato le rivoluzioni di febbraio e ottobre <495. Il numero successivo è dedicato alla comunanza di destino fra contadini e operai «nel grande cammino della redenzione umana». L’esodo di milioni di concittadini, costretti a partire dai paeselli in cerca di fortuna sull’altra sponda dell’Oceano, testimonia l’estrema miseria dello Stivale, soprattutto Mezzogiorno e Isole. Di per sé, l’indigenza non è sufficiente a provocare sommosse: la dittatura non capitolerà mai se il proletariato non prenderà coscienza degli sfruttamenti patiti. L’avanguardia rivoluzionaria sta nei contadini, ma sarà arduo scavalcarne le diffidenze se questi temono, fondatamente visti i disastri sovietici, di essere sacrificati a cose fatte al cospetto degli operai. «Per la piccola borghesia in genere e per i contadini in ispecie, in Italia, l’esempio della Russia è uno spettro e non un allettamento». Sotto questa dicotomia, secondo Lussu, sono insabbiati gli organi dei comunisti, cioè la «Voce degli Italiani» e lo «Stato Operaio» <496.
Una settimana dopo, Tirreno si occupa di un problema annoso: l’unità dell’antifascismo. A malincuore, riscontra la dispersione dei movimenti all’estero, incapaci di dare continuità a patti occasionali. La condotta dei comunisti, a suo avviso, rappresenta il freno più accanito: l’«ipertrofia di mezzi» ha determinato «una conseguente ipertrofica concezione di sé» e dunque «il Partito comunista italiano si sta burocratizzando», con una sclerosi analoga a quella avvenuta in Russia, dove però c’è stata una rivoluzione che manca nel curriculum dei compagni italiani. Secondo Lussu, il problema s’è fatto psicologico prima di politico: «Ognuno pensa a ingrandire la propria ditta rovinando le altre» <497. Senza correzioni di tiro, questa concorrenza deleteria può portare solo all’isolamento. La cura del fallimento, secondo lo scritto, è la fusione delle correnti socialiste: il partito unico, che consentirebbe di riannodare i legami con l’Italia. L’Internazionale potrebbe avere dei contraccolpi in termini di «tessere», perché la formazione unitaria aspirerebbe al consenso di masse, ma stando a Tirreno ne beneficerebbe la strategia in generale. Una trazione bicefala godrebbe dell’ascendente dei socialisti su quanti sono lasciati sgomenti dal modello russo: «[…] suscita diffidenze infinite il fatto che ideali di libertà e democrazia vengano lanciati da un paese come l’U.R.S.S. – mette in guardia -, in cui esiste la tragica esigenza di salvare una rivoluzione, ma non si può dire esistano libertà e democrazia» <498.
Il ciclo finisce con uno scritto più meditativo: ricucire il movimento socialista è un’operazione volta a ricompattare il proletariato italiano, sconnesso e disperso secondo il giellista. Dopo troppo tempo perduto in progetti fumosi, il cantiere va avviato puntando sul presente, vanno cioè capitalizzate in fretta le affinità già esistenti. Lussu si spinge sul piano semantico: ‘comunismo’ e ‘socialismo’ sono stati considerati a lungo sinonimi dai non addetti ai lavori; a insistere sulla sottigliezza sono gli apparati di partito. Il marxismo non può essere il minimo comun denominatore dell’apparentamento, perché tutti si dichiarano tali, persino i trotzkisti, ma con interpretazioni confliggenti. Da questo punto di vista, GL è inquadrata come «un movimento italiano ed europeo di revisione marxista» con l’obiettivo di un’unificazione tempestiva sulla base di un programma concreto a breve termine, mentre per le dispute ideologiche ci sarà sempre tempo: a fascismo battuto <499.
Alla fine di settembre, in concomitanza con la crisi dei Sudeti e la conferenza di Monaco, i piani d’intesa caldeggiati strenuamente da GL fanno un progresso: nasce un Comitato di coordinazione per l’unità antifascista. Vi siedono rappresentanti del PSI (Nenni), del PCd’I (Giuseppe Di Vittorio), del PRI (Mario Pistocchi); a nome di GL c’è Lussu <500.
[NOTE]
492 Cit. in BRIGAGLIA M., Emilio Lussu e Giustizia e Libertà, cit., pp. 222-224; cfr. anche BRESCIANI M., Quale antifascismo?, pp. 213-214. La Carta viene pubblicata nel numero di «Giustizia e Libertà» del 17 giugno 1938.
493 Cfr. GAROSCI A., Storia dei fuorusciti, cit., pp. 184-186; le citazioni sono da a p. 185.
494 Cfr. LUSSU E., Note polemiche e considerazioni politiche, in «Giustizia e Libertà» del 15 luglio 1938, raccolto in Id., Tutte le opere, vol. 2, cit., pp. 589-592; la citazione è alle pp. 590-591. Tirreno si difende dagli attacchi personali contenuti in Note e polemiche, in «Lo Stato Operaio», XII, 11, 15 giugno 1938.
495 Cfr. Id., Note polemiche e considerazioni politiche, in «Giustizia e Libertà» del 22 luglio 1938, raccolto ivi, pp. 593-597; la citazione è a p. 596. Nell’apertura, Lussu si è rammaricato giocosamente dell’accanimento dell’articolista dello «Stato Operaio», paragonato a un padre dell’Ecclesia: «“Cretino, empio, bestemmiatore, pazzo, svergognato, sicofante, calunniatore della Chiesa, cane arrabbiato che attacca Cristo”. Questi erano gli argomenti filosofici con i quali San Gerolamo, “una ottima macchina da scrivere del suo tempo”, rispondeva a un contraddittore»; ivi, p. 595, corsivo nostro.
496 Cfr. Id., Note polemiche e considerazioni politiche, in «Giustizia e Libertà» del 29 luglio 1938, raccolto ivi, pp. 597-602; le citazioni provengono rispettivamente da p. 598 e p. 602.
497 Cfr. Id., Note polemiche e considerazioni politiche, in «Giustizia e Libertà» del 5 agosto 1938, raccolto ivi, pp. 602-605; le citazioni sono tutte da p. 604.
498 Cfr. ivi, p. 606; citazioni ibidem.
499 Cfr. Id., Note polemiche e considerazioni politiche, in «Giustizia e Libertà» del 2 settembre 1938, raccolto ivi, pp. 606-611; la citazione è da p. 610.
500 Cfr. GENTILE E., Fascismo e antifascismo, cit., pp. 378-379.
Matteo Castellucci, Emilio Lussu. Un reduce antifascista, fra politica e letteratura (1933-1938), Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 2017/2018