Né per Neruda né per Amado quello era un esilio dorato

Cesare PAVESE 20 maggio 1945
Teo Tesio arriva di corsa per dirmi che Cesare Pavese vorrebbe vedermi. Avevo letto le sue poesie e Paesi Tuoi. (…) Mi alzo per andargli incontro. Pavese è già sulla porta. Ci guardiamo, ci tocchiamo la mano. Rimaniamo in silenzio masticando entrambi i bocchini delle nostre pipe. Pavese mi dice che è venuto per vedermi in faccia. Mi conosceva negli echi degli spari della guerriglia partigiana combattuta sulle sue colline, quando lui “consumava la sua viltà” a Serralunga di Casale. (…) Si comincia a parlare e durerà fino alle quattro del mattino. In un breve intervallo, mentre scrivo il corsivo quotidiano per la prima pagina, Cesare guarda attonito la mia penna scorrere rapida: “Fammi vedere. Come fai a trovare tutte di fila tante parole?”. Legge. Mi guarda. Nasce così la nostra amicizia.
Italo CALVINO 14 settembre 1945
Si è presentato in redazione un giovane ligure, i grandi occhi in ricerca, slanciato, la testa alta: Italo Calvino. Mi dice che ha fatto il partigiano, che gli piacerebbe scrivere, magari fare il giornalista. È timidissimo e lascia scivolare sul tavolo senza parlare due suoi racconti. Apro i fogli, comincio a leggere il primo. Il racconto mi pare buono. Lo guardo, Calvino è arrossito: “È un racconto scritto bene e con mano sicura, sei bravo. Lo pubblichiamo domani. Farò leggere questo racconto e anche l’altro a Pavese.” Calvino invece di rispondere ingrandisce di più gli occhi sorridendo e finalmente riesce a mormorare un grazie.
Natalia GINZBURG 31 marzo 1946
Andiamo insieme a pranzo alla Trattoria del Popolo. Troviamo Calvino, Pavese, Natalia Ginzburg. Natalia pare sempre spaurita. I suoi grandi occhi scuri passano sulle cose e sulla gente come quando il sole è furtivo tra le nuvole. L’ho conosciuta dopo aver letto il suo racconto La strada che va in città, uscito sotto il fascismo e firmato Alessandra Tornimparte a causa delle leggi razziali.
Paul ELUARD 19 aprile 1946
Sono stato a Milano invitato da Vittorini per conoscere il poeta francese Paul Eluard. Eluard ha davvero l’aria del poeta. Il volto, gli occhi, le mani. Mentre lo hai davanti sorridente provi l’impressione che anche quando sta seduto cammini in punta di piedi. Sembra che possa stare in mezzo alle cose senza toccarle come fosse vibrato in aria. Un uomo tenerissimo.
Massimo MILA 22 aprile 1947
Massimo Mila con la sua consueta coraggiosa intelligenza ha aperto una polemica con Togliatti sulla musica di Ciaikovsky. Togliatti s’era inoltrato troppo in un terreno non suo. Mila senza alcuna riverenza l’ha controbattuto su Rinascita. Mila non è un comunista e quando l’ho pregato di fare il critico musicale su L’Unità è stato chiaramente stabilito che poteva disporre di ogni libertà di giudizio.
Salvatore QUASIMODO 14 giugno 1950
Quasimodo viene spesso a trovarmi in redazione. Arriva camminando lento come se dovesse tenere sempre in bilico la corona di gloria sulla testa. Cammina col ritmo dei suoi versi. Mi guarda con occhio ironico. Parliamo di tutto. Di politica, di Sicilia, di donne, di poesia. Le sue risposte hanno sempre il sussiego delle sentenze irrevocabili. Poi scoppia in risate fuori tono e capisci che non sa soltanto usare il bisturi con gli altri ma sa fare anche l’autocritica. Quando lo presento ai redattori grido ogni volta: salutate l’altissimo poeta. Lui sorride e s’inchina. Prende la cosa metà come dovuta e metà per scherzo. È reduce stanotte da “Bagutta”. Ha vinto il Premio S. Babila.
Carlo LEVI 10 luglio 1950
Carlo Levi mi ha portato L’orologio. Ha scritto la dedica, poi ha disegnato la mia testa sullo stesso foglio. Levi non è modesto eppure ha dentro tanto pudore e splende di una lealtà che non è facile trovare in altri intellettuali. Se ne va senza salutare, come volesse lasciarti la sua presenza. Carlo Levi ha preso l’abitudine di passare tutte le mattine a Montecitorio prima di recarsi al Senato. Arriva ballonzolante, il volto sempre sorridente. Si va a prendere il caffè assieme al bar della Camera. Si discute sui fatti del giorno, poi mi sfila dal taschino un toscano e se ne va. Mi dice che ieri ha accettato l’incarico che gli ha proposto il partito di occuparsi come parlamentare degli emigrati. Andrà presto in Svizzera, in Germania, in Belgio. È sempre entusiasta ogni volta che gli si chiede di frequentare gente.
Nazim HIKMET 10 agosto 1951
Poi arriva il poeta turco Nazim Hikmet che ha cantato il filo d’erba che spuntava in alto sotto la tenue luce del suo carcere-spelonca, sofferto per dieci anni nel suo paese. Nazim Hikmet è un uomo straordinario. Non porta segni delle sofferenze che ha patito, delle umiliazioni, del terrore di cui è stato circondato. È forte, i neri capelli alti sul capo, gli occhi scuri e lucenti. Ci abbraccia come ci si abbraccia tra fratelli. È un momento di emozione. Anche a Neruda e ad Amado tremano le labbra. Vale vivere per questi momenti che non sono fatti di parole. Sono indimenticabili.
Marcello VENTURI 24 febbraio 1952
È uscito il primo libro di Marcello Venturi: Dalla Sirte a casa mia. Marcello è stato assunto in redazione da Fidia Gambetti che lo conosceva già come scrittore. È uno di quelli sui quali faccio più affidamento, oltre ad essermi molto affezionato. Ha un viso da ragazzo con gli occhi celesti; viene da Fornovo sul Taro, ma è nato in Versilia, a Querceta, figlio di un ferroviere. Ha radici sane e il culto di suo padre ferroviere.
Vasco PRATOLINI 18 giugno 1952
Vado a pranzo con Vasco Pratolini e Carlo Bernari. Due scrittori diversi d’impasto e formazione ma entrambi coscienti di quanto costa il pane quotidiano non solo per sé ma anche per gli altri. Pratolini è più sentimentale e sinuoso. La sua natura di toscano lo porta a scatti ed abbandoni. I suoi libri ti passano sulla pelle, sono tattili e poi ti svegliano dentro la piena dei sentimenti. Più che di certezze parlano di dubbi. (…) Pratolini mi guarda e nei suoi occhi chiari vedo svolgersi il ricordo del nostro primo incontro nei mesi caldi del dopo Liberazione. Pratolini era salito nel mio ufficio a L’Unità dalla redazione del Corriere Lombardo dove lavorava, affranto come l’avessero colpito da una frustata. Era stato reso noto (ancora nel giro di poche persone) un elenco di ex aderenti all’OVRA. Vi figurava anche il suo nome. Tutte le spiegazioni che forniva, parlando lentamente, faticando una parola dopo l’altra, erano in più, perché non solo conoscevo già tutta la vicenda, ma anche perché se c’era un uomo limpido in tempi oscuri, questo era Pratolini. (…) Quella sera la conversazione con Pratolini si concluse in un abbraccio a guance umide. Credo che la nostra amicizia sia nata proprio in quell’occasione per durare senza sospetti.
Pablo NERUDA 12 settembre 1954
Avevo avuto l’incarico dalla segreteria del partito di andare a mediare certi contrasti che erano sorti tra i dirigenti cecoslovacchi e alcuni partigiani italiani (…) Mi fermai parecchi giorni per assolvere quell’incarico ed ebbi contemporaneamente l’occasione di passare molte sere con due personaggi di eccezione: Neruda e Jorge Amado che, in quei giorni, si trovavano a Praga. Quante confidenze nelle passeggiate notturne lungo la Moldava. Né per Neruda né per Amado quello era un esilio dorato.
Giovanni GUARESCHI 3 novembre 1955
Giovannino Guareschi si è dato da tempo al cinema. È un personaggio di successo. Il settimanale satirico Candido gli va bene, i suoi libri raggiungono alte tirature, i film sono in testa nelle classifiche degli incassi. (…) D’altra parte Guareschi è emiliano e non può non avere nel sangue l’eredità sfottente e allegra che è della sua gente. (…) Probabilmente nei confronti di Guareschi non sono un giudice sereno. Sono stato messo alla berlina personalmente da Guareschi per troppo tempo su Candido attraverso la consueta vignetta “contrordine compagni”, dove ero il personaggio trinariciuto di centro. (…) Dopo la divertente sfida al Caffè Cavour quando lo avevo preso di petto e scherzosamente minacciato di farlo diventare con tre narici, eravamo diventati amici. Quando ha dovuto sopportare un anno di carcere su querela di De Gasperi ho ritenuto giusto difendere attraverso di lui la libertà di stampa.
Bertold BRECHT 13 febbraio 1956
Paolo Grassi e Strehler mi hanno invitato al Piccolo Teatro ad un ricevimento in onore di Bertold Brecht venuto a Milano per assistere alla prima de L’opera da tre soldi per la regia dello stesso Strehler. Ci sono andato volentieri, curioso ed emozionato. Quando si sono lette tante cose di un poeta, incontrarlo di persona è sempre un avvenimento. (…) Ci stringiamo calorosamente la mano. Brecht mi fa notare che ha in tasca l’Unità. Mi indica il corsivo con la mia firma. In francese mi dice: “Così ti ho già conosciuto.” Sorride, è nella sua solita tenuta, tale e quale un operaio. Non lo fa per posa. È sempre vestito così. (…) Tento di aprire la conversazione sulle sue liriche. Mi dice soltanto che le scrive per parlare con se stesso.
Ernest HEMINGWAY 3 luglio 1961
I ricordi si fissano sull’incontro a Venezia nei giorni della mostra sul cinema dell’anno precedente. Era stato Enrico Emanuelli ad accompagnarmi al Danieli per presentarmi Hemingway. Appena seppe che ero stato amico di Pavese, Hemingway quasi m’investì. Emanuelli cercava di frenarlo, ma Ernest era irrefrenabile. La stima che aveva per Pavese lo spingeva a farmi una domanda dopo l’altra. Soprattutto una tornava insistente: “Perché si è suicidato Pavese? Perché voi suoi amici non siete riusciti ad offrirgli la compagnia per aiutarlo a vivere? (…) Hemingway continuava a bere whisky. Se ne era portato appresso due bottiglie. Beveva e ragionava sempre più lucidamente. Nel riflesso notturno del mare pareva più alto ed affascinante con quel viso concitato e la sua bellissima barba. (…) Un’indimenticabile notte con un mostro sacro, un vulcano di idee. (…) Ancora sulla porta dell’albergo Hemingway mi disse con la sua voce tonante: “Pavese non si doveva suicidare. Portati dentro la tua parte di rimorso.”
Eugenio MONTALE 20 giugno 1966
Montale mi ha ricevuto in casa sua per farmi vedere i suoi “quadretti”. Che fosse pittore l’avevo saputo a Saint-Vincent quando eravamo assieme nella giuria del premio. Finito il pranzo aveva accennato un paesaggio sulla carta del menù. Una pianta, un prato appena accennato, l’ombra di un orizzonte. Delicato, senza un segno in più come le sue poesie che non sopportano una parola oltre quelle indispensabili.
Mario SOLDATI 28 marzo 1966
Ho incontrato Soldati che è da poco rientrato da Mosca. Nel torrente delle sue parole Mosca rivive com’è: così la gente di Russia. Ha trovato laggiù calore e simpatia nel mondo del cinema tra registi e critici. (…) Per un uomo come Soldati che sta col cuore in America, il suo entusiasmo per la gente dell’URSS è significativo.
citazioni tratte dal diario di Davide LajoloVentiquattro anni. Storia spregiudicata di un uomo fortunato“, Rizzoli, 1981