Tre casi di procedimenti di epurazione antifascista a Padova

Nel corso della ricerca sull’attività delle Commissioni di epurazione operanti in territorio padovano, mi è capitato di imbattermi in tre casi inediti, almeno come a me sembra. Sono tre figure emblematiche di distinte realtà padovane: Leone Stievano è un post telegrafonico; il Professor Benvenuto Cestaro, preside negli anni della guerra dell’Istituto Tecnico Commerciale “P.F.Calvi” di Padova; infine, Antonio Giacobelli un dipendente del Credito Italiano. Tutti e tre sono stati oggetto di provvedimenti delle rispettive Commissioni di epurazione, dove, per Giacobelli c’è un ricorso in atto, mancando le carte sulla decisione di epurazione in primo grado. Se volessimo individuare delle linee comuni a questi tre casi, queste sarebbero la ricchezza di argomentazioni nella fase difensiva. Ognuno porta la scusa, chi più evidente chi meno, di essere stato obbligato a iscriversi al PFR piuttosto che a partecipare alle attività della GNR. Ma effettivamente c’è anche da aspettarselo visto il contesto molto caldo vissuto nel 1945. E’ una situazione molto delicata, si potrebbe definire “liquida”, una fase della giustizia molto precaria, che è stata detta di “transizione”, così come raccontato in un saggio di Claudio Pavone <161 dove si sottolinea il passaggio particolarmente intricato con il sovrapporsi dei poteri e delle normative del Regno del sud, dell’AMG e dei CLN.
Allora si verifica che “all’ingiustizia di stato si supplisca, a volte, con la vendetta del singolo o collettiva. E’ quanto è avvenuto anche in Italia nei mesi immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale (Dondi 2004, Di Loreto 1991, Pavone 1974)” <162.
Quello che mi è sembrato veramente importante nel raccontare queste storie è sottolineare come le persone cercano disperatamente di farsi prosciogliere dalle accuse loro addebitate: chi citando la violenza psicologica subita, chi ostentando una malattia, ma trovando comunque sempre una ragione per spiegare le contingenze. Infatti, i processi di epurazione raccontati in questi capitoli sono ricchi di queste casistiche.
Il primo dei tre è Leone Stievano, dipendente delle poste e telegrafi; in data 23 maggio 1945 <163 riceve una comunicazione di sospensione con effetto immediato da parte della Commissione di epurazione interna di Poste e Telegrafi, con le seguenti motivazioni: è iscritto al Partito Fascista Repubblicano, fa la guardia ai ponti e agisce in favore dei Comandi Tedeschi. Infine, risulterebbe aver versato cinquanta lire “pro ali alla patria”, cioè ha finanziato l’attività bellica del regime fascista versando un contributo per l’aeronautica fascista. Ai sensi della normativa dell’AMG, in base all’Ordinanza Generale n.35 già richiamata, gli verrà comunque corrisposto il solo stipendio tabellare senza altre indennità. In una successiva comunicazione <164 dell’11 agosto successivo emerge che egli sarebbe stato oggetto di “indebito avanzamento di carriera”. Il D.L.L. del 5 ottobre 1944 n.249, infatti, all’articolo 2 stabilisce che chiunque sia stato soggetto a promozione per meriti fascisti durante gli anni della Repubblica Sociale Italiana, venga ricollocato nella posizione lavorativa originaria, perdendo così di efficacia giuridica la immeritata promozione. E’ graziato, per il momento, per quanto riguarda il recupero degli stipendi indebitamente percepiti, in attesa delle indicazioni del ministero ai sensi dell’articolo 3 del Decreto appena citato.
Intanto la procedura di epurazione continua, tanto che lo Stievano viene convocato dalla Commissione di epurazione – I sezione, istituita presso il tribunale di Padova. L’atto di convocazione <165, “avviso di fissazione udienza”, ricorda tra le altre cose la possibilità di farsi assistere da un legale e quella di produrre documenti ai fini del procedimento (il ripristino di queste garanzie democratiche va sottolineato come fattore di estrema importanza).
Su un foglio manoscritto <166 presente nel fascicolo, sono appuntate alcune informazioni che inquadrano il tenore delle testimonianze a favore e contro il soggetto. Un primo punto riguarda forse la principale accusa che gli è stata mossa: segretario politico del fascio dal 1924 al 1928 (in un altro documento potremo approfondire questa informazione). I successivi due punti riguardano una lista di testi, tra i quali spiccano il Sindaco di Roncaiette, il parroco del luogo e l’avvocato Cesare Crescente. Vi è poi un appunto di un medico, Gastone Cestari, che riporta “di essere stato interpellato dallo Stievano sul rischio per disturbi nervosi e depressivi che lo affliggevano nell’autunno 1943, disturbi aggravati dalle condizioni di salute di una figlia”. Inoltre sono ammesse testimonianze di tre o quattro impiegati del telegrafo e di un impiegato del Comune di Roncaiette.
Vi è poi un altro foglio contenente brevi testimonianze in favore dell’imputato con l’unica indicazione temporale, presumibilmente del loro rilascio, delle ore dieci di un sabato imprecisato. <167 In questo appunto il testimone Amedeo Nardo riporta che lo Stievano è persona degna e riferisce che egli ha “agevolato anche i socialisti” (quando ha ricoperto la carica di federale); il Quaglia, indicato come impiegato, sottolinea che non è al corrente che l’accusato abbia fatto preferenze sul posto di lavoro [legate, si suppone,all’appartenenza politica]. Vi è poi una dichiarazione anonima in difesa dello Stievano dove si afferma chiaramente che “…non ebbe mai ad usare né mai permise fossero usate violenze, pressioni rappresaglie e atti poco corretti verso persone, anche di opinioni notoriamente contrarie” durante il periodo in cui è stato segretario della sezione fascista di Roncaiette, dal 1924 al 1928, ma anche dopo l’otto settembre del 1943. <168 La testimonianza continua ricordando che la sezione del fascio da lui presieduta, inizialmente costituita con intenti politici difensivi, divenne essenzialmente “assistenziale” (una definizione che pare piuttosto apologetica), e qui gli iscritti trovavano un modo civile di convivenza con tutta la popolazione, tant’è che il fascio raccoglieva richieste di adesione da fuori paese, anche se gli iscritti erano in maggioranza operai, agricoltori e artigiani, e quindi non era sicuramente un ambiente elitario ma molto semplice. Conclude il fascicolo personale una memoria rivolta alla Commissione di epurazione presso il Ministero delle Telecomunicazioni in opposizione alla progettata sospensione. <169 In essa l’interessato ricorda inizialmente “di essere stato sempre impiegato zelante ed attivo, dedito soltanto al proprio lavoro e alle cure dell’ufficio” soprattutto durante la prima guerra mondiale, che egli ricorda come un periodo durissimo. Non raggiunge mai la qualifica di capoturno prima del fascismo e nemmeno il passaggio al IX° grado per mancanza di titoli militari e fascisti. La tanto agognata promozione arriva solo nel 1944, ed ironia della sorte, viene ora contestata come immeritata. Stievano sostiene di non essere di aspirazioni carrieriste né tantomeno ricopre cariche nella gerarchia fascista; non ha accuse di faziosità, e le cariche politiche ricoperte sono di così irrilevante livello, in comuni di poche centinaia di abitanti, che egli non considera minimamente questi incarichi una colpa. Anzi, di profondi sentimenti cattolici e di genuini anche se semplici sentimenti nazionali, vede nel fascismo degli esordi una grande opportunità per il paese – poi rivelatosi un grave errore. La vicenda della assunzione di Stievano alla carica di federale, che gli è fortemente biasimata, sarebbe giustificata dalla richiesta, fatta dai suoi compaesani, della costituzione di un fascio, poiché il paese vicino dava problemi seri a causa degli elementi violenti che vi abitavano. L’interessato ricorda inoltre che la carica da lui ricoperta non è motivazione di sospensione dal lavoro secondo la normativa. Rientra invece tra le fattispecie sanzionabili l’iscrizione al PFR e il versamento fatto “pro ali” alla patria, nonché il servizio prestato ai ponti.
Ma anche in questi casi, la ricerca di discolpe è d’obbligo. Per quanto riguarda l’iscrizione al PFR non si può non considerare l’elemento intenzionale della vicenda, ma è necessario tenere conto delle circostanze: la situazione autunnale del 1943 a Padova vedeva il riaccendersi di vampate di violenza fascista; venivano fatte numerose retate di personale pubblico che non voleva aderire al fascismo repubblicano. I dipendenti del servizio postale e telegrafonico erano presi di mira da un nuovo federale particolarmente attivo, il Vivarelli. Infine la situazione di salute di una figlia, e il fatto che avesse tre figli in guerra sui vari fronti europei, lo trascinano ad un esaurimento nervoso senza precedenti. Questa serie di eventi e di minacce, e il fatto della prossimità alla pensione accompagnata dal terrore, forse ingiustificato, della deportazione, lo avrebbe spinto ad aderire alla RSI; ma pentito di quello che aveva fatto, “poche settimane dopo fu egli stesso a dissuadere un amico dall’iscriversi al PFR”. Le testimonianze a suo favore, cioè le persone che avevano colto il suo amaro pentimento, sono il Sindaco di Ponte San Nicolò (comune vicino a Roncaiette), il parroco di Polverara (altro paese vicino) e lo stesso parroco di Roncaiette. A propria difesa Stievano ricordava inoltre come un suo figlio, per ritorsione dei fascisti, fosse stato imprigionato dal Tribunale militare di guerra di Padova dal 29 gennaio 1945 fino al giorno della liberazione per attività contraria al governo Repubblicano.
Infine lo Stievano cerca di scrollarsi di dosso le due ultime accuse di offerta pro ali alla patria e della sorveglianza ai ponti. Dalla prima accusa egli si scagiona affermando “la buona fede dell’offerente che riteneva diverso lo scopo della sottoscrizione”. Per quanto riguarda l’accusa di guardia ai ponti egli dice che “il servizio di sorveglianza era obbligatorio per chi avesse avuto licenza di caccia (come era il suo caso) e che dovettero assuefarvisi pure gli antifascisti e addirittura autentici partigiani”.
Chiude, poi, con un accorato appello: “Non può essere pensabile che tutta una esistenza umile ma appassionata, venga stroncata quando sta per raggiungere la sua naturale conclusione. Confida il ricorrente che anche questa considerazione si aggiunga alla valutazione delle sue ragioni difensive e porti l’Onorevole Commissione di codesto Ministero a confermare quel verdetto di umana e comprensiva giustizia che in sede provinciale ha sollevato un vecchio da un incubo e gli aveva dato la consolazione di poter coronare tutta la sua vita spesa, fuor della famiglia a favore dell’amministrazione”. Apologetica e forse stucchevole, la difesa dello Stievano è presentata in questi termini. Purtroppo, non vi è altro materiale cui poter fare riferimento nella documentazione e pertanto non abbiamo informazioni sul prosieguo della procedura.
La cartella 9435 contiene due lunghe memorie, complementari tra loro, del Professore Benvenuto Cestaro. In questo caso ci spostiamo ad un altro settore molto delicato dell’epurazione: quello legato dell’istruzione. Il Professor Cestaro è preside di un istituto tecnico padovano, il “P.F.Calvi”, che dalla documentazione in nostro possesso, risulta essere stato espulso dal ruolo di insegnante dalla sottocommissione per la provincia di Padova per l’epurazione degli insegnanti delle scuole medie <170. Egli ricorda come il 26 febbraio del 1946, detta commissione lo abbia punito con l’accusa di “reiterate manifestazione di apologia fascista”, accusa sfociata il 10 aprile dello stesso anno nella sentenza della sottocommissione più su ricordata nell’incompatibilità del Cestaro con la sua permanenza in servizio in ossequio al Decreto Legislativo Luogotenenziale 9 novembre 1945. Questo prevede la dispensa dal servizio dei dipendenti che si trovino in condizioni di incompatibilità con la permanenza in servizio per l’attività politica svolta come fascista, per manifestazioni di carattere fascista, per aver dato prove di faziosità fascista e perché nominati
all’impiego per soli titoli fascisti. Cestaro rammenta che all’interno del dispositivo di legge non sono contemplate le manifestazioni di apologia fascista, cosa invece prevista all’interno dell’O.G. 35 dell’AMG con la disposizione fedelmente riprodotta dell’art. 12 n.1 D.L.L. 27 luglio 1944 n.159. Il combinato disposto di queste due ultime norme fa emergere che la particolare imputazione di “apologia fascista”, può essere presa in considerazione solamente se la si inquadri “nello svolgimento di una attività politica e in quelle manifestazioni di carattere fascista che rendono incompatibili la permanenza in servizio dell’impiegato”. Questa affermazione impone una attenta valutazione delle prove e testimonianze da parte dei giudici, cosa che, a detta di Cestaro, non è stata fatta; anzi, si è applicata la legge di fronte a una accusa generica e non circostanziata. L’attività di oratore che il Cestaro ha esercitato negli anni in questione, avvenne per opera di propaganda italiana e patriottica svolta all’interno della Società “Dante Alighieri”, ed era attività cominciata già in epoca prefascista e continuata durante la guerra del 1915-1918. Ma questa attività è ben altra cosa di un’attività apologetica. Proprio per questo fattore il Cestaro ricorre al Consiglio appellandosi all’art.11, D.L.L. 9 novembre 1945 n. 702. “Sono da respingere quelle tesi di estremismo antifascista che inviano a considerare impuro ogni iscritto al disciolto partito [fascista] e ad allontanare anche gli elementi di indiscutibile rettitudine che abbiano svolto attività fascista in perfetta buona fede…”. Queste le parole di una circolare dell’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il fascismo, dell’8 settembre 1944, cui il Cestaro vuole appellarsi contro la decisione della Commissione provinciale di epurazione.
Ma vediamo quali sono i punti d’accusa in questione e come li controbatte il nostro. Una prima accusa mossa contro di lui è il possesso della tessera del PNF con data 1927 ma retrodatata al 1923. Correva l’anno 1927 e il Cestaro si era tesserato sulla scia del senso di patriottismo di quegli anni e come apostolo della “Dante Alighieri”. Una coincidenza legata ad un incontro con un suo vecchio scolaro, divenuto allora federale di Padova, che conosceva il suo patriottismo, sorpreso di non trovarlo tra gli elenchi del partito, decise di inviargli la tessera d’ufficio retrodatandola al 1923, credendo di fare cosa gradita. Ecco la prima accusa smontata.
Vi è poi una seconda pesante accusa, e cioè quella che lo vedrebbe colpevole di avere assunto la carica di Commissario prefettizio in due comuni della provincia di Padova: Megliadino San Fidenzio e Santa Caterina d’Adige. Il Cestaro ribatte, che sì, ha ricoperto quelle cariche, ma come amministratore e non come uomo politico. Gli spiace molto, inoltre, che la Commissione di epurazione non abbia tenuto conto della carica ricoperta in qualità di Presidente dell’educandato di Montagnana, per ben nove anni. Incarico che ha lasciato con un grosso avanzo di amministrazione di un milione di aumento patrimoniale. Questo comprova che egli ha agito con onestà, senza pretendere nessun arricchimento personale (quanto detto sarebbe confermato dal fatto che non accettò mai alcuna forma di retribuzione per l’assunzione della carica di presidente dell’educandato). E sa per certo, che la sua nomina a Provveditore veniva boicottata a Roma, al cospetto del ministro stesso, perché non era considerato uomo di fiducia. Lui, che aveva creduto religiosamente nel primo fascismo e si era col tempo ridotto a vita ritirata perché, questi fatti appena narrati, lo avevano disilluso.
Si difende poi dall’accusa di aver pronunciato pubblici discorsi in difesa del fascismo, negando con fermezza il fatto. Si dedicava solo ad alcune recensioni di libri di natura storica, o scolastica o ancora coloniali trattando argomenti letterari, storici e patriottici. Il suo è sempre stato solo un interesse scientifico e mai apologetico. Tanto fece la sua difesa che in sede di prima Commissione riuscì a farsi reintegrare nel lavoro. E’ vero che al crollo del fascismo giurò fedeltà alla RSI, ma lo fece perché ciò fu imposto a tutto il personale del Provveditorato e docente, con convinzione di fascista. E lì, ricorda inoltre il suo contegno politico, sempre esemplare, prima e dopo il 25 luglio del 1943. Non ha mai chiuso la porta in faccia ai partigiani e ai giovani alla macchia, aiutandoli sempre, pur sapendo bene che il rischio per lui era la deportazione in Germania. E qui richiama prove che non sono a nostra disposizione. Tuttavia, la Commissione gli ha addebitato la colpa di avere puri sentimenti fascisti anche riconoscendogli la reale buona fede. Per riassumere: “io ho dichiarato alla prima Commissione che ho creduto (dunque, tempo passato) nel fascismo finché ecc. E nel memoriale alla seconda Commissione mi sono permesso di osservare: ‘bisogna distinguere i fascisti in tre gruppi: degli autentici farabutti o delinquenti, dei vili ed opportunisti e delle vittime di un’ideale fallace”. Inutile dire che il Cestaro si riconosce nel terzo gruppo. Per impressionare a suo favore il Consiglio di Stato ricorda poi che egli ha raggiunto i limiti di età e vorrebbe andare in pensione in pace; e calca la mano sulla sua posizione di capro espiatorio che “si licenzia su gratuite (e sarei tentato di dire cervellotiche) supposizioni: come un servitore (vecchio Parini) che abbia dato un calcio ad un cagnolina viziata, cioè peggio che infedele e ladro”.
Infine un appello alla Corte: “credo di potermi appellare alla mia riconosciuta rettitudine, ai miei sentimenti, per affermare che io credo di poter essere ancora utile alla scuola, alla quale, senza false modestie sono tranquillo di essermi votato con una dedizione che oggi non è di molti”. Queste le parole del Professor Cestaro in propria difesa. Non abbiamo, anche in questo caso, altra documentazione per sapere come è finito il processo. E’ un caso in cui è difficile fare una previsione.
Il terzo fascicolo che prendiamo in considerazione è di Antonio Giacobelli, impiegato presso una filiale della Banca del Credito Italiano a Padova. Dal punto in cui cominciamo a scorrere le carte del fascicolo, apprendiamo che l’interessato si trova in carcere. Infatti, in una supplica della moglie, Ada Vandelli <171, rivolta alla Commissione di Epurazione apprendiamo che la Commissione ha ordinato la carcerazione del Giacobelli applicando il regolamento per i detenuti politici. Ma essa nel contempo lamenta che la applicazione dello stesso è troppo vincolante per i beni di prima necessità come il cibo. Il marito, infatti, soffre di una forma di ulcera gastrica che lo costringe ad una dieta determinata. Allega a tal proposito un certificato <172, utile più che altro perché datato 6 maggio 1945 (a quella data il soggetto è in carcere), dove il medico, il Dottore Ettore Minozzi di Padova, attesta la presenza di una ulcera gastrica e prospetta la possibilità di un intervento chirurgico.
A questo punto, all’interno del fascicolo, compaiono tre righe manoscritte <173 con delle accuse molto pesanti sul conto dell’individuo: egli sarebbe stato inquadrato con il grado di Maggiore alla Centuria nella RSI al Comando Provinciale Militare. Una memoria presentata alla Commissione di epurazione <174ci aiuta a capire meglio le accuse che gli vengono mosse. La progettata sospensione proposta dalla Commissione nei confronti del Giacobelli avviene per i seguenti motivi: è Centurione nei quadri della MVSN; iscritto al PFR con servizio prestato presso la GNR.
Ovviamente il nostro ribatte prontamente che mai si è interessato di politica, tanto che non ha mai ricoperto nessuna carica e si è iscritto al PNF solo nel 1934. Non ha mai partecipato a manifestazioni politiche: prova ne è che non ha mai posseduto nemmeno la divisa nera. Era invece iscritto alla MVSN poiché obbligato in quanto in quanto militare in congedo. Ed ecco una prima spiegazione.
Per quanto invece riguarda la seconda accusa, egli specifica che da impiegato bancario era stato esonerato dal servizio militare allo scoppio della guerra. Ma nel settembre o ottobre del 1943 era stato richiamato in servizio dalla RSI e alla sua opposizione gli era stato risposto che gli esoneri concessi dal Comando di Corpo d’Armata di Marina, quale era il suo, non erano più validi; egli, quindi, avrebbe dovuto non solo rientrare in servizio, ma anche iscriversi al PFR. Quest’ultima richiesta gli fu fatta con sollecito dietro promessa che non vi sarebbero state conseguenze di sorta. Fatto sta che nel marzo del 1944 venne richiamato in servizio. Egli ricoprì, su sua richiesta, mansioni impiegatizie presso l’Ufficio Amministrazione del Comando Provinciale dove si occupò di sussidi alle famiglie dei Carabinieri inviati in Germania. E si dice comunque pronto a produrre dei testi.
Infatti la Commissione di Epurazione di Padova, terza sezione, per la quale le memorie appena ricordate sono state scritte, convoca il soggetto per il 17 novembre del 1945, per il ricorso, con la lista dei testimoni ai quali se ne aggiungeranno altri. <175 L’atto allegato di citazione dei testimoni <176 elenca ben cinque persone chiamate a testimoniare, in maggioranza colleghi del Credito Italiano. Il contenuto del ricorso è molto simile alla memoria raccontata all’inizio del fascicolo anche se troviamo altri interessanti particolari <177. Giacobelli si iscrive al PNF perché, dopo essere incappato in una retata, rischiava di perdere la tessera annonaria e di essere licenziato al lavoro. Si è sempre sottratto alle adunate fasciste e infatti il suo nome, da come sostiene, non è presente negli schedari del partito fascista. E’ stato ufficiale della MVSN perché ex ufficiale, insomma iscritto d’ufficio. Per quanto poi riguarda la sua iscrizione al PFR essa era avvenuta su sollecito, con la falsa promessa di evitare il servizio militare. Cosa che poi non è accaduta perché, presso la caserma di Via Cesarotti a Padova, subiva pesanti minacce di internamento in Germania da parte di un personaggio violento molto conosciuto negli ambienti fascisti dell’epoca, Toderini, che contro la sua volontà lo obbligò ad entrare nella GNR.
Ad avvalorare la propria difesa Giacobelli introduce elementi oggettivi, come il fatto della scusante dell’età, 56 anni, in cui è difficile, se licenziati, trovare un lavoro. Inserisce qui delle testimonianze a proprio favore, quelle di cui si è parlato poco sopra. E sfilano davanti all’accusa le testimonianze <178 di Dionisio Aquilesi, suo vicino di casa, che dichiara che il Giacobelli, dopo l’8 settembre 1943, gli raccontò di essere stato costretto ad iscriversi al PFR per evitare il licenziamento a seguito delle minacce del Toderini più sopra richiamato. Il Ragioniere Giovanni Farisano, collega di lavoro al Credito Italiano, ricorda di essersi spesso intrattenuto a parlare di sera con lui, dopo l’orario di ufficio, quando il nostro gli raccontava di essere stato esonerato dal servizio militare ma di essere stato costretto a riprendere servizio presso la GNR dopo una serie di pesanti ricatti che lo avrebbero spinto ad iscriversi al PFR. Infine, altri testi, ricordano la persona come scevra da furie politiche e totalmente disinteressato alla politica.
Qui si conclude il fascicolo. Non abbiamo altre carte sul personaggio e non sappiamo quindi come possa essere terminata la procedura di ricorso. Ma ci è sembrato comunque cosa utile raccontare questa vicenda.
[NOTE]
161 Claudio Pavone, sulla continuità dello stato, in Rivista di storia Contemporanea, Torino, Loescher, Cierre Edizioni, 1998, pagg. 172 – 205.
162 Cecilia Nubola, Giustizia di Transizione. L’Italia dal 1945 agli anni ’70, Giustizia di Transizione ISIG, https://www.google.it/?ion=1&espv=2#q=claudio+pavone+giustizia+transizione
163 Comunicazione di sospensione della Commissione di epurazione di Poste e Telegrafi a Leone Stievano, 23 maggio 1945
164 Comunicazione dell’amministrazione di Poste e Telegrafi a Luigi Stievano, 11 agosto 1945.
165 Comunicazione di avviso fissazione udienza, della Commissione di epurazione I sezione, 9 ottobre 1945.
166 Alcune memorie sullo Stievano, senza data.
167 Foglio manoscritto contenente brevi appunti testimoniali a favore dello Stievano, senza data.
168 Dichiarazione manoscritta a favore dello Stievano, senza data.
169 Memoria dello Stievano alla Commissione di epurazione presso il Ministero delle Telecomunicazioni, s.d. ma maggio 1945.
170 Due versioni del ricorso al Consiglio di stato contro il provvedimento della Commissione provinciale di epurazione, s.d. ma 1946.
171 Lettera di Ada Vandelli in Giacobelli alla Commissione di epurazione, s.d.
172 Certificato medico del Giacobelli, 6 maggio 1945.
173 Manoscritto sulle attività in seno al PNF del Giacobelli, s.d.
174 Memoria di Giacobelli alla Commissione di epurazione, s.d.
175 Avviso di fissazione d’udienza della Commissione di Epurazione di Padova terza sezione nei confronti di Antonio Giacobelli, 2 novembre 1945.
176 Atto di notifica citazione a testi, 13 novembre 1945.
177 Memoria di ricorso di Giacobelli contro la Commissione di epurazione, s.d.
178 Testimonianze a favore di Giacobelli, manoscritto, s.d.
Fabio Fignani, L’epurazione in Veneto. Alcuni casi di studio, Tesi di laurea, Università Ca’ Foscari – Venezia, Anno Accademico 2015-2016