Nel procurarsi gli ostaggi il Comando tedesco di Sacile applica il solito calcolo

Sacile (provincia di Pordenone). Fonte: Wikipedia

Il 15 settembre 1944 il Comando delle S.S. di Sacile organizza nel territorio dell’opitergino-mottense un rastrellamento in grande stile. È un ulteriore terribile episodio che va a sommarsi alle innumerevoli azioni di rappresaglia nazifascista condotte in zona – come del resto in tutto il Nord Italia – e che si protrarranno fino alla fine dell’inverno. Questa volta il gesto tedesco suscita maggior scalpore perché metà dei rastrellati sono personaggi di spicco. Prelevati da Ponte di Piave, Oderzo, Motta di Livenza e da alcuni paesini del mandamento di San Vito al Tagliamento, vengono caricati su degli autocarri e condotti nelle prigioni della caserma Slataper di Sacile. Serviranno alle S.S. come merce di scambio per riavere tra le proprie fila quattro ingegneri tedeschi, addetti alla linea ferroviaria locale, sequestrati dai partigiani agli inizi di settembre. Se questi non verranno riconsegnati, ai prigionieri toccherà la morte per fucilazione oppure la deportazione nei lager in Germania <97.
Nel procurarsi gli ostaggi il Comando di Sacile applica il solito calcolo: i tedeschi scomparsi sono quattro, quindi si dovranno arrestare quaranta persone del posto, dieci per ogni ingegnere. Alla fine di quel venerdì pomeriggio, in tutto i rastrellati saranno cinquantaquattro. Vengono prelevati a Ponte di Piave e dintorni don Vincenzo Minciacchi, superiore dei Padri giuseppini; don Nazareno Lughi e don Luigi Penso, anche loro giuseppini del Murialdo; Luigi Donadon da Busco; il cavalier Segati, il farmacista Attilio Venerandi, Attilio Battaglia, Pietro Bonadio, il dottor Giuseppe Rossi, rilasciato già ad Oderzo; Francesco Prevedello, Giuseppe Gaion, Italico Facchin e Girolamo Montagner.
A Oderzo sono fatti salire sui camion l’abate monsignor Domenico Visintin e suo nipote don Matteo Visintin, chierico; don Girolamo Villanova, cappellano, e padre Cesare Dal Pio, rettore del collegio Brandolini Rota; l’avvocato commendatore Antonio Levada, possidente; i medici Giovanni Porchia e Fortunato Sordoni; Angelo Valoppi, Emo Sbicego e Giovanni Cester, ferrovieri; Enrico Zambon, Luigi Borsoi, Mario Marchesin, Angelo Baseotto da Rustigné, Antonio Rossetto, Luigi Berto, proprietario del Caffè Commercio in piazza; Giuseppe Chiara, Francesco De Mori, Arturo Vizzotto, proprietario del grande essiccatoio di bozzoli da seta in via Mazzini; Giuseppe Covre, Giacomo Casorsi (Cazorzi), il maestro Angelo Buldrini.
Da Motta di Livenza vengono deportati il francescano Benvenuto Grava, guardiano del Santuario ‘Madonna dei Miracoli’, Aristide Bertacco, titolare di un’osteria in centro, Roberto Tonussi da Villanova, Manlio Scarpa, Emo Cranio, e il cappellano dell’ospedale don Pietro Vidor. È catturato anche lo zio di Giovanni Girardini, patriota impiccato a Camino di Oderzo tre giorni prima, ma viene subito rimesso in libertà.
Andando verso Sacile anche qualche paese della bassa friulana subisce il rastrellamento. Vengono arrestati don Giuseppe Vedovato, cappellano di Chions, in seguito parroco a Praturlone e don Gerardo Turrin, parroco di Villotta di Chions; l’avvocato Buttazzoni di Maron di Brugnera, il dottore in agraria Eugenio Pellegrini da Barco di Pravisdomini; il dottor Costa di Cordovado, i dottori Cappellotto e Pessa da Pasiano; Michele Mazzocco da Cecchini di Pasiano, Adriano Cargnelli di Cordovado, Bruno Tesser di Cintello di Teglio Veneto, Giuseppe Ceccato di Pravisdomini, di mestiere assuntore, e Umberto Danelon di Fossalta di Piave <98.
Così ricorda l’episodio Giovanni Chiara, partigiano e membro del CLN di Oderzo:
“Poi, in settembre, c’è stato il sequestro di quattro ingegneri tedeschi a Motta di Livenza. Erano in macchina. Sono riusciti a bloccarli e a farli prigionieri. Sono stati Furlan e Rao <99. Per ritorsione, i tedeschi hanno fatto un rastrellamento ed hanno prelevato 60 persone a Oderzo, Ponte di Piave e Motta, e le hanno portate a Sacile. Tra i prelevati c’era anche mio padre, che era ammalato. Lo hanno caricato con prepotenza e lo hanno portato via.(…) Dopo il fatto, Rao e Furlan sono venuti giù a parlare con noi. La riunione si è svolta a Rustignè. Là si è parlato sul cosa si doveva fare. Si è intromesso anche un prete e alla fine abbiamo deciso di liberarli. Allora quelli di Motta, dopo aver prelevato ad ognuno l’orologio, hanno condotto i quattro tecnici in mezzo ai campi e là li hanno lasciati liberi <100. Ma non è stato sufficiente ciò per lasciare liberi i 60 ostaggi, perché prima di farlo hanno voluto la restituzione anche degli orologi <101.”
Tuttavia alcuni dei ricordi di Chiara vengono smentiti da altri incartamenti riguardanti il fatto. Il Maggiore Francesco Genco, nel diario storico della brigata Furlan in data 19 settembre 1944 scrive che i quattro funzionari delle ferrovie tedesche erano stati fatti prigionieri dalla brigata friulana Ippolito Nievo B (brigata unificata Garibaldi-Osoppo operante in pianura), non menzionando affatto i mottensi Antonio Furlan e Raoul Rainato e neppure il luogo dove era avvenuto l’agguato <102. Lo scritto di Genco trova conferma visionando l’attività di guerriglia dei vari reparti dipendenti dalla Ippolito Nievo B. Uno di questi è il battaglione garibaldino Bertin che l’11 settembre 1944 in “appostamento nelle vicinanze di Portogruaro, ferma una vettura 1100 con a bordo ispettori ferroviari tedeschi, un capotecnico e l’autista pure tedesco, recuperando la macchina, un mitra, tre pistole e catturando i tedeschi” <103. Il battaglione Bertin nella sua relazione, rispetto al documento della Ippolito Nievo B, anticipa l’episodio al 29 agosto: “Il distaccamento di Lampo cattura quattro ispettori ferroviari tedeschi. Questi vengono scambiati in seguito con 600 civili catturati per rappresaglia nella provincia di Treviso, fra i quali alcuni preti <104.” A comandare il battaglione c’è il ferroviere trevigiano Giuseppe Favaretto, nome di battaglia ‘Treno’, che proprio grazie al suo mestiere conosce bene l’importanza che rivestono gli ingegneri addetti alla ferrovia in tempo di guerra: farli prigionieri avrebbe rallentato gli spostamenti su rotaia in quella zona e rappresentato prezioso ‘materiale’ di scambio <105.
‘Lampo’, nome di battaglia del partigiano Antonio Fedrigo, racconta l’episodio nell’estate del 2004 a Ugo Perissinotto:
“Una volta io con la mia squadra abbiamo preso due ispettori della ferrovia, due graduati e compagnia bella, vestiti in nero, SS sempre. Anche quelli non si toccano: cambio. Li portavano dove c’era bisogno che avevano preso un po’ di partigiani: ‘Ci date quelli se no li ammazziamo’ e via, si facevano sempre quei lavori là. Abbiamo fatto un bel po’ di azioni di questo genere <106.”
Comunque la testimonianza di Chiara porta con sé delle verità oggettive: i partigiani di Motta, come del resto quelli di Oderzo, si presume siano direttamente coinvolti, dandosi da fare per prendere in custodia gli ingegneri tedeschi, nascondendoli lontano dal luogo della cattura.
I rapporti tra la Ippolito Nievo B e i partigiani mottensi, che annoverano tra le proprie file parecchi uomini di matrice comunista da San Giovanni e Meduna e che a settembre si sono già rifugiati ad Azzanello, protetti dall’impervia zona dove scorre il canale di scolo Pontal <107, non si possono ignorare. Per averne la certezza è sufficiente leggere la lunga testimonianza di Rino Favot, comandante della Ippolito Nievo B, nome di battaglia ‘Sergio’, rilasciata a Mario Candotti nel 1980-81 <108, oppure il diario storico sull’attività svolta dalla brigata Furlan redatto da Genco e gli scritti di Raoul Rainato, comandante del battaglione mottense, a ‘Sergio’ <109.
Che il battaglione Bertin poi avesse collaborato in più occasioni col battaglione Livenza mottense è plausibile se si guarda al suo raggio d’azione. Oltre che a Sesto al Reghena e Portogruaro, esso opera anche a Meduna di Livenza, Annone Veneto, Pradipozzo, arrivando a spingersi fino alla palude delle Sette Sorelle, e questi territori confinano tutti con Motta di Livenza. E le parole di ‘Lampo’ sugli sconfinamenti della sua squadra confermano gli ampi spostamenti del battaglione Bertin:
“Si operava a Basedo, Pramaggiore, Chions e si andava fino a Motta di Livenza tante volte. Ci spedivano di qua e di là, dove c’era bisogno insomma. Eravamo una delle squadrette più robuste. Quando c’era un’azione un po’ più grossa da fare allora si andava in due o tre squadre e magari non si sapeva neanche cosa si faceva, perché gli ordini erano: ‘Tu stai fermo qua, e noi andiamo là’. I comandanti ordinavano così e via. <110”
Inoltre, Chiara afferma che un prete, mentre la resistenza decideva come condurre la trattativa con i tedeschi, si è ‘intromesso’. Il riferimento a don Giacobbe Nespolo, scampato alla cattura per miracolo (si nascose tempestivamente sulla sommità del campanile del Duomo di Oderzo) è lampante. Il religioso ricopre un ruolo fondamentale nello scambio dei prigionieri, facendo per due settimane la spola in bicicletta tra Oderzo e Sacile, tenendo costantemente informati sull’evolversi della vicenda gli ostaggi ma soprattutto i vescovi di Vittorio Veneto e Concordia che conducono personalmente il negoziato con le autorità tedesche. Si incontra spesso coi partigiani accampati in una casa colonica di Rustignè, dove si ipotizza possano essere detenuti gli ingegneri tedeschi <111.
Ma non ci sono solo i documenti resistenziali a far memoria di quell’episodio. Il rastrellamento del 15 settembre 1944 viene ancora oggi menzionato dagli anziani dei paesi coinvolti, i preti l’hanno annotato nei loro diari e i libri di storia locale quasi sempre lo citano <112. A questi si aggiunge la scrittura di fra Benvenuto Grava, che si spinge più in là delle semplici annotazioni o citazioni.
[NOTE]
97 I. Bizzi La resistenza nel trevigiano – 6. La resistenza a Oderzo e dintorni. Giacobino editore 2002 p.37. Anche in F. Maistrello Partigiani e nazifascisti, cit. pp. 68-69.
98 Per la lista dei deportati si vedano: AOFMMdL: dattiloscritto in cartellina P. B. Grava; riportata anche nell’ex voto donato dai prigionieri alla Madonna dei Miracoli. G. Strasiotto Il Popolo ‘I quattro tedeschi scomparsi’ 12.8.2012.
Anche in U. Bernardi Una terra antica. Cultura, Storia e Tradizioni nell’opitergino. Santi Quaranta 2014 p. 328.
99 ‘Furlan e Rao’ citati da Giovanni Chiara nella sua testimonianza rilasciata a Ives Bizzi sono i mottensi Antonio Furlan e Raoul Rainato, rispettivamente Commissario di guerra e Comandante del Battaglione Livenza.
100 M. Biason Tesi, cit. Le azioni partigiane. Doc. 7: Comando Battaglione Livenza- Relazione mese di settembre; 26-9. ‘Con scambio di tedeschi e una macchina il Battaglione ed il Commissario di Rustignè hanno ottenuto la liberazione di
tutti gli ostaggi, circa 400, presi nella zona e concentrati a Sacile’.
101 I. Bizzi La Resistenza, cit. p. 37.
102 ACMDL. Cat.VI b. 330 all. 5-6. Cenno storico/Diario storico brigata ‘A.Furlan’.
103 M. Candotti. Lotta partigiana nella destra Tagliamento 1943-1945. IFSML 2014 p.51. Anche in AAVV. Pramaggiore nella Resistenza. 2005 p.96
104 AAVV. Pramaggiore cit. p. 210. Anche in B. Steffè. La guerra di Liberazione nel territorio della provincia di Pordenone 1943-1945. Edizioni ETS 1996 p. 216.
105 M. Candotti. Ivi. n. 53 p. 53.
106 AAVV. Pramaggiore ibidem.
107 Interviste ai famigliari dei partigiani di S. Giovanni di Motta di Livenza. 2010-2020. (Archivio Davide Drusian)
108 IFSML. Udine. Fondo diari e testimonianze. b. 4 test. 5. Anche in AAVV. Pramaggiore cit.
109 IFSML. Udine. Fondo Fornasir (f.f.) b. 4 f.72: ‘Comando Btg. Livenza al Comando Brigata Ippolito Nievo B. (…) Vi ringraziamo molto caldamente anche a nome del Commissario e dei compagni tutti dell’accoglienza e del trattamento che gentilmente ci avete offerto. A voi ed ai vostri il nostro fraterno saluto con gli auguri più fervidi. Forza e coraggio che presto finirà. Augusto.’ Anche in ACMdL. Cat. VI. b. 330 all. 5 p. 4: Contatti operativi con bande viciniori.
110 AAVV. Pramaggiore cit. p.207. Anche in M. Biason Tesi cit. Documenti – Appunti di guerra: ‘23.9.44: la banda di Treno cerca biciclette e minaccia di incendiare la casa.” Chi scrisse il diario risiedeva nel 1944-45 tra Motta e Meduna di Livenza’.
111 Maria ‘Irma’ Rado (1936). Campobernardo (Tv). 30-7 2020. Anche in IFSML. Fondo Fornasir b.4 f.72: ’19 novembre 1944 – Per Sergio. Comunico che in Oderzo, nelle carceri R.R.C.C., trovasi compagno Diego e altri due dei vostri. Informo altresì che don Giacobbe del luogo ha già chiesto e ottenuto il cambio e sarebbe inoltre disposto di ritirare i prigionieri tedeschi e presentarli al Comando tedesco in qualità di intermediario. Vedete dunque di procedere con la massima urgenza. Per rintracciare detto parroco devi mandare o venire personalmente dal Vecio ove ti indicherà il compagno Remigio. (firmato) Augusto e Gersi”.
112 Si veda Appendice 1: Testimonianze scritte e fonti orali sulla deportazione.
Davide Drusian, Il diario di fra Benvenuto Grava e altre testimonianze inedite sull’occupazione nazifascista a Motta di Livenza (TV), Tesi di Laurea, Università Ca’ Foscari Venezia, Anno Accademico 2021/2022