Nelle campagne delle Marche l’identificazione del padrone con il fascista era decisamente diffusa

Ma aldilà degli aspetti più propriamente militari (e politici), è importante riflettere in questa sede sull’impatto che la Resistenza, nella sua complessità, resistenza con armi e resistenza senz’armi (“resistenza civile”), ha avuto sulla società marchigiana, con particolare riferimento alle zone rurali. In questo modo le considerazioni che seguono non si riferiscono alle sole aree geografiche in cui le bande partigiane si sono formate e hanno operato.
Ciò premesso, va sottolineato come, accanto alla folta memorialistica degli ex partigiani <427, numerosi studi condotti su scala locale e non solo, hanno confermato l’importanza dell’apporto dato dai contadini marchigiani alla resistenza <428.
Dal settembre del 1943 all’estate del 1944, un “numero non irrilevante” <429 di famiglie contadine sono, in numerose aree del territorio regionale, attive nel sostegno del movimento partigiano. L’opera di fiancheggiamento e di adesione assume forme e intensità differenti, in relazione al grado di presenza dei partigiani nelle varie zone e alle decisioni assunte all’interno di ciascun gruppo familiare. Si va dal sostegno materiale che si attiva quotidianamente, per mezzo del reperimento e la fornitura di cibo, alloggi e vestiario, al sostegno morale che si manifesta nella vicinanza di idee e di valori e nella scoperta di un sentire comune. Si sviluppa conseguentemente una rete di solidarietà contadina che si esplica da un lato in aperta ostilità e in rifiuto di collaborazione rispetto all’autorità fascista e dall’altro nella difesa dei partigiani, nel fiancheggiamento attivo delle loro unità – per le quali i contadini stessi svolgono vari servizi, soprattutto quelli di collegamento e comunicazione – fino a giungere alla partecipazione in prima persona alla lotta armata. Un quadro articolato di azioni e comportamenti che rinviano anche all’importante ruolo svolto dalle donne, alle quali vengono affidati compiti precisi, quali il lavaggio del vestiario, la preparazione dei cibi, la sistemazione dei luoghi di ricovero dei partigiani, ma anche attività di vero e proprio fiancheggiamento come la consegna dei messaggi.
Come per coloro che scelgono la via della partecipazione in prima persona alla lotta armata entrando nelle bande partigiane <430, le motivazioni che spingono questi contadini a sostenere il movimento partigiano sono molteplici, difficilmente riconducibili a schemi interpretativi ben definiti, quanto piuttosto connesse alle esperienze soggettive dei singoli, oscillando tra necessità imprescindibili che obbligano a questo tipo di scelta e consapevolezze più o meno fondate, tra spontaneità e responsabilità, tra ambiguità e valori radicali <431: dalla volontà di proteggere i propri familiari che si sono “dati alla macchia” allo scopo di sottrarsi dal pericolo di essere ricondotti in guerra dai fascisti o di essere deportati in Germania al desiderio di veder finire un tipo di potere quello fascista, che si percepisce come ostile e disumano, o la volontà di difendere le proprie cose dalle razzie operate dai nazisti.
Non va dimenticato che nelle campagne l’identificazione del padrone con il fascista era decisamente diffusa <432. Come si è osservato anche nel capitolo precedente, l’avvento del fascismo aveva azzerato i miglioramenti dei patti agrari del 1919-1920, riproponendo un rapporto tra mezzadro e padrone che favoriva nettamente il secondo <433. L’insofferenza contro i proprietari diventa così ostilità contro il fascismo che di questi aveva assunto fin da subito la funzione di garante politico, quando non di braccio armato. D’altra parte, le decisioni assunte successivamente in materia di approvvigionamento delle derrate alimentari, tra le quali l’istituzione nel 1936 degli ammassi obbligatori, i continui richiami alle armi degli uomini validi, avevano accresciuto il distacco di ampi strati della popolazione rurale nei confronti del Regime <434. Distacco che in numerosi casi viene a palesarsi proprio in coincidenza della caduta di Mussolini e dell’avvio della lotta di liberazione.
Qualunque fossero le aspirazioni e le motivazioni che spingono parte della popolazione rurale ad abbracciare, seppur con modalità differenti, la causa della lotta partigiana, questa scelta, in numerosi casi, finisce con il coinvolgere l’intero nucleo familiare. Si è visto sopra, nella testimonianza dell’ex partigiano, come sovente il luogo di rifugio dei “ribelli” coincida con la casa colonica e si è ricordato il ruolo ricoperto dalle donne contadine nell’assistenza a questi: seppur in modo diverso e con varie mansioni, tutti i membri della famiglia vengono coinvolti nel rapporto con il raggruppamento partigiano che opera in quella zona.
Nella descrizione di Pantanetti, ex partigiano, le funzioni svolte dalla famiglia Bucossi, che vive in una zona isolata alle pendici dei monti Sibillini, sono molteplici: “trasporto clandestino di armi e munizioni in piccole valigie di fibra […], suddivisione dei limitati generi alimentari posseduti, la ripartizione delle stanze, stalle comprese, in mille preziosi rifugi, la ricerca dei nascondigli per gli sbandati e gli ex prigionieri, l’affannosa incetta di legna per il riscaldamento degli uomini e per la cottura dei cibi da distribuire, la cessione ai bisognosi del pochissimo e logoro vestiario familiare e di altre infinite cose utili […]. Dal padre alla più piccina delle figlie tutti i Bucossi sentono il cambiamento dei venti, hanno istintiva la percezione del nuovo che sta correndo, di conseguenza vogliono concorrere” <435.
Un coinvolgimento dell’intero gruppo familiare che ha promosso nuovi protagonismi (in primis delle donne) e ha finito con il condizionare i rapporti interpersonali all’interno dello stesso, avviando un processo che si manifesterà nel dopoguerra, quando nuove opportunità di lavoro e nuove aspirazioni sociali metteranno in crisi le vecchie gerarchie: “è innanzitutto l’autorità indiscussa del capofamiglia a farne le spese, ricevendone un colpo rilevante; un colpo che se nell’immediato può forse non essere colto interamente, risulta essere esiziale per il futuro. Le decisioni all’interno del nucleo familiare, infatti, da questo momento, verranno prese tenendo conto del fatto che ognuno potrebbe avere qualcosa da dire, una propria idea, una propria aspettativa, un proprio desiderio” <436.
[NOTE]
427 Per un elenco completo delle memorie dei partigiani marchigiani, si rinvia a M. Papini, La Resistenza nelle Marche: un bilancio storiografico, in V. Conti e A, Mulas (a cura di), Nuovi contributi per la storia della resistenza marchigiana, cit., p. 47, nota 48.
428 Relativamente al contesto regionale si veda tra gli altri G. Bertolo, Le campagne e il movimento di resistenza, Le Marche, cit.; D. Pela, Una notte che non passava mai, cit.; E. Romagna, La resistenza armata nella provincia di Pesaro, in A. Bianchini e G. Pedrocco (a cura di), Dal tramonto all’alba, cit., vol. II, Guerra e ricostruzione, pp. 9-39; A. De Angelis, Il ruolo dei contadini della Provincia di Macerata, in in V. Conti e A, Mulas (a cura di), Nuovi contributi per la storia della resistenza marchigiana, cit., pp. 139-155.
429 D. Pela, Una notte che non passava mai, cit., p. 295.
430 S. Bugiardini, Memorie di una scelta. I fatti di Ascoli Piceno, settembre-ottobre 1943, cit.; D. Pela, Una notte che non passava mai, cit.
431 C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri 1991, pp. 23-62.
432 E. Romagna, La resistenza armata nella provincia di Pesaro, cit., p. 31.
433 S. Pretelli, Repressione e ordine pubblico nella provincia di Pesaro-Urbino, in M. Papini (a cura di), La Guerra e la Resistenza nelle Marche, cit. p. 151.
434 M. Pinotti, Pesaro tra la linea gotica e il pane difficile, in G. Rochat, E. Santarelli, P. Sorcinelli (a cura di), Linea Gotica 1944. Eserciti, popolazioni, partigiani, cit. , pp. 225.
435 A. Pantanetti, Il gruppo Bande Nicolò e la liberazione di Macerata, Urbino, Argalia, 1973, pp. 200-204.
436 D. Pela, Una notte che non passava mai, cit., p. 227.
Luca Gorgolini, Un lungo viaggio nelle Marche. Scritti di storia sociale e appunti iconografici dal web, Tesi di dottorato, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Anno accademico 2005-2006