Nicht schiessen!

Monticiano – Fonte: Mapio.net

Maggio [1944] ebbe fine. Il 1° distaccamento, che ormai contava un centinaio di uomini, divenne battaglione.
Giugno si presentò con una giornata nuvolosa. Le nubi si diradarono solo nel pomeriggio lasciando apparire a tratti il sole. Anche le due giornate successive furono piuttosto nuvolose, anzi nelle ore del mattino del giorno 3 cadde la pioggia: era una pioggia sottile, monotona, uggiosa molto simile a quella che cade nelle giornate autunnali.
La pioggia bagnò la boscaglia ed anche gli uomini che vigilavano sui colli di Pornella; smontando dal servizio di guardia fecero ritorno all’accampamento tutti zuppi d’acqua. Con loro erano “Stecchetti” (Renato Gentili) e “Federico” (Remo Savoi), i due giovani partigiani che la sera di quello stesso giorno caddero uccisi dai nazisti: l’alba li trovò insanguinati e distesi sulla piccola piazza del Sodo di Monticiano.
Chi, percorrendo la strada grossetana, entra nella valle di Rosia e sale su al castello di Frosini per poi continuare il cammino verso la maremma raggiunge, dopo aver da poco oltrepassata la Merse, un piccolo insieme di case poste sul dorso di una collina quasi interamente rivestita di boschi: quel gruppo di case si chiama Monticiano.
Boscoso e scarsamente popolato il territorio di Monticiano venne scelto, dopo l’8 settembre, quale luogo adatto per potervi organizzare i primi gruppi partigiani. E’ doveroso affermare che condizione essenziale al loro sviluppo, oltre alla particolare natura del terreno, fu il coraggio e l’ammirevole aiuto morale e materiale dato da quelle popolazioni.
Non poche furono le vicende della lotta di liberazione che ebbero svolgimento in quel territorio. Numerosi gli scontri avuti, nei primi mesi, con le forze fasciste; ancora più numerosi quelli avuti successivamente con i tedeschi. Uno di tali scontri, senza dubbio uno dei più violenti e sanguinosi avvenne appunto nella notte tra il 3 ed il 4 giugno nella piazza del Sodo, dove si scatenò una vera e propria battaglia in cui i soldati tedeschi fecero anche uso di cannoni e di autoblindo.
La giornata del 3 giugno era trascorsa abbastanza tranquilla per il primo distaccamento o meglio per il 1° battaglione. Prima dell’alba una pattuglia di ricognizione aveva lasciato il nostro accampamento per portarsi verso la strada Tocchi-Monticiano; una altra pattuglia, invece, era andata a Recenza per poi raggiungere la Merse.
Verso mezzogiorno aveva fatto ritorno senza recare notizie di particolare importanza.
Solo nel tardo pomeriggio un portaordini del Comando della brigata, il lungo e secco boscaiolo di Tocchi, Novilio Tozzi detto il “Grasso”, apprendemmo che nella mattinata “Giannino” comandante del 3° distaccamento, aveva con circa trenta uomini occupato per alcune ore l’abitato di Monticiano e distribuito alla popolazione buona parte dei 400 q. di grano ammassati nel silos destinati ad essere portati via dai tedeschi. Prima di iniziare la distribuzione del grano “Giannino” aveva provveduto a disarmare e a catturare tutti gli elementi che costituivano la G.N.R. del luogo.
Oramai ben poche forze fasciste restavano sul territorio dove era dislocata la nostra brigata. Giorno per giorno i partigiani attaccavano le caserme; si impossessavano delle loro armi eliminando coloro che costituivano pericolo ed ostacolo alla lotta di liberazione.
Nella notte tra il 1 e il 2 di giugno cioè la notte successiva a quella in cui era scaduto il termine fissato dal Comando della “Lavagnini” per l’abbandono da parte delle forze repubblichine del territorio sul quale essa era dislocata, due squadre partigiane si erano portate in S. Lorenzo ed avevano costretto alla resa i fascisti.
Nel pomeriggio del 3 giugno avevamo deciso di rimandare di qualche giorno le azioni contro i nazifascismi preparato per la notte. Tutti gli uomini sarebbero rimasti all’accampamento per essere pronti ad effettuare un eventuale spostamento nel caso che i tedeschi ed i fascisti avessero manifestato intenzioni di effettuare qualche rastrellamento irritati dai numerosi attacchi subiti da parte dei partigiani.
A sera quando fu dato l’allarme le tenebre s’erano già fatte spesse e noi, distesi sui giacigli di foglie secche ancora bagnate dalla pioggia, ci preparavamo a trascorrere un’altra notte nei boschi di Pornella.
Rapidissime le squadre si schierarono secondo un piano di difesa già prestabilito. Nell’accampamento rimasero circa 20 uomini comandati da “Bologna”, pronti per essere impiegati dove maggiore poteva essere il pericolo.
Quella notte, però, non vennero né tedeschi né i fascisti. Arrivò invece il Commissario Politico “Gastone” accompagnato da sei partigiani: era stato lo scalpitio dei loro passi a mettere in allarme gli uomini di guardia al campo. Essi in precedenza avevano udito il rombare di un automezzo fermatosi probabilmente nei pressi della pineta di Tocchi.
Dallo stesso “Gastone” si apprese che si trattava di un camion civile requisito dal comando della brigata per trasportare, quella notte stessa, a Monticiano una trentina di uomini del 1° battaglione con il compito di prelevare dal silos tutto il grano rimastovi. All’indomani o nelle notte stessa sarebbe stato distribuito così come alle popolazioni di Tocchi e di S. Lorenzo.
Tutti i partigiani del 1° battaglione chiesero di poter partecipare all’azione, ma non essendo questo possibile i più dovettero rassegnarsi a trascorrere la notte all’accampamento.
Pochi minuti più tardi con sole tre squadre, di una decina di uomini ciascuna, raggiungevo la pineta Tocchi dove trovammo il Comandante “Viro”, il Dottor “Carlo” ed alcune staffette che proprio allora avevano fermato l’autobus Siena-Roccastrada catturando un fascista armato.
Nei pressi del casolare del Borgianni, al lato della strada, era il camion requisito sul quale subito prendemmo posto e partimmo alla volta di Monticiano. Raggiunta la piccola piazza di S. Agostino detta del Sodo, dove era situato il silos, trovammo nuovamente il Comandante “Viro”, “Gastone” e le staffette partiti dopo di noi con l’autobus che, a pochi chilometri da Monticiano , aveva sorpreso e distanziato il lento camion a gassogeno sul quale viaggiavamo noi..
La notizia del nostro arrivo si diffuse in un baleno per tutto il paese. La gente non seppe rimanere a letto e donne e uomini accorsero verso il silos per dare aiuto ai partigiani che già cominciavano a caricare sul camion i primi sacchi di grano.
Una ragazzina ci regalò cinque o sei fazzoletti rossi. “Li offriamo ai partigiani” ci disse.
Con l’interruzione della linea telefonica effettuata immediatamente dopo essere giunti a Monticiano e col il controllo delle vie di accesso al paese, le operazione di caricamento del grano si svolsero con una certa tranquillità.
Le piccole squadre poste a guardia delle strade non avevano il compito di bloccare gli automezzi germanici diretti verso Siena o Grosseto, ma dovevano intervenire solo contro quelli che eventualmente si fossero fermati nella piazza del sodo per dove passa la strada grossetana. Su tale rotabile non era previsto un grande transito, poiché dalla notte del 25 maggio, cioè da quando le azioni dei partigiani si erano notevolmente intensificate, i tedeschi erano stati costretti a non farne molto uso. Era, infatti, trascorsa un’ora dal nostro arrivo e soltanto due macchine, ambedue dirette verso Grosseto, erano state viste passare.
L’orologio dell’antico Palazzo Civico stava per battere i dodici rintocchi della mezzanotte quando arrivò u n pesante autocarro tedesco diretto verso Siena. S’arrestò di colpo nella piccola piazza.
Perché si era fermato?….Né allora, né dopo si è potuta dare una sicura risposta. Si sa soltanto che sull’automezzo, oltre ai soldati tedeschi, si trovavano anche civili italiani che venivano deportati in Germania. Questo particolare fece sorgere il sospetto che i nazisti volessero catturare altre vittime tra le numerose persone che avevano scorto nella piazza.
Tra i partigiani, fedeli agli ordini ricevuti, balzarono davanti al camion con le armi spianate intimarono all’autista di arrendersi. Un quarto partigiano “Gori” (Rolando Mazzanti) aveva intanto puntato il fucile mitragliatore contro i nazisti sul cassone.
“Wer seid ihr?” (Chi siete) – chiede allarmato l’autista.
“Partisan” – grida con voce risoluta “Baffino” (Siro Monelli) uno dei tre partigiani. Egli conosce discretamente la lingua tedesca.
I tedeschi non hanno intenzione di arrendersi. “Baffino” ed i suoi compagni minacciano ad alta voce di far fuoco. Il Comandante “Viro”, che si trova nel silos, avuto il sentore di ciò che sta accadendo sulla piazza accorre con altri partigiani; da una distanza di appena tre o quattro metri puntano anch’essi le armi contro i tedeschi. Tutto questo avviene nello spazio di qualche minuto.
Nessun soldato si decide di saltar giù dall’autocarro. L’autista, anzi, comincia a premere lentamente sull’accelleratore e porta la mano al fianco sinistro con l’evidente intenzione di sfilare la pistola dal fodero. Ma, prima che il tedesco possa fare fuoco sui partigiani che ha davanti e fuggire, “Baffino” punta il fucile e senza esitazione alcuna fa fuoco.
L’autista resta fulminato: la pallottola gli ha trapassato la testa da parte a parte.
Immediatamente dopo la fucilata l’autocarro, che si trova una strada in pendenza, rimasto con ambedue i freni sbloccati, s’avvia e, dopo aver percorso una quindicina di metri , va a sbattere contro un muro che circonda il giardino di una casa.
L’audacia e la risolutezza dei partigiani hanno talmente impressionato i tedeschi che, sbigottiti, non hanno più animo per agire.
“Baffino” infuriato s’arrampica velocemente sul cassone e gridando minaccia di fare nuovamente fuoco. Anche “Viro” e qualche altro partigiano montano sull’autocarro. Ma i tedeschi ancora indugiano ad alzare le mani, anzi un ufficiale impartisce secchi ordini che non sono ordini di resa.
Se i partigiani non fanno immediatamente fuoco è soltanto perché si sono accorti sulla macchina ci sono civili italiani.
Li hanno sentiti gridare: “compagni non sparate ci siamo anche noi….siamo prigionieri”.
Improvvisamente alcuni tedeschi saltano giù e si danno alla fuga, ma dopo appena pochi metri cadono crivellati dai colpi. Qualche pallottola raggiunge l’autocarro ed un giovane ed una ragazza, che fanno parte dei prigionieri, restano feriti.
“Nicht schiessen!” (non sparate !) gridano ora anche i nazisti alzando le mani.
In brevissimo tempo vengono tutti disarmati e condotti nello stanzone a piano terreno del silos: sono diciotto tra soldati, sottoufficiali e ufficiali.
I prigionieri italiani, che hanno potuto riacquistare la libertà abbracciano i partigiani affaccendati nel recupero delle armi e di altro materiale. Ciò che non è possibile recuperare, malgrado tutti i tentativi, è l’autocarro rimasto seriamente danneggiato nell’urto.
Dopo questo episodio, per circa mezz’ora, nessun autocarro fui visto passare per Monticiano. Ma, pochi minuti più tardi, quando il carico del grano era quasi completo e stava per essere decisa la partenza giunse all’improvviso nella piazza un’autoblinda tedesca, a cui era unito un cannone. Proveniva dalla parte di Siena e anziché curvare verso Grosseto, come noi supponevamo decisa e veloce si diresse verso il silos dove s’arrestò con una brusca frenata facendo sull’istante fuoco con tutte le sue mitragliatrici.
Violente ed improvvise le raffiche sono dirette in tutte le direzioni: investono la piccola piazza:colpiscono l’autocarro carico di grano e quasi pronto per partire; penetrano nello stanzone del silos dove si trovano i prigionieri tedeschi sorvegliati da “Federico”. Altre venti persone tra partigiani e popolani sono nella stanza attigua per insaccare gli ultimi quintali di grano.
Solo qualche attimo è trascorso dall’arrivo dell’autoblinda e già ci sono morti e feriti: il primo a rimanere ucciso è stato “Stecchetti”. Il gracile ragazzo è caduto riverso con la fronte insanguinata rivolta verso le stelle. Forse la morte non gli avrà nemmeno concesso il tempo di pensare per l’ultima volta alla sua famiglia, alla sua casa di contadini posta tra le selve di lecci sul piccolo colle delle “Reniere”, accanto all’antica fattoria quasi nascosta dal verde cupo dell’edera.
La prima raffica diretta nell’interno del silos ha colpito all’addome “Federico” che è caduto sul pavimento gravemente ferito.
Le pallottole colpiscono anche i prigionieri tedeschi che si trovano nello stanzone.
“Kamaradem! Kamaradem! – essi gridano disperatamente. Ma i loro camerati non danno ascolto a quelle invocazioni e continuano a sparare.
Per i nazisti la tragedia non era ancora finita.
Avevano iniziato a rimuovere gli automezzi, quando apparvero all’improvviso nel cielo di Monticiano cinque aerei da caccia americani: raffiche di mitragliatrici e scoppi di bombe echeggiavano nuovamente nella piazza del Sodo.
Dalla cima di un colle vedemmo le grandi fiammate seguite dalle dense colonne di fumo nero che si levavano dagli automezzi colpiti. I pochi tedeschi rimasti salvi abbandonarono in fretta il paese e solo allora alcune persone poterono raccogliere il corpi dei nostri compagni caduti.
“Stecchetti” trovò sepoltura nel cimitero di Monticiano. “Federico”, invece, fu adagiato su di un carro agricolo che nella mattinata stessa, si avviò verso la piccola borgata di Brenna. Una povera donna lo seguiva a piedi: era la madre di “Federico”.
Il lento carro, tirato da due buoi guidati da un contadino, discese verso la Merse e passo da Mallecchi.
Nella verde e folta boscaglia lungo la strada a sterro gli usignoli intonavano le loro canzoni, ignari delle tragedie che affliggono gli uomini; ignari degli odi, delle eterne lotte, della guerra, questo terribile male che, come ebbe a dire Fenelon, disonora il genere umano.
A Brenna una folla muta attendeva, quando giunse il carro alcuni chinarono la fronte; altri salutarono col pugno chiuso.
Pasquale Pantera, Brigata partigiana: storia della brigata Garibaldi Spartaco Lavagnini e riferimenti ad altre unità partigiane che operarono in provincia di Siena e in territori limitrofi, Siena, Amministrazione provinciale, 1986

La Brigata Garibaldi “Spartaco Lavagnini” nacque nel novembre 1943 su iniziativa di alcuni antifascisti di vecchia data. Comandante fu Fortunato Avanzati, detto “Viro”, proveniente dal Monte Amiata. La Brigata istallò il comando e alcuni distaccamenti sul Monte Quoio, un massiccio boscoso che si eleva nel comune di Monticiano, ma estese gradualmente la sua influenza nei comuni di Colle Val d’Elsa, Murlo e in tutto il massiccio dell’Amiata. La prima azione che vide coinvolti uomini della “Lavagnini”, ebbe luogo nei pressi della località Rigosecco, in comune di Montalcino, il 15 gennaio 1944. Una squadra di partigiani, venne sorpresa da un distaccamento della Milizia di Siena, che agiva su delazione, e durante uno scontro a fuoco venne dispersa, subendo alcune perdite.
Nonostante questo fatto, la Brigata andava via via ingrossando le file, grazie anche ai numerosi renitenti alla leva ai bandi dell’Esercito Repubblicano, e ai contatti con diversi Comitati di Liberazione, non solo senesi.Il marzo del 1944, purtroppo, vide due gravi episodi che riguardano la Brigata. Il giorno 11,presso Scalvaia, località del Monte Quoio, reparti della GNR di Siena e Grosseto, circondarono e catturarono alcuni giovani che da poco avevano raggiunto la macchia. Un francese, Robert Handen, venne ferito gravemente in combattimento, decedendo poco dopo assieme ad un altro giovane, e altri 10 furono fucilati poco lontano da Scalvaia stessa. Quattro altri, portati a Siena come disertori e renitenti, dopo un processo del Tribunale Militare di Firenze, furono fucilati nel cortile della caserma “Lamarmora” in Siena città. Il 23 marzo 1944, un distaccamento della Brigata, che si era insediato sul Monte Maggio, a cavallo dei comuni di Monteriggioni e Colle Val d’Elsa, venne circondato da numerosi soldati della Repubblica di Salò in un casolare in mezzo al bosco che li ospitava per la notte. In precedenza, alcuni membri di questo distaccamento, avevano catturato un ufficiale della Milizia Forestale e un tedesco addetto alle requisizioni, in una vicina fattoria. Dopo un feroce combattimento, asserragliati nella casa fatta segno a colpi di armi da fuoco, finite le munizioni i giovani si arresero. Portati in un luogo poco distante, 19 di essi venivano falciati da raffiche di mitragliatrice, mentre uno solo riusciva, fortunosamente, a fuggire seppure ferito gravemente. Ma, con l’avvicinarsi della primavera, i distaccamenti della “Lavagnini” avevano ormai il controllo del territorio. Il 15 e il 16 maggio, e il 14-15 giugno 1944, la Brigata riceveva lanci di armi e materiale dagli Alleati. Il 20 maggio 1944, un distaccamento guidato da Pasquale Pantera, detto “Serpente”, liberava, con il concorso di numerosi civili, due partigiani in precedenza catturati dalla GNR di Murlo e rinchiusi nelle scuole elementari della frazione Casciano. Solo l’impreparazione di un partigiano, che apriva il fuoco troppo presto, non permise la cattura di altri elementi fascisti in arrivo da Siena. Ai primi di giugno 1944, i partigiani della “Lavagnini” iniziavano a scontrarsi con i primi tedeschi in ripiegamento dal Lazio. Con l’avvicinarsi delle truppe alleate del Corpo di Spedizione Francese, il comando della Brigata pensò di precedere questi soldati ed entrare in Siena prima di loro, ma il progetto andò a monte. Differentemente, mano a mano che i francesi entravano in contatto con partigiani della “Lavagnini”, li disarmavano. Conclusa la campagna militare, molti uomini della Brigata si arruolarono nel ricostituito Esercito Italiano dei Gruppi da Combattimento.
Redazione, Raggruppamenti partigiani in Provincia di Siena, Storia XXI Secolo

Il monumento ai martiri di Scalvaia – Fonte: Wikipedia

[…] La brigata “Spartaco Lavagnini” aveva organizzato un campo di accoglienza per renitenti e reclutamento di nuovi partigiani sulle pendici del Monte Quoio. L’8 marzo 1944, in seguito ad una soffiata, la formazione organizzò un attentato ai danni del console della GNR di Grosseto Ennio Barberini, lungo la statale Grosseto-Siena. In realtà sull’auto viaggiava solo l’autista Poerio Neri, squadrista del 645, Comando Provinciale della GNR di Grosseto, che perse la vita, e un commerciante raccolto per un passaggio che rimase ferito. Raggiunto dalla notizia, Barberini predispose un immediato rastrellamento della zona, inviando elementi della Compagnia Ordine Pubblico della GNR di Grosseto, insieme ad alcune unità tedesche e ai militi della Compagnia Ordine Pubblico di Siena, guidati dal capitano Zoppis, in forza alla prefettura della città dal 20 ottobre 1943. Con loro si trovava anche la squadra detta della “Casermetta” di Siena, al comando di Alessandro Rinaldi.
Dopo iniziali difficoltà i rastrellanti individuarono il campo della “Lavagnini” che fu attaccato di sorpresa.
Scoppiò un breve scontro ma, a causa della netta inferiorità, i partigiani furono costretti a sganciarsi lasciando un morto e un ferito. Un gruppo di 19 giovani renitenti, arresisi dietro la promessa di aver salva la vita, fu messo in marcia. Arrivati nei pressi del cimitero di Scalvaia venne effettuata una cernita. Un prigioniero, dichiaratosi disposto a collaborare, fu portato a Grosseto per essere arruolato nella GNR; altri 8 (tra cui il gravemente ferito Robert Handen, francese dichiaratosi ex prigioniero di guerra) furono portati a Siena per essere giudicati dal Tribunale Militare Straordinario di Guerra (vedi scheda).
Gli altri 10 vennero invece fucilati sul posto, nonostante il tentativo del parroco di Scalvaia don Antonio Saperi di fermare i fascisti. Questi, a fianco dei corpi lasciarono un cartello con su scritto: «Nel luogo in cui un nostro milite ha trovato la morte per mano dei ribelli, questi traditori sono stati raggiunti dalla giustizia. La giustizia arriva sempre per uno a dieci». […]
Giulietto Betti e Marco Conti, Episodio di Scalvaia Monticiano. 11.03.1944, Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia

All’alba dell’11 marzo 1944 due camion, uno proveniente da Siena ed uno da Grosseto, scaricarono oltre cento camicie nere nei pressi di Scalvaia. Questi, guidati da spie fasciste, accerchiarono i “seccatoi” del sughereto dove dormivano venti giovani renitenti alla leva, in attesa di raggiungere la brigata “Spartaco Lavagnini” che aveva la base nei boschi del Belagaio (Roccastrada) e di Pornella (Sovicille). I seccatoi furono investiti dal fuoco dei mortai e delle mitragliatrici e nulla poterono fare i due giovani a guardia dell’accampamento. Giovanni Bovini cadde sul luogo, Robert Haudin fu ferito mortalmente, gli altri catturati e fucilati lungo la strada o a Siena.
ANPI Siena