Cammina il partigiano Jervis

Fonte: art. Patria Indipendente cit. infra

26. Val Germanasca libera
L’idea dei capi partigiani della val Pellice non considerava sufficiente limitarsi alla val Pellice zona libera. Ragion per cui, fra gennaio e febbraio 1943, partì un primo distaccamento di partigiani GL per andare a Prali, dove, dopo aver eliminato la locale milizia, insieme a quella di Perrero, instaurarono il loro governo su tutta la val Germanasca.
Su questo territorio non crebbero gruppi antifascisti durante il 1943, eccezion fatta per gli appelli del pastore Arnaldo Genre che dopo l’8 settembre aveva incitato i giovani a prendere le armi. Ricercato per questo atto di coraggio, dovette fuggire e nascondersi. Lontana dai centri politicizzati della valle vicina, come Torre Pellice, crocevia di militanti e intellettuali, la val Germanasca si presentava geograficamente più protetta, meno “aperta” e quindi più difendibile. Per questo motivo, poteva diventare una “casa” partigiana più sicura.
Vi approdarono, in successive ondate, fra vecchie e nuove reclute, quasi 200 persone, per arrivare fino a 500 a metà marzo, con nuove basi e nuove bande nei punti strategici della valle. Di fatto, sotto il governo dei partigiani, la valle ospitava un’amministrazione municipale a Prali e il comando alle miniere della Gianna.
Willy Jervis ne fu uno dei principali animatori. Valente alpinista, ingegnere, dirigente industriale impegnato a formare i giovani al Centro di Formazione Meccanici della Olivetti, continuava questo suo impegno di educatore alla libertà nelle bande partigiane. L’11 marzo 1944, trovato in possesso di esplosivo e carte compromettenti, fu arrestato a Bibiana mentre in moto stava andando dalla Gianna a Torino, dove teneva contatti con il Comitato militare piemontese. Il 5 agosto successivo, dopo torture e interrogatori, venne fucilato e poi impiccato sulla piazza di Villar Pellice.
Sulla copertina della sua Bibbia, inciso con uno spillo, aveva scritto: “Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea”.
Lo spostamento in val Germanasca, l’arrivo di nuove reclute, il consolidarsi della vita di banda imposero alcune riorganizzazioni interne. In val Pellice, sotto la guida di Antonio Prearo, un comandante partigiano che lasciò dettagliata e preziosa testimonianza di quegli anni nel suo libro Terra ribelle, in marzo si potevano contare più di 300 partigiani, più di 500 in val Germanasca. Con queste forze e con tante speranze essi avrebbero dovuto affrontare una delle prove più difficili: il rastrellamento del marzo 1944.
27. Il rastrellamento del marzo 1944
Alla rinnovata furia tedesca, i partigiani risposero con azioni alternate di attacco e ritiro. Se aggrediti, lasciavano il fondovalle, per riprendere la lotta alla scomparsa del nemico. Il rastrellamento iniziò il 21 marzo. In val Pellice, se i GL scelsero di “sparire”, i garibaldini della val Luserna opposero al contrario una rigida difesa, specie nell’eroica battaglia di Pontevecchio, impotente tuttavia a frenare gli assalti tedeschi che li ridussero da 800 a 50 uomini. In val Germanasca, infine, per la prima volta, sotto il dispiegamento di forze nemiche, paradossalmente la natura considerata protettiva per le sue strette gole diventava nemica, isolando le bande bloccate al fondovalle e impossibilitate ad attaccare sui fianchi allo scoperto.
I carri armati arrivavano fino a Prali, mentre i partigiani sperimentavano l’amarezza di vedersi rifiutare aiuti dalla popolazione impaurita di Rodoretto.
La fine di marzo segnò un momento di crisi per la lotta partigiana, colpita dalla sfiducia che stava penetrando in alcune frange della popolazione civile, scoraggiata dalle vessazioni dei rastrellamenti. Soprattutto fra la piccola e media borghesia valligiana aumentarono i moderati, coloro che avevano fino ad allora cercato di mantenersi neutrali o appoggiato la ribellione quasi per forza. In questo clima poco positivo, si rinnovava l’invito ai giovani di leva a presentarsi. A Bobbio si consegnarono 18 su 21, a Torre 30 su 500: la maggioranza aveva scelto l’arruolamento nelle SS piuttosto che andare al lavoro coatto in Germania, perché la prima ipotesi avrebbe potuto permettere, con un pizzico di fortuna, il tentativo di disertare, magari portandosi appresso armi ed equipaggiamenti utili alla vita di banda. Fino ad aprile, intanto, i partigiani vissero in totale clandestinità, aspettando che le acque si calmassero, grazie alla totale solidarietà della maggioranza della popolazione che copriva la loro attività ribellistica. In questo momentaneo “ritiro” si gettarono le basi per la ripresa estiva.
Bruna Peyrot, Resistere nelle Valli Valdesi. Gli anni del fascismo e della guerra partigiana, Società di Studi Valdesi, 17 febbraio 1995

Autunno 1944, Borgata Fontane (val Germanasca): il fotografo partigiano Ettore Serafino [Archivio famiglia Serafino] – Fonte: e-review.it

Autunno 1944, Borgata Fontane (val Germanasca). [Archivio famiglia Serafino] – Fonte: e-review.it
Le bande G.L. della Val Germanasca
Incapace di dare origine ad un movimento resistenziale autonomo la Val Germanasca, cominciò a diventare oggetto d’interesse per le bande partigiane soltanto nel gennaio 1944 quando, alcuni ufficiali delle brigate G.L. della vicina Val Pellice (e tra questi Sergio Toja, Roberto Malan ed il col. Vincenzo Ciochino), non si recarono a Prali per studiare le possibilità di sfruttare la zona, assai impervia ed adatta alla conduzione della guerriglia in montagna. In realtà già alla fine dell’anno precedente, nel vallone di Pramollo, una specie di enclave racchiuso tra i corsi del Pellice e del Germanasca ed il basso bacino del Chisone, si era organizzata una piccola banda, composta da elementi locali e da patrioti provenienti dal gruppo del Bagnòou (cfr. introduzione storica alla val Pellice), che aveva attrezzato la propria base nei boschi che ammantano il valloncello della Gran Comba, discendente dal M. Gran Truc.
Se si dovesse fissare una data ufficiale per segnalare l’inizio della guerra di liberazione in Val Germanasca, tuttavia, bisognerebbe indicare il 25 gennaio 1944 in quanto, in questo giorno, una colonna di circa 50 patrioti, agli ordini di Poluccio Favout, si mosse dalla Val d’Angrogna (vallone tributario del Pellice), per prendere posizione a monte di Chiotti, nel valloncello di Riclaretto. Di qui, il gruppo effettuò alcune azioni andate a buon fine quali gli assalti ai presidi di Prali (Milizia) e di Perrero (Carabinieri) e si diede un’organizzazione per bande, dislocate in tutti i valloni tributari del Germanasca e nella valle Principale. In particolare, furono organizzate basi nella zona di Prali, ove si provvedeva anche ad addestrare le nuove reclute, a Perrero, a Comba Garino, mentre il Comando fu allestito presso le miniere di talco della Gianna, una specie di fortezza naturale ove la valle si restringeva notevolmente.
Per quanto meno illustre rispetto a quella della vicina Val Pellice, la storia della Resistenza in Val Germanasca fu contrassegnata dalla presenza di figure illustri quali i commissari politici Emanuele Artom e Jacopo Lombardini, catturati al Col Giulian nel marzo 1944 e Willy Jervis, membro del Comitato Militare Piemontese del Partito d’Azione e responsabile dei collegamenti tra il Comando della Val Germanasca e Torino. I primi due, dopo l’arresto, furono l’uno ucciso dopo inimmaginabili torture (Emanuele Artom, oltre essere partigiano era anche ebreo), l’altro inviato al lager di Mauthausen, ove morì di stenti pochi giorni prima della liberazione. Willy Jervis, invece, catturato all’inizio del marzo 1944, con materiale compromettente nei pressi di Bibiana, fu interrogato e torturato per mesi, fino a quando, il 5 agosto dello stesso anno, non venne fucilato ed esposto impiccato, come tragico monito alla popolazione, sulla piccola piazza di Villar Pellice; da lui prese il nome la Brigata G.L. della Val Germanasca.
Il 17 febbraio 1944, data particolarmente significativa per i valdesi (quasi tutti i partigiani della zona e della vicina Val Pellice erano protestanti) in quanto ricorda l’emancipazione che questi ottennero da Re Carlo Alberto nel 1848, i partigiani della Val Germanasca, effettuarono la loro azione più clamorosa. Agli ordini di Poluccio Favout, una cinquantina di uomini scese in bassa Val Chisone ed occupò tutti i villaggi compresi tra Perosa Agentina e Pinerolo. Dopo aver mandato a monte la cerimonia di giuramento dei carabinieri della R.S.I., distrutto le liste di leva dei vari Comuni e requisito viveri e medicinali, i partigiani si ritirarono in buon ordine, lasciando sul campo solo 2 morti, uccisi dai tedeschi giunti d’improvviso. Dopo aver subito alcuni rastrellamenti particolarmente duri come quelli della seconda metà di marzo e della prima metà di agosto 1944, dei quali fecero le spese anche parecchi civili, i partigiani della Val Germanasca intensificarono le loro azioni in pianura, ove era più facile disperdersi in caso di rastrellamento. Suddivisi in piccole squadre di circa 10 uomini, gli uomini della “Willy Jervis” operarono nella zona compresa tra i paesi di Campiglione, Fenile, Cavour, Vigone, Scalenghe, Vinovo e Piobesi, dislocati tra la prima e la seconda cintura torinese. Qui i partigiani, più che ad azioni mirate a colpire direttamente i nazifascisti, operarono sabotando installazioni industriali o ferroviarie, creando scompiglio tra le file nemiche e mettendo l’esercito occupante in seria difficoltà. In particolare vanno ricordate le azioni di sabotaggio delle linee ferroviarie Airasca-Saluzzo, nei pressi di Villafranca e Torino-Pinerolo, la distruzione di alcuni macchinari nelle officine R.I.V. di Pinerolo (dopo il bombardamento del gennaio 1943 la fabbrica era stata spostata in capannoni di fortuna a Pinerolo) ed il sistematico danneggiamento di tratti di strada, ponti, linee telegrafiche ed elettriche. La guerriglia in pianura vide i partigiani G.L. operare a stretto contatto con i Garibaldini di Petralia e Barbato, provenienti dalla Val Luserna e dalle valli di Barge e Bagnolo. I rapporti con questi patrioti non furono sempre “idilliaci”, ma tutto sommato decisamente migliori rispetto alla fase in cui si combatteva lungo le vallate alpine. Qui, infatti, malgrado permanessero le divergenze politiche, non si trattava più di disputare il cibo e l’armamento con le bande dislocate nelle vicinanze, in quanto i lanci ed i rifornimenti erano egualmente distribuiti per tutti, grazie all’organizzazione capillare che il Comitato Militare Regionale Piemontese aveva saputo mettere in piedi.
Redazione, La Resistenza nel Pinerolese, Comune di Pinerolo (TO)

Guglielmo Jervis – Fonte: Igor Pizzirusso, Op. cit. infra

Guglielmo Jervis. Di anni 42 anni. Nato il 31 dicembre 1901 a Napoli. Residente ad Ivrea. Sposato e padre di tre figli. Di professione ingegnere presso la S.A. Olivetti & C. di Ivrea (TO). Dopo gli studi a Torino e Firenze, frequenta prima il Politecnico di Torino, quindi quello di Milano, dove si laurea in Ingegneria industriale meccanica il 26 ottobre 1925. Circa due settimane dopo, il 14 novembre, ottiene l’abilitazione per esercitare la professione superando l’esame di Stato. Chiamato a prestare il servizio di leva, è arruolato come allievo ufficiale di artiglieria alla scuola di Milano, quindi è trasferito, con il grado di Sergente, al 12º Reggimento di Vigevano, dove viene promosso Sottotenente. Assunto presso la ditta “Frigidaire” di Milano, nel 1930 è richiamato dall’esercito per alcune esercitazioni militari, che gli conferiscono il grado di Tenente. Rappresentante dei Gruppi giovanili valdesi, collabora col pastore Giovanni Miegge al periodico “Gioventù Cristiana”, di cui diventa uno dei responsabili amministrativi dopo che, nel settembre del 1931, la rivista si fonde con “Gioventù Valdese”. Nel maggio del 1932 si sposa con Lucilla Rochat. Costretto ad iscriversi al Partito nazionale fascista nel 1933, l’anno successivo è scelto dalla Olivetti per dirigere la filiale di Bologna. Nel 1935 Adriano Olivetti lo chiama alla sede di Ivrea e gli affida il compito di pianificare e coordinare la formazione professionale degli operai meccanici. Con la collaborazione di scuole ed istituti esterni all’azienda, Jervis predispone dei veri e propri corsi di apprendimento che ottengono ben presto il riconoscimento ufficiale da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Attivissimo nella vita della fabbrica, che raccoglie e dà lavoro ad un gran numero di perseguitati politici e razziali, dopo l’8 settembre è tra i primi ad organizzare la Resistenza armata nella zona di Ivrea, occupandosi del recupero di armi e, soprattutto, del salvataggio di ebrei e sbandati che egli, abile alpinista, accompagna in Svizzera attraverso i valichi montani. Durante questi viaggi in terra elvetica entra in contatto con le forze armate inglesi e l’OSS (Office of Strategic Service) gli affida importanti missioni di collegamento con i partigiani italiani. Divenuto membro del primo Comitato militare del Partito d’Azione piemontese, nel novembre del 1943 è costretto a rifugiarsi in Val Pellice (TO) perché ricercato di nazifascisti. Qui, oltre ad organizzare il primo lancio d’armi per i partigiani effettuato dagli Alleati nelle Alpi occidentali, Jervis si occupa di mantenere i collegamenti tra le bande ed il comando centrale. Nominato Commissario politico regionale delle formazioni “Giustizia e Libertà”, l’11 marzo 1944 si mette in viaggio verso Torino a bordo della sua motocicletta, con un carico di materiali di sabotaggio ed alcuni documenti compromettenti. Sorpreso dai nazisti al ponte di Bibiano (TO), al confine tra la Val Pellice e la Val Germanasca, viene immediatamente arrestato e tradotto alle Carceri Nuove di Torino, dov’è sottoposto a ripetuti interrogatori e torture finché, nella notte tra il 4 e il 5 agosto, viene condotto a Villar Pellice (TO) e fucilato assieme ad altri 4 partigiani. Dopo l’esecuzione, il suo cadavere viene impiccato e lasciato appeso per un giorno ad un albero nella piazza principale del paese, come monito alla popolazione. A Guglielmo Jervis, detto Willy, è stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria con la seguente motivazione: “Benché esonerato dal richiamo perché tecnico di un importante stabilimento industriale, non esitava ad abbandonare volontariamente il lavoro e la famiglia per dedicarsi tutto alla lotta di liberazione. Organizzatore ed animatore dei primi nuclei partigiani in Val d’Aosta, per la sua opera illuminata ed infaticabile e per la felice riuscita di alcune importanti missioni militari che gli erano state affidate, era ben presto chiamato a far parte del Comando Militare del Piemonte, nell’ambito del quale aveva modo di far rifulgere eccezionali doti di coraggio e di intelligenza. Arrestato dalle SS. tedesche e trovato in possesso di materiale di sabotaggio e di documenti militari, per giorni e giorni veniva sottoposto ad atroci, inaudite torture alle quali rispondeva, senza cedere un istante, ma anzi rincuorando dal carcere i compagni, col più stoico silenzio. Destinato al plotone di esecuzione dai tedeschi che ne dovevano, a titolo di ludibrio e di rappresaglia, impiccarne più tardi la salma sulla piazza di Villar Pellice, affrontava la morte liberatrice con la serenità degli eroi. Le sue ultime parole, trovate incise con uno spillo nella sua Bibbia tascabile, erano state:« Non piangetemi, non chiamatemi povero; muoio per aver servito la mia Idea ». Villar Pellice, 5 agosto 1944.” La data del decreto è in corso di verifica.
[…]

Ultima lettera alla famiglia di G. Jervis. Proprietà della foto: Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea – Collocazione archivistica: Fondo Willy Jervi – Fonte: Igor Pizzirusso, Op. cit. infra

Lettera di Guglielmo Jervis (Willy) alla Moglie e ai figli scritta in data 5-08-1944
“DIO VI BENEDICA E
VI GUARDI CI RIVEDREMO CERTO LASSÙ BACIA I BIMBI PER ME
POVERINI SII FORTE PER LORO IL TUO WILLY”
“SABATO 5 VII
MIO AMORE CARO DATO COME SI SONO SVOLTE LE COSE TEMO
NON CI SIA OGGI PIÙ SPERANZA SIA FATTA LA VOLONTÀ
DI DIO. AVRÒ FEDE FINO ALL’ULTIMO E SPERO. SONO SERENO
DIO MI CONFORTA. SONO CERTO TU PURE TROVERAI IN DIO LE
CONSOLAZIONI PENSERÒ SEMPRE A VOI”
[…]
Igor Pizzirusso, Guglielmo Jervis (Willy), Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana

Fonte: art. Patria Indipendente cit. infra

Ma la morte di Willy è stata vana?
È l’interrogativo non scritto che, pure, innerva di sé tante delle lettere che, accecato dal dolore, Giorgio Agosti, unico sopravvissuto dei cinque componenti del comitato militare resistente del Partito di Azione, scrive per anni a Lucilla Rochat Jervis, vedova del compagno di lotta tra i più cari, fucilato il 5 agosto 1944 a Villar Pellice, nel torinese; appeso post mortem al palo della luce della piazza, perché la esposizione del suo cadavere, irriconoscibile agli occhi della sua stessa sorella Laura, rinsaldando il patto di sangue tra i carnefici, fosse di monito a chiunque passasse […]
Dalla montagna ha imparato il modo degno di vivere: praticare il sentiero con la schiena dritta, conoscendone la necessità e la fatica; lottare per le proprie idee con modestia d’animo, senza lasciarsi fiaccare dalla solitudine.
Da conoscitore della montagna, Willy, partigiano della V divisione Giustizia e Libertà Sergio Toia, assume su sé prima il compito di accompagnare in Svizzera alcuni ex prigionieri; poi, sempre più coinvolto nella Resistenza, di ricercare i contatti per organizzare i primi lanci alleati nelle valli valdesi e di mantenere salda la rete dei rapporti tra le bande partigiane che qui trovano il terreno fertile di una “secolare tradizione di lotta armata per la libertà” (cit. Antonio Prearo, comandante partigiano in Val Pellice, in “Terra Ribelle” ed. Claudiana).
Solitariamente e pericolosamente, il partigiano Jervis, dal 1934 ingegnere alla Olivetti di Ivrea, cammina, cammina e cammina: i sentieri della Val Chisone, della Val Pellice, della Val Germanasca sono quelli percorsi dai suoi “padri lontani”, quei valdesi irriducibilmente e convintamente eretici, anticipatori della riforma luterana, mai sottomessi alla autorità della chiesa di Roma, che, giunti migranti dalla Francia in queste valli, per otto secoli vennero perseguitati, lasciando – anni 1686-87 – 9.000 morti tra i propri 14.000 prigionieri (cit. Henry Arnaud, “Storia del grande rimpatrio”, ed. Claudiana) nelle carceri dei Savoia e della monarchia di Luigi XIV, braccia secolari della Controriforma papista.
Cammina, il partigiano Jervis, nelle valli dove il culto evangelico di Arnaud [1] intrecciato alla lunga esperienza della guerriglia valdese, è vivo nelle coscienze e nella lapide che, nel bosco di Odin, in Valle Angrogna, reca la scritta “qui rivive lo spirito eroico dei padri che pregando soffrirono e morirono per la libertà di coscienza”.
Eccolo il partigiano Jervis: pedala, deve arrivare a Torino alla casa di Ada Gobetti, deve incontrare Paolo Braccini del comando militare piemontese di GL – intanto il primo lancio alleato è avvenuto il primo febbraio ’44 a Rorà, parola d’ordine “saluti da Bernardo”.
Eccolo il partigiano Jervis: cammina sul sentiero verso la Vacera, Praly, il Col della Gianna, Pra del Torno e il Bagnou dove, tra i partigiani, c’è Jacopo Lombardini, istitutore del Convitto valdese di Torre Pellice [2].
Cammina il partigiano Jervis: lo abita un mite pudore nella dimostrazione degli affetti [3], una lucida accettazione del rischio per fare il proprio dovere di uomo libero, cresciuto alla scuola della fede valdese, che, da sempre invisa ad ogni ossequio servile verso il potere, eternamente afferma “la libertà dell’idea sulla forza bruta della materia” (cit. Giorgio Agosti a Lucilla Rochat Jervis, 25 novembre 1948).
Cammina il partigiano Jervis: progetta le uscite della stampa clandestina, porta messaggi, porta esplosivi, lui che, negli anni Trenta, con un gruppo di giovani valdesi, aveva studiato Karl Barth, declinando il pensiero del grande teologo fino alla scelta militante nella Resistenza europea antifascista.
Non sappiamo dove trovasse riposo, ma sappiamo che un oggetto lo conservò sino alla fucilazione, e fu anzi il tramite per riconoscerne il cadavere: una piccola Bibbia con la copertina nera.
Non sappiamo i suoi sogni e non conosciamo i suoi incubi, ma sappiamo che l’11 marzo ’44 sta percorrendo in moto la strada da Torino verso Torre Pellice, la “Ginevra italiana” dove, dal novembre ’43, abbandonata la casa di Ivrea, vive la sua Lucilla con i bambini, e dove, al principio della lotta partigiana, si sono dati raduno i dirigenti del Partito d’Azione.
Eccolo il partigiano Jervis: è all’altezza del ponte di Bibiana e sono le 9.30 del mattino.
Non sappiamo perché stia dirigendosi verso Torre Pellice, quando era atteso a Torino, ma sappiamo che viene fermato al posto di blocco e sappiamo anche che ad operare l’arresto sono i militi delle SS italiane comandante dal capitano Arturo del Dosso e dal tenente Francesco Malanga, i primi a inferire sul suo corpo prima del trasporto nel braccio tedesco delle Carceri Nuove di Torino dove sarà iscritto con il numero 1.128.
Dalle lettere dal carcere, scritte sul retro delle lettere inviategli ogni mercoledì da Lucilla, ogni giorno e ogni notte vivendo la propria morte, sappiamo che il partigiano Jervis soffriva di insonnia, che assumeva tre pastiglie di Sonoril (un sonnifero procuratogli da Lucilla), che la minestra del carcere duro lo faceva stare male, che, a volte, gli pareva di impazzire, e che per scrivere usava una matita nera.
Quando – e sa che il passo sta per compiersi – non ha più nulla per scrivere usa uno spillo o una piccola punta per incidere in lettere maiuscole le proprie parole a Lucilla: “RICORDAMI AGLI AMICI NON CORONE O FUNERALI” […]
1) Herny Arnaud: pastore valdese (1641-1721), organizzatore e comandante della spedizione valdese detta “grande rimpatrio” del 1689, che vide la guerriglia dei valdesi esuli nella Svizzera riformata per riconquistare le Valli.
2) Jacopo Lombardini (1892-1945), commissario V divisione alpina Sergio Toia, catturato il 24 aprile 1944 a Bobbio Pellice, a qualche chilometro da Torre Pellice e da Villar Pellice, luogo dell’esecuzione di Jervis. Deportato e ucciso a Mauthausen il 24 aprile 1945.
3): “Quante cose vorrei dirti, tu sai il mio amore per te e per i bimbi, vorrei che tu non portassi il lutto” (parole incise sul biglietto insanguinato ritrovato sotto la camicia di Willy dopo la fucilazione).
Annalisa Alessio, Cammina il partigiano Jervis, Patria Indipendente, 12 Luglio 2019

Fonte: art. Patria Indipendente cit.

Proprio dalla letteratura storica estranea all’ambiente evangelico possiamo trarre alcune indicazioni, a nostro modesto avviso, difficilmente oppugnabili. Nel celebre volume delle Lettere dei condannati a morte <27, le firme di evangelici sono sei (anzi sette) su un totale di 105: vogliamo ricordare queste firme? Sono Riccardo Balmas, Renato Peyrot e i due fratelli Genre, tutti e quattro delle Valli valdesi; Willy Jervis valdese di Firenze (nato a Napoli), Luciano Pradolin, valdese di Tramonti (PN) e Paolo Casanova, battista, fratello del pastore Franco Casanova.
27 Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana (a cura di P. MALVEZZI e G. PIRELLI). Torino, Einaudi, 1952.
Giorgio Bouchard, Relazione introduttiva in Gli evangelici nella Resistenza a cura di Carlo Papini, Claudiana, 2007