Lombardi ritiene che lo stato sovietico sia socialista

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1 – Pensiero trotskista e pensiero socialista.

Ho detto che il pensiero socialista del periodo, abbastanza povero di articoli sulla natura sociale dell’Unione Sovietica, si caratterizzò in alcuni dei suoi interventi per un aver riecheggiato alcune tesi tipiche del pensiero trotskista: fatto che ne giustifica la collocazione in questa parte del lavoro, se pur in una posizione autonoma.

Voglio subito chiarire con un paragone cosa intendo per ‘riflesso’, cioè la ripresa di alcune tesi trotzkiste negli articoli socialisti. Si può intravedere questa influenza allo stesso modo in cui un osservatore esterno si immagina il panorama circostante a partire dai riflessi lasciati da questo sui vetri delle finestre di un edificio; in maniera, cioè, diafana e disarticolata. Cerchiamo ora di mettere in evidenza gli elementi di questa pallida influenza analizzando le tesi socialiste che più si avvicinano a quelle trotskiste.

Cominciamo con le tesi di Riccardo Lombardi che più di tutti gli altri vi si avvicina. L’autore socialista, infatti, sostiene che la mancata rivoluzione mondiale abbia avuto un forte contraccolpo in Unione Sovietica, provocando il prevalere di elementi burocratici nazionalistici nella politica del governo bolscevico, elementi che Lombardi definisce ‘non certo socialisti’. È evidente, a questo proposito, la similitudine con le tesi della Quarta Internazionale che individuava le cause della burocratizzazione del regime e le cause della vittoria dello stalinismo nel mancato avvento della rivoluzione proletaria nei paesi industrializzati e nelle misere condizioni economiche in cui la Russia fu abbandonata a causa di quel fallimento. Se i trotskisti, a seguito di questa affermazione, sostennero che dopo la vittoria della burocrazia in Urss e la teorizzazione del ‘socialismo in un paese’, la politica internazionale del governo russo tese a trasformare il movimento proletario mondiale in uno strumento adatto e sottomesso ai propri scopi facendo così fallire la possibilità e le occasioni rivoluzionarie che si erano presentate nei vari paesi nel corso della storia, Lombardi d’altro canto mette in guardia contro lo stretto legame con Mosca, in quanto lo stato sovietico, burocratizzato e nazionalista, non avrebbe attuato una politica internazionalista ma avrebbe solo intralciato la strada all’avanzata del movimento proletario al fine di proteggere i propri interessi di Stato, cosa che di fatto, sempre secondo Lombardi, si sarebbe realizzata in Italia negli anni che seguirono la Liberazione dal fascismo.

Infine, come i trotskisti sostengono che solo una rivoluzione mondiale può essere utile alla causa del socialismo russo, allo stesso modo Lombardi sostiene che la causa socialista dello Stato sovietico è meglio difesa dalla vittoria del proletariato in altre parti del mondo che non dal servilismo che Mosca vorrebbe imporre al movimento proletario internazionale.

Come si vede, quindi, i punti di contatto sono interessanti, anche se l’accordo non è completo. Lombardi, infatti, ritiene che lo stato sovietico sia socialista, anche se con qualche imperfezione (la burocrazia, lo statalismo, eccetera); l’autore socialista è quindi lontanissimo dalla definizione di ‘Stato operaio degenerato’ usata dai trotzkisti per definire il modello sovietico.

Lombardi inoltre non giudica necessaria alcuna ulteriore rivoluzione (democratica, come volevano i trotskisti) all’interno del paese, ritenendo sufficienti alla causa della completa vittoria del socialismo russo la sola vittoria del proletariato in altre parti del mondo (fatto che avrebbe posto fine alle cause dell’esistenza di quelle storture che impacciavano lo stato sovietico).

È chiaro, quindi, che, se di riflesso si deve parlare, si tratta evidentemente di un riflesso molto pallido. Questo è evidente anche a proposito degli altri due scrittori socialisti, Rosenfeld e Ruggero Mura, che denunciarono le diseguaglianze sociali originate dalla distribuzione ineguale del reddito nazionale.

La loro critica su questo argomento non arriva, però, a denunciare l’esistenza di una casta burocratica sfruttatrice.

Per quanto riguarda invece la struttura economica del regime, la nazionalizzazione e la pianificazione, i giudizi dei socialisti non si limitano ad una semplice difesa del carattere proletario di queste strutture economiche, come fecero i trotskisti, ma, soprattutto gli articolisti della rivista “Socialismo”, ne esaltano il profondo carattere democratico e giudicano reale, effettivo, il potere dei lavoratori di determinare le scelte e gli indirizzi del piano produttivo.

In questo senso il pensiero socialista si avvicina molto a quello comunista e le critiche sono identiche a quelle sviluppate nella terza sezione di questo lavoro, dedicata ai comunisti. In particolare, rimando a quelle sviluppate a proposito della pianificazione economica.

Rimane ora da chiedersi: quale fu l’effettivo peso delle teorie trozkiste nel pensiero socialista?

Sottolineando ancora il fatto che questo riflesso fu tuttavia molto debole, ritengo che il peso esercitato, anche se minimo, non fu del tutto trascurabile. Certo non si può istituire il più lontano paragone con quello che significò per i socialdemocratici la ripresa della teoria del ‘collettivismo burocratico’ per la loro ideologia e pratica politica.

Ritengo però che i Socialisti, non accettando totalmente il modello sovietico di socialismo, si richiamarono ad alcune tesi tipiche del trotskismo al fine di non confondere la proprie posizioni con quelle piatte e mistificatrici dei comunisti. Sulla base di questa differenziazione dei giudizi sul modello sovietico i socialisti difesero la ragione politica della loro autonomia organizzativa e ideologica dal PCI. Accettare in toto il modello sovietico avrebbe infatti significato per il Psi rinunciare alla propria diversità e riconoscere la loro totale affinità con i comunisti, in quanto la concezione del socialismo propugnata dai due partiti sarebbe coincisa.

2 – Scarsità di materiale prodotto in campo socialista a questo proposito.

Si potrà rimanere meravigliati dallo scarso peso e dai pochissimi articoli di socialisti riportati in queste pagine. La verità, tuttavia, è proprio questa: pochissimi furono gli articoli di un certo spessore dedicati dalle riviste socialiste negli anni del dopoguerra allo studio dell’esperienza sovietica. Si possono sfogliare annate intere dell’Avanti! senza trovare un articolo che vada al di là del puro resoconto, della più semplice e asettica informazione.

Oltre agli articoli che ho riportato, dei quali quelli scritti da Lombardi e quelli pubblicati dalla rivista “Socialismo” sono gli unici ad assumere in qualche modo un posto di rilievo, c’è il vuoto.

Vuoto che, a mio parere, è solo in parte giustificabile dalla posizione intermedia, centrista assunta dai socialisti tra i due opposti, rappresentati dai socialdemocratici dei comunisti. È probabile, infatti, che i socialisti si fossero da una parte limitati nelle critiche al regime sovietico per non confondersi con i socialdemocratici ed anche per non urtare i comunisti, ai quali erano legati dal ‘patto di unità d’azione’, dall’altra pure negli elogi per non perdere la loro identità politica e per difendere la legittimità della loro autonomia dei comunisti. Costretti in questa situazione malagevole è probabile che preferirono ridurre le possibili occasioni di scontro su un terreno che, come abbiamo visto, era in quel periodo molto infuocato e preferirono assumere un atteggiamento, se non proprio neutro, senz’altro molto distaccato, quasi di noncuranza (posizione che ricorda il classico motivetto “né aderire, né sabotare” che ritorna sovente nella storia socialista passata e presente). Un altro motivo, forse più importante, anche se a questo legato, determinò in quegli anni il loro atteggiamento in proposito. È rappresentato dalla compressione nella quale è venuto a trovarsi il dibattito nella sinistra italiana sulla politica interna da tenersi da parte delle forze il movimento operaio. In altre parole, i socialisti avevano intravisto il pericolo di un’asfissia progressiva dello sviluppo di analisi di strategie valide per la situazione politica italiana a tutto vantaggio di un confronto e di uno scontro polemico in favore dell’una o dell’altra superpotenza. Pericolo che si fece evidente in tutta la sua attualità nella campagna elettorale del 1948, combattuta principalmente sulle questioni degli schieramenti internazionali.

In questo senso il parziale silenzio degli scrittori socialisti su quell’argomento è da interpretarsi quindi come un tentativo di uscita da quel meccanismo che avrebbe potuto stritolarli, da quella logica considerata improduttiva per il movimento operaio italiano, tentativo che aveva come scopo quello di privilegiare gli aspetti della politica nazionale su quella internazionale. Da questo punto di vista il distacco socialista non costituisce quindi la prova di un atteggiamento di subalternità o di timore, bensì il rovescio della medaglia di una politica che intendeva operare decisamente al fine di risvegliare l’interesse per i casi d’Italia e per gli obiettivi storici del movimento operaio italiano.

Massimo Ferrè, Il dibattito sulla natura sociale dell’Unione Sovietica all’interno della Sinistra Italiana (1943–1948), Tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, Anno Accademico 1978-1979, tesi pubblicata (e qui ripresa) in Socialismo Italiano 1892, 12 ottobre 2020