Occorreva risolvere le contraddizioni tra liberazione e messa in libertà dei fascisti

Se la guerra, dunque, “non può chiudersi con decreto” e non può concludersi istantaneamente ad un’ora prestabilita, ma prosegue per forza d’inerzia o per volontà, attraverso azioni armate sporadiche o frequenti, allo stesso modo, la violenza del dopoguerra (ma in realtà è ancora una violenza tutta interna alla guerra) non può limitarsi a qualche giorno concesso per “regolare i conti” con il passato e con i nemici <996. Eppure, proprio il Comando militare regionale piemontese aveva opportunamente rilevato che “solo una giustizia che sia rapida ed esemplare eviterà da un lato un eccesso di stragi e dall’altro immeritate impunità” e la segreteria Alta Italia del Partito d’Azione aveva raccomandato di evitare sia “un’epurazione burocratica e centrale”, come quella promossa da Roma, sia un “moto spontaneo delle vendette di piazza”, che avrebbe portato il gioco nelle mani degli Alleati; tutto questo nella coscienza della difficoltà di “trovare una giusta via di mezzo tra un inconcludente estremismo giacobino e l’attesa inerte di una Costituente che di per sé non potrà risolvere nulla se non sarà convenientemente preparata e pregiudicata da fatti positivi” <997.
Nei giorni e nei mesi convulsi della lunga liberazione c’è invece una difficile convivenza tra giustizia sommaria e giustizia legale; tra un’anima militarista (all’interno del Partito comunista e di gruppi di partigiani) e il nuovo corso voluto da Togliatti; tra la rivoluzione, da molti ancora sperata, e la democrazia progressiva, in gran parte indefinita e tutta da costruire.
Occorre, dunque, risolvere queste contraddizioni, così come occorre risolvere le contraddizioni tra liberazione e messa in libertà dei fascisti <998; tra nuovo progetto di società e permanenza di elementi ancora fortemente legati al passato e capaci di condizionare il cambiamento <999; tra idea di giustizia partigiana e pratica di giustizia legale <1000.
Si tratta di problemi che riguardano soprattutto il Partito comunista, nel suo rapporto con gli altri partiti e con il diversificato fronte partigiano, all’interno del quale la componente comunista è in ampie zone maggioritaria ma non sempre in linea con i vertici del Partito.
Sono anche problemi interni allo stesso Partito comunista che si manifestano nella dialettica spesso conflittuale tra il gruppo dirigente e la base. A questo bisogna aggiungere i delicati rapporti con gli anglo-americani, nella logica delle alleanze e degli equilibri internazionali. E’ in questo contesto che si decide il futuro del paese. Anche per questo, bisogna porre fine alla violenza.
Per il Partito comunista, e per Togliatti in primo luogo, occorre uscire dalla guerra <1001, superare le divisioni che hanno tenuto separati gli italiani su fronti contrapposti e pensare alla ricostruzione del Paese, su basi nuove e condivise. Occorre, dunque, una pacificazione degli animi e delle coscienze, dopo una guerra che è stata anche una guerra civile. Anzi, bisogna superare proprio il clima e il concetto di “guerra civile” <1002. Per fare questo, è necessario perdonare e tranquillizzare gli italiani, tutti gli italiani, per poter così ampliare il consenso attorno all’attività e alla strategia di un partito che si presenta come forza popolare e nazionale, come “partito di governo e di massa”.
E’ sulla base di queste considerazioni che nasce la cosiddetta “Amnistia Togliatti”, voluta dal Governo di cui fa parte il PCI e preparata dal Ministero di Grazia e Giustizia retto proprio dal leader comunista <1003.
In un discorso pronunciato a Reggio Emilia il 25 settembre 1946, Togliatti interviene proprio sul problema delL’amnistia e sul perdono: “[…] dovevamo mostrare a determinati strati del ceto medio, soprattutto delle città, che non era vero che la repubblica conquistata, soprattutto per opera dei comunisti e dei socialisti, fosse un regime di terrore e di sangue […] Questo obiettivo volevamo ottenere e disgraziatamente non L’abbiamo ottenuto […] il partito non è riuscito a far comprendere che noi stiamo svolgendo una larga azione politica, che siamo usciti dal periodo in cui contro il fascismo si combatteva con la mitragliatrice. Oggi si combatte con un’azione politica” <1004.
Non a caso, Togliatti interviene proprio in Emilia per cercare di affermare, con tutta la sua autorità, le ragioni della politica nazionale di fronte agli atteggiamenti preoccupanti e irrazionali degli organismi e dei gruppi dirigenti locali.
C’è, evidentemente, un rapporto molto stretto tra L’Emilia e le vicende del 1945 ma non ci può essere una identificazione. L’Emilia è un luogo centrale nella storia d’Italia. Per le lotte contadine, per la nascita dello squadrismo fascista, per le presenza di numerosi ras del fascismo, per le stragi nazifasciste, per l’intensa attività partigiana nel corso della lotta di liberazione. E’ il crocevia di diverse correnti politiche, da quella anarchica a quella socialista; da quella repubblicana a quella cattolica a quella comunista; sede del sindacalismo, delle leghe, delle cooperative; luogo condiviso di parrocchie e di case del popolo; terra profondamente segnata dalle contrapposizioni, non solo ideologiche ma anche materiali, dalle quali dipende l’organizzazione del lavoro e la qualità della vita di contadini e agrari. In questo territorio confluiscono tendenze e motivazioni diverse che sono alla base di una violenza che assume i diversi caratteri della rivincita politica, delL’intolleranza religiosa, dell’odio di classe, della reazione delle forze dell’ordine.
Ma l’Emilia è solo una parte, sia pure significativa, del Paese. Un Paese in cui agiscono forze diverse, democratiche ed eversive, in contesti diversi, dal Nord al Sud, che esprimono propositi, programmi, interessi contrapposti, all’interno di un processo politico complesso e difficile dal quale dipende la costruzione di una nuova identità o la riproposizione aggiornata di vecchi modelli politici e sociali.
L’Italia del 1945 è un Paese sul quale grava ancora L’ombra della guerra <1005. Un’ombra lunga che peserà anche negli anni a venire.
[NOTE]
996 Il colonnello inglese John Stevens dice a Franco Antonicelli, presidente del CLN del Piemonte: “Senta presidente, fate pulizia per due, tre giorni, ma al terzo giorno non voglio più vedere morti per le strade”, L’insurrezione di Torino. Saggio introduttivo, testimonianze, documenti, a cura di Giorgio Vaccarino, Carla Gobetti, Romolo Gobbi, Guanda, Parma 1969, p. 31, citazione riportata in Mirco Dondi, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, cit., p. 225, nota 49.
997 Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, cit., p.506. Per le citazioni vedi p. 767, nota 2.
998 “Con il rilascio continuo sia dai campi di concentramento che dalle carceri di quegli elementi fascisti protetti o sui quali non gravano denunzie specifiche, i vari Comuni si ripopolano di gente che può sempre attentare alla libertà, per conquistare la quale si è tanto combattuto. Coloro i quali vengono rilasciati […] strumenti della reazione in agguato, in un primo tempo conducono vita ritirata, poi pian piano ricominciano a circolare anche nelle ore notturne frequentandosi a vicenda, proprio come ai tempi delle brigate nere. Premesso quanto sopra, si suggerisce l’opportunità di far esercitare su detti elementi la “vigilanza speciale” dagli organi di polizia competenti”. Protesta del CLN di Fabbrico alla Regia Prefettura di Reggio Emilia, 1 settembre 1945, citata in Massimo Storchi, Combattere si può vincere bisogna. La scelta della violenza fra Resistenza e dopoguerra (Reggio Emilia 1943-1946), cit., pp. 137-138. Ma la Giustizia sarà, tutto sommato, clemente. Il 21 gennaio 1953, il Ministero di Grazia e Giustizia comunica alla Presidenza del Consiglio dei ministri i dati aggiornati al 31 dicembre 1952 dei condannati e dei giustiziati per collaborazionismo. “Appunto. I A) Condannati per collaborazionismo dall’entrata in vigore del decreto legislativo 27 luglio 1944 n.159 [Sanzioni contro il fascismo] fino al 31.12.1952: n. 5928. B) Dei predetti condannati hanno avuto inflitta la pena di morte n. 259, la quale fu eseguita soltanto per n. 91. Per gli altri n. 168 la condanna alla pena di morte non ebbe seguito in conseguenza di provvedimenti di amnistia e di indulto, ovvero di provvedimenti di grazia o della legge 22 gennaio 1948 n. 21. C) Provvedimenti individuali di clemenza a favore di condannati di cui alla lettera A, quando la pena a essi inflitta non fu interamente estinta in virtù dei provvedimenti generali di condono (grazia per la residua pena, ovvero commutazione o riduzione di pena): n. 139. D) Provvedimenti di liberazione condizionale emanati a favore dei condannati di cui alla lettera A: n. 696. II 1. Condannati con sentenza irrevocabile ancora detenuti al 31 dicembre 1952: n. 266. 2) Giudicabili detenuti alla stessa data: n. 47. 3) Condannati latitanti: n. 334. 4) Giudicabili latitanti: n. 67. Avvertenze […] 2. E’ da escludere che vi siano stati condannati per collaborazionismo i quali abbiano interamente espiata la pena loro inflitta con la sentenza di condanna. Invero – salvo le 91 persone che, condannate a morte subirono la esecuzione – tutti gli altri (compresa la categoria dei condannati a morte esclusa dal beneficio del condono elargito dal decreto 22 giugno 1946, art. 9, lettera a) usufruirono di provvedimenti di clemenza. 3) In conclusione, dei 5594 condannati per collaborazionismo (esclusi da questo numero i 334 latitanti), 5328 sono stati scarcerati anticipatamente per amnistia, indulto, grazia o liberazione condizionale. Rimangono soltanto ancora detenuti – come si è accennato – n.266, per alcuni dei quali tuttavia la pena originariamente inflitta con la sentenza di condanna, oltre che ridotta per effetto di generali provvedimenti di indulto, è stata ulteriormente diminuita con singoli provvedimenti di grazia”, A.C.S., P.C.M.,
Segreteria De Gasperi, b.1, riportato in Romano Canosa, Storia delL’epurazione in Italia. Le sanzioni contro il fascismo 1943-1948, Baldini & Castoldi, Milano 1999, pp.451-452.
999 “L’epurazione si risolse in un fallimento completo. La magistratura non ne fu minimamente toccata e quando fu il suo turno di giudicare prosciolse quanti più imputati poté dall’accusa di collaborazione col passato regime. Anche altri settori fondamentali del personale statale rimasero inviolati. Nel 1960 si calcolò che 62 dei 64 prefetti in servizio erano stati funzionari sotto il fascismo. Lo stesso era vero per tutti i 135 questori e per i loro 139 vice. Solo cinque di essi avevano partecipato in qualche modo alla Resistenza (Vedi la voce Epurazione dell’Enciclopedia delL’antifascismo e della Resistenza, vol. II, La Pietra, Milano 1971, pp. 222-224)”, Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, cit., p.120. Una comunicazione del Ministero dell’Interno – Gabinetto del Ministro – inviata il 18 agosto 1952 alla Presidenza del Consiglio dei ministri riporta i seguenti dati relativi al personale statale dispensato dal servizio per epurazione: “Presidenza del Consiglio dei Ministri: 7 (Consiglio di Stato magistrati: 3; Istituto Centrale di Statistica Impiegati d’ordine: 1; Servizio Spettacolo, Informazione e Propaganda Intellettuale: 3); Ministero dell’Interno: 14; Ministero degli Esteri: nessuno; Ministero di Grazia e Giustizia: 37; Ministero delle Finanze: 16; Ministero Bilancio e ad interim Tesoro: 4; Ministero Difesa: 157; Ministero Pubblica Istruzione: 10; Ministero Lavori Pubblici: nessuno; Ministero Agricoltura e Foreste: 18; Ministero dei Trasporti: 174; Ministero Poste e Telecomunicazioni: 52; Ministero Industria e Commercio: 3; Ministero Lavoro e Prev. Sociale: 3; Ministero Commercio Estero: 2; Ministero Marina Mercantile: nessuno; Ministero Africa Italiana: 2. Totale: 499, A.C.S., P.C.M., 1944/47, 1.7, 10124, b.3372, riportato in ivi, pp.449-450. Particolare importanza assume la “reintegrazione” negli apparati militari, di polizia e dei servizi segreti, anche se, in realtà, molti elementi non sono mai stati allontanati.
1000 Occorre tener presente non solo la pratica di una giustizia sommaria partigiana ma anche l’ideale di giustizia nato negli anni difficili della lotta antifascista e di liberazione e ora messo in crisi da una crescente delusione per i risultati ottenuti. A volte, alla delusione si aggiunge la beffa. E’ già accaduto nel corso del processo per l’uccisione dei fratelli Rosselli quando il generale Mario Roatta, uno dei principali accusati, fugge dal carcere nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1945 (una delle tante fughe che caratterizzeranno, negli anni successivi, la storia del nostro Paese) e accadrà in seguito quando saranno istruiti numerosi processi proprio a carico dei partigiani. Su questi aspetti vedi, in particolare, Angela Maria Politi, Una fonte sui processi contro i partigiani: gli archivi degli avvocati difensori, in “Rivista di storia contemporanea”, 1990, n.2, pp.304-327.
1001 Vedi: Massimo Storchi, Uscire dalla guerra. Ordine pubblico e forze politiche. Modena 1945-1946, Franco Angeli, Milano 1995.
1002 Già dal 1945, e fino agli anni sessanta, ben prima dunque della pubblicazione del saggio di Claudio Pavone, si parla di “guerra civile” negli scritti e negli interventi di alcuni protagonisti di quelle vicende, di storici, di scrittori. “Ma nel volume delle opere di Togliatti relativo agli anni 1944-55 le parole “guerra civile” non compaiono mai, tanto era forte nel leader comunista la volontà di accreditare il proprio partito come partito nazionale”, Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, cit., p.222.
1003 D.P.R. 22 giugno 1946, n. 4, “Gazzetta Ufficiale” 23 giugno 1946, n.137. “L’amnistia Togliatti” è un tema complesso e controverso che merita un’attenzione maggiore rispetto a qualche rapida (e frettolosa) osservazione. Si rinvia, pertanto, a un’opera di sintesi, ricca di dati e di informazioni da approfondire, come quella di Mimmo Franzinelli, L’amnistia Togliatti. 22 giugno 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Mondadori, Milano 2006 e alle puntuali e suggestive annotazioni di Carlo Galante Garrone, Guerra di liberazione (dalle galere), in “Il Ponte”, 1947, ora in Dalla Resistenza alla desistenza. L’Italia del “Ponte” (1945-1947), a cura di Mario Isnenghi, Laterza, Bari 2007, pp.387-414. Vedi anche Achille Battaglia, Giustizia e politica nella giurisprudenza, in AA.VV., Dieci anni dopo 1945-1955. Saggi sulla vita democratica italiana, Editori Laterza, Bari 1955, pp. 317-408. Sul rapporto amnistia/amnesia vedi Mariuccia Salvati, Amnistia e amnesia nelL’Italia del 1946, in Storia, verità, giustizia. I crimini del XX secolo, a cura di Marcello Flores, Bruno Mondadori, Milano 2001, pp.141-161.
1004 Palmiro Togliatti, Un partito di governo e di massa. Discorso pronunciato a Reggio Emilia il 25 settembre 1946, in Id., Politica nazionale ed Emilia rossa, Editori Riuniti, Roma 1974, citato in Massimo Storchi, Combattere si può vincere bisogna. La scelta della violenza fra Resistenza e dopoguerra (Reggio Emilia 1943-1946), cit., p. 158.
1005 Guido Crainz, L’ombra della guerra. Il 1945, L’Italia, Donzelli, Roma 2007.
Antonio Gioia, Guerra, Fascismo, Resistenza. Avvenimenti e dibattito storiografico nei manuali di storia, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Salerno, Anno Accademico 2010-2011